Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9474.
La massima estrapolata:
Quando alla rinuncia al ricorso per cassazione non abbia fatto seguito l’accettazione dell’altra parte, pur estinguendosi il processo, non opera l’art. 391, comma 4, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, che esclude la condanna alle spese in danno del rinunciante, spettando al giudice il potere discrezionale di negarla solo in presenza di specifiche circostanze meritevoli di apprezzamento, idonee a giustificare la deroga alla regola generale della condanna del rinunciante al rimborso delle spese sostenute dalle altre parti.
Ordinanza 22 maggio 2020, n. 9474
Data udienza 6 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – Rinunzia al ricorso – In genere mancata accettazione – Conseguenze – Condanna alle spese del rinunciante – Potere discrezione del giudice – Presupposti.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18711/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., gia’ (OMISSIS) e (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2108/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per estinzione del ricorso ex articolo 390 c.p.c.;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta.
La Corte osserva:
FATTO E DIRITTO
1. – Con atto di citazione notificato l’11 novembre 2008 (OMISSIS) s.p.a. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano (OMISSIS) s.p.a. per chiedere di accertare e dichiarare che quest’ultima aveva abusato della propria posizione dominante in violazione dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 2598 c.c., per sentire inibita alla convenuta la continuazione o ripetizione delle condotte illegittime e per ottenere la condanna della stessa (OMISSIS) al risarcimento dei danni subiti in ragione delle condotte abusive poste in atto. L’abuso di posizione dominante denunciato consisteva, secondo l’attrice, nell’imposizione di prezzi per il solo servizio di terminazione su rete mobile (OMISSIS) che erano maggiori rispetto a quelli applicati da quest’ultima alle proprie divisioni commerciali per il medesimo servizio di terminazione on-net. (OMISSIS) assumeva che alcuni dei piani tariffari commercializzati dalla convenuta nel periodo 2000-2005 per il servizio di telefonia fissa e rivolti a clienti aziendali avrebbero previsto l’applicazione al cliente di un prezzo al dettaglio per le chiamate fisso-mobile di tipo on-net inferiore alla tariffa all’ingrosso di terminazione fisso-mobile fatto pagare agli operatori concorrenti. Veniva quindi imputata a (OMISSIS) l’attuazione di pratiche tariffarie di compressione dei margini (margin squeeze): doglianza che, si deduceva, era stata oggetto di istruttoria da parte dell’AGCM, o Autorita’ Garante per la Concorrenza ed il Mercato: detta Autorita’, dopo aver rilevato, nel provvedimento di avvio dell’istruttoria del 23 febbraio 2005, che (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano operatori in posizione di dominanza congiunta nel mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione per le chiamate su rete mobile e in posizione dominante nel mercato dell’offerta dei servizi di terminazione sulla propria rete, stante la titolarita’ di ciascuna rete in capo a un solo gestore, e dopo aver altresi’ rimarcato l’insostituibilita’ dal lato della domanda per i servizi di terminazione su una determinata rete e, in generale, l’assenza di efficaci vincoli al potere di mercato dell’operatore di rete mobile di terminazione, deliberava, con successivo provvedimento del 3 agosto 2007, sanzioni amministrative a carico di (OMISSIS) e di (OMISSIS), mentre, con riferimento a (OMISSIS) il procedimento si concludeva con l’impegno assunto da quest’ultima societa’ ai sensi della L. n. 287 del 1990, articolo 14 ter, comma 1 e con la successiva Delib. 24 maggio 2007, che rendeva obbligatorio il suddetto impegno. L’autorita’ garante, pertanto, concludeva il procedimento avviato nei confronti di (OMISSIS) senza accertare le infrazioni contestate e valutando l’assunzione degli impegni volti a scongiurare il perpetuarsi di condotte anticoncorrenziali.
Nel costituirsi in giudizio (OMISSIS) eccepiva proprio l’assenza di un accertamento dell’infrazione contestata; rilevava, poi, che la controparte non aveva indicato con precisione i fatti posti a fondamento della domanda, essendosi la stessa limitata a richiamare le risultanze del procedimento svoltosi innanzi all’AGCM, e deduceva di non aver mai concluso alcun contratto di interconnessione con l’attrice per la fornitura di servizi di terminazione.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 3 ottobre 2013, accertava che (OMISSIS) aveva posto in essere condotte di abuso di posizione dominante nei confronti di (OMISSIS), avendo praticato alla stessa condizioni economiche discriminatorie rispetto a quelle, piu’ vantaggiose, applicate alle proprie divisioni commerciali nel periodo intercorrente tra il 2002 e il 2007 e la condannava al pagamento della somma di Euro 284.803,24 oltre interessi legali.
2. – La pronuncia era impugnata da entrambe le parti e il gravame era definito dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 27 maggio 2016. Il giudice dell’impugnazione disattendeva le doglianze di (OMISSIS) circa l’asserita mancanza di valore probatorio degli atti istruttori compiuti dall’AGCM (che avevano preceduto l’assunzione degli impegni ex articolo 14 ter cit., da parte di detta societa’ e il provvedimento con cui gli stessi erano stati resi obbligatori, ma senza accertamento dell’infrazione); quanto al danno risarcibile, la Corte di merito rilevava che esso consisteva nella differenza dei prezzi di terminazione praticati da (OMISSIS) in relazione alla condotta abusiva dalla stessa tenuta; osservava come la quantificazione del detto pregiudizio patrimoniale dovesse operarsi avendo riguardo al principio di vicinanza della prova, “in tal caso ravvisabile sulla parte che ha commesso l’abuso, e nell’ottica di garanzia di massima effettivita’ della tutela dei diritti del soggetto vittima dell’abuso” e rilevava che la sentenza di primo grado non aveva tenuto conto del conteggio operato dal CTU circa il “maggior costo sopportato da (OMISSIS) confrontato con quello che la stessa avrebbe potuto sostenere nel caso di applicazione dell’offerta riscontrata come applicabile”; rideterminava, pertanto il danno in ragione di Euro 1.826.605,74.
3. – (OMISSIS), gia’ (OMISSIS), ha impugnato per cassazione la sentenza di appello della Corte di Milano facendo valere sette motivi. (OMISSIS) ha notificato controricorso e ha poi depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
Con il primo motivo e’ denunciata violazione o falsa applicazione dell’articolo 2727 c.c. e della L. n. 287 del 1990, articolo 14 ter. Viene osservato che, in base alla giurisprudenza, costituiscono prova privilegiata gli atti del procedimento in esito al quale l’AGCM ha accertato la sussistenza dell’illecito concorrenziale: nella fattispecie, invece, il procedimento si era chiuso senza accertamento dell’illecito antitrust, ma solo con l’accettazione degli impegni di cui al cit. articolo 14 ter. E’ spiegato che gli elementi raccolti dall’Autorita’ garante avrebbero potuto essere valutati “solo come indizi, bisognosi di ulteriore verifica al fine di raggiungere la prova dell’asserito abuso di posizione dominante”.
Col secondo motivo e’ lamentata la violazione o falsa applicazione, sotto diverso profilo, dell’articolo 2727 c.c. e della L. n. 287 del 1990, articolo 14 ter. Rileva la ricorrente che l’illecito ad essa imputato non potrebbe consistere nell’aver praticato un prezzo di terminazione troppo elevato: nel provvedimento dell’AGCM non era fatta menzione di una tale condotta e, del resto – spiega – il prezzo della terminazione mobile e’ autorizzato dall’autorita’ di regolazione. Il fatto produttivo del danno risarcibile, per quanto poteva desumersi dal provvedimento dell’AGCM, consisteva, ad avviso della ricorrente, nell’aver piuttosto rivolto al mercato offerte di fonia aziendale fisso-mobile non replicabili da parte dei concorrenti: in conseguenza, secondo la societa’ istante, il danno concorrenziale subito da (OMISSIS) avrebbe dovuto essere parametrato su tale comportamento, non potendo risolversi in una correzione del prezzo di terminazione.
Il terzo mezzo oppone la violazione o falsa applicazione dell’articolo 102 TFUE e della L. n. 287 del 1990, articolo 3. La censura ripropone la doglianza di cui al motivo che precede, declinandola in termini di violazione della disciplina sostanziale con cui e’ vietato l’abuso di posizione dominante. La ricorrente ribadisce che all’illecito ad essa imputato era estranea la pratica di prezzi di terminazione non equi; cio’ che poteva rilevare, sul piano della responsabilita’ antitrust, era la condotta consistente nell’aver (OMISSIS) accordato alle proprie divisioni commerciali condizioni di favore, determinando cosi’ uno svantaggio per i propri concorrenti ex articolo 102, lettera c) TFUE.
Il quarto motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, dato dalla “esatta determinazione del danno concorrenziale”. Vi si deduce che, una volta correttamente determinato il fatto produttivo del danno risarcibile (quale formulazione di offerte commerciali non replicabili nel mercato retail), il danno stesso doveva essere determinato con criteri completamente diversi da quelli utilizzati dal CTU: l’accertamento avrebbe dovuto infatti riguardare il danno concorrenziale derivante dallo sviamento di clientela, dalla perdita di avviamento o di chance e nella riduzione dell’utile d’impresa.
Col quinto motivo viene prospettata la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c.. La corretta individuazione del danno concorrenziale rilevante nella fattispecie rendeva, ad avviso della ricorrente, impropri sia il richiamo operato dalla Corte di appello al principio della vicinanza della prova, sia la conseguente applicazione dei criteri presuntivi presi in considerazione nella sentenza impugnata. Viene rilevato l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell’identificare il danno concorrenziale con l’overcharge praticato da (OMISSIS). E’ precisato che poiche’, di contro, il fatto produttivo del danno era costituito da offerte commerciali non replicabili da parte del concorrente, la circostanza da provare ben avrebbe potuto essere dimostrata dal concorrente interessato. Per un verso, infatti, le offerte commerciali di (OMISSIS) erano note a qualsiasi operatore del mercato, onde (OMISSIS) aveva la piena possibilita’ di provare il numero, la consistenza e la durata di tali offerte. Per altro verso, la stessa controricorrente era nella condizione di provare i danni occorsi per lo sviamento di clientela, per eventuali costi irrecuperabili, per la perdita di avviamento e di chance e per il mancato guadagno dipendente dalla necessita’ di praticare prezzi retail particolarmente bassi, allo scopo di far fronte alla pressione concorrenziale dell’impresa dominante.
Il sesto motivo, svolto in via subordinata rispetto ai precedenti, oppone l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, lamentando l’individuazione erronea del benchmark sulla cui base e’ stato individuato il sopracosto imputato a (OMISSIS). Rileva la ricorrente che il parametro preso in considerazione dal giudice, sulla base delle risultanze peritali, era costituito da un’offerta commerciale di connessione mobile-mobile, come tale non pertinente al mercato business di connessione fisso – mobile, cui si riferiva l’accusa di abuso di posizione dominante.
Col settimo mezzo, pure proposto in via subordinata, viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. Viene spiegato che, benche’ il mercato rilevante individuato nel procedimento dell’AGCM fosse quello del traffico aziendale fisso-mobile, la sentenza impugnata aveva erroneamente calcolato il danno sull’intero traffico di terminazione pagato da (OMISSIS) a (OMISSIS), che era comprensivo di quello relativo alla clientela non aziendale.
4. – In prossimita’ dell’udienza, con atto del 31 gennaio 2010, la ricorrente ha dichiarato di rinunciare al ricorso.
5. – La detta rinuncia importa l’estinzione del giudizio, a mente dell’articolo 391 c.p.c., senza necessita’ di accettazione dell’altra parte: secondo quanto rilevato da questa Corte, tale rinuncia, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione, rimanendo, comunque, salva la condanna del rinunciante alle spese del giudizio (cosi’ Cass. 26 febbraio 2015, n. 3971).
6. – In assenza della detta accettazione non ricorre la condizione di legge di cui all’articolo 391 c.p.c., comma 4, che esclude la condanna alle spese in danno del rinunciante.
A seguito della modificazione introdotta col Decreto Legislativo n. 40 del 2006, tuttavia, la detta statuizione di condanna non e’ piu’ necessitata, potendo il giudice discrezionalmente negarla. Compete pertanto alla Corte apprezzare l’esistenza di ragioni, particolarmente meritevoli di apprezzamento, atte a determinare il superamento della regola per cui, in base al principio di causalita’, le dette spese dovrebbero far carico alla parte che ha dapprima introdotto il giudizio per cassazione e poi determinato, con la rinuncia, la sua estinzione.
Nella specie, la rinuncia e’ stata motivata da elementi giustificativi (riferiti all’operativita’ della controricorrente e all’interesse di (OMISSIS) a coltivare l’impugnazione) di cui la Corte non ha riscontro e che comunque risultano recessivi rispetto all’interesse della parte non rinunciante ad ottenere il rimborso del costi processuali affrontati per resistere al ricorso: tanto piu’ in considerazione della particolarita’ e complessita’ delle questioni prospettate con l’atto di impugnazione e all’impegno che l’approntamento delle difese, quindi, imponeva.
Va conclusivamente resa condanna sul punto; l’ammontare delle spese e’ liquidato in dispositivo.
La declaratoria di estinzione del giudizio esclude l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato gia’ versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass. 12 ottobre 2018, n. 25485).
P.Q.M.
La Corte:
dichiara estinto il giudizio; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 9.000,000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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