Ricorso per cassazione proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 18 gennaio 2019, n. 2343.

La massima estrapolata:

Nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato.

Sentenza 18 gennaio 2019, n. 2343

Data udienza 28 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/3/2018 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Presidente Dr. Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Angelillis Ciro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 marzo 2018 la Corte d’appello di Milano, provvedendo sulla impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 15 febbraio 2017 del Tribunale di Milano, con cui era stato dichiarato responsabile, quale amministratore di fatto della S.r.l. (OMISSIS), dei reati di cui agli Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2, 8 e 10, ha dichiarato estinti per prescrizione i reati di cui agli Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 e 8, confermando la dichiarazione di responsabilita’ dell’imputato solamente in relazione alla residua contestazione di occultamento delle scritture contabili di tale societa’ relativamente al periodi d’imposta 2008 e 2009, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10, determinando la relativa pena in nove mesi di reclusione.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato la violazione e l’errata applicazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 e articolo 157 c.p. e l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) et e), per l’erronea esclusione da parte della Corte territoriale della estinzione per prescrizione anche del residuo reato di occultamento della documentazione contabile, di cui era stato erroneamente stabilito il momento consumativo, dal quale computare il termine di prescrizione, in quanto, trattandosi di condotta di occultamento, la condotta si era protratta fino al momento dell’accertamento da parte della polizia giudiziaria, avvenuto in data (OMISSIS), dove i documenti contabili erano stati rinvenuti in un deposito occulto in uso all’imputato, e quindi da tale data avrebbe dovuto computarsi il termine di prescrizione di detto reato. La Corte d’appello aveva, invece, considerato quale momento di cessazione della permanenza la data 31 gennaio 2014, allorquando era stato eseguito un ulteriore accertamento del reato in Milano, pur non essendo stato eseguito alcun accesso presso la sede della (OMISSIS).
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione e l’erronea applicazione dell’articolo 28 c.p.p. e l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) et e), con riferimento alla propria richiesta di riunione del procedimento a suo carico con altro procedimento, pendente presso la Corte d’appello di Napoli, generato dalle medesime indagini, e avente oggetto parzialmente sovrapponibile, in quanto le contestazioni di cui capi 29) e 38) della rubrica di tale procedimento corrispondevano a quelle di cui ai capi b) et c) del procedimento pendente innanzi alla Corte d’appello di Milano.
Tale richiesta era stata respinta dalla Corte d’appello di Milano con motivazione errata e illogica, fondata sul rilievo della tardivita’ di una eventuale eccezione di incompetenza per territorio (proposta per la prima volta nel giudizio di secondo grado) e della inapplicabilita’ dell’istituto della riunione di procedimenti, che presuppone la pendenza dei due giudizi innanzi al medesimo giudice.
Cio’, tuttavia, non teneva conto della disciplina dettata dall’articolo 28 c.p.p. per risolvere i conflitti di competenza e dei principi affermati in proposito dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui, in presenza di regiudicande anche solo parzialmente coincidenti, i giudizi avrebbero dovuto essere concentrati innanzi al giudice investito della cognizione del fatto piu’ ampio, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere disposta la riunione del giudizio pendente innanzi alla Corte d’appello di Milano a quello pendente innanzi alla Corte d’appello di Napoli, avente oggetto piu’ ampio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. Il primo motivo, mediante il quale e’ stata denunciata la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 74 e articolo 157 c.p., ed e’ stata lamentata l’insufficienza e la illogicita’ della motivazione, nella parte relativa all’omesso rilievo da parte della Corte d’appello della estinzione per prescrizione anche del residuo reato di occultamento di documentazione contabile, a causa dell’errore commesso dai giudici di merito nella individuazione del relativo momento consumativo, da collocare in corrispondenza dell’accertamento eseguito in (OMISSIS), allorquando venne scoperto l’occultamento di tale documentazione in un deposito nella disponibilita’ dell’imputato, e’ inammissibile, non essendo tale questione stata sottoposta ai giudici d’appello, con la conseguente preclusione alla prospettazione di vizi della motivazione e di violazioni di legge al riguardo, che attengono, in realta’, a un accertamento di fatto compiuto concordemente dai giudici di merito e non oggetto di doglianze (circa il momento di cessazione della protrazione della condotta di occultamento, da cui decorre il termine di prescrizione), non censurabile in sede di legittimita’, neppure sul piano della carenza motivazionale, se non criticato mediante l’impugnazione di merito.
Come si ricava dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata (nella quale si da’ atto che non era stata sollevata alcuna contestazione circa la ricostruzione dei fatti effettuata nella sentenza di primo grado, ma solo in ordine alla veste di amministratore di fatto dell’imputato e alla riconducibilita’ dell’occultamento della documentazione contabile della (OMISSIS) alla moglie dell’imputato, in quanto amministratrice di una societa’ che intratteneva rapporti commerciali con quella che sarebbe stata amministrata dall’imputato), con l’atto d’appello non erano stati sollevati rilievi di sorta riguardo all’epoca di consumazione del reato di occultamento di documentazione contabile, e, in particolare, all’accertamento della protrazione di tale condotta fino alla verifica compiuta il 31 gennaio 2014, come contestato.
Attraverso il ricorso in esame il ricorrente propone, per la prima volta nel giudizio di legittimita’, non avendo sollevato la relativa questione con l’atto d’appello, una rivisitazione sul piano del merito di tale (sia pur implicito) accertamento, non consentita nel giudizio di legittimita’, nel quale e’ esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, ne’ la deduzione di aspetti non sottoposti al giudice della impugnazione di merito.
Ne consegue l’inammissibilita’ di tale motivo di ricorso, affidato a una doglianza non consentita nel giudizio di legittimita’, nel quale possono solamente essere denunciati vizi del provvedimento impugnato, purche’ rientranti tra quelli tassativamente indicati dall’articolo 606 c.p.p., che delinea il giudizio di cassazione come impugnazione a critica vincolata avverso il provvedimento censurato, nella quale non e’ consentito un nuovo esame del merito (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 46486 del 20/11/2012, Cannone, Rv. 253952), cosicche’ risulta preclusa la deduzione di violazioni di legge o di vizi della motivazione attinenti ad accertamenti di fatto (quale quello del momento consumativo del reato) non censurati con l’impugnazione di merito e non sottoposti in alcun modo alla cognizione del giudice di secondo grado, che quindi, correttamente, non li ha riesaminati e che dunque non possono neppure essere oggetto di motivo di ricorso di legittimita’.
Ne consegue che e’ inammissibile il ricorso per cassazione proposto per motivi concernenti statuizioni del giudice di primo grado (nella specie, in ordine al momento consumativo del reato) non devolute al giudice di appello con specifico motivo di impugnazione, perche’ la sentenza di primo grado acquista su tali punti autorita’ di cosa giudicata (cfr. Sez. 5, n. 4712 del 13/01/1982; Carrieri, Rv. 153578 – 01; conf. Sez. 4, n. 2654 del 21/10/1983, dep. 22/03/1984, Norrito Rv. 163291 – 01).
3. Il secondo motivo, peraltro riproduttivo del corrispondente motivo d’appello e formulato in modo generico, privo di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, e’ manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Milano ha disatteso la richiesta dell’imputato, di riunione del processo a quello pendente innanzi alla Corte d’appello di Napoli, avente oggetto parzialmente coincidente (in quanto i capi B et C della rubrica del giudizio pendente innanzi alla Corte d’appello di Milano coinciderebbero con i capi 29 e 38 della rubrica del processo pendente innanzi alla Corte d’appello di Napoli), sottolineando la tardivita’ di una eventuale eccezione di incompetenza, proposta per la prima volta in grado di appello, e la impossibilita’ di procedere alla riunione tra processi pendenti innanzi a giudici diversi.
Tali rilievi, che sono pienamente corretti, non sono stati considerati dal ricorrente, che si limitato a ribadire il dato della pendenza dei due giudizi e della parziale sovrapponibilita’ del loro oggetto, prospettando la conseguente necessita’ di regolare il conflitto di competenza che ne deriverebbe a favore della Corte d’appello di Napoli, onde evitare violazioni del divieto di piu’ giudizi per il medesimo fatto.
Secondo quanto chiaramente stabilito dall’articolo 21 c.p.p., comma 2, l’incompetenza per territorio deve, pero’, essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare, o, se questa manchi, subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (termine entro il quale l’eccezione di incompetenza per territorio respinta nel corso dell’udienza preliminare deve essere riproposta), cosicche’ risulta inammissibile, a causa della sua tardivita’, in quanto proposta dopo la verificazione di una decadenza, l’eventuale eccezione di incompetenza per territorio sollevata, come nel caso in esame, per la prima volta con l’atto d’appello, con la conseguente mancanza di concludenza dei richiami del ricorrente alle disposizioni che regolano i conflitti di competenza, applicabili solo in presenza di una eccezione di incompetenza tempestivamente sollevata.
Allo stesso modo risulta corretto il rilievo dei giudici dell’appello, circa la inapplicabilita’ dell’istituto della riunione a processi pendenti innanzi a giudici diversi, posto che, ai sensi dell’articolo 18 c.p.p., comma 1, la riunione di processi puo’ essere disposta solamente in relazione a processi pendenti nello stesso stato e grado e davanti al medesimo giudice.
Per il caso di impossibilita’ di disporre la riunione e, come nel caso in esame, di preclusione della questione di competenza per territorio, soccorre, onde salvaguardare il principio del ne bis in idem, che ha portata generale nell’ordinamento processuale (Sez. 1, n. 27834 del 01/03/2013, Carvelli, Rv. 255701 – 01), l’espressa previsione dell’articolo 669 c.p.p., comma 1, che prevede l’esecuzione della condanna piu’ favorevole tra quelle irrevocabili pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto e la revoca delle altre, con la conseguenza che al timore del ricorrente, per la possibile formazione di piu’ giudicati a suo carico per i medesimi fatti, potra’ porsi rimedio in sede esecutiva, mediante l’applicazione di tale istituto.
4. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, stante l’inammissibilita’ del primo motivo e la manifesta infondatezza del secondo.
L’inammissibilita’ originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacche’ detta inammissibilita’ impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita’, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Avv. Renato D’Isa

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