Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1613.
Ricorso per cassazione ed il vizio di violazione di legge
In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.
Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1613. Ricorso per cassazione ed il vizio di violazione di legge
Data udienza 16 novembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: IMPUGNAZIONI – Impugnazioni civili – Ricorso per Cassazione – Violazione di legge – Presupposti. (Cc, articoli 1141, 1144, 2730 e 2731; Cpc, articoli 96 e 380 bis)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19425/2019 R.G. proposto da:
De.Ma., De.An., De.Ce., elettivamente domiciliati in R, (…), presso lo studio dell’avvocato Io.An., rappresentati e difesi dagli avvocati Fa.Fr., Br.Gi. e Fa.Gi.
– ricorrente –
contro
De.Ce., De.An., elettivamente domiciliato in C, (…), presso lo studio dell’avvocato Fo.Pa. rappresentato e difeso dall’avvocato Fr.El.;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 835/2019 depositata il 17/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/11/2023 dal Consigliere LUCA VARRONE.
Ricorso per cassazione ed il vizio di violazione di legge
FATTI DI CAUSA
1. De.Ma., De.An. e De.Ce. convenivano in giudizio presso il Tribunale di Rossano, De.Pi., chiedendo dichiararsi l’intervenuta usucapione in loro favore di una striscia di terreno coltivata ad agrumeto posta a confine tra i fondi oggetto della divisione per atto notar Ra. del 7 agosto 1961 intervenuta tra i germani De., siti in località S.
2.Detta striscia segnata in catasto alle particelle (…), come da frazionamento del geom. Ri. del 1965 e, quindi, successivamente in quelle n. (…), come da frazionamento dell’Ing. Ma. del 1979, ora individuate nelle particelle (…), era stata ceduta da De.Pi. a De.Ni., il quale con atto del 13 gennaio 1986 per notar Ro., aveva donato agli attori la nuda proprietà dei terreni facenti parte della sua quota, riservandosi l’usufrutto. Alla sua morte la proprietà si era consolidata in favore degli attori.
3. Tali beni erano stati dapprima posseduti dal padre De.Ni. e poi dagli istanti che avevano maturato la piena usucapione anche della suddetta striscia di terreno in maniera pubblica, pacifica ed ininterrotta, sopportandone gli oneri con coltivazione ad agrumeto e con piante della medesima qualità ed utilizzazione del medesimo pozzo per l ‘irrigazione, comportandosi da padroni per oltre trenta anni.
2. Si costituiva De.Pi. deducendo che in esito alla citata divisione del 7.8.1961 la quota di terreno di spettanza sua e di De.Ni. per approvazione del piano di fabbricazione comunale erano divenute aree edificabili di categoria CT2 (residenziali turistico – marina) ed entrambi avevano provveduto alla relativa lottizzazione approvate dai competenti organi.
Sorprendente era pertanto la richiesta degli attori essendo stato egli proprietario e possessore del bene in lite senza contestazione alcuna, chiedeva quindi il rigetto della domanda.
3. Con separati ricorsi gli stessi attori proponevano altre azioni di reintegra del possesso che in questa sede non rilevano.
4. Il Tribunale civile di Rossano così statuiva sulla domanda di usucapione: dichiara che gli attori sono proprietari per maturata usucapione della striscia di terreno meglio descritta negli atti di causa, di circa mq. 1600.00 contrassegnata in catasto con le particelle-490-491 -492 498-499-503-504, autorizzando i responsabili dei Registri immobiliari delle formalità di legge con esonero di personale responsabilità. Dichiarava già decise le domande relative ai ricorsi possessori avanzati in corso di causa dagli attori nei confronti di Gr.An., De.Pi. e De.Ce. con separati provvedimenti aventi valore di sentenza.
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5. Ro.Ro. e Fe.Em. proponevano appello avverso la suddetta sentenza per non essere stati chiamati in causa in violazione dell’art. 102 c.p.c. nonostante la societa Na. avesse acquistato i terreni in corso di causa da De.Pi..
Lamentavano anche la mancanza dei presupposti per dichiarare l’usucapione e il fatto che il godimento del bene era avvenuto per mera tolleranza dei fratelli.
6. De.An. e De.Ce. proponevano appello avverso la medesima sentenza per le medesime ragioni.
7. De.Ma., De.An., De.Ce. resistevano all’appello.
8. Ro.Ro. ed Fe.Em. rinunciavano all’appello.
9. La Corte d’Appello in parziale accoglimento dell’appello rigettava la domanda di usucapione.
10. Preliminarmente la Corte rilevava che la rinuncia all’appello non poteva essere esaminata in mancanza dell’accettazione della controparte e, in ogni caso, restava da esaminare l’appello proposto da De.An. e De.Ce..
11. Il primo motivo di appello era infondato in quanto ai sensi dell’art. 111 c.p.c. l’alienazione del diritto controverso, per atto tra vivi a titolo particolare, non faceva venir meno l’interesse ad agire in capo all’attore o al convenuto, onde il rapporto processuale proseguiva tra le parti originarie senza che al riguardo vi fosse alcun obbligo di estensione del contraddittorio di talché la sentenza pronunciata non era inutiliter data.
12. Invece, la Corte d’Appello reputava fondati i restanti motivi di appello circa la mancanza dei presupposti per dichiarare l’intervenuta usucapione in favore degli originari attori.
Il Tribunale aveva omesso di considerare che la dichiarazione stragiudiziale, resa nel 1992 da De.Ce. e Co.Vi. rispettivamente figlio e genero di De.Pi., valutata come confessione, non poteva considerarsi efficace in quanto proveniente da persone non aventi la capacita di disporre del diritto controverso, atteso che nell’anno in cui era stata rilasciata, il titolare effettivo del diritto risultava essere De.Pi.. Né al riguardo risultava essere stata versata in atti idonea documentazione dalla quale fosse possibile evincere che De.Ce. e Co.Vi. avessero agito in qualità di rappresentanti di De.Pi.. Conseguentemente, detta dichiarazione andava considerata priva di efficacia probatoria.
Dalla espletata attività istruttoria non emergeva che gli utilizzatori del bene si trovassero in una situazione di possesso quanto piuttosto di mera detenzione per tolleranza altrui. Risultava, infatti, pacifico che la detenzione di un bene originata appunto per tolleranza o permissio fraterna, come nel caso di specie, non consentisse l’acquisto del bene per usucapione nonostante la detenzione continuata per venti anni, necessitando in tali circostanze un quid pluris ulteriore idoneo ad integrare un’interversione del possesso specie all’interno di rapporti di parentela nei quali sovente l’utilizzo del bene avviene anche per ragioni di solidarietà familiare.
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Nella fattispecie non era stata, dunque, fornita la prova dello svolgimento di atti sufficienti ad integrare l’interversione del possesso, né potevano essere considerati tali la piantagione di qualche albero di frutta e la ”fresatura” del terreno. Non poteva essere esaminata l’ulteriore domanda di condanna alla restituzione degli importi versati a titolo di spese legali in quando non vi era prova che le stesse fossero state effettivamente corrisposte.
13. De.Ma., De.Si., De.Ce., eredi di De.Ni., hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
14. De.Ce. e De.An. hanno resistito con controricorso.
15. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
16. Il Presidente di Sezione ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
17. A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
18. Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., sono pervenute memorie.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve osservarsi che la seconda notifica della proposta e avvenuta per errore e non ha prodotto alcun effetto, trattandosi di una mera ripetizione di quella già notificata e rispetto alla quale i ricorrenti hanno formulato istanza di decisione ex art. 380 bis c.p.c. rilasciando una nuova procura speciale.
1. I motivi di ricorso possono così sintetizzarsi:
1.1 Nullità della sentenza per inesistenza, fittizietà ed apparenza della motivazione dal momento che non rappresenterebbe le risultanze processuali, sarebbe avulsa da esse e neanche rispecchierebbe la lettera e lo spirito delle norme sulla confessione e sulla usucapione.
La sentenza di primo grado si fondava sui seguenti quattro elementi probatori: la dichiarazione sottoscritta nel 1992 da De.Ce., la prova testimoniale, la recinzione tra i due fondi ed i provvedimenti possessori intercorsi.
La Corte d’appello avrebbe ritenuto mancanti i presupposti per l’usucapione senza tenere conto dei suddetti elementi e in particolare con riferimento alla confessione senza tener conto della circostanza che De.Ce. aveva la disponibilità del diritto controverso al momento della pronuncia della sentenza di appello. I ricorrenti riportano anche il contenuto di alcune testimonianze non esaminate dalla Corte. In conclusione, deducono che La Corte d’appello non ha spiegato perché il giudice di primo grado avesse valutato male le prove.
2. Violazione e falsa applicazione delle norme sulla confessione stragiudiziale.
La Corte avrebbe erroneamente applicato le norme (artt. 2730 e 2731 c.c.) che regolano la confessione escludendo valore confessorio ad una dichiarazione stragiudiziale resa da una parte in giudizio sull’errato ed illegittimo presupposto che all’epoca della dichiarazione quella parte non aveva la disponibilità del diritto. pur essendo il dichiarante subentrato nel giudizio quale erede del genitore (titolare del diritto ali ‘epoca della dichiarazione), e rivestendo la qualifica di parte in questo processo a partire dal 2005.
3. violazione dell’articolo 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. e in genere delle regole sulle prove.
La sentenza avrebbe erroneamente ritenuto la sussistenza di atti di tolleranza e la mancanza di atti di interversione della detenzione in possesso senza tener conto delle testimonianze.
4. violazione degli artt. 1141 e 1144 c.c. violazione delle norme sulla detenzione e sul possesso.
La Corte d’Appello avrebbe affermato l’esistenza di una detenzione nei ricorrenti e non di un possesso senza che di ciò vi fosse in atti il presupposto costituito dal superamento della presunzione di cui al comma 1 dell’art. 1141 c.c. mai avvenuto. e nel fatto che la Corte ha parlato di atti di tolleranza senza che di ciò vi fosse alcuna prova.
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5. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380-bis dal Presidente di sezione e del seguente tenore:
– 1 motivo: mira a criticare il merito della pronuncia impugnata attraverso la denuncia di un preteso error in procedendo del tutto insussistente (la motivazione della sentenza esplicita le ragioni della decisione nel rispetto del c.d. “minimo costituzionale”), dovendosi ribadire che il vizio di omessa o apparente motivazione ricorre solamente allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., n. 9105 del 07/04/2017);
– 2 motivo: il giudice di merito ha negato efficacia probatoria di confessione alla dichiarazione resa nel 1992 da De.Ce. e Co.Vi., siccome proveniente da soggetti privi della capacita di disporre del diritto controverso (art. 2731 c.c.), ed ha ritenuto non provato, per altro verso, che costoro avessero agito in qualità di rappresentanti dell’allora titolare del diritto, De.Pi.; trattasi di profili che sono insindacabili da parte del giudice di legittimità, in presenza – come nel caso di specie – di motivazione non apparente né manifestamente illogica;
– 3 e 4 motivo: si risolvono in censure di merito relative all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite (il giudice di merito ha ritenuto non provato il possesso ad usucapionem, escludendo la sufficienza delle attività di piantagione di alberi da frutta e di fresatura del terreno a provare l’interversione del possesso successiva all’originaria detenzione del fondo, che il dante causa dei ricorrenti aveva ottenuto per mera tolleranza e con il consenso del fratello), profili del giudizio che non sono sindacabili in sede di legittimità (Cass., Sez. Un., n. 898 del 14/12/1999), risultando la motivazione della sentenza impugnata non apparente né manifestamente illogica (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053 del 07/04/2014), dovendosi peraltro ribadire che spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (Cass., Sez. Un., n. 5802 del 1998).
6. Il Collegio condivide il contenuto della proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ.
La dichiarazione confessoria per quel che e dato comprendere dalla scarna e del tutto insufficiente descrizione dei fatti di causa e stata resa da De.Ce. che non aveva, al momento, la disponibilità del diritto e neanche poteri di rappresentanza del padre Pietro, anche se nella dichiarazione si fa riferimento ad una delega che tuttavia non risulta in alcun modo provata. Rispetto a tale circostanza i ricorrenti dichiarano di aver proposto una citazione per revocazione ex art. 395 c.p.c. per errore di fatto avendo il dichiarante sostenuto di parlare anche a nome del padre.
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La Corte d’Appello ha escluso che vi fosse la prova che De.Ce. agisse per conto del padre Pietro al momento della dichiarazione e i ricorrenti non censurano la statuizione circa la mancanza di prova dell’esistenza di un potere di rappresentanza rispetto alla disponibilità del diritto controverso avente natura reale, deducendo l’esistenza di tale potere solo dalla stessa dichiarazione.
Deve osservarsi, inoltre, che nel caso di specie, la questione circa la possibilità di considerare come confessione stragiudiziale quella del terzo che poi diventa parte in causa rispetto alla situazione giuridica oggetto della confessione non rileva in quanto De.Ce. non e subentrato in via esclusiva nel diritto oggetto della confessione ma solo quale contitolare e quindi la sua dichiarazione non può avere effetto anche nei confronti dei suoi coeredi (per un caso solo in parte analogo vedi Sez. 2, Sentenza n. 2853 del 12/02/2016).
La suddetta dichiarazione, pertanto, ha solo una più limitata portata indiziaria ed e liberamente valutabile dal Giudice.
La Corte d’Appello ha reputato la suddetta dichiarazione insufficiente per affermare l’avvenuto acquisto del bene per usucapione a favore degli attori in quanto dall’istruttoria espletata non era emersa una situazione di possesso quanto piuttosto di detenzione per mera tolleranza altrui.
In conclusione, deve ribadirsi che la confessione stragiudiziale fatta da un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (Sez. L, Ord. n. 11898 del 2020).
Ciò precisato la parte ricorrente, con la memoria, non offre argomenti ulteriori rispetto a quelli contenuti nel ricorso limitandosi a ribadire che pende un ricorso per revocazione presso la Corte d’Appello di Catanzaro per errore sul fatto.
In conclusione, la Corte d’appello con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede ha ritenuto che non ricorressero atti di interversione della detenzione in possesso e che vi fosse una mera tolleranza da parte dei fratelli comproprietari.
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Quanto alla censura di motivazione apparente deve ribadirsi che la giurisprudenza di questa Corte vi ricomprende, oltre alla motivazione in tutto o in parte mancante, anche le ipotesi in cui la stessa non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum. Nella specie, invece, il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata risulta con chiarezza dalla motivazione (Sez. U, Ord. n. 2767 del 30/01/2023).
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, e denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830). Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Sez.U. ordinanza n. 2763/2023 cit.; Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
Quanto alla censura di violazione di legge (art.1141 e 1144 c.c.), invece, il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 1, Ord. n. 3340 del 2019)
4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato manifestamente infondato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
5. Poiché il ricorso e deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge -in favore della cassa delle ammende.
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Deve richiamarsi in proposito la recente pronuncia delle Sezioni Unite che ha affermato il seguente principio di diritto: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal D.Lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta,
contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché non attenersi ad una valutazione del proponente poi confermata nella decisione definitiva lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Sez. U – , Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023, Rv. 668909 – 01).
6. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara manifestamente infondato il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita, che liquida in euro 2.800,00 (duemilaottocento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì i ricorrenti in solido tra loro, ai sensi dell’art. 96 comma 3 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché, ai sensi dell’art. 96 comma 4, al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addi 16 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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