Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimoni nel caso in cui l’altro genitore rifiuti il consenso

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 febbraio 2023| n. 5634.

Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimoni nel caso in cui l’altro genitore rifiuti il consenso


In tema di riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, il ricorso all’autorità giudiziaria, nel caso in cui l’altro genitore (che abbia già effettuato il riconoscimento) rifiuti il consenso, richiede al giudice un bilanciamento tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l’interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, da compiersi operando un giudizio prognostico, che valuti non già il concreto esercizio della responsabilità genitoriale, per modulare il quale vi sono diversi strumenti di tutela, ma la sussistenza, nel caso specifico, di un grave pregiudizio per il minore che derivi dal puro e semplice acquisto dello status genitoriale e che si riveli superiore al disagio psichico conseguente alla mancanza o non conoscenza di uno dei genitori.

Ordinanza|23 febbraio 2023| n. 5634. Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimoni nel caso in cui l’altro genitore rifiuti il consenso

Data udienza 20 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Famiglia – Figli – Filiazione naturale – Riconoscimento – Genitore effettuante per primo il riconoscimento – Consenso – Difetto – Interesse del figlio – Rilevanza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso RG 29509 anno 2019 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
ricorrente
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) e dall’avvocato (OMISSIS), domiciliato presso l’avvocato (OMISSIS);
controricorrente
nonche’ contro
(OMISSIS), nella qualita’ di curatrice speciale di (OMISSIS);
intimata
averse la sentenza n. 476-2019 della Corte di appello di Catania Sez. depositata il giorno 1 marzo 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20 gennaio 2022 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Falabella.

Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimoni nel caso in cui l’altro genitore rifiuti il consenso

FATTI DI CAUSA

1. – Con ricorso ex articolo 250 c.c. (OMISSIS) ha domandato al Tribunale di Catania di essere autorizzato a riconoscere il figlio (OMISSIS), essendo incontestata la paternita’ biologica del minore e corrispondendo il riconoscimento all’interesse del minore stesso.
Al riconoscimento si e’ opposta la madre (OMISSIS) che ha contestato la sussistenza di un interesse del figlio al riconoscimento paterno lamentando gli episodi di aggressione posti in essere da (OMISSIS) durante la pregressa convivenza: episodi che avevano messo a rischio l’incolumita’ sua e del bambino nel corso della gravidanza.
Il Tribunale di Catania, espletata consulenza tecnica d’ufficio, ha accolto la domanda attrice, disponendo contestualmente sull’affidamento e il mantenimento del minore.
2. – La pronuncia di primo grado e’ stata impugnata e la Corte di appello di Catania ha respinto il gravame con sentenza del 1 marzo 2019, salvo che con riguardo alla regolamentazione degli incontri tra il padre e il figlio: detti incontri sono stati fatti oggetto di una nuova modulazione quanto alla loro scansione temporale.
3.- Ricorre per cassazione, con un solo motivo, (OMISSIS); resiste con controricorso (OMISSIS). La causa, avviata alla trattazione presso la sezione filtro, e’ pervenuta all’udienza odierna a seguito della pronuncia dell’ordinanza interlocutoria n. 25482/2022. Sono state depositate memorie.

Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimoni nel caso in cui l’altro genitore rifiuti il consenso

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – La ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 250, comma 4, c.p.c., nonche’ l’omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo della controversia. Ricordato che (OMISSIS) era stato rinviato a giudizio per maltrattamenti nei confronti di essa controricorrente, viene osservato come il c.t.u. abbia omesso di eseguire un approfondimento psicodiagnostico sulla struttura della personalita’ dell’ex convivente dell’istante onde verificare eventuali esiti di disturbo post-traumatico da stress: e cio’ avendo particolarmente riguardo al rischio, nei soggetti adottati, come (OMISSIS), di sviluppare disturbi mentali in eta’ adulta. Tale verifica – secondo la ricorrente – avrebbe consentito di supporre un futuro comportamento aggressivo che si sarebbe potuto direzionare verso il minore.
2. – Il motivo e’ nel complesso infondato.
In base alla giurisprudenza di questa Corte, in tema di riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, il ricorso all’autorita’ giudiziaria, nel caso in cui l’altro genitore (che abbia gia’ effettuato il riconoscimento) rifiuti il consenso, richiede al giudice un bilanciamento tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l’interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, da compiersi operando un giudizio prognostico, che valuti non gia’ il concreto esercizio della responsabilita’ genitoriale, per modulare il quale vi sono diversi strumenti di tutela, ma la sussistenza, nel caso specifico, di un grave pregiudizio per il minore che derivi dal puro e semplice acquisto dello status genitoriale e che si riveli superiore al disagio psichico conseguente alla mancanza o non conoscenza di uno dei genitori (Cass. 14 settembre 2021, n. 24718). In altri termini, il riconoscimento del figlio naturale, ai sensi dell’articolo 250, comma 4, c.c., costituisce un diritto soggettivo sacrificabile solo in presenza di un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, correlato alla pura e semplice attribuzione della genitorialita’ (Cass. 3 febbraio 2011, n. 2645; 16 novembre 2005, n. 23074).
Nel caso in esame, la Corte di merito, per quanto qui rileva, ha rilevato: che gli episodi di aggressione lamentati dall’odierna ricorrente erano oggetto di accertamento nel procedimento penale in corso; che essi, in ogni caso, erano da considerarsi occasionali e intercorsi nel momento della rottura dei rapporti tra le parti e, ove pure fossero risultati provati, non potevano “ritenersi di gravita’ tale da impedire il riconoscimento del minore da parte del padre naturale”; che la consulenza tecnica espletata aveva evidenziato che la persona di (OMISSIS) non evidenziava alcun elemento di rilevanza patologica e che tanto escludeva la necessita’ di ulteriori approfondimenti.
Cio’ detto, il motivo di ricorso appare preordinato a un non consentito riesame dell’accertamento di fatto demandato al giudice del merito.
Il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, ricorre (o non ricorre) a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (e, cioe’, del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, in ogni caso, prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed indicare, a pena d’inammissibilita’ ex articolo 366, n. 4 c.p.c., i motivi per i quali chiede la cassazione (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348). A quest’ultimo proposito – vale precisare – il ricorrente che denunci il vizio di cui all’articolo 360, n. 3), c.p.c. ha l’onere, a pena d’inammissibilita’ della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745). Ebbene, la ricorrente orienta la propria doglianza su supposti vizi dell’accertamento tecnico, senza misurarsi con le affermazioni in diritto della sentenza impugnata la quale ha correttamente osservato che “l’autorizzazione al riconoscimento puo’ essere negata soltanto in casi di pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore” (sentenza impugnata, pag. 6).
Appare sterile anche il richiamo (contenuto nel ricorso, a pag. 12) agli sviluppi del procedimento penale instaurato nei confronti di (OMISSIS), giacche’ detta evenienza non integra condizione ex se ostativa all’autorizzazione al riconoscimento (Cass. 3 febbraio 2011, n. 2645); in tal senso nemmeno rileva quanto dedotto e documentato in ordine alla pronuncia resa in esito al detto procedimento dal Tribunale di Busto Arsizio: e cio’ al di la’ delle eccezioni sollevate dal controricorrente quanto all’estensione del dibattito processuale a temi nuovi e quanto all’introduzione in giudizio di documenti che non vi dovrebbero avere accesso, a norma dell’articolo 378 c.p.c..
Quanto al vizio motivazionale, esso e’ palesemente insussistente, tenuto conto degli esiti dell’accertamento tecnico richiamati nel corpo del provvedimento impugnato: va anzi sottolineato come la sentenza impugnata abbia preso in considerazione il vissuto dell’odierno controricorrente sottolineando che lo stesso (OMISSIS) aveva proposto “un adeguato modello correttivo rispetto alla sua esperienza personale abbandonica legata alla sua adozione” (pag. 7 della sentenza). E’ qui appena il caso di ricordare che nella nuova formulazione dell’articolo 360, n. 5, risultante dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in l. n. 134-2012, e’ mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).
Nella propria memoria la ricorrente invoca il precedente di Cass. 30 giugno 2021, n. 18600, avendo riguardo alla necessita’, sottolineata in detta pronuncia, di procedere a un accertamento in concreto dell’interesse del minore. Tale accertamento nel presente giudizio non e’ mancato, come si e’ visto: e del resto, la cornice fattuale con cui si e’ misurata la sentenza sopra richiamata era ben diversa, venendo in questione “l’abituale condotta violenta e prevaricatrice del padre biologico nei confronti della madre e dei suoi familiari, frutto di un modello culturale di rapporti di genere, che doveva invece essere posta in evidenza nell’operazione di bilanciamento”: bilanciamento – quello tra l’esigenza di affermare la verita’ biologica e l’interesse alla stabilita’ dei rapporti familiari (sostanzialmente equivalente a quello tra il diritto soggettivo di colui che vuole riconoscere il figlio e l’interesse del minore a non subire una forte compromissione del proprio sviluppo psico-fisico, di cui si e’ in precedenza detto) – che la cit. Cass. 30 giugno 2021, n. 18600 postula – del tutto condivisibilmente – non poter essere declinato in astratto.
3. – Il ricorso e’ respinto.
Le spese di giudizio possono compensarsi tenuto conto della particolarita’ e delicatezza della vicenda dedotta in giudizio.
Poiche’ il procedimento e’ esente (Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 10, comma 3,), esso non e’ soggetto al contributo unificato, onde non opera la disposizione di cui all’articolo 13, comma 1 quater, del medesimo decreto circa il raddoppio del detto contributo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese; nel caso di diffusione del provvedimento dispone omettersi le generalita’ e gli altri dati identificativi della parti.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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