La richiesta di ricusazione

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 15 maggio 2019, n. 21146.

La massima estrapolata:

La valutazione espressa dal giudice in un provvedimento reso nell’ambito di un procedimento connesso o collegato a quello del quale è investito, concernente lo stesso imputato ma un reato storicamente diverso, laddove funzionale all’esercizio della funzione decisoria, non costituisce indebita manifestazione del proprio convincimento, suscettibile di fondare una richiesta di ricusazione ex art. 37, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.; né essa dà luogo ad una situazione di incompatibilità rilevante ex art. 37, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., non potendo configurarsi, in assenza dell’identità del fatto storico, alcuna compromissione del principio dell’imparzialità, inteso sia in chiave costituzionale che convenzionale.

Sentenza 15 maggio 2019, n. 21146

Data udienza 7 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. RICCARDI Giusep – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 19/06/2018 della Corte di Appello di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE RICCARDI;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Viola Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso l’ordinanza emessa il 19/06/2018 con cui la Corte di Appello di Trento ha rigettato la dichiarazione di ricusazione formulata nei confronti del Giudice del Tribunale di Trento Dott. (OMISSIS), designato per la celebrazione del processo n. 417/2018 R.G., originato dallo stralcio di un unico procedimento penale (n. 814/2015 RGNR) disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento, avente ad oggetto i reati di cui agli articoli 479 e 353 c.p..
Rappresenta che l’originario procedimento n. 814/2015 RGNR e’ stato stralciato, con formazione di due autonomi fascicoli: il primo procedimento, n. 5038/2015 RGNR, concernente 4 delitti di falso ex articolo 479 c.p., e’ stato definito con sentenza n. 485/2017 dal Giudice Dott. (OMISSIS); il secondo procedimento, n. 1786/2016 RGNR, concernente 2 delitti di falso ex articolo 479, riguarda appunto il processo nell’ambito del quale e’ stata proposta istanza di ricusazione del Dott. (OMISSIS). Entrambi i procedimenti riguardano fatti contestati al (OMISSIS) in qualita’ di Presidente dell’associazione ” (OMISSIS)”, per avere, in concorso con (OMISSIS), responsabile dell’ufficio legale, retrodatato atti per affidamenti di incarichi di consulenza legale in favore dell’Avv. (OMISSIS).
Tanto premesso, deduce tre motivi di ricorso.
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera b).
La Corte di Appello, nel rigettare la dichiarazione di ricusazione, non avrebbe tenuto in considerazione che i fatti contestati, seppur diversi, risultano connessi, oltre che posti in essere dai medesimi concorrenti e con le medesime modalita’ esecutive, rispetto a quelli su cui il Dott. (OMISSIS) si e’ gia’ espresso nel precedente procedimento penale, definito con sentenza di condanna. Lamenta, al riguardo, che il Giudice abbia manifestato indebitamente il proprio convincimento su aspetti oggetto del giudizio in corso, e concernenti, in particolare, il concorso di persona tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ed il contesto in cui sono stati commessi i fatti, connotato da un sistema diffuso di prassi operative di illegalita’.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera a).
Lamenta che il rigetto della ricusazione sia stato motivato sulla base della diversita’ dei fatti, senza considerare che la fattispecie incriminatrice e’ la medesima, ed i fatti materiali hanno in comune i coimputati, il fatto (la retrodatazione degli incarichi), il luogo, la persona offesa.
1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla compatibilita’ dell’articolo 34 c.p.p. rispetto all’articolo 6 CEDU.
Lamenta che la Corte territoriale si sia pronunciata soltanto sulla questione di costituzionalita’ sollecitata, omettendo tuttavia di pronunciarsi in merito ad una violazione dell’articolo 6 CEDU, sotto il profilo del rispetto del giusto processo e del principio di imparzialita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Il primo motivo, concernente l’indebita manifestazione del convincimento, e’ infondato, in quanto, in tema di ricusazione, il carattere indebito della manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell’imputazione, di cui all’articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera b), richiede che l’esternazione venga espressa senza alcuna necessita’ funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale e va escluso nel caso di esternazione incidentale ed occasionale fatta in diverso procedimento, su particolari aspetti della vicenda sottoposta al giudizio (Sez. 5, n. 3033 del 30/11/2017, dep. 2018, Romeo Gestioni S.p.a., Rv. 272274, in una fattispecie in cui e’ stata ritenuta legittima l’esclusione della causa di ricusazione eccepita nel caso in cui lo stesso giudice per le indagini preliminari, chiamato a decidere della misura interdittiva nei confronti dell’ente, nell’ambito del medesimo procedimento, aveva espresso considerazioni sul contesto organizzativo e decisionale della societa’ in un precedente provvedimento cautelare nei confronti dell’indagato, persona fisica e socio dell’ente); e’ indebita la manifestazione del convincimento del giudice sui fatti oggetto dell’imputazione solo quando l’esternazione viene espressa senza alcuna necessita’ funzionale e al di fuori di ogni collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale (Sez. 6, n. 43965 del 30/09/2015, Pasi, Rv. 264985; Sez. U, n. 41263 del 27/09/2005, Falzone, Rv. 232067).
Nel caso in esame, le argomentazioni svolte dal giudice ricusato nella sentenza emessa nel procedimento gia’ definito (almeno in 1 grado) risultano funzionali alla ricostruzione del contesto, anche organizzativo, nel quale le condotte di falso in atto pubblico risultano essere state commesse, e sono evidentemente collegate all’esercizio della funzione giudicante svolta nel giudizio definito con sentenza, ed avente ad oggetto fatti diversi, nella loro materialita’, rispetto a quelli oggetto del giudizio in corso.
3. Il secondo motivo, con cui si contesta la violazione dell’articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera a), e’ infondato.
E’ consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui le norme che prevedono le cause di ricusazione sono norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia perche’ determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale e alla capacita’ del giudice sia perche’ consentono un’ingerenza delle parti nella materia dell’ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e giudice; sicche’ la mera connessione probatoria tra due procedimenti che non comporti una valutazione di merito svolta da uno stesso giudice sul medesimo fatto e nei confronti di identico soggetto non determina la sussistenza di una ipotesi di ricusazione, non potendosi ritenere “pregiudicante” l’attivita’ dei giudici ricusati che abbiano partecipato al collegio che ha valutato, in altro e diverso procedimento a carico dello stesso imputato, le stesse fonti di prova in relazione ad un diverso reato o comunque a diversi fatti (Sez. 6, n. 14 del 18/09/2013, dep. 2014, Mancuso, Rv. 258449; Sez. 5, n. 11980 del 07/12/2017, dep. 2018, Di Marco, Rv. 272845).
Nel caso in esame, pur essendo i fatti accertati nel giudizio gia’ definito analoghi a quelli oggetto del giudizio in corso, essendo comuni i coimputati, le modalita’ della condotta, la persona offesa, le fonti di prova, nondimeno la diversita’ dei fatti esclude la sussistenza di una ipotesi di incompatibilita’ idonea a fondare la ricusazione ai sensi dell’articolo 37 c.p.p., lettera a).
Invero, non da’ luogo ad una ipotesi di ricusazione, ai sensi dell’articolo 37 c.p.p.come risultante a seguito della parziale dichiarazione di illegittimita’ di cui alla sentenza n. 283 del 2000 della Corte costituzionale, la circostanza che il magistrato abbia gia’ preso parte a un giudizio a carico dell’imputato per fatti diversi sebbene caratterizzati dalla pretesa identita’ delle fonti probatorie valutate e da valutare, atteso che una stessa fonte probatoria, considerata importante ed attendibile in un processo, potrebbe non esserlo altrettanto in un altro (Sez. 5, n. 15201 del 10/02/2016, Acri, Rv. 266866; Sez. 3, n. 11546 del 19/02/2013, Frezza, Rv. 254760).
4. Il terzo motivo, con il quale si dubita della compatibilita’ âEuroËœconvenzionale’ delle norme in tema di incompatibilita’ e di ricusazione con l’articolo 6 CEDU, e’ del tutto generico, limitandosi a richiamare la motivazione di una ordinanza di un giudice di merito (Gup del Tribunale di Napoli), senza, peraltro, possibilita’ di consultazione del provvedimento e della fattispecie concreta venuta in rilievo.
In ogni caso, va osservato al riguardo che la questione della legittimita’ costituzionale, scrutinabile sotto il profilo della violazione del parametro interposto di cui all’articolo 117 Cost. in relazione all’articolo 6 CEDU, non puo’ prescindere da un sia pur breve inquadramento sistematico della normativa che viene in rilievo.
L’oggetto devoluto alla Corte, infatti, concerne la sussistenza di una causa di incompatibilita’ – che, a sua volta, legittimi una istanza di ricusazione – del giudice che, decidendo in merito ad una imputazione concernente fatti analoghi, ma diversi, contestati ad uno o piu’ coimputati, proceda ad una valutazione del merito della regiudicanda tale da compromettere l’imparzialita’ e la terzieta’ nel successivo e diverso giudizio ordinario nei confronti dei medesimi coimputati.
4.1. La legge costituzionale n. 2 del 1999 ha, come noto, esplicitamente inserito il richiamo, nell’articolo 111 Cost., comma 2, alla “terzieta’” ed alla “imparzialita’”, quali presupposti di garanzia di un “giusto processo”.
La distinzione terminologica, che pure, secondo una interpretazione diffusa, e’ considerata una mera endiadi, sembra richiamare la differenza, sviluppata soprattutto nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, tra imparzialita’ “soggettiva” (l’imparzialita’ in senso stretto) e imparzialita’ “oggettiva” (la terzieta’) (in tal senso, gia’ Corte EDU, 01/10/1982, Piersack c. Belgio; Corte EDU, 10/06/1996, Pu/lar c. Regno Unito); laddove la prima indica l’esigenza di evitare condizionamenti sul giudizio in ragione dei convincimenti personali espressi dal giudice, mentre la seconda e’ posta a tutela delle situazioni che “oggettivamente” possano compromettere l’imparzialita’ del giudice, magari per la sovrapposizione di ruoli e/o funzioni nel medesimo procedimento.
Ebbene, oltre ai presidi normativi istituzionali, il sistema codicistico appresta una serie di regole dirette a salvaguardare l’imparzialita’ e la terzieta’ del giudice, tra le quali le incompatibilita’.
Al riguardo, come e’ stato ripetutamente evidenziato anche nella giurisprudenza costituzionale, l’articolo 34 c.p.p., comma 1, delinea i limiti di operativita’ della incompatibilita’ c.d. “verticale”, in senso “ascendente” ed in senso “discendente” (nelle ipotesi di annullamenti con rinvio); tale previsione, dunque, concerne le situazioni di incompatibilita’ che emergono in “gradi” diversi del procedimento (in tal senso, di recente, Corte Cost., sent. 09/07/2013, n. 183, che ha esteso la portata delle incompatibilita’ “verticali”, previste espressamente soltanto per la sentenza, all’ipotesi in cui il giudice del rinvio, in seguito ad annullamento, abbia pronunciato ordinanza di accoglimento o rigetto della continuazione in executivis).
L’articolo 34 c.p.p., comma 2, al contrario, disciplina le situazioni di incompatibilita’ c.d. “orizzontale”, che possono verificarsi nell’ambito del medesimo “grado” del procedimento.
4.2. Nel rilevare che l’ipotesi sottoposta all’esame di questa Corte concerne una situazione asseritamente pregiudicante verificatasi nel medesimo “grado”, e, soprattutto, nella medesima “fase” (dibattimentale), occorre dunque verificare se possa ricorrere una situazione di incompatibilita’, evidenziando, tuttavia, che il medesimo “grado” e la medesima “fase” riguardano un procedimento diverso da quello asseritamente pregiudicante.
Premesso che la questione di costituzionalita’ sollecitata dal ricorrente dovrebbe concernere l’articolo 34 c.p.p., la giurisprudenza della Corte Costituzionale deve ritenersi stabilizzata sui seguenti principi: 1) le norme in materia di incompatibilita’ sono funzionali ad “evitare che la decisione sul merito possa essere o apparire condizionata dalla “forza della prevenzione” ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione gia’ presa o a mantenere un atteggiamento gia’ assunto – scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda” (nel solco di un indirizzo consolidato, Corte Cost., sent. 09/07/2013, n. 183, § 4); 2) la “situazione” pregiudicante non e’ determinata dalla mera “conoscenza” degli atti, ma dalla “valutazione” di contenuto su aspetti che riguardano il merito dell’ipotesi di accusa; 3) non sono “pregiudicanti” le determinazioni assunte in ordine allo svolgimento del processo, sia pure in seguito a una valutazione delle risultanze processuali; 4) le “valutazioni di merito” pregiudicanti devono appartenere “a fasi diverse del processo”.
E’ stato, altresi’, evidenziato che “fuori dalla specifica ipotesi introdotta dalla sentenza di questa Corte n. 371 del 1996 (…), l’articolo 34 c.p.p., comma 2, come in genere l’istituto dell’incompatibilita’, si riferisce a situazioni di pregiudizio per l’imparzialita’ del giudice che si verificano all’interno del medesimo procedimento (sentenze n. 283 e n. 113 del 2000 e ordinanza n. 490 del 2002) e concernono percio’ la medesima regiudicanda (sentenza n. 186 del 1992)”, e non ricorrono nei casi di concorso di persone nel reato, in quanto “”alla comunanza dell’imputazione fa riscontro una pluralita’ di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, tali da formare oggetto di autonome valutazioni, scindibili l’una dall’altra, salve le ipotesi estreme, prese in esame dalle sentenze n. 371 del 1996 e n. 241 del 1999 e precisate da successive decisioni (v., in particolare, la sentenza n. 113 del 2000), che giustificano l’operativita’ dell’istituto dell’incompatibilita’ anche quando le funzioni pregiudicante e pregiudicata si collocano in procedimenti diversi”” (Corte Cost., sent. 14 maggio 2013, n. 86).
In tali casi, di procedimenti diversi, laddove possa ricorrere un eventuale pregiudizio all’imparzialita’ del giudice, da accertarsi in concreto, non viene in rilievo l’istituto dell’incompatibilita’, bensi’ le norme in materia di astensione “per gravi ragioni di convenienza” (articolo 36 c.p.p., comma 1, lettera h), e di ricusazione (articolo 37 c.p.p.) (in tal senso, di recente, Corte Cost., sent. 14 maggio 2013, n. 86: “pur non potendo escludersi che, per il peculiare atteggiarsi delle singole fattispecie, l’attivita’ che il giudice abbia compiuto in un precedente procedimento possa determinare un pregiudizio alla sua imparzialita’ nel successivo procedimento a carico di altro o di altri concorrenti, in simili casi – al di la’ delle ipotesi particolari che hanno dato luogo alle sentenze n. 371 del 1996 e n. 241 del 1999 – soccorre sia l’articolo 36 c.p.p., comma 1, lettera h), nell’interpretazione non restrittiva alla quale vincola il principio del giusto processo (sentenza n. 113 del 2000), sia l’articolo 37 c.p.p., come risultante dalla sentenza n. 283 del 2000 di questa Corte, attribuendosi in tal modo ai piu’ duttili strumenti dell’astensione e della ricusazione il compito di realizzare il principio del giusto processo attraverso valutazioni caso per caso e senza oneri preventivi di organizzazione delle attivita’ processuali” (ordinanza n. 441 del 2001, in una fattispecie analoga a quella del giudizio a quo), sicche’, in ogni ipotesi, “lo strumento di tutela contro l’eventuale pregiudizio all’imparzialita’ del giudice – pregiudizio da accertarsi in concreto -, derivante da una sua precedente attivita’ compiuta in un separato procedimento nei confronti di coimputati del medesimo fatto-reato, non puo’ essere ravvisato in ulteriori pronunce sull’articolo 34 c.p.p., comma 2, ma deve essere ricercato nell’ambito degli istituti dell’astensione e della ricusazione” (ordinanza n. 441 del 2001)”.
Giova altresi’ evidenziare che il richiamo, sia pur indiretto, alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, operato dal ricorrente all’estratto di un non meglio identificato provvedimento di merito, e’, all’evidenza, riferito alle ipotesi di situazioni pregiudicanti nell’ambito dello stesso procedimento, e non gia’, come nel caso in esame, nell’ambito di procedimenti diversi.
4.3. Tanto premesso, venendo in rilievo, nel caso di specie, una situazione asseritamente pregiudicante in procedimenti diversi, va evidenziato che non ricorre ne’ l’ipotesi di una sentenza pronunciata nei confronti di altri soggetti, in cui, pero’, la posizione dell’imputato in ordine alla sua responsabilita’ penale sia stata gia’ comunque valutata (Corte Cost., n. 371/1996), ne’ l’ipotesi di una sentenza pronunciata nei confronti dello stesso imputato per il medesimo fatto (Corte Cost., n. 241/1999).
In entrambe le situazioni in cui la Corte Costituzionale ha esteso l’ambito di operativita’ dell’istituto dell’incompatibilita’, mediante sentenze additive di accoglimento, il presupposto della situazione pregiudicante era comunque la identita’ del fatto storico oggetto di pronuncia giurisdizionale; in un caso, il giudizio sul medesimo fatto storico riguardava altri soggetti, ma la posizione dell’imputato veniva comunque valutata (Corte Cost., n. 371/1996); nell’altro, il giudizio sul medesimo fatto storico riguardava lo stesso imputato, in un caso di concorso formale di reati (Corte Cost., n. 241/1999).
Nel caso in esame, i procedimenti sono diversi, e non ricorre alcuna ipotesi di incompatibilita’ in quanto i fatti storici oggetto di accertamento restano diversi.
Non sussiste, dunque, alcuna compromissione dell’imparzialita’ del giudice, in assenza di una valutazione sul merito dell’ipotesi di accusa con specifico riferimento all’identico fatto-reato contestato nel processo in corso.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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