Revoca indulto e interpretazione data commissi delicti se la sentenza di condanna non la esplicita

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 3 settembre 2018, n. 39443.

 

La massima estrapolata:

Revoca indulto e interpretazione data commissi delicti se la sentenza di condanna non la esplicita, il giudice può interpretare la pronuncia per verificarla

Sentenza 3 settembre 2018, n. 39443

Data udienza 2 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Eduardo – rel. Consigliere

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/10/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE GREGORIO EDUARDO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LOY MARIA FRANCESCA;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
Udito il difensore.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha confermato la pronunzia di condanna in primo grado alla pena di giustizia nei confronti dell’imputato, per il delitto di cui articolo 612 bis c.p.; epoca dei fatti da (OMISSIS).
1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato che, col primo motivo ha lamentato la violazione degli articoli 358 e 507 c.p.p., nonche’ dell’articolo 111 Cost.. La difesa, infatti, fin dalla fase delle indagini, aveva chiesto l’acquisizione di tabulati telefonici, allo scopo di contestualizzare gli sms che il ricorrente aveva inviato alla persona offesa ma la richiesta non aveva trovato risposta;e’ stata lamentata la violazione del principio di completezza delle indagini, aggiungendo il ricorrente che la mancata acquisizione dei tabulati avrebbe impedito l’accertamento completo dei fatti. Allo scopo era stato sollecitato il Giudice di primo grado, che non aveva attivato i suoi poteri officiosi ex articolo 507 c.p.p..
2. Nel secondo motivo ci si e’ doluti della violazione della norma incriminate ex articolo 612 bis c.p., anche in relazione all’articolo 2 c.p.. La Corte aveva affermato che molti dei messaggi recapitati dall’imputato alla persona offesa erano solo molesti; per altro verso non era stata data dimostrazione del ritenuto grave stato d’ansia.
2.1 La pena irrogata dovrebbe essere rideterminata in quanto era chiaro che la Corte territoriale aveva fatto riferimento alla pena edittale piu’ severa prevista nell’attuale formulazione dell’articolo 612 bis c.p. ma i fatti oggetto del processo erano precedenti all’inasprimento di pena, introdotto con legge del 2013.
3. Tramite il terzo motivo e’ stata dedotta l’illogicita’ manifesta della motivazione che avrebbe giudicato credibile la persona offesa che non si era costituta parte civile; sul punto non si era considerato che la persona offesa non era stata ammessa alla costituzione di parte civile e, quindi, era interessata all’esito del processo.
In data odierna il difensore di fiducia, avvocato (OMISSIS), ha fatto pervenire comunicazione di astensione dall’udienza per adesione all’astensione indetta per la data di oggi dall’Unione Camere Penali.
All’odierna udienza il PG, Dr.ssa Loy, ha concluso per l’inammissibilita’.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve, in via preliminare, osservarsi che l’istanza di adesione del difensore all’astensione indetta dall’unione Camere penali non e’ accoglibile, in quanto il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati prevede che non possa aderirsi all’astensione se il reato si prescrive nei 90 giorni successivi alla data di astensione, come avviene nel caso in esame in cui la prescrizione e’ imminente, essendo stata calcolata al 6 Maggio 2018. In proposito va ricordato che Sez. U, Sentenza n. 40187 del 27/03/2014 Ud. (dep. 29/09/2014) Rv. 259926 ha dichiarato che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, dichiarato idoneo dalla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con deliberazione del 13 dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2008, costituisce fonte di diritto oggettivo contenente norme aventi forza e valore di normativa secondaria o regolamentare, vincolanti “erga omnes”, ed alle quali anche il giudice e’ soggetto in forza dell’articolo 101 Cost., comma 2.
Il ricorso e’ inammissibile.
1. Quanto al primo motivo di ricorso deve constatarsene la genericita’, poiche’ il ricorrente neppure ha dedotto specificamente le ragioni per le quali l’acquisizione dei tabulati sarebbe stata decisiva. Sul punto non puo’ non osservarsi che il ricorso oggi in trattazione ha fatto riferimento all’acquisizione di tabulati dell’utenza in uso al ricorrente, negata dal suo gestore a causa del tempo trascorso, mentre dalla sentenza d’appello e’ chiaramente evincibile che la richiesta di acquisizione sarebbe stata finalizzata a dimostrare l’invio di sms da parte dell’imputata e, quindi, la continuita’ dei rapporti tra le parti.
1.1 Su questo tema il primo Giudice aveva osservato che la persona offesa aveva ammesso di aver chiamato il giudicabile un paio di volte ma allo scopo di dirgli di recedere dall’importunarla; inoltre aveva considerato anche i due sms, il cui invio da parte della giovane era stato plausibilmente interpretato come finalizzato allo stesso scopo. La continuita’ dei rapporti tra le parti, quindi, in alcun modo e’ rilevante nella fattispecie, essendo stata data per acquisita la persistenza di comunicazioni tra gli interessati, nonostante l’accertato verificarsi delle condotte persecutorie da parte dell’imputato.
1.2 In proposito puo’ aggiungersi che piu’ volte questa Corte ha affermato il principio che il dialogo tra vittima e persecutore all’interno di un periodo di complessiva di attivita’ di stalking, realizzata dal primo e subita dalla seconda, non incide negativamente sull’attendibilita’ della persona offesa, ne’ sulla configurabilita’ del reato, in presenza degli altri presupposti richiesti dalla norma incriminante. Sez. 5, Sentenza n. 5313 del 16/09/2014 Ud. (dep. 04/02/2015) Rv. 262665.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato e, per altro aspetto, non si e’ confrontato con la motivazione. Invero, la qualificazione delle telefonate fatte dall’imputato alla persona offesa come moleste e’ perfettamente coerente con la ritenuta integrazione del reato, atteso che la norma incriminante descrive l’attivita’ persecutoria come quella di chi, con condotte reiterate minaccia o molesta taluno; d’altra parte la critica circa la mancata dimostrazione dello stato d’ansia ha ignorato che i Giudici del merito avevano scritto di come la stessa persona offesa avesse descritto tale condizione che, del resto, era chiaramente desumibile dai cambiamenti di vita che era stata costretta a fare, come la riduzione della frequentazione del posto di lavoro, la diminuzione delle uscite e la decisione di andare ad abitare al piano superiore rispetto al locale ove si esibiva.
2.1 Manifestamente infondato e’ l’aspetto inerente la pena inflitta, poiche’ se e’ vero che la Corte territoriale ha impropriamente fatto riferimento alla cornice edittale introdotta, con l’aumento del massimo a cinque anni, solo con L. n. 78 del 2013, successiva ai fatti oggetto del processo, risulta pacifico che il periodo di reclusione inflitto, pari ad otto mesi, e’ all’interno del precedente quadro sanzionatorio, applicabile ratione temporis al caso in esame, essendo rimasto inalterato il minimo della pena edittale, indicato in sei mesi di reclusione sia dalla previgente che dalla nuova normativa.
3. Il terzo motivo di ricorso ha proposto un argomento che non trova riscontro nella situazione processuale, poiche’ da nessun degli atti di cui di cui questa Corte puo’ avere cognizione, a causa della natura processuale dell’eccezione, risulta che la persona offesa avesse provato a costituirsi parte civile non essendo ammessa dal Giudice, ma emerge semplicemente che non si e’ costituita parte civile.
Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Deve disporsi l’oscuramento delle generalita’ degli interessati, come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Dispone l’oscuramento delle generalita’ degli interessati, come per legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
Motivazione semplificata.

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