Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|3 agosto 2021| n. 30229.

Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio.

In tema di responsabilità professionale del medico, il tema probatorio che il giudice deve affrontare è quello di stabilire in che modo il coefficiente salvifico di “probabilità statistica” – idoneo a ricondurre causalmente l’evento al comportamento omissivo del medico, ma di per sé solo non sufficiente per fondare il rapporto di causalità tra omissione ed evento – possa essere “modificato” dagli ulteriori dati indiziari processualmente emersi, mediante l’analisi delle particolarità del caso concreto, in maniera tale da sorreggere quel giudizio di “alta probabilità logica” idoneo a fondare la ragionevole certezza della configurabilità del nesso causale, e quindi la responsabilità penale del medico che abbia adottato un comportamento colposo. Al riguardo, il giudizio non può essere basato sulla mera “sommatoria” dei dati indiziari emersi rispetto al “nudo” dato statistico indicativo delle (generali e teoriche) probabilità di salvezza del paziente. I dati indiziari, piuttosto, dovranno essere attentamente scrutinati, singolarmente e nel loro complesso, dall’organo giudicante, e quindi analizzati – anche avvalendosi del parere degli esperti – al fine di offrire una ragionevole e convincente spiegazione in ordine alla concreta “attitudine” degli stessi ad incidere in maniera significativa sul coefficiente probabilistico di natura scientifico/statistica, incrementandolo in maniera tale da rendere (eventualmente) “elevato” il giudizio di “credibilità razionale” dell’ipotesi per cui, se il medico avesse adottato l’intervento omesso, il paziente si sarebbe salvato. Si tratta di un giudizio complesso che deve essere compiutamente argomentato e che, nella maggior parte dei casi, non può prescindere dal dato scientifico fornito dal contributo degli esperti.

Sentenza|3 agosto 2021| n. 30229. Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio

Data udienza 11 maggio 2021

Integrale

Tag – parola: Responsabilità medica – Colpa del sanitario – Peritonite in atto da 40 giorni – Prognosi favorevole – Assenza di altre patologie e la fibra forte – Insufficienza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – rel. Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/09/2019 della CORTE APPELLO di CAGLIARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TASSONE Kate, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ e la conferma della sentenza della Corte di Appello di Cagliari;
udito il difensore:
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di CAGLIARI in difesa di:
(OMISSIS) il difensore presente si riporta ai motivi e chiede l’annullamento della sentenza impugnata.

 

Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16.9.2019, la Corte di appello di Cagliari ha confermato la condanna del medico (OMISSIS) in ordine al delitto di omicidio colposo del paziente (OMISSIS).
Si contesta alla (OMISSIS), quale medico della Casa di cura (OMISSIS), di aver cagionato, in cooperazione colposa con altri medici giudicati separatamente, la morte del (OMISSIS) – gia’ sottoposto ad intervento di video-laparocolecistectomia nella stessa struttura – per non avere seguito adeguatamente il suo decorso post-operatorio, nonostante presentasse, dopo l’intervento, una sintomatologia dolorosa anomala e preoccupante che avrebbe dovuto indurre l’imputata – anche attraverso esami strumentali – a diagnosticare la peritonite da cui era affetto il paziente, determinata da complicanza iatrogena a seguito del precedente intervento, causativa di un’evoluzione di shock settico irreversibile che conduceva alla morte del (OMISSIS) in data (OMISSIS).
Premesso che l’intervento chirurgico venne effettuato la mattina del (OMISSIS) da una equipe medica composta dal Dott. (OMISSIS) (primario), dalla Dott.ssa (OMISSIS) e dalla Dott.ssa (OMISSIS), la Corte di appello cagliaritana ha osservato quanto segue: l’intempestiva diagnosi della perforazione colica da parte dei diversi medici di guardia della clinica ha colpevolmente causato la morte del (OMISSIS); la peritonite insorse alle ore 1.30 del (OMISSIS) ed e’ da questo momento che si deve stabilire la tardivita’ o meno degli interventi dei singoli sanitari; quando la (OMISSIS) visito’ il paziente, alle ore 19 del (OMISSIS), la situazione del paziente era gia’ grave e la dottoressa si sarebbe dovuta accorgere della peritonite in atto; sotto il profilo causale, premesso che la morte e’ da attribuirsi alla peritonite e alla sua mancata (tempestiva) diagnosi, dall’esame delle consulenze tecniche e della perizia emerge che le percentuali salvifiche di un intervento riparatore sono elevate se questo avviene entro le prime 24 ore (ma secondo lo studio di Hecker entro le 12 ore) e si riducono sensibilmente (2% ogni ora successiva) trascorso tale periodo; considerato, quindi, che la visita dell’imputata avvenne quando erano gia’ trascorse oltre 40 ore, nonostante la difficolta’ di individuare quali fossero nella specie le probabilita’ di intervento salvifico, il perito ha valutato nel 50% le probabilita’ che il paziente avrebbe avuto di salvarsi se l’imputata avesse formulato la diagnosi corretta ed attivato tempestivamente la procedura di emergenza per risolvere la situazione; stante l’assoluta insufficienza del solo dato statistico per affermare la sussistenza del nesso causale, la Corte di merito ha ritenuto che l’omissione della (OMISSIS) rientri certamente nel 50% di probabilita’ salvifiche in ragione di ulteriori elementi disponibili: l’eta’ della persona offesa (43 anni), l’assenza di pregresse patologie, la durata della sopravvivenza del (OMISSIS) (tre giorni) dopo la visita della (OMISSIS), affermando quindi che se la diagnosi fosse stata tempestiva il paziente, con elevato grado di credibilita’ razionale, si sarebbe
salvato.

 

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2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la (OMISSIS), a mezzo dei propri difensori, lamentando quanto segue.
I) Violazione di legge e vizio di motivazione, per errata lettura della legge scientifica di copertura e scorretta applicazione dei criteri inerenti all’accertamento del rapporto di causalita’.
Denuncia che la sentenza impugnata ha fatto malgoverno dei principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di rapporto di causalita’. E’ noto che la legge scientifica di copertura esprime un dato percentualistico (probabilita’ statistica) che necessita di una conferma rinvenibile nei dati indiziari del caso concreto (probabilita’ logica). La Corte territoriale non ha considerato che il perito, indicando nel 50% le possibilita’ di sopravvivenza della persona offesa, si riferisce specificatamente alle condizioni di quel paziente, precisando che il medesimo “aveva 43 anni, era in buona salute e non presentava comorbidita’ degne di nota”. In tal modo, il perito applica la regola scientifica alla vicenda che ci occupa, quantificando la percentuale salvifica del 50% con riferimento al caso concreto, quindi tenendo conto anche degli altri elementi processuali valorizzati dai giudici di merito. In altri termini, la percentuale del 50% non e’ la probabilita’ statistica ma quella logica applicabile al caso concreto. La Corte territoriale, invece, ha indebitamento considerato due volte i fattori eta’, pregresse patologie e sopravvivenza. In realta’, al momento della visita dell’imputata, il rischio di morte per la persona offesa si sarebbe attestato quantomeno in una percentuale oscillante tra il 61% ed il 73%, essendo gia’ trascorse 41 ore e mezzo dall’esordio stimato della peritonite. Ne discende che il grado di probabilita’ logica di salvezza del (OMISSIS) non puo’ considerarsi elevato, attestandosi appunto intorno al 50%.
Inoltre, erroneamente la Corte di merito ha valorizzato il periodo di tempo in cui la persona offesa e’ sopravvissuta dopo la visita della ricorrente, incorrendo in un vizio che lambisce il travisamento della prova. Infatti, i dati scientifici si riferiscono esclusivamente alle possibilita’ di sopravvivenza del soggetto affetto da peritonite, possibilita’ che gradatamente diminuiscono col trascorrere del tempo, ma non dicono in quale momento il decesso si verifichera’. La Corte ragione con la logica del conto alla rovescia, indicando addirittura il momento in cui, secondo gli studi menzionati, la persona offesa sarebbe dovuta morire, ma cosi’ non e’: in quel momento, secondo gli studi scientifici, si elidono le possibilita’ di salvezza del malato, ma cio’ non vuol anche dire che in quel momento interverra’ la morte.
II) Violazione di legge e vizio di motivazione, per errata esegesi dei parametri (asseritamente) corroboranti la legge scientifica di copertura.
Deduce che gli elementi ulteriormente considerati per fondare il nesso causale sono comunque stati erroneamente interpretati dai giudici di appello. I parametri della giovane eta’ e dell’assenza di pregresse patologie sono stati cristallizzati al momento del ricovero del paziente, mentre l’operato dell’imputata deve essere valutato alle ore 19.00 del giorno (OMISSIS), quando la persona offesa era gia’ gravemente defedata a causa del progredire della peritonite. In quel momento il paziente era affetto da una gravissima patologia (la peritonite stercoracea) in forma talmente intensa da minarne grandemente le possibilita’ di sopravvivenza. La Corte di appello omette completamente di considerare la contemporanea gravita’ della peritonite e il corso ingravescente di simile patologia al momento dell’azione della ricorrente, tale da sminuire inevitabilmente i fattori positivi che invece cosi’ argomentando amplifica.

 

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III) Violazione di legge in ordine alla valutazione della colpa grave.
Deduce che all’epoca dei fatti era in vigore la legge c.d. Balduzzi e la sentenza impugnata non ha considerato elementi decisivi che avrebbero dovuto indirizzarla nel senso di escludere la colpa grave della professionista. In particolare, il perito ha osservato: tutti i sanitari si stavano concentrando esclusivamente su patologie toraciche; il quadro clinico era fortemente snaturato dalla precedente somministrazione di vari tipi di medicinali; le condizioni organizzative della Casa di cura rendevano problematico procedere ad accertamenti in regime di urgenza. Si deve, quindi, ritenere che l’agire della prevenuta sia stato connotato da colpa per imperizia lieve, essendo la stessa stata fuorviata dalle osservazioni fatte dai colleghi nella cartella clinica e dalle cure in precedenza apprestate dagli stessi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le censure avanzate dalla ricorrente, nella parte in cui evidenziano vizi logico-giuridici della sentenza impugnata in tema di accertamento del nesso di causalita’, colgono nel segno ed impongono le considerazioni che seguono.
2. Occorre premettere qualche cenno sul tema in questione.
E’ ormai acquisito nella giurisprudenza assolutamente dominante il concetto secondo cui e’ “causa” di un evento quell’antecedente senza il quale l’evento stesso non si sarebbe verificato: un comportamento umano e’ dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo e’ se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa).
Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale (“contro i fatti”), che e’ l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione cosi’ mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell’imputato non costituisce causa dell’evento. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalita’ accolta dal nostro codice e cioe’ della teoria condizionalistica. Esso impone di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, per cui richiede preliminarmente l’accertamento di cio’ che e’ effettivamente accaduto e cioe’ la formulazione del c.d. giudizio esplicativo (Sez. 4, n. 23339 del 31/01/2013, Giusti, Rv. 25694101). Per effettuare il giudizio controfattuale e’, quindi, necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall’agente, l’evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o posticipato (Sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012, Albiero, Rv. 25500801). In tema di responsabilita’ medica, e’ dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo e’ possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o differito (Sez. 4, n. 43459 del 04/10/2012, Albiero, Rv. 25500801).

 

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L’importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica e’ stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si e’ affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non si puo’ prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla “causa” dell’evento stesso, giacche’ solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia e’ possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto (Sez. 4, n. 25233 del 25/05/2005, Lucarelli, Rv. 23201301).
Le Sezioni unite, con impostazione sostanzialmente confermata dalla giurisprudenza successiva, hanno enucleato, per quanto attiene alla responsabilita’ professionale del medico, relativamente al profilo eziologico, i seguenti principi di diritto: il nesso causale puo’ essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica – si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva. Non e’ pero’ consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilita’ espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiche’ il giudice deve verificarne la validita’ nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicche’, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresi’ escluso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico e’ stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilita’ razionale”. L’insufficienza, la contraddittorieta’ e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese). Ne deriva che, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attivita’ (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilita’ razionale (Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014, Jann, Rv. 26223901). Sussiste, pertanto, il nesso di causalita’ tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorche’ risulti accertato, secondo il principio di controfattualita’, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalita’ migliorative, anche sotto il profilo dell’intensita’ della sintomatologia dolorosa (Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013, Meloni, Rv. 25633801).

 

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Si tratta di insegnamento ribadito dalle Sezioni Unite, che si sono nuovamente soffermate sulle questioni riguardanti l’accertamento della causalita’ omissiva e sui limiti che incontra il sindacato di legittimita’, nel censire la valutazione argomentativa espressa in sede di merito (Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, Rv. 26110601). Nella sentenza ora richiamata, le Sezioni Unite hanno sviluppato il modello epistemologico gia’ indicato nella citata pronunzia del 2002 che delinea un modello dell’indagine causale capace di integrare l’ipotesi esplicativa delle serie causali degli accadimenti e la concreta caratterizzazione del fatto storico – ribadendo che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarita’ del caso concreto. In particolare, si e’ sottolineato che, nella verifica dell’imputazione causale dell’evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su cio’ che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.
3. Tanto premesso, rimane il problema di stabilire in che modo il coefficiente salvifico di probabilita’ statistica – idoneo a ricondurre causalmente l’evento al comportamento omissivo del medico – possa essere “modificato” dagli ulteriori dati indiziari processualmente emersi, mediante l’analisi delle particolarita’ del caso concreto, in maniera tale da sorreggere quel giudizio di “alta probabilita’ logica” idoneo a fondare la ragionevole certezza della configurabilita’ del nesso causale, e quindi la responsabilita’ penale del medico che abbia adottato un comportamento colposo.
Si pone, cioe’, il problema di fornire un criterio che indirizzi il giudicante nella delicata operazione di trarre dai dati indiziari che caratterizzano il fatto storico oggetto del vaglio processuale, un adeguato giudizio di tipo induttivo, dal quale sia possibile desumere, in uno con le valutazioni deduttive basate sui coefficienti di probabilita’ statistica e sulle generalizzazioni scientifiche o esperenziali, un motivato giudizio di “elevata credibilita’ razionale” con riferimento alla sussistenza del nesso causale – sul piano controfattuale – fra il comportamento omissivo addebitato e l’evento morte/lesioni.

 

Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio.

Ebbene, e’ evidente che un simile giudizio non potra’ essere basato sulla mera “sommatoria” dei dati indiziari emersi rispetto al “nudo” dato statistico indicativo delle (generali e teoriche) probabilita’ di salvezza del paziente. I dati indiziari, piuttosto, dovranno essere attentamente scrutinati, singolarmente e nel loro complesso, dall’organo giudicante, e quindi analizzati – anche avvalendosi del parere degli esperti – al fine di offrire una ragionevole e convincente spiegazione in ordine alla concreta “attitudine” degli stessi ad incidere in maniera significativa sul coefficiente probabilistico di natura scientifico/statistica, incrementandolo in maniera tale da rendere (eventualmente) “elevato” il giudizio di “credibilita’ razionale” dell’ipotesi per cui, se il medico avesse adottato l’intervento omesso, il paziente si sarebbe salvato. Si tratta, insomma, di motivare adeguatamente sulla particolare “predisposizione” o “attitudine” degli elementi indiziari caratterizzanti il caso concreto, esaminati unitamente agli elementi deduttivi offerti dalle generalizzazioni scientifiche, ad incidere o comunque ad avere un “impatto” rilevante (e migliorativo) sul dato costituito dal mero coefficiente statistico probabilistico (impatto il cui effetto, evidentemente, dovra’ essere tanto piu’ significativo quanto piu’ basso sara’ il coefficiente salvifico espresso in termini percentuali), onde consentire al giudicante di offrire una argomentata valutazione di “alta probabilita’ logica” in ordine alla circostanza che il paziente, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, sarebbe sopravvissuto se il medico avesse adottato il c.d. comportamento alternativo lecito, vale a dire l’intervento terapeutico omesso.
Si tratta di un giudizio complesso che dovra’ essere compiutamente argomentato e che, nella maggior parte dei casi, non potra’ prescindere dal dato scientifico fornito dal contributo degli esperti. In tale prospettiva, il sapere scientifico acquisito nel processo mediante le conclusioni di periti e consulenti dovra’ necessariamente essere utilizzato dal giudice di merito secondo un approccio metodologico corretto che presuppone la indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilita’ delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto.

 

Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio.

Ma se e’ vero che il giudizio di certezza del ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili, e culmina nel giudizio di elevata “probabilita’ logica” (cfr. Sez. U, sentenza n. 30328, in data 11.9.2002, cit.; Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Cozzini, Rv. 248943), deve essere qui precisato che l’esame dei dati che caratterizzano il fatto storico, ai fini del giudizio di tipo induttivo riguardante l’indagine controfattuale, non potra’ mai essere basato su valutazioni di ordine congetturale, vale a dire sfornite di una adeguata base scientifica o esperenziale. Occorre, piuttosto, che di tali basi il giudice dia adeguato conto, al fine di offrire una motivata valutazione in ordine all’attitudine degli elementi indiziari caratterizzanti il caso concreto ad incidere sul coefficiente di probabilita’ statistica, in maniera tale da “elevarlo” fino a giungere ad un motivato giudizio di alta probabilita’ logica in ordine all’efficacia salvifica della condotta omessa, al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
E’ poi noto che il giudice di merito puo’ fare legittimamente propria, allorche’ gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purche’ dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, e’ del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per se’, l’omesso esame critico di ogni piu’ minuto passaggio della perizia (o della consulenza), poiche’ la valutazione delle emergenze processuali e’ affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma e’ sufficiente che enunci con adeguatezza e logicita’ gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (Sez. 4, Sentenza n. 15493 del 10/03/2016, Rv. 266787; Sez. 4, Sentenza n. 692 del 14.11.2013 – dep. 2014, Rv. 258127).
4. Nel caso di specie, il giudice a quo non ha fatto buon governo dei principi appena delineati.

 

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La Corte d’appello ha basato il suo giudizio controfattuale partendo dai dati statistici generali che, secondo l’evidenza scientifica a disposizione, collocava le probabilita’ di salvezza del (OMISSIS) – ipotizzando un adeguato intervento dell’imputata finalizzato a diagnosticare tempestivamente la peritonite da cui era affetto il paziente – tra quelli al 50% votati ad esito infausto ovvero tra quelli dell’altro 50% ad esito salvifico. A tale coefficiente percentuale di salvezza, non particolarmente elevato, la Corte di merito ha “aggiunto”, onde propendere per il 50% ad esito salvifico, alcuni elementi caratterizzanti il caso concreto, segnatamente: la giovane eta’ del paziente, di anni 43 al momento del ricovero, ritenuto elemento che “assicura ottime capacita’ di recupero e di reazione su/la malattia, buone risorse energetiche, forza e vitalita’ non disgiunte da una forte componente psichica di voglia di vivere”; l’assenza di patologie pregresse; la “resistenza” e “tempra” dimostrata dal paziente una volta trasportato in ambulanza all’ospedale di Sassari, ove fu sottoposto ad intervento chirurgico di quasi 3 ore, tanto da sopravvivere per altri tre giorni, rispetto alla visita della Dott.ssa (OMISSIS).
Si tratta di un ragionamento fallace, in quanto fonda il giudizio di elevata probabilita’ logica di sussistenza del nesso causale (in termini controfattuali) su un dato statistico probabilistico che il perito aveva estrapolato sulla base delle condizioni del paziente al momento della visita dell’imputata. In altri termini, il dato statistico del 50% – attribuito al ruolo salvifico della condotta omessa – gia’ considerava le condizioni fisiche di quel paziente al momento dell’intervento della (OMISSIS), per cui e’ illogico e non fondato su basi scientifiche o esperienziali il ragionamento della sentenza impugnata, che valorizza induttivamente elementi ulteriori (giovane eta’, assenza di patologie e tempra del paziente) che erano gia’ stati considerati dall’esperto per sostenere, alle condizioni date, una probabilita’ di salvezza del paziente pari al 50%, quindi non particolarmente elevata.
5. La sentenza impugnata appare, quindi, viziata sotto un duplice profilo.
5.1. Il percorso argomentativo della Corte di merito appare ambiguo nella misura in cui indica un coefficiente salvifico, espresso in termini percentuali, del 50%, al quale non si comprende se venga attribuito un valore di generale coefficiente statistico/probabilistico ovvero di probabilita’ logica, peraltro non particolarmente elevata, in relazione al ruolo salvifico del comportamento omesso. In tal senso, e’ significativo il passaggio motivazionale in cui la Corte territoriale si interroga “circa la collocazione, in concreto, del caso di (OMISSIS) tra i casi del 50% votati ad esito infausto ovvero tra quelli dell’altro 50% di esito salvifico”, optando poi per la “collocazione” del caso tra quelli ad esito salvifico, sulla base delle considerazioni gia’ innanzi menzionate. Non si tratta, tuttavia, di un problema di “collocazione” del caso fra quelli percentualmente fausti o infausti, ma si tratta di stabilire se dai dati indiziari del caso concreto, unitamente al coefficiente di probabilita’ statistica, possa giungersi ad un motivato giudizio che “trasformi” la probabilita’ statistica, per sua natura generalizzante, in (elevata) probabilita’ logica, per sua natura individualizzante, in relazione al singolo caso oggetto del giudizio.

 

Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio.

Ragionare solo in termini di probabilita’ statistica si pone in irrimediabile contrasto con gli insegnamenti della giurisprudenza dianzi accennati in tema di accertamento del nesso causale nei reati omissivi impropri caratterizzati dall’evento. E’ nota la differenza esistente fra probabilita’ statistica e probabilita’ logica: la prima attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa nella successione degli eventi; la seconda attiene alla verifica ulteriore, sulla base dell’intera evidenza disponibile, circa l’attendibilita’ dell’impiego della legge statistica per il singolo evento ai fini della persuasiva e razionale credibilita’ dell’accertamento giudiziale. Il concetto di probabilita’ logica impone di tenere conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con tutti gli elementi indiziari astrattamente idonei a modificarla. Consegue che se la probabilita’ statistica viene integrata da tutti gli elementi probatori forniti dall’indagine processuale, e’ possibile pervenire ad una valutazione connotata da un elevato grado di credibilita’ razionale, non piu’ espresso in termini meramente percentualistici.
5.2. Il secondo vizio logico da cui e’ affetta la sentenza impugnata e’ rappresentato dal fatto che, ammesso che l’indicato coefficiente salvifico del 50% costituisca un dato di probabilita’ statistica, la sentenza impugnata non ha motivato sulle specifiche ragioni – fondate su basi scientifiche o massime di esperienza per cui quelle connotazioni positive caratterizzanti il caso concreto (giovane eta’, assenza di pregresse patologie ecc.) siano idonee ad incidere sulle probabilita’ di salvezza del paziente, e quindi abbiano l’attitudine, se valutate unitamente al dato statistico, a raggiungere quel grado di elevata probabilita’ logica, compatibile con il criterio di giudizio dell’al di la’ di ogni ragionevole dubbio in punto di sussistenza (sotto il profilo controfattuale) del nesso causale fra il comportamento colposamente omesso e l’evento morte. Cio’ al fine di poter affermare con ragionevole certezza che il paziente si sarebbe salvato se l’imputata avesse tempestivamente adottato il comportamento alternativo lecito.
In proposito, come gia’ detto, la Corte distrettuale accenna alla giovane eta’ del paziente, alle sue ottime capacita’ di recupero e di reazione sulla malattia, alla sua forte “tempra”, senza spiegare su quali basi tali elementi sarebbero stati idonei a “rallentare” lo stato settico del paziente o comunque a consentire all’imputata, al momento della sua visita e qualora avesse adottato gli interventi terapeutici necessari, di salvare il (OMISSIS) da una grave peritonite che era gia’ insorta da oltre 40 ore, e che, a detta dello stesso perito, rendeva particolarmente difficile “individuare nella specie quali fossero le probabilita’ di intervento salvifico…”, alla luce del fatto che le perforazioni coliche, soprattutto quelle post-operatorie come nel caso di specie, “hanno una mortalita’ molto elevata. L’intervento chirurgico deve essere eseguito entro 24 ore per aver buone possibilita’ di sopravvivenza dei pazienti” (cfr. perizia Dott. (OMISSIS), allegata in ricorso).

 

Responsabilità professionale del medico ed il tema probatorio.

In definitiva, l’analisi sul nesso eziologico e’ stata svolta dai giudici di merito in termini erronei ed insoddisfacenti, trascurando di valutare in termini rigorosi e scientificamente accettabili i dati indiziari disponibili, al fine di verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza (cfr. Sez. 4, n. 5901 del 18/01/2019, Oliva c/Navarra, Rv. 275122).
6. I sopra illustrati vizi logico-giuridici della sentenza impugnata ne giustificano l’annullamento con rinvio al giudice di merito individuato in dispositivo, il quale nel nuovo giudizio si atterra’ ai principi dianzi indicati in tema di accertamento del nesso causale, sotto il profilo controfattuale che qui rileva.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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