Responsabilità medica e le carenze colpose della condotta del medico che abbiano reso impossibile l’accertamento del nesso eziologico

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 34427.

Responsabilità medica e le carenze colpose della condotta del medico che abbiano reso impossibile l’accertamento del nesso eziologico

In tema di responsabilità medica, ove le carenze colpose della condotta del medico, tipicamente omissive e astrattamente idonee a causare il pregiudizio lamentato, abbiano reso impossibile l’accertamento del nesso eziologico, tale deficit, non potendo logicamente riflettersi a danno della vittima, sia pur in generale onerata della dimostrazione del rapporto causale, rileva non solo in punto di accertamento della colpa ma anche al fine di ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente. (In applicazione del principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di rigetto della domanda di risarcimento del danno da ritardo diagnostico e terapeutico di una neoplasia, ascritto al medico per la mancata effettuazione di un esame istologico, omissione che aveva reso impossibile accertare lo stadio della patologia e determinare se fosse possibile una terapia idonea ad evitare le conseguenze iatrogene riportate dalla paziente).

Ordinanza|| n. 34427. Responsabilità medica e le carenze colpose della condotta del medico che abbiano reso impossibile l’accertamento del nesso eziologico

Data udienza 11 settembre 2023

Integrale

Tag/parola chiave:Responsabilita’ civile – Professionisti – Attivita’ medico – Chirurgica carenza probatoria derivante da omissioni colpose nella condotta del medico – Rilevanza ai fini dell’accertamento della colpa e del nesso eziologico – Condizioni – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco M. – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17681/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS), domiciliazione digitale (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), ( (OMISSIS)), (OMISSIS), ( (OMISSIS));

– controricorrente –

nonche’ contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 712/2020 depositata il 03/03/2020;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2023 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Responsabilità medica e le carenze colpose della condotta del medico che abbiano reso impossibile l’accertamento del nesso eziologico

RILEVATO

che:

(OMISSIS) ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 712 del 2020 della Corte di appello di Roma, esponendo che:

– aveva convenuto in giudizio il (OMISSIS) s.p.a. e il dottor (OMISSIS) per ottenere la condanna degli stessi al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come derivati da una condotta omissiva colposa del sanitario riferibile dunque anche alla struttura;

– aveva esposto che: nel (OMISSIS) era stata ricoverata presso la (OMISSIS), presidio della societa’ convenuta, in seguito a un riscontro ambulatoriale di ispessimento endometriale patologico, con polipo cervicale;

– il medico aveva optato per un’isteroscopia diagnostico operativa, con asportazione del polipo e successiva individuazione, attraverso l’introduzione di un isteroscopio, di un mioma;

– durante le operazioni si era verificata una perforazione nella parete destra dell’utero per riparare la quale si era effettuata una videolaparoscopia con sutura;

– nel referto di dimissioni non era stato indicato l’ispessimento patologico dell’endometrio;

– il dottor (OMISSIS) l’aveva visitata per un controllo nell'(OMISSIS) senza dare ulteriori indicazioni diagnostico terapeutiche;

– nel (OMISSIS), avendo perdite ematiche dai genitali, si era sottoposta a visita ginecologica in occasione della quale era stata indirizzata all’ambulatorio di isteroscopia dell'(OMISSIS);

– nel conseguente referto d’isteroscopia era risultato un piccolo polipo, in uno a cavita’ uterina interessata da vegetazioni biancastre con vasi atipici, con conseguenti plurime biopsie;

– nel referto istologico era stato riscontrato un adenocarcinoma endometriale e, nel giugno (OMISSIS), era stata operata mediante isteroannessiectomia laparoscopica con asportazione totale del colletto vaginale, linfoadenectomia e “washing” peritoneale;

– l’esame citologico aveva evidenziato cellule neoplastiche confermando l’adenocarcinoma endometriale in stadio avanzato IIIA, che aveva reso necessaria terapia coadiuvante consistente in chemioterapia, radioterapia, brachiterapia;

– considerando lo scarto temporale riferito gia’ alla diagnosi dell’iniziale ricovero di (OMISSIS), doveva ritenersi che vi era stato un ritardo diagnostico aggravato dalla perforazione che aveva permesso il passaggio di cellule endometriali gia’ patologiche, con l’effetto di rendere necessarie le menzionate terapie invasive che, a loro volta, avevano determinato ripercussioni invalidanti, rappresentate da: astenia, neuropatia ai piedi, assottigliamento dei capelli, fenomeni flogistici cronici a carico della mucosa rettale, trombosi della vena iliaca interna sinistra, vaginite cronica con preclusione dell’attivita’ sessuale, ansia cronica;

– la deducente aveva dedotto anche la violazione del consenso informato;

– il medico convenuto aveva controdedotto che la paziente era stata informata delle possibili complicanze e che, durante l’isteroscopia, non si erano evidenziate alterazioni patologiche, mentre l’intervallo di tempo di otto mesi, tra il ricovero da lui seguito e il secondo intervento d’isteroscopia presso l’ospedale biellese, era compatibile con lo sviluppo della neoplasia poi riscontrata;

– il Policlinico aveva da parte sua controdedotto che il polipo avrebbe dovuto comunque rimuoversi, la tecnica della isteroscopia diagnostica aveva permesso di escludere disseminazioni che, se accadute, avrebbero dovuto colonizzare la fossa di Douglas, ossia uno spazio che all'(OMISSIS) era risultato indenne, mentre i tempi non implicavano affatto la presenza della neoplasia in occasione del primo ricovero;

– il Tribunale aveva rigettato la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, non era stato dimostrato il nesso causale tra il rilevato ritardo diagnostico, e dunque terapeutico, e le conseguenze iatrogene derivate;

– in particolare, il giudice di secondo grado aveva osservato come dalle perizie officiose effettuate fosse risultato che:

– nel (OMISSIS) la paziente era affetta da neoplasia dell’utero, di grado 2, mentre nel maggio (OMISSIS) il carcinoma era di stadio IIIA;

– non era risultato che nel (OMISSIS) la malattia fosse al primo stadio, e anzi era emerso come non vi fossero elementi di natura tecnica per affermare quale fosse lo stadio in parola;

– era altamente improbabile che la lesione iatrogena potesse aver indotto la disseminazione, posto che era stata provocata sulla parte destra dell’utero, mentre la formazione tumorale era stata localizzata in prossimita’ del fondo uterino, e qualora la perforazione avesse determinato un significativo passaggio di cellule si sarebbero riscontrati impianti delle stesse oltre che nell’ovaio anche nel tragitto della parete;

– cio’ posto, ne conseguiva che l’inutilita’ terapeutica assunta come pregiudizievole avrebbe potuto materialmente imputarsi solamente se nel (OMISSIS) fosse risultato uno stadio IA o IB, altrimenti non potendo causalmente correlarsi il ritardo diagnostico al danno di cui si pretendeva il risarcimento;

– inoltre, a dieci anni dai fatti la deducente era libera da malattia e complicanze ad essa legate, sicche’ non poteva ipotizzarsi alcun danno da perdita di “chance”;

– infine, la struttura aveva provato documentalmente il rispetto del consenso informato, in specie sui rischi da perforazione, mentre la deducente non aveva neppure allegato che, ove informata come assumeva di non essere stata, non si sarebbe sottoposta al prospettato trattamento chirurgico;

resistono con controricorso sia il (OMISSIS) s.p.a. che il dottor (OMISSIS) che ha depositato, altresi’, memoria.

RILEVATO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, poiche’ la Corte di appello avrebbe errato:

– confondendo grado e stadio della malattia;

– assumendo che il grado 2-3 della neoplasia, a (OMISSIS), fosse idoneo a escludere l’aggravamento dallo stadio I allo stadio III nel lasso temporale fino al (OMISSIS);

– correlando la mancanza di prova del nesso causale, quale descritto, alla stessa condotta colposa del medico che non aveva proceduto ai necessari approfondimenti diagnostici; con il secondo motivo si prospetta, in connessione o subordine rispetto alla prima censura, la violazione degli articoli 115, 116 c.p.c., poiche’ la Corte di appello avrebbe acriticamente avallato le conclusioni peritali che contraddittoriamente avevano affermato la carenza di elementi tecnici per accertare lo stadio tumorale a (OMISSIS) che, pero’, era dovuta proprio al mancato completamento in specie diagnostico isteroscopico, con cui si sarebbe potuto acquisire ogni dato istologico necessario a tal fine, di cui era responsabile il dottor (OMISSIS), mentre, in ogni caso, la mancanza della certezza in parola non implicava alcuna esclusione dell’opposta ipotesi, e non meno plausibili erano le opposte conclusioni del consulenti di parte attorea sul punto;

con il terzo motivo si prospetta, in subordine ai precedenti, la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, poiche’ la Corte di appello avrebbe errato nell’aderire acriticamente alle immotivate conclusioni peritali secondo cui, essendo la paziente, a dieci anni, libera da malattia o complicanze a questa legate, e non essendovi prognosi di ricadute anche solo ipoteticamente correlabili alla stessa, non avrebbe potuto esservi danno da perdita di “chance”, mentre il fatto che la deducente non fosse deceduta non escludeva le perdite in concreto registrate e causalmente riferibili alla condotta colposa omissiva, consistenti, in particolare, in astenia, nEuropatia ai piedi, preclusione dell’attivita’ sessuale, ansia cronica, cui correlare, peraltro, nonostante il contrario avviso peritale, anche le spese mediche sostenute e documentate;

Considerato che:

il primo e secondo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati nei termini di seguito specificati, con assorbimento del terzo;

la Corte territoriale, sebbene abbia dichiarato carente d’interesse l’appello incidentale interposto dal dottor (OMISSIS) per far accertare l’insussistenza di una sua imperizia, proprio in ragione della conferma del rigetto della domanda risarcitoria per la ritenuta mancanza di prova del nesso causale (pag. 16), ha costruito il suo “iter” motivazionale muovendo dall’assunto del “gia’ rilevato ritardo diagnostico e, dunque, terapeutico” (pag. 12), concludendo nel senso che le conseguenze pregiudizievoli iatrogene lamentate dall’attrice, correlate alla “”inutile” terapia adiuvante” (pag. 13), di tipo fortemente invasivo, avrebbero potuto affermarsi “solo nel caso in cui al (OMISSIS) il livello della neoplasia fosse stato di stadio IA o IB”;

ma – prosegue il ragionamento del Collegio di merito – poiche’ non vi era prova certa o nemmeno probabilistica di quale fosse, nel momento del primo ricovero e delle cure del dottor (OMISSIS), lo stadio neoplastico, e atteso che la prova del nesso causale incombeva sul richiedente il ristoro, la conclusione doveva essere il rigetto;

la motivazione della Corte territoriale innesca un cortocircuito logico, non altrimenti risolvibile, poiche’ imputa alla vittima la mancanza di una prova derivata proprio dall’assunta colpa del medico;

e’ la stessa Corte territoriale che, a riscontro di quanto riportato in ricorso nella cornice di ammissibilita’ dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, sottolinea come tale illogicita’ era stata oggetto di censura di appello (pag. 10), ma finisce poi per non spiegare le ragioni per le quali l’ha ritenuta superata, minando alla base la decifrabilita’ della sua motivazione;

la giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilita’ professionale sanitaria ha affermato che l’incompletezza della cartella clinica e’ circostanza di fatto che il giudice puo’ e deve utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno, cio’ per una ragione prima logica che giuridica, oltre che per il principio di vicinanza della prova (Cass., 31/03/2016, n. 6209, Cass., 21/11/2017, n. 27561, Cass., 20/11/2020, n. 26428);

questo principio di specie ne sottende uno piu’ generale, ossia quello per cui quando la mancata prova derivi dalle carenze colpose della condotta del medico, tipicamente omissive, e astrattamente idonee a causare il pregiudizio lamentato, quel “deficit” rileva non solo in punto di accertamento della colpa ma anche di quello del nesso eziologico, non potendo logicamente riflettersi a danno della vittima, sia pur in generale onerata della dimostrazione del rapporto causale;

in altri termini, la sentenza qui gravata non fa comprendere in alcun modo perche’ non rilevi nell’accertamento eziologico il mancato completamento dell’indagine diagnostica, che avrebbe in tesi, anche secondo le riportate ipotesi dei periti d’ufficio, potuto far acquisire i dati istologici idonei a dettagliare grado e stadio della malattia, e dunque, in ipotesi, approntare una terapia che, nella prospettiva ricostruttiva della stessa Corte territoriale, avrebbe potuto evitare le conseguenze iatrogene in discussione;

e’ vero che la sentenza afferma diffusamente la sussistenza di tale colpa del medico solo “”ad abundantiam”” dopo aver detto inammissibile, come anticipato, l’appello incidentale del dottor Giani, con statuizione peraltro “inutiliter data” proprio perche’ susseguente alla dichiarata (non in “obiter”: Cass., 11/03/2022, n. 7995) esclusione di ammissibilita’ del motivo di appello (Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840, e succ. conf.), ma e’ anche vero che, come pure constatato, lo fa dopo aver affermato l’ininfluenza del pur “rilevato ritardo diagnostico” per il mancato risconto del nesso di causalita’ materiale nei termini evidenziati;

non viene in gioco, quindi, una ricostruzione fattuale alternativamente e parimenti plausibile rispetto a quella della decisione censurata, e inammissibilmente inerente al sindacato di merito del relativo giudice, ma l’intrinseca illogicita’ della motivazione, in uno alla correlata violazione degli oneri probatori e della corretta sussunzione della fattispecie fattuale indiziaria in quella legale;

spese al giudice del rinvio.

Responsabilità medica e le carenze colpose della condotta del medico che abbiano reso impossibile l’accertamento del nesso eziologico

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano perche’, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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