Responsabilità dell’appaltatore per vizi di difformità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 novembre 2022| n. 33919.

Responsabilità dell’appaltatore per vizi di difformità

In tema di appalto, la disciplina la disciplina dettata dell’art. 1668 cod. civ., in deroga a quella stabilita in via generale in materia di inadempimento del contratto, consente al committente di chiedere la risoluzione del contratto soltanto nel caso in cui i difetti dell’opera, incidendo in modo notevole sulla struttura e sulla funzionalità della stessa, siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione ovvero all’uso cui sia preordinata

Ordinanza|17 novembre 2022| n. 33919. Responsabilità dell’appaltatore per vizi di difformità

Data udienza 22 settembre 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto – Responsabilità dell’appaltatore per vizi di difformità – Articolo 1668 c.c. – Deroga alla disciplina stabilita in via generale in materia di inadempimento – Gravità dell’inadempimento – Opera del tutto inadatta alla sua destinazione e all’uso cui è preordinata

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 31700-2021 proposto da:
(OMISSIS) SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO “(OMISSIS)” DI (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente-
contro
(OMISSIS) SPA, DI (OMISSIS);
INTIMATI
avverso la sentenza n. 1573/2021 della L’AQUILA, depositata il 20/10/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/09/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO MOCCI.

Rilevato:

che (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Corte di Appello di L’Aquila che aveva respinto il suo gravame contro la decisione del Tribunale di Chieti. Quest’ultimo aveva accolto l’opposizione del Condominio (OMISSIS) a due analoghi decreti ingiuntivi (poi riuniti), richiesti dall’odierna ricorrente per ottenere il pagamento del corrispettivo di un contratto di appalto;
che, sia in primo grado sia in appello, erano altresi’ parti il direttore dei lavori (OMISSIS), chiamato in garanzia dall’opposta, nonche’ Unipolsai, compagnia assicuratrice del professionista;
che, nella presente fase, si e’ costituito il solo Condominio, proponendo controricorso per resistere al ricorso avversario;

Considerato:

che il ricorso e’ affidato a sei motivi;
che, col primo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli articolo 75 e ss c.p.c., degli articolo 100 e ss.p.c., nonche’ violazione e falsa applicazione degli articolo 1130 c.c. e 1131 c.c. in tema di rappresentanza del condominio, giacche’, nonostante i provvedimenti monitori fossero stati notificati all’amministratore condominiale geom. (OMISSIS) (che risultava altresi’ firmatario del contratto), la citazione in opposizione era stata proposta dalla societa’ Studio (OMISSIS) s.a.s., soggetto giuridico del tutto diverso;
che, col secondo, si invoca, ai sensi dell articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli articolo 112, 113 e 115 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nel non avere preso in considerazione tutte le singole contestazioni dei fatti su cui si era basata la CTU e, di conseguenza, aver rigettato la richiesta di rinnovazione della CTU;
che, col terzo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, si assume la violazione e falsa applicazione degli articolo 1667 c.c. e 1668 c.c., laddove la sentenza impugnata avrebbe ritenuto le suddette norme non applicabili, poiche’ i lavori non sarebbero stati ultimati, nonche’ la violazione e falsa applicazione degli articolo 115 c.p.c. e 116 c.p.c. In particolare, la Corte distrettuale avrebbe trascurato prove inoppugnabili circa la conclusione dei lavori entro il 21 dicembre 2011, giacche’ le opere ulteriori non eseguite erano quelle che l’assemblea condominiale non aveva voluto far svolgere, tant’e’ che neppure sarebbero state richieste in pagamento;
che, d’altronde, il vizio individuato dal CTU ed avallato dai giudici di merito, ossia la mancata rimozione dell’orditura lignea di sostegno del manto di copertura del tetto, era stata voluta dal condominio committente ed, in ogni caso, l’opera certamente non avrebbe potuto essere considerata “del tutto inadatta alla sua destinazione”;
che, attraverso il quarto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1453 c.c., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente il presupposto dell’inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto di appalto. La posa in opera del tetto non avrebbe costituito affatto la maggior parte del contratto e delle opere svolte: il lavoro da rifare avrebbe inciso nella misura del 25%, rispetto a quelli eseguiti;
che, mediante il quinto, ai sensi dell’articolo 360 comma 3 c.p.c., si afferma la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1458 c.c. e degli articoli 1667 e 1668 c.c., in tema di responsabilita’ dell’appaltatore per vizi e difformita’, laddove la sentenza impugnata, nel disporre le restituzioni, non avrebbe tenuto conto del diritto dell’impresa alla corresponsione ed incasso del corrispettivo per tutti i lavori effettuati e privi di vizi. In questo senso, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente riconosciuto solo il corrispettivo del primo SAL;
che, col sesto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, si rileva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., laddove la sentenza impugnata, nel disporre le restituzioni, non avrebbe tenuto conto di quanto espressamente chiesto dal condominio committente, andando oltre le istanze avversarie. Infatti, controparte si sarebbe limitata a domandare il risarcimento del danno, o, in subordine ed in alternativa, la restituzione del corrispettivo versato per lavori viziati, oltre la restituzione del corrispettivo per lavori asseritamente non eseguiti, quantificati in totale in Euro 96.444,86;
che si e’ costituito con controricorso il Condominio (OMISSIS), per resistere al ricorso avversario;
che sono pervenute memorie ex articolo 380 bis c.p.c;
che il primo motivo e’ infondato;
che la Corte d’Appello, riportando i passaggi del percorso motivazionale della pronunzia di primo grado, ha testualmente scritto: “non e’ fondata la questione relativa al difetto di legittimazione attiva del Condominio in quanto dalla disamina delle delibere assembleari e’ emersa la prova della nomina quale amministratore dello Studio (OMISSIS) sas”;
che, in altri termini, da un accertamento in fatto del primo giudice (dunque incensurabile in sede di legittimita’), poi avallato dalla Corte territoriale, e’ emerso che la (OMISSIS) s.a.s. era il formale amministratore del condominio, come tale autorizzato (anche) a proporre opposizione, ex articolo 1131 c.c.;
che il geom. (OMISSIS), in quanto legale rappresenitante e socio accomandatario, ben avrebbe potuto spendere il suo nome personale al momento della sottoscrizione del contratto o porre in essere altri adempimenti (quali la presenza in sede di assemblea condominiale), che necessitavano della partecipazione di una persona fisica, idonea a rappresentare la societa’, essendo implicito che lo facesse in nome e per conto dell’amministratore (OMISSIS) sas, mentre, allo stesso modo, non e’ rilevante che l’assemblea condominiale abbia potuto identificare – in senso atecnico – l’amministratore (OMISSIS) col suo legale rappresentante;
che il secondo motivo e’ privo di pregio;
che, per un verso, trattandosi di un’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, non e’ ammissibile la denunzia del vizio di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c. (Sez. U, n. 8053 del 7 aprile 2014);
che, per altro verso, la Corte d’Appello non e’ incorsa nell’omesso esame di alcuna circostanza (riferita alle osservazioni della CTP), dal momento che la stessa ricorrente da atto delle risposte del consulente officiato alle osservazioni del perito di parte;
che la terza doglianza e’ immeritevole di accoglimento;
che, in tema di appalto, la disciplina dettata dell’articolo 1668 c.c., in deroga a quella stabilita in via generale in materia di inadempimento del contratto, consente al committente di chiedere la risoluzione del contratto nel caso in cui i difetti dell’opera, incidendo in modo notevole sulla struttura e sulla funzionalita’ della stessa, siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione ovvero all’uso cui sia preordinata (Sez. 2, n. 26965 del 15 dicembre 2011);
che la Corte distrettuale ha testualmente affermato: “in data 24 agosto 2011, e’ stata (OMISSIS) srl a comunicare l’avvenuta esecuzione dei lavori; il Decreto Legge n., con ordine di servizio n. 5 del 1 dicembre 2011, ha sollecitato, a partire dal 1 dicembre 2011, “la ripresa dei lavori al solo fine di eliminare le diffuse anomalie ivi riportate ed evidenziate anche dai condomini con documentazione
fotografica fatta pervenire all’amministratore, dovute ad una esecuzione non sempre resa secondo le regole dell’arte…. di revisionare globalmente le opere realizzate in copertura, al fine di eliminare tutte le diffuse anomalie presenti documentate dai condomini, e precisamente: 1) sostituzione delle lastre ISOCOPPO che presentavano distorsioni e fessurazioni in corrispondenza dell’area di sormonto e sovrapposizione; 2) sostituzione delle lastre ISOCOPPO che presentavano danneggiamenti come abbozzamenti e fessurazioni dovuti al calpestio in fase di montaggio o ad altre cause non bene identificate; 3) revisione di tutti gli ancoraggi dei pannelli ISOCOPPO, in quanto alcune lastre presentavano le guarnizioni in gomma delle viti non completamente aderenti ai fori, lasciando permeare acqua negli strati sottostanti in caso di piogge; 4) revisione di tutte le chiusure dei pannelli ISOCOPPO non sempre schiumate in modo omogeneo e compatto ed adeguatamente verniciate con appositi smalti a tenuta; 5) revisione delle opere di lattoneria, quali scossaline che talvolta presentavano inadeguati raccordi ai vari elementi di copertura con parti approssimativamente ritagliate anche in corrispondenza dei balconcini dei condomini” (cfr pagg. 59-60 CTU); non puo’ pertanto trovare conferma la tesi dell’appellante principale secondo cui l’ultimazione dei lavori deve ritenersi pacifica tra le parti (cfr pag. 93 dell’atto di appello); la CTU ha accertato la mancata esecuzione dei lavori per un importo non certo esiguo essendo stato calcolato nella somma di Euro 28.495,32 (cfr pagg- 87-89)”;
che, inoltre, l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilita’ dei testi e sulla credibilita’ di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non inconlra altro limite
che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016);
che, secondo costante giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (Sez. U, 30 settembre 2020 n. 20867);
che la quarta censura e’ inammissibile;
che in materia di responsabilita’ contrattuale, la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’articolo 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (Sez. 2, n. 12182 del 22 giugno 2020);
che il quinto rilievo e’ inammissibile;
che il calcolo proposto dalla ricorrente e’ carente di autosufficienza, poiche’ la ricorrente non precisa quali fossero i lavori asseritamente effettuati e privi di vizi;
che, infatti, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilita’, dall’ART. 366 C.P.C. comma 1, n. 3, – e’ volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara indicazione, funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non e’ tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, e’ invece richiesta quando la sentenza e’ censurata per non averne tenuto conto (Sez. 5, n. 24340 del 4 ottobre 2018); che il sesto motivo e’ infondato;
che la sentenza impugnata ha affermato che “Invero, negli atti di citazione in opposizione ai decreti ingiuntivi, il suddetto condominio ha chiesto espressamente la restituzione della somma di Euro 6.015,87 per lavori non eseguiti ma egualmente pagati unitamente all’ulteriore e ben maggiore somma di Euro 90.428,99 o comunque anche di quella maggiore (conclusioni n 6 e 10 dei due atti) corrispondente a quanto versato alla controparte”, dando percio’ atto che il Condominio aveva concluso per un importo anche maggiore di Euro 96.444,86, motivando successivamente, in modo ineccepibile la congruita’ della somma liquidata (“Il Tribunale ha stimato la somma di Euro 144.014,61 da restituire al Condominio detraendo dall’ammontare complessivo di quanto corrisposto alla ditta appaltatrice (pari ad Euro 174.507,34) l’importo relativo al primo SAL Euro 30.492,73 in quanto riferito ai lavori nel locale interrato per i quali non sono state sollevate contestazioni”); che la memoria depositata dal ricorrente non contiene elementi idonei a modificare il quadro teste’ esposto;
che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente come liquidate in dispositivo;
che ricorrono i presupposti processuali di cui all’articolo 13 comma 1- quater Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto;

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Condominio (OMISSIS), delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.500 (quattromila/500) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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