Responsabilità civile per danni da cose in custodia

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 5 maggio 2020, n. 8478.

La massima estrapolata:

In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, cod. civ., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso. È quanto si legge nell’ordinanza della Cassazione del 5 maggio 2020, n. 8478.

Ordinanza 5 maggio 2020, n. 8478

Data udienza 17 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Responsabilità civile – Danno da custodia – Caduta – Condotta imprudente del danneggiato – Incidenza causale sull’evento dannoso

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 28337/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Condominio (OMISSIS), in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) Spa;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2795/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2020 da Dott. Cristiano Valle, osserva:

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi il Tribunale di Napoli, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., il Condominio (OMISSIS) affermando di avere riportato gravi lesioni a seguito di una caduta occorsagli mentre si trovata nel detto Condominio, appoggiato ad una balaustra che aveva improvvisamente ceduto.
Il Tribunale e la Corte d’appello di Napoli hanno rigettato la domanda in quanto dalle testimonianze raccolte, anche se de relato, risultava che il (OMISSIS) stesse in piedi sulla balaustra e, quindi, aveva dato causa alla caduta.
Avverso la decisione d’appello ricorre, con atto affidato a nove motivi, (OMISSIS).
Resiste il (OMISSIS) con controricorso.
(OMISSIS) S.p.a., assicuratrice per la responsabilita’ civile del Condominio, e’ rimasta intimata.
Il ricorrente ha depositato memoria per l’adunanza camerale.
Il P.G. non ha presentato conclusioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono formulati ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 e, l’ultimo, per violazione di legge (a quanto sembra di evincere dal tenore letterale).
Il primo motivo censura la sentenza d’appello ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articoli 116 e 257 c.p.c.
Il secondo mezzo denuncia censure ancora ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’articolo 111 Cost., comma 6, e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
Il terzo motivo afferma violazione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame, da parte della sentenza d’appello, della consulenza tecnica di ufficio.
Il quarto, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo mezzo sono tutti formulati ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 11, n. 4 in relazione all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articolo 116 c.p.c., articolo 111 Cost., comma 6, nonche’ in relazione all’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte di Appello pronunciato su difesa non proposta, riguardante la realizzazione del caso fortuito, ai sensi dell’articolo 2051 c.c. e, infine in relazione agli articoli 115 e 116, 246 e 257 c.p.c.
Il primo motivo ed il secondo motivo possono essere congiuntamente esaminati, in quanto strettamente connessi.
I due mezzi, mediante riferimento delle censure all’articolo 360 c.p.c., n. 4 chiedono a questa Corte un riesame dell’apprezzamento del materiale istruttorio vagliato dai giudici di merito.
In particolare viene chiesta una rivalutazione della scelta compiuta dal giudice d’appello, e prima ancora, di quello di primo grado, circa la scelta delle prove sulle quali basare il proprio convincimento.
Le censure, inoltre, non sono adeguatamente prospettate in quanto affermano nullita’ della sentenza per mancanza della motivazione ma viceversa chiedono in concreto un diverso ragionamento decisorio.
La Corte territoriale ha adeguatamente motivato le ragioni in base alle quali ha ritenuto affidarsi alle dichiarazioni del teste (OMISSIS) e quindi del teste (OMISSIS) e in tal modo ha adeguatamente assolto l’obbligo motivazionale, ossia ha compiuto l’accertamento di fatto che le e’ demandato e che e’ incensurabile in sede di legittimita’ ove adeguatamente, come riscontrabile nel caso di specie, motivato (da ultimo, quale espressione di un orientamento oramai costante, si veda Cass. n. 21187 del 08/08/2019 Rv. 655229 – 01).
Il terzo ed il quarto motivo, sebbene formulati il terzo con riferimento al n. 5 ed il quarto al n. 4 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1 chiedono anche essi una riedizione del ragionamento decisorio in tema di prove e consulenza tecnica di ufficio.
Il terzo motivo, formulato per omesso esame della consulenza tecnica di ufficio, e’ inoltre inammissibile in quanto, a fronte di una evidente identita’ decisionale della sentenza di primo e di quella di secondo grado, omette di specificare quali siano gli elementi di fatto tra loro diversi posti a fondamento dell’una e dell’altra, secondo la, oramai costante, giurisprudenza di legittimita’ (Cass. n. 26774 del 22/12/2016 Rv. 643244 – 03), al quale il Collegio intende dare seguito: “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal Decreto Legge n. 83 cit., articolo 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.”.
Il quarto motivo reitera, ancora con deduzione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censure non pertinenti al giudizio di legittimita’, in quanto, agganciandosi al precedente terzo motivo, richiede un diverso apprezzamento della consulenza tecnica di ufficio, in senso difforme da quanto fatto dalla Corte territoriale, che, seppure in modo conciso, ha comunque motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto preferibile la ricostruzione di quanto occorso al (OMISSIS) nei termini di una caduta “in posizione verticale” affermando che cio’ era compatibile con le conseguenze riportate (frattura del calcagno destro, come risultante – ed e’ la Corte d’Appello che compie (a pag. 3 della sentenza) il richiamo – dalla consulenza tecnica di ufficio e dalla documentazione sanitaria in atti). Il quinto, il sesto ed il settimo motivo prospettano ancora vizi di nullita’ della sentenza e del procedimento, con riferimento: alla carenza di motivazione, per essere la stessa meramente apparente in quanto si limita a richiamare quella di primo grado, alla valutazione del materiale probatorio, essenzialmente delle testimonianze e sono, pertanto, inammissibili, o comunque non incrinano il ragionamento del giudice del merito.
In particolare, con riferimento alla dedotta carenza di motivazione, in quanto sostanzialmente effettuata mediante riferimento a quella di primo grado deve ribadirsi l’orientamento di legittimita’ (Cass. n. 21037 del 23/08/2018 Rv. 650138 – 01) che afferma: “La sentenza pronunziata in sede di gravame e’ legittimamente motivata per relationem ove contenga espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, facendone proprie le argomentazioni in punto di diritto, e fornisca, pur sinteticamente, una risposta alle censure formulate, nell’atto di appello e nelle conclusioni, dalla parte soccombente, risultando cosi’ appagante e corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle due sentenze.”.
Con riferimento alle censure mosse mediante richiamo degli articoli 115 e 116 c.p.c. deve rilevarsene la infondatezza, in quanto perche’ si configuri effettivamente un motivo denunciante la violazione Pag. 5 di del paradigma dell’articolo 115 c.p.c. e’ necessario che venga denunciato, nell’attivita’ argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove”. Ne segue che il motivo cosi’ dedotto e’ privo di fondamento per cio’ solo.
Per dedurre, inoltre, la violazione del paradigma dell’articolo 116 c.p.c. e’ necessario considerare che, poiche’ detta norma prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 e’ concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, cosi’ falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi).
La censura rivolta, invece, alla sentenza d’appello per avere pronunciato oltre il limite della difesa, perche’ la Corte avrebbe ritenuto applicabile l’articolo 2051 c.c. e affermato che il Condominio appellato ne aveva fornito prova non e’ specifica, in quanto non spiega perche’ la Corte avrebbe pronunciato oltre la difesa di parte, in quanto la responsabilita’ ai sensi dell’articolo 2051 c.c. era stata prospettata dallo stesso (OMISSIS), e, quindi, la prova del fortuito, ravvisabile anche in una condotta esorbitante della parte che agisce invocando la speciale responsabilita’ per cose in custodia, puo’ essere fornita anche mediante dimostrazione della detta condotta sia stata di per se’ sola causativa dell’evento (Cass. n. 02480 del 01/02/2018 Rv. 647934 – 01): “In tema di responsabilita’ civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’articolo 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarieta’ espresso dall’articolo 2 Cost., sicche’, quanto piu’ la situazione di possibile danno e’ suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto piu’ incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarita’ causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
L’ottavo motivo, che deduce violazione dell’articolo 246 c.p.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4 per avere la Corte posto a fondamento della decisione una testimonianza di soggetto gia’ rivestente la qualita’ di condomino, e’ inammissibile, in quanto, il ricorso di legittimita’, dopo avere fatto rilevare che l’incapacita’ a testimoniare del (OMISSIS) era stata rappresentata nell’immediatezza della sua chiamata a deporre d’ufficio, da parte del giudice, non indica dove e quando, a fronte dell’avvenuta escussione del teste, l’omesso rilievo della condizione di incapacita’ a testimoniare del (OMISSIS) sia stata prospettata in sede di appello ne’ dalla sentenza di appello risulta che la cesura sia stata specificamente proposta.
Il nono motivo del ricorso e’ un non-motivo, come gia’ detto. Non vengono esposte specifiche censure con riferimento alla statuizione sulle spese, ma se ne chiede soltanto la revisione consequenziale all’auspicato accoglimento dei precedenti motivi. Esso resta pertanto assorbito dalla declaratoria di rigetto e comunque di inammissibilita’ degli altri motivi, mentre per quanto riguarda l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato e’ sufficiente ribadire quanto gia’ da tempo affermato da questa Corte (Cass. n. 10306 del 13/05/2014 Rv. 630896 – 01): “In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame”.
Il ricorso e’, pertanto, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, sulla base del valore della controversia.
Al rigetto dell’impugnazione consegue che deve darsi atto della sussistenza, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 2.050,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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