Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 11 febbraio 2019, n. 6375.

La massima estrapolata:

In materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralita’ di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entita’, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; ne consegue che e’ legittimo il mancato riconoscimento della lieve entita’ qualora la singola cessione di una quantita’ modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piu’ ampia e comprovata capacita’ dell’autore di diffondere in modo non episodico, ne’ occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita’ della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantita’ volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu’ ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva.
La diversita’ di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non e’ di per se’ ostativa alla configurabilita’ del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in quanto l’accertamento della lieve entita’ del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione

Sentenza 11 febbraio 2019, n. 6375

Data udienza 19 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
3) (OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/04/2018 della Corte di appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Di Nardo Marilia, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza del 17 aprile 2018, la Corte d’appello di Bari – giudicando in sede di rinvio, disposto con sentenza di questa Corte, Sezione 4, n. 4490/2013 del 17/10/2012 – ha respinto l’appello proposto dagli odierni ricorrenti avverso la sentenza con cui gli stessi erano stati condannati alle pene di legge per il reato di spaccio continuato di sostanze stupefacenti.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore degli imputati, deducendo con unico motivo la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 ed il vizio di motivazione per aver il giudice del rinvio illogicamente e contraddittoriamente escluso l’ipotesi del fatto lieve entita’ valorizzando elementi incongrui. In particolare, sottolineando la possibile configurabilita’, ex articolo 74, comma 6, cit. D.P.R., di associazioni finalizzate alla commissione di reati di spaccio di lieve entita’, si censura la sentenza impugnata per il richiamo, ritenuto ostativo ai fini della configurabilita’ di tale ipotesi di reato, al fatto che i prevenuti, in concorso tra di loro, spacciassero con frequenza in un ben delimitato ambito territoriale, distinto da quello in cui operavano altri similari gruppi criminali di spacciatori. Si censura parimenti il riferimento ai loro precedenti specifici (trattandosi di parametro soggettivo irrilevante ai fini del giudizio sulla sussistenza dell’ipotesi di reato meno grave) ed al fatto che gli stessi cedevano sostanze stupefacenti di diversa tipologia.
3. I ricorsi sono inammissibili e possono essere decisi con sentenza a motivazione semplificata, essendo manifestamente infondate e generiche le argomentazioni dei ricorrenti di cui si e’ appena dato conto.
3.1. E’ bene premettere che la sentenza rescindente aveva censurato la precedente decisione con cui la corte d’appello ebbe ad escludere la ricorrenza dell’ipotesi di cui al cit. D.P.R., articolo 73, comma 5, ritenendo che cio’ fosse avvenuto “con affermazione meramente assertiva e (quindi) senza indicare le ragioni per le quali debba essere disattesa la richiesta avanzata con i motivi di appello”.
Richiamando orientamenti consolidati, si era al proposito affermato il principio di diritto secondo cui “in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilita’ o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entita’ di cui al cit. D.P.R., articolo 73, comma 5, il giudice e’ tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalita’ e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantita’ e qualita’ delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entita’ (Cass. Sez. 4, n. 6732 del 22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942). Cio’ implica la necessita’ di esplicitare almeno quale sia l’elemento che si ritiene di valore decisivo, a confronto con quello o quelli indicati dall’imputato come militanti nel senso della tenuita’ del fatto”.
3.2. La sentenza impugnata ha correttamente applicato tali principi, mostrando di aver operato una complessiva valutazione del fatto ed indicando plurimi elementi che, globalmente considerati, inducevano alla qualificazione dello stesso come non di lieve gravita’.
Ed invero – escluso che la sentenza impugnata abbia al proposito valorizzato i precedenti specifici degli imputati, non potendosi la conclusione ricavare dal generico accenno ai medesimi – l’ipotesi attenuata e’ stata giudicata incompatibile con le modalita’, i mezzi e le circostanze dell’azione illecita, con particolare riguardo allo stabile accordo criminoso intercorso tra i tre imputati, i quali, osserva la sentenza, occupavano una precisa zona del borgo antico della cittadina e spacciavano sistematicamente (con condotta descritta come “frenetica e quotidiana”) eroina e hashish a numerosi tossicodipendenti, operando in concorrenza con altri similari gruppi criminali in base ad una precisa ripartizione del territorio comunale. La descritta condotta tenuta in un arco temporale non certo ristretto (da maggio 1996 a gennaio 1997) e qualificata come reato concorsuale continuato – si pone addirittura ai limiti della ben piu’ grave ipotesi associativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74.
3.3. Non puo’, d’altra parte, censurarsi il riferimento alla ripetitivita’ delle cessioni, posto che in materia di sostanze stupefacenti, la reiterazione nel tempo di una pluralita’ di condotte di cessione della droga, pur non precludendo automaticamente al giudice di ravvisare il fatto di lieve entita’, entra in considerazione nella valutazione di tutti i parametri dettati, in proposito, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5; ne consegue che e’ legittimo il mancato riconoscimento della lieve entita’ qualora la singola cessione di una quantita’ modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una piu’ ampia e comprovata capacita’ dell’autore di diffondere in modo non episodico, ne’ occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensivita’ della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantita’ volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio piu’ ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Bandera e aa. Rv. 269149).
3.4. Quanto, poi, allo spaccio di sostanze stupefacenti appartenenti a diverse tipologie, vale la pena rammentare che, risolvendo di recente un contrasto di giurisprudenza esistente sul punto, le Sezioni Unite hanno affermato che la diversita’ di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non e’ di per se’ ostativa alla configurabilita’ del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in quanto l’accertamento della lieve entita’ del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, M., Rv. 274076). Nella motivazione della citata decisione si aggiunge che “cio’ non significa tuttavia che il dato fattuale in questione non possa assumere una valenza negativa”.
Ribadendo il consolidato indirizzo – espresso anche nella sentenza rescindente – secondo cui la minore offensivita’ del fatto va considerata nella sua concreta singolarita’ (e cioe’ effettiva consistenza lesiva) mediante la globale valutazione di tutti i dati sintomatici descritti dalla norma e delle relazioni intercorrenti tra i medesimi, si e’ affermato che se, da un lato, non e’ possibile un loro alternativo utilizzo per riconoscere od escludere la lieve entita’ del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri, d’altro lato non e’ neppure necessario che tali indici abbiano tutti indistintamente segno positivo o negativo. E’ possibile, tuttavia, che uno di essi assuma in concreto valore assorbente, si’ che la sua intrinseca espressivita’ sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o piu’ degli altri, ma e’ comunque necessario che una tale statuizione costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entita’ alla luce dei criteri normativizzati e non gia’ il suo presupposto.
3.5. Conclusivamente, la sentenza impugnata rivela come il giudice di merito abbia vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegato non illogicamente le ragioni della decisione facendo applicazione di corretti principi di diritto. I ricorrenti, per contro, non segnalano quali elementi, decisivi ai fini del giudizio, siano stati trascurati dalla corte territoriale, donde l’ulteriore profilo della genericita’ dei ricorsi.
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.

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