Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|23 agosto 2021| n. 23297.
Regolamento delle spese processuali e l’esito complessivo della lite.
Il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Nel caso di specie, in cui il ricorrente aveva lamentato che il giudice di seconde cure lo aveva condannato anche alla refusione delle spese di prime cure, senza considerare che l’appellante aveva concluso invocando soltanto la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile la censura in quanto il governo delle spese del doppio grado di giudizio costituiva conseguenza della riforma della sentenza di prime cure disposta dalla decisione oggetto di impugnazione; in tutti i casi in cui il giudice di appello accolga l’impugnazione principale, riformando la decisione di prime cure, osserva la pronuncia, egli è tenuto a regolare le spese del doppio grado, anche a prescindere dall’esistenza di un motivo di gravame sul punto, posto che la pronuncia sulle spese costituisce una diretta conseguenza di quella sui motivi di impugnazione; solo nei casi in cui l’appello sia rigettato, ovvero accolto in senso maggiormente favorevole per la parte già vittoriosa in prime cure, le spese di prime cure possono essere riviste dal giudice dell’impugnazione solo a condizione che, sul punto, sia stato proposto specifico motivo di gravame poiché in tale ipotesi viene meno il rapporto di necessaria conseguenzialità tra le due pronunce, sul merito e sulle spese). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, sentenza 29 ottobre 2019, n. 27606; Cassazione, sezione civile III, sentenza 26 settembre 2019, n. 23985; Cassazione, sezione civile III, ordinanza 12 aprile 2018, n. 9064).
Ordinanza|23 agosto 2021| n. 23297. Regolamento delle spese processuali e l’esito complessivo della lite
Data udienza 30 marzo 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Possesso – Controversia – Spese processuali – Onere – Ripartizione – Criteri – Esito complessivo della lite – Rilevanza – Liquidazione delle spese – Modifica – Capo della sentenza – Oggetto di specifico motivo d’impugnazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18041-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.c.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1082/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 31/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/03/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato (OMISSIS) evocava in giudizio il (OMISSIS) S.p.a. innanzi il Tribunale di Palermo, esponendo di essere proprietario di una porzione immobiliare sita al piano ammezzato dello stabile di (OMISSIS), lamentando che detto bene fosse stato occupato senza titolo dalla societa’ convenuta, ed invocando la condanna di quest’ultima al rilascio, alla cessazione delle molestie frapposte alla libera utilizzazione del cespite ed al risarcimento del danno. Si costituiva in giudizio la banca convenuta, invocando il rigetto della domanda in quanto il bene non era mai stato occupato, ma costituiva semplicemente porzione interclusa.
Con sentenza n. 4932/2010 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando il (OMISSIS) S.p.a. al rilascio del bene, ma rigettando le altre domande proposte dal (OMISSIS); la prima, di cessazione delle molestie, in quanto la societa’ convenuta si era comunque dichiarata disposta a consentire al (OMISSIS) l’accesso al bene di cui e’ causa; la seconda, in quanto il danno non era stato dimostrato dall’attore.
Interponeva appello avverso tale decisione (OMISSIS) S.c.p.c., avente causa dell’originaria convenuta, e si costituiva in seconde cure il (OMISSIS), per resistere al gravame.
Con la sentenza impugnata, n. 1082/2016, la Corte di Appello di Palermo accoglieva l’impugnazione, ritenendo che non fosse stato accertato ne’ il fatto che il bene del (OMISSIS) avesse un accesso autonomo, ne’ la circostanza che la societa’ appellante lo avesse effettivamente occupato.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione (OMISSIS), affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso (OMISSIS) S.c.p.a.
La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimita’ dell’adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1140, 948 e 949 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perche’ la Corte di Appello non avrebbe considerato che (OMISSIS), nel corso di un precedente giudizio instaurato da tale (OMISSIS), ed avente ad oggetto la medesima porzione immobiliare oggetto del presente giudizio, si era difesa allegando di aver comunque usucapito il bene immobile predetto. Ad avviso del ricorrente, in tal modo (OMISSIS) avrebbe espressamente riconosciuto il possesso, e quindi l’occupazione, del bene stesso. La linea difensiva della banca sarebbe stata la stessa anche nel presente giudizio, poiche’ il consenso all’accesso del (OMISSIS) manifestato da (OMISSIS) costituiva manifestazione di una signoria di fatto sulla porzione oggetto di causa.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2043 e 2056 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte distrettuale avrebbe dovuto rilevare l’esistenza di un danno risarcibile, derivante dall’occupazione senza titolo del bene immobile ad opera di (OMISSIS).
Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate. La Corte panormitana ha ritenuto che “… il (OMISSIS) sostanzialmente ammette, in diversi suoi atti difensivi, che la porzione di ammezzato oggetto del contendere, di sua proprieta’, e’ interclusa o non ha comunque accesso autonomo.
In primo luogo, in citazione esplicitamente riferisce che l’ammezzato de quo, allo stato, non ha autonomo accesso; nello stesso atto riferisce che “quest’ultimo immobile (e intende l’immobile limitrofo acquistato dal (OMISSIS)) che costituisce allo stato necessario accesso al piano ammezzato de quo…”; sempre in citazione, enunciando formalmente la domanda giudiziale, chiede, nei confronti di parte convenuta, “la restituzione di esso piano ammezzato e la cessazione delle molestie di fatto e di diritto, oltre che la determinazione del periodo in cui l’attore potra’ accedere al proprio immobile transitando per quello del (OMISSIS), per esercitare i propri diritti, nonche’ eseguire i lavori edili previsti…”. Tali frasi sembrano assolutamente in contraddizione con l’affermazione che l’immobile abbia un autonomo accesso dalla hall condominiale” (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata). La Corte siciliana aggiunge poi che il (OMISSIS) non ha comunque dimostrato l’esistenza dall’autonomo accesso al proprio bene, “… essendosi limitato a produrre in primo grado alcune planimetrie e foto dalle quali non emerge con chiarezza la situazione dei luoghi e quindi la condizione degli accessi all’ammezzato” (cfr. pag. 3 della sentenza). Ed infine, ha escluso che il (OMISSIS) avesse mai riconosciuto di occupare il bene controverso, “… poiche’ anche la dichiarata messa a disposizione ovvero la disponibilita’ dei propri funzionari a consentire la visita dell’immobile va spiegata alla luce della condizione di interclusione dell’ammezzato del (OMISSIS), condizione che, a questo punto, e’ da considerare accertata” (cfr. ancora pag. 3). Su tali considerazioni, che si risolvono in un accertamento di fatto non utilmente censurabile, in se’ stesso, in questa sede, la Corte distrettuale ha ritenuto che “Si deve pertanto concludere che l’appellante non detiene l’immobile, ma, piuttosto, che l’ammezzato, in quanto intercluso, non e’ liberamente accessibile dal proprietario”.
Il ricorrente propone, con le censure qui esaminate, una diversa lettura degli atti e delle risultanze istruttorie acquisite al giudizio di merito, invocando dunque un riesame del convincimento della Corte territoriale, da ritenersi contrario alla finalita’ ed alla natura del giudizio di legittimita’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Peraltro, la decisione impugnata e’ condivisibile, poiche’ l’accertamento della natura interclusa di un bene non implica l’automatica sussistenza di una sua occupazione abusiva da parte del proprietario del fondo intercludente. La prova di detta occupazione, pertanto, deve essere specifica e va fornita a cura della parte che abbia interesse a far valere l’occupazione stessa. Nel caso di specie, era dunque il (OMISSIS) a dover conseguire detta dimostrazione, cosa che – ad avviso del giudice di merito – non e’ avvenuta. Il rigetto della domanda di rilascio del bene e di risarcimento del danno da occupazione costituisce dunque diretta conseguenza della mancanza della prova del suo fatto costitutivo, rappresentato -appunto – dall’occupazione del cespite di cui e’ causa.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ il giudice di seconde cure lo avrebbe erroneamente condannato anche alla refusione delle spese di prime cure, senza considerare che (OMISSIS) aveva concluso invocando soltanto la compensazione delle spese del giudizio di primo grado.
La censura e’ inammissibile. Il governo delle spese del doppio grado di giudizio costituisce conseguenza della riforma della sentenza di prime cure, disposta dalla Corte di Appello con la sentenza oggi impugnata. Sul punto, il collegio ritiene di dover dare continuita’ al principio per cui “Il giudice di appello, allorche’ riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiche’ la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese puo’ essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018, Rv. 648466). Pertanto, in tutti i casi in cui il giudice di appello accolga l’impugnazione principale, riformando la decisione di prime cure, egli e’ tenuto a regolare le spese del doppio grado, anche a prescindere dall’esistenza di un motivo di gravame sul punto, posto che la pronuncia sulle spese costituisce una diretta conseguenza di quella sui motivi di impugnazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23985 del 26/09/2019, Rv. 655106). Solo nei casi in cui l’appello sia rigettato, ovvero accolto in senso maggiormente favorevole per la parte gia’ vittoriosa in prime cure, le spese di prime cure possono essere riviste dal giudice dell’impugnazione solo a condizione che, sul punto, sia stato proposto specifico motivo di gravame (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27606 del 29/10/2019, Rv. 655640), poiche’ in tale ipotesi viene meno il rapporto di necessaria conseguenzialita’ tra le due pronunce, sul merito e sulle spese.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimita’, regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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