Il regime probatorio delle variazioni dell’opera

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 13 dicembre 2019, n. 32989.

La massima estrapolata:

In tema di appalto, il regime probatorio delle variazioni dell’opera muta a seconda che queste ultime siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore o a quella del committente poiché, nel primo caso, l’art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto “ad substantiam”, mentre, nel secondo, l’art. 1661 c.c. consente, secondo i principi generali, all’appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente. (Nella specie, sul presupposto che la disciplina contrattuale ricalcava quella del codice civile agli artt. 1659 e 1661 c.c., la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia nella corte d’appello che si era limitata a prendere atto della mancanza di autorizzazione scritta, mentre avrebbe dovuto verificare se le variazioni fossero state o meno autorizzate dalla committente e assumere al riguardo le prove ritualmente dedotte dall’appellante).

Sentenza 13 dicembre 2019, n. 32989

Data udienza 6 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 28661-2015 proposto da:
(OMISSIS) IN LIQUIDAZIONE SRL in persona del Liquidatore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1852/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/06/2019 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che si riporta agli atti depositati.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 5 febbraio 2004 il (OMISSIS) s.r.l. – premesso di aver stipulato un contratto di appalto con la societa’ (OMISSIS) s.r.l. per i lavori di ristrutturazione di un immobile e di trasformazione del medesimo a residenza sanitaria assistenziale per anziani non autosufficienti – conveniva in giudizio la societa’ (OMISSIS), deducendo, in sostanza, l’irricevibilita’ dell’opera per sussistenza di gravi vizi o difetti, tali da renderla parzialmente o totalmente inidonea all’uso, e chiedendo la condanna della societa’ (OMISSIS) “a sostenere i costi per l’eliminazione dei vizi in misura non inferiore ad Euro 1.027.025,90 e, in aggiunta o in alternativa, a ridurre i costi dell’appalto entro limiti non inferiori a tale somma, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione della differenza pari ad Euro 5.313,97 e, in ogni caso, a corrispondere la penale contrattuale da ritardo pari ad Euro 2.582,28 giornaliere, oltre alle spese di direzione lavori e assistenza tecnica per una somma complessiva non inferiore ad Euro 970.938,97, nonche’ al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento per un importo non inferiore ad Euro 2.759.956”; in via subordinata, il (OMISSIS) chiedeva la risoluzione del contratto di appalto a fronte del grave inadempimento della societa’ convenuta.
Costituitasi in giudizio, la societa’ (OMISSIS)Nava (OMISSIS) s.r.l. chiedeva e otteneva il differimento dell’udienza per effettuare la chiamata in causa della societa’ (OMISSIS) s.r.l. e della ditta individuale Elettrica (OMISSIS), a cui aveva subappaltato parte dei lavori; la societa’ convenuta proponeva altresi’ domanda riconvenzionale per fare accertare il proprio diritto di credito e l’inadempimento del (OMISSIS) in relazione al pagamento del prezzo residuo dell’appalto, oltre al risarcimento del danno cagionato.
Espletata la disposta consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 10476/2010 il Tribunale di Milano accertava la responsabilita’ di (OMISSIS) s.r.l. per i vizi e i difetti delle opere eseguite nonche’ per il ritardo nella consegna delle stesse per complessivi Euro 602.724,88 e la condannava a corrispondere al (OMISSIS), a titolo risarcitorio, Euro 99.110,39; accertava inoltre il diritto di credito di (OMISSIS) s.r.l. in Euro 313.454,93, condannando il (OMISSIS) al pagamento in suo favore di detta somma; rigettava le domande proposte da (OMISSIS) s.r.l. nei confronti delle societa’ terze chiamate, accogliendo l’eccezione da queste sollevate di decadenza dalla garanzia.
2. Avverso la sentenza proponeva appello principale (OMISSIS)Nava (OMISSIS) s.r.l., insistendo per l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata in primo grado e, pertanto, chiedendo l’accertamento del suo diritto di credito nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.r.l.) per complessivi Euro 1.227.500,98 a titolo di saldo del prezzo di appalto, nonche’ l’accertamento dell’inadempimento di GDF alla propria obbligazione di pagamento del prezzo residuo dell’appalto, delle scritture integrative e delle varianti commissionate ed eseguite con conseguente condanna generica di GDF al risarcimento del danno; chiedeva inoltre il rigetto della domanda della societa’ attrice e, in subordine, la riduzione della penale pattuita a causa della sua manifesta eccessivita’; insisteva infine per l’accertamento della responsabilita’ delle terze chiamate, con conseguente condanna delle medesime, in solido, al pagamento della somma di Euro 62.874,30. Si sono costituite tutte le societa’ appellate ( (OMISSIS), la curatela fallimentare di (OMISSIS) ed Elettrica (OMISSIS)), che hanno proposto appello incidentale.
Con sentenza 29 aprile 2015, n. 1852, la Corte d’appello di Milano ha accolto l’appello principale limitatamente alla censura inerente gli errori contabili, nella ricostruzione degli importi relativi ai vizi a carico dell’appellante, contenuti nella sentenza di primo grado, quindi riformandola con riferimento alla somma dovuta dalla societa’ appellante, erroneamente quantificata dal Tribunale in Euro 99.110,39 anziche’ in Euro 36.235,58; ha rigettato per il resto l’appello principale nonche’ gli appelli incidentali (confermando, per le terze chiamate, la decadenza dalla garanzia di (OMISSIS)).
3. Contro la sentenza ricorre in cassazione (OMISSIS)Nava (OMISSIS) in liquidazione s.r.l..
Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso e’ articolato in tre motivi.
1) Il primo motivo lamenta il “mancato riconoscimento delle opere aggiuntive e in variante eseguite da (OMISSIS) s.r.l. nel corso del rapporto di appalto” per “violazione e falsa applicazione degli articoli 1372, 1362 e 1363 c.c. in ordine all’ermeneutica proposta dell’articolo 31 del capitolato speciale di appalto, nonche’ degli articoli 1659 e 1661 c.c., nella parte in cui e’ stata dichiarata la giuridica irrilevanza (in assoluto) della distinzione tra varianti richieste dal committente e varianti richieste dall’appaltatore”; in ogni caso, volendo aderire all’ermeneutica seguita dalla sentenza impugnata, per “violazione e falsa applicazione degli articoli 1372, 1362 e 1363 c.c., ex articolo 360 c.p.c., n. 3, ove, nel contesto della sentenza impugnata, si applica la disciplina propria delle varianti, intese come variazioni e/o modifiche delle opere oggetto di appalto, ad opere aggiunte e ulteriori richieste dalla committente”.
Il motivo e’ fondato. La ricorrente aveva lamentato, con specifico motivo d’appello (trascritto alle pp. 26-33 del ricorso), il mancato riconoscimento del pagamento di tutte le opere aggiuntive e in variante, quantomeno nella misura accertata dal consulente tecnico d’ufficio, ossia, oltre a Euro 196.816,93 (somma riconosciuta dal primo giudice e relativa alle varianti approvate per iscritto), anche Euro 410.431,96, somma relativa alle varianti eseguite, ma non approvate per iscritto. La doglianza e’ stata disattesa dalla Corte d’appello che ha ritenuto, come gia’ il primo giudice, che in base all’articolo 31 del contratto d’appalto fosse necessaria l’autorizzazione scritta del committente, senza possibilita’ di distinguere tra varianti richieste dall’appaltatore e varianti richieste dal committente e a prescindere dalla natura dell’opera (se variante o opera extra capitolato), cosi’ che correttamente il primo giudice non aveva ammesso le dedotte prove orali volte a provare l’autorizzazione.
L’ermeneutica offerta dal giudice d’appello e’ erronea. L’articolo 31 del contratto d’appalto, intitolato varianti in corso d’opera, si’ prevede al n. 1, riprendendo il dettato di cui all’articolo 1659 c.c., che “l’appaltatore non potra’ senza specifica autorizzazione scritta della committente apportare varianti di qualsiasi natura ed entita’ alle opere”, ma poi al n. 4, che richiama l’articolo 1661 c.c., prevede che la committente “potra’ ordinare senza limitazione alcuna (..) ogni variante e/o lavoro aggiuntivo”, specificando al n. 6 che “le eventuali varianti, integrazioni e modifiche aggiuntive delle opere appaltate, espressamente richieste o comunque autorizzate dalla committente, saranno compensate a misura”. La disposizione contrattuale, pertanto, ricalca quanto dettato dal codice civile agli articoli 1659 e 1661 c.c. (derogando a quest’ultimo unicamente per la possibilita’ di superare, per le variazioni al progetto, l’ammontare di un sesto del prezzo complessivo convenuto), distinguendo – a differenza di quanto afferma la Corte d’appello – tra variazione richiesta dal committente e variazione apportata su sua iniziativa dall’appaltatore. La distinzione comporta un diverso regime probatorio: se e’ dovuta all’iniziativa dell’appaltatore, l’articolo 1659 c.c., richiede che la modifica sia autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto ad substantiam, se invece e’ richiesta dal committente “l’articolo 1661 c.c., consente, secondo i principi generali, all’appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente” (cosi’, ex multis, Cass. 19099/2011).
La Corte d’appello, pertanto, non poteva limitarsi a prendere atto della mancanza di autorizzazione scritta, ma doveva verificare se le variazioni erano state o meno autorizzate dalla committente e assumere al riguardo le prove ritualmente dedotte dall’appellante.
2) Il secondo motivo lamenta l'”inconsistenza del diritto al pagamento delle penali” per “violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e 1325 c.c., con riferimento all’articolo 1382 c.c.”, per avere il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, dopo, dichiarato la responsabilita’ dell’appaltatrice per la penale nonostante l’avvenuta dimostrazione dell’impossibilita’ di rispettare il termine pattuito per causa ad essa non imputabile.
Il motivo e’ in parte fondato, in parte assorbito a seguito dell’accoglimento del precedente motivo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la richiesta di notevoli e importanti variazioni delle opere, avanzata in corso di esecuzione dei lavori dal committente, comporta la sostituzione consensuale del regolamento contrattuale in essere e il venir meno del termine di consegna e della penale per il ritardo originariamente pattuiti” e “l’efficacia della penale e’ conservata soltanto se le parti fissano di comune accordo un nuovo termine mentre, in mancanza, grava sul committente, che intenda conseguire il risarcimento del danno da ritardata consegna dell’opera, l’onere di fornire la prova della colpa dell’appaltatore” (cosi’, da ultimo, Cass. 9152/2019).
Il giudice d’appello – a fronte di una consegna avvenuta il 30 ottobre 2002 con un termine fissato per il 30 giugno 2002, senza (a quanto afferma la ricorrente) la comune fissazione di un nuovo termine e a seguito dell’esecuzione di numerose varianti – non si e’ pronunciato sul grado e sull’importanza delle variazioni e sul superamento o meno del termine di consegna, ma si e’ limitato a confermare la decisione di primo grado che, seguendo le indicazioni del consulente tecnico d’ufficio, aveva computato in sessanta giorni il ritardo e aveva dimezzato l’importo giornaliero della penale fissato nel contratto, affermando che l’appaltatrice non aveva provato l’eventuale responsabilita’ di terzi nella causazione del ritardo, cosi’ addossando all’appaltatrice l’onere della prova.
L’accoglimento del primo motivo comporta che la questione debba comunque essere rivista dal giudice di merito, all’esito dell’indagine circa l’autorizzazione delle variazioni in precedenza non riconosciute.
3) Il terzo motivo contesta, in relazione ai “presunti vizi dell’opera oggetto di appalto”, “omissione di pronuncia, violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. La Corte d’appello non si sarebbe pronunciata in merito: alle contestazioni sollevate dall’appellante con il motivo di gravame, trascritto alle pp. 59-69 del ricorso, e in particolare quelle inerenti lo storno della sola somma di Euro 61.804,50 in luogo della maggiore somma di Euro 101.512, considerata dal consulente tecnico d’ufficio necessaria per la sostituzione e/o il deprezzamento delle unita’ motocondensanti; alle censure relative alle “contestazioni formulate dal consulente tecnico d’ufficio, nonche’ alle modifiche da apportarsi all’opera non richieste dalla committente, ma ritenute opportune dal consulente e fatte proprie dal Tribunale e dalla Corte d’appello” e piu’ in generale alla impostazione seguita dal consulente d’ufficio; alla circostanza che, a distanza di svariati anni, la committente aveva documentato esborsi per la minor somma di Euro 139.808,49 inclusivi degli impianti elettrici e non avesse mai proceduto al rifacimento degli impianti.
Il motivo non puo’ essere accolto. Il denunciato vizio di omessa pronuncia non sussiste essendosi il giudice d’appello pronunciato sul motivo (v. pp. 7-8 della sentenza impugnata). In particolare, il giudice si e’ pronunciato circa il fatto che il committente abbia posto rimedio ai vizi per un importo inferiore a quello stimato, come riconosce la stessa ricorrente sostenendo che il giudice d’appello prende posizione al riguardo “in maniera alquanto laconica”, si e’ altresi’ pronunciato sulle contestazioni relative all’operato del consulente tecnico, affermando di condividere integralmente la motivazione con la quale il giudice di primo grado ha compiutamente risposto alle critiche alla consulenza svolte dall’appellante in relazione ai vizi degli impianti e in particolare a quelli di climatizzazione, tenendo debito conto della responsabilita’ del progettista e dell’importo complessivo dei vizi/difetti; condivisione dell’operato del primo giudice che si e’ estesa agli importi, compreso lo storno concernente le unita’ motocondensanti, importi rispetto ai quali il giudice d’appello ha peraltro accolto la doglianza relativa agli errori di calcolo.
2. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai due motivi accolti e la causa rinviata alla Corte d’appello di Milano, che la decidera’ attenendosi ai principi di diritto sopra ricordati; il giudice di rinvio provvedera’ anche in relazione alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, rigetta il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa a diversa sezione della Corte d’appello di Milano, che provvedera’ anche in relazione alle spese del giudizio di legittimita’.

 

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