Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 8 maggio 2019, n. 19702.

 

Sentenza 8 maggio 2019, n. 19702

Data udienza 5 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Tere – rel. Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/12/2017 del TRIBUNALE di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa MARIA TERESA BELMONTE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dott. LIGNOLA FERDINANDO;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
udito il difensore;
LA DIFESA DI PARTE CIVILE SI RIPORTA ALLE CONCLUSIONI CHE DEPOSITA CON NOTA SPESE;
L’AVV.TO (OMISSIS) CHIEDE L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Bari in confermava la decisione del Giudice di Pace di quella citta’, che aveva condannato l’imputata alla pena di giustizia, oltre al pagamento delle spese processuali, ritenendola colpevole del reato di minacce aggravate nei confronti sorelle (OMISSIS) e (OMISSIS); fatti commessi nei giorni (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS).
2. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso l’imputata a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per tre motivi:
2.1 Con il primo motivo, deduce erronea applicazione dell’articolo 612 c.p., in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, in assenza di idoneita’ delle parole minatorie a incutere timore per la loro inverosimiglianza.
2.2 Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui difetta l’individuazione delle persone che sarebbero state oggetto delle asserite frasi minacciose.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta vizio della motivazione, con riferimento alle deduzioni in appello relative alle contraddittorieta’ tre le varie deposizioni inerenti sia alle presunte frasi minacciose che alla identificazione dell’autore delle frasi minacciose.
2.4. Con memoria difensiva depositata il 13.2.2019 la difesa della ricorrente ha riproposto i medesimi motivi e insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile.
1.1. Esso, infatti, oltre che riversato in fatto, nel richiedere al Collegio di rivalutare i risultati delle indagini di merito in ordine alla vicenda delittuosa di cui si e’ reso protagonista l’imputato, ripropone i medesimi rilievi gia’ prospettati nell’impugnazione dinanzi al giudice dell’appello, in ordine ai quali la Corte territoriale ha reso adeguata e sufficiente motivazione, giustificando le ragioni della decisione con argomenti immuni da fratture logiche, oltre che conformi ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’. E’ noto che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con aggiunta di espressioni incidentali di censura alla sentenza impugnata, meramente assertive e apodittiche, in assenza di critica argomentata avverso il provvedimento impugnato e l’indicazione delle ragioni della loro decisivita’ rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Se. 6 n. 13449/2014, Kasem, Sez. 5, n. 8700 del 21/01/2013, Rv. 254584; Sez. 5 n. 28011/2013; Sez. 6 n. 22445/2009 Sez. 5 n. 11933/2005; Sez. 4 n. 15497/2002; Sez. 5 n. 2896/1999). Si e’ precisato che il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e’ inammissibile perche’ trattasi di motivi non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di a-specificita’, conducente, a mente dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c) all’inammissibilita’ (Sez. 4 n. 47170 dell’811/2007, Nicosia,; Sez. 4 n. 256/1998, Rv. 210157; Sez. 4 n. 1561/1993, Rv 193046.).
1.2 In realta’ la ricorrente omette di confrontarsi con l’incedere argomentativo sviluppato dal tribunale il quale, invece, ha dato adeguatamente conto del proprio convincimento in ordine a tutte le doglianze difensive, premettendo di condividere pienamente il tessuto motivazionale della sentenza di primo grado che, infatti, ha pienamente confermato.
1.3. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, in sintesi, il (OMISSIS) le sorelle (OMISSIS) si trovavano nella loro casa, un appartamento all’interno del condominio in cui vive anche l’imputata, e di cui (OMISSIS) e’ l’amministratrice, ed erano in compagnia di un’amica e collega, l’avv. (OMISSIS), quando sentirono urlare la (OMISSIS) che, riferendosi all’amministratrice, diceva “Questa e’ una ladra, questa la deve pagare, la porto in tribunale, deve avere paura”. Il (OMISSIS) successivi, sentivano nuovamente la (OMISSIS) pronunciare, urlando, frasi dello stesso tipo, e precisamente: “La levo davanti, prima che te ne vai ti devo uccidere”; “Questa fa la padrona del condominio, deve smetterla, io ho gli stessi millesimi…mettero’ una bomba faro’ saltare in aria tutte le puttane”.
2. Come premesso, il ricorso investe, in primis, il punto della decisione in cui il giudice di appello ha ritenuto integrato il reato di minaccia grave.
2.1 E’ opportuno ricordare che la minaccia consiste nella prospettazione di un male futuro, il cui avverarsi dipende dalla volonta’ dell’agente, richiedendosi l’idoneita’ della stessa a turbare psicologicamente la persona offesa, in altre parole, a intimidirla. Tale idoneita’, peraltro, non va scambiata con l’effettiva intimidazione, non potendosi, in ipotesi, il reo avvantaggiare della particolare forza d’animo della persona offesa, e non va determinata, pertanto, sulla base dell’effetto concretamente verificatosi, ma ex ante, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto che, in base a un criterio medio o per le particolare conoscenze dell’agente, potevano essere considerate al momento della condotta. E il danno grave di cui al capoverso dell’articolo 612 c.p. – che e’ tale quando e’ grave il danno minacciato – va valutato tenendo conto di tutte le circostanze concrete. (Sez. 5 n. 43380 del 26/09/2008, rv. 242188; conf. sez. 5 del 4 marzo 2015, P.G. c. Vecchione, non massimata; Sez. 5 n. 44382 del 29/05/2015, Rv. 266055; Sez. 6 n. 35593 del 16/06/2015, Rv. 264341);
2.2. In tale cornice ermeneutica la Corte territoriale si e’ adeguatamente mossa per motivare la decisione con la quale ha riconosciuto la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di minaccia nelle parole pronunciate dalla imputata, nelle quali vi erano espresse minacce di morte con il riferimento all’intenzione di fare uso di una bomba. Con l’espressione “minaccia grave” contenuta nell’articolo 612 c.p., comma 2, il legislatore ha inteso dare rilievo al turbamento psichico che l’atto intimidatorio puo’ cagionare nel soggetto passivo, e, ai fini della valutazione della gravita’, i criteri che debbono orientare il giudice di merito nel suo prudente apprezzamento sono costituiti dal tenore delle espressioni verbali profferite e dal contesto in cui esse vengono pronunciate, con valutazione suscettibile di controllo da parte del Giudice di legittimita’ sotto il profilo della logicita’ e completezza della motivazione. Valutazione che il giudice di merito deve compiere, dunque, al fine di verificare se e in quale grado le minacce abbiano ingenerato timore o turbamento nella persona offesa.(Sez. 5 n. 43380 del 26/09/2008, De Marco, Rv. 242188; Sez. 1, n. 9314 del 05/04/1990, Monteleone, Rv. 184724).
2.3. Nel caso di specie, il giudice gravato ha applicato congiuntamente i predetti criteri, calati nella peculiarita’ della vicenda concreta, considerando che la minaccia ha costituito la modalita’ con la quale l’imputata ha inteso focalizzare il proprio astio verso le due persone offese – una delle quali amministratrice del condominio nel quale tutte le parti coabitano – in un contesto che, in quel momento, non era connotato da alcuna animosita’ che potesse fare da sfondo a uno scambio di parole la cui valenza intimidatoria poteva essere esclusa dalla partecipazione della persona offesa alla contesa. Il Tribunale dell’appello ha rilevato che, invece, quelle parole non trovavano altra giustificazione se non nell’intento dell’imputata di sfogarsi, peraltro pubblicamente – con atteggiamento di pesante e aggressiva contestazione – prendendo di mira le due persone offese. La motivazione fornita dal giudice di merito in ordine alla gravita’ della minaccia si appalesa, dunque, adeguata ai fatti, giuridicamente corretta, perche’ fondata saldamente sul consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, e logicamente supportata, donde, la sua incensurabilita’ in questa sede, e la inammissibilita’ del motivo.
3. Del pari manifestamente infondati sono gli altri motivi di ricorso che tendono a una ricostruzione alternativa del materiale probatorio finalizzata a una diversa ricostruzione dei fatti, tuttavia inibite in sede di legittimita’. Come affermato gia’ da Sez. U. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano e da Sez. U. n. 6402/1997, Dessimone, Rv. 207944, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali, il cui apprezzamento e’ riservato in via esclusiva al giudice di merito. (Sez. U. n. 930 del 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428). D’altro canto i medesimi motivi qui prospettati sono stati gia’ fatti oggetto dell’appello e disattesi con congrua motivazione dal tribunale, dovendosi ricordare che il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e’ inammissibile perche’ trattasi di motivi non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di a-specificita’, conducente, a mente dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ (Sez. 4 n. 47170 dell’811/2007, Nicosia,; Sez. 4 n. 256/1998, Rv. 210157; Sez. 4 n. 1561/1993, Rv 193046.). Nella sentenza impugnata e’ riscontrabile puntuale motivazione in ordine alla ritenuta attendibilita’ delle persone offese, in ragione dell’assenza di prova in ordine all’intento calunnioso, e alla credibilita’ anche delle testimonianze di altri condomini che hanno riscontrato la ricostruzione dei fatti fornita dalle denuncianti, concorrendo alla certa individuazione dell’autore del reato, non rilevando minime e comprensibili incongruenze.
4. Alla declaratoria d’inammissibilita’ segue, per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in Euro 3000,00, nonche’ la condanna alla refusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, da liquidarsi come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000 a favore della Cassa delle Ammende, nonche’ alla refusione delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2200 oltre accessori di legge.

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