Reati della stessa indole

Corte di Cassazione, sezione terza penale,
Sentenza 6 dicembre 2019, n.49717

Massima estrapolata:

Ai sensi dell’art. 101 c.p. reati della stessa indole sono non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni. Alla stregua di tale criterio, più reati possono considerarsi omogenei per comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali si sono realizzati, quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l’inclinazione verso un’identica tipologia criminosa, ovvero quando le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalità di aggressione dell’altrui diritti rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa

Sentenza 6 dicembre 2019, n.49717

Pres. Ramacci

est. Liberati

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 15 marzo 2019 la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della sentenza del 18 ottobre 2016 del Tribunale di Livorno, con cui B.R. era stato condannato alla pena di un mese e quindici giorni di reclusione e 300,00 Euro di multa, in relazione al reato di cui alla L. n, 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis, (per avere, quale legale rappresentante della Riparazioni Darsena Toscana, omesso di versare all’Inps le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori nel mese di novembre 2009, per Euro 8.912,00, nonchè da dicembre 2009 a gennaio 2010 e da settembre 2010 a dicembre 2010, per complessivi Euro 72.774,00).
La Corte territoriale, dato atto del superamento della soglia di punibilità di Euro 10.000,00 annui, essendo pari a complessivi Euro 23.961,00 i contributi non versati per i mesi di novembre e dicembre 2009 e a Euro 57.725,00 quelli relativi ai mesi di gennaio, settembre, ottobre, novembre e dicembre 2010, ha ribadito la configurabilità della recidiva, stante l’irrilevanza al riguardo dei motivi che avevano indotto l’imputato a omettere i versamenti oggetto della contestazione (consistenti, secondo quanto affermato dall’imputato, nella esigenza di pagare le retribuzioni ai dipendenti e assicurare in tal modo la prosecuzione della attività d’impresa), sottolineando il numero delle omissioni, la loro offensività e la reiterazione di condotte dello stesso genere, giudicate manifestazione della indifferenza al precetto penale. E’ stata, inoltre, disattesa la richiesta di conversione della pena detentiva, sia per l’esistenza di elementi negativi in ordine alla prognosi di adempimento, sia a causa di condizioni soggettive ostative ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 59.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha denunciato la violazione e l’erronea applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 53, 58 e 59, in relazione al rigetto della propria richiesta di conversione della pena detentiva inflittagli nella pena pecuniaria di specie corrispondente, in quanto la misura della pena detentiva inflitta ne consentiva la sostituzione ed era stata omessa la valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tale beneficio, che avrebbe dovuto essere compiuta sulla scorta dei criteri di cui all’art. 133 c.p., giacchè anche la pena sostitutiva aveva natura di vera e propria pena. Non erano, in particolare, state adeguatamente considerate le condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato, che aveva omesso il versamento delle ritenute per garantire il pagamento delle retribuzioni ai lavoratori e anche dei debiti esistenti nei confronti di Gerit Equitalia. La solvibilità dell’imputato, proprietario di un immobile adibito ad abitazione e titolare di reddito da lavoro, avrebbe poi dovuto indurre la Corte territoriale a formulare una prognosi positiva di adempimento.
Il rilievo della esistenza di cause soggettive ostative ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 59 risultava, poi, generico ed errato, in quanto il Tribunale di Livorno, con ordinanza del 23/12/2016, aveva revocato i provvedimenti di cui ai punti 1, 2 et 6 del casellario giudiziale dell’imputato, perchè fatti non più previsti dalla legge come reato, cosicchè a carico del ricorrente residuavano solamente una condanna del 2006 per omesso versamento di ritenute previdenziali realizzate dal 2001 al 2003 (in relazione alla quale la pena detentiva era stata sostituita nella pena pecuniaria di specie corrispondente) e una condanna del 2009 per omesso versamento di ritenute certificate ex D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, commesso il (OMISSIS) (in relazione alla quale la pena era stata condonata ai sensi della L. n. 241 del 2006), cosicchè doveva escludersi che l’imputato fosse stato condannato nei dieci anni anteriori più di due volte per reati della stessa indole, e quindi poteva essere ritenuto meritevole del beneficio, non essendo configurabile la condizione ostativa di cui al L. n. 689 del 1981, art. 59, comma 2, lett. a).

Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato.
2. La Corte d’appello, nel disattendere l’impugnazione dell’imputato, limitata alla recidiva e alla conversione della pena detentiva, non essendo stati sollevati rilievi in ordine alla affermazione di responsabilità, con la conseguente formazione del giudicato sul punto, ha ribadito la configurabilità della recidiva e ha escluso la sussistenza dei presupposti per poter disporre l’invocata conversione della pena detentiva in quella pecuniaria di specie corrispondente, rilevando, quanto a tale richiesta, una presunzione di inadempimento del condannato e la sussistenza di condizioni ostative ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 59.
Tale decisione è stata censurata dal ricorrente, che ha lamentato l’insufficienza della motivazione, nella parte relativa alla valutazione sfavorevole della personalità dell’imputato e al giudizio prognostico negativo di adempimento della pena pecuniaria, e l’erroneità della affermazione della esistenza di condizioni soggettive ostative ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 59 sottolineando che con ordinanza del 23 dicembre 2016 il Tribunale di Livorno, quale giudice dell’esecuzione, aveva revocato i provvedimenti di cui ai punti 1, 2 et 6 del certificato del casellario giudiziale dell’imputato, perchè relativi a fatti non più previsti dalla legge come reato, cosicchè a carico dell’imputato residuavano solamente due precedenti cronologicamente rilevanti, costituiti dal un decreto penale di condanna del 2006, relativo a un fatto di omesso versamento di ritenute previdenziali, commesso dal 2001 al 2003, in relazione al quale era stata disposta la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, e da una condanna del 2009, divenuta definitiva nel 2010, relativa a un fatto di omesso versamento di ritenute certificate in violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, commesso nel 2007, con la conseguente sussistenza dei presupposti per la sostituzione erroneamente negata dalla Corte d’appello, in quanto solamente la precedente condanna per omesso versamento di ritenute previdenziali poteva essere considerata reato della stessa indole (come tale ostativo ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 59, comma 1, lett. a).
3. Va dunque ricordato che la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 59, recante modifiche al sistema penale, nello stabilire le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva, stabilisce che ‘La pena detentiva non può essere sostituita nei confronti di coloro che, essendo stati condannati, con una o più sentenze, a pena detentiva complessivamente superiore a tre anni di reclusione, hanno commesso il reato nei cinque anni dalla condanna precedente. La pena detentiva, se è stata comminata per un fatto commesso nell’ultimo decennio, non può essere sostituita: a) nei confronti di coloro che sono stati condannati più di due volte per reati della stessa indole; b) nei confronti di coloro ai quali la pena sostitutiva, inflitta con precedente condanna, è stata convertita, a norma dell’art. 66, comma 1, ovvero nei confronti di coloro ai quali sia stata revocata la concessione del regime di semilibertà; c) nei confronti di coloro che hanno commesso il reato mentre si trovavano sottoposti alla misura di sicurezza della libertà vigilata o alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, disposta con provvedimento definitivo ai sensi delle L. 27 dicembre 1956, n. 1423, e L. 31 maggio 1965, n. 575’.
Nel caso in esame dal certificato del casellario giudiziale dell’imputato risulta che costui, nell’ultimo decennio, è stato condannato:
– dal Tribunale di Livorno, con decreto penale del 18/1/2006, irrevocabile il 1/3/2006, per omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, commesso dal 2001 al 2003;
– dalla Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 27/11/2009, irrevocabile il 23/11/2010, per omesso versamento di ritenute certificate commesso il (OMISSIS);
– dal Tribunale di Livorno, con sentenza del 12/7/2011, irrevocabile il 25/9/2011, per omesso versamento di ritenute certificate relativo all’anno 2005.
Ne consegue la sussistenza della causa ostativa rilevata dal Tribunale, posto che nel decennio anteriore alla pronuncia della sentenza di condanna l’imputato è stato condannato per più di due volte, nella specie per tre volte, per l’omesso versamento di ritenute previdenziali e di ritenute certificate, sanzionato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, avente la medesima indole di quello di omesso versamento di ritenute previdenziali oggetto della sentenza impugnata, in considerazione delle caratteristiche fondamentali comuni delle condotte, tutte di natura omissiva, realizzate in relazione a obblighi derivanti dalla attività di impresa svolta dall’imputato, in particolare al dovere di versamento di somme che l’imprenditore aveva l’obbligo di accantonare e versare nell’interesse dei propri dipendenti (per contributi previdenziali e assistenziali nel caso del reato di cui alla L. n. 638 del 1983, art. 2 e per ritenute fiscali nel caso del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis).
Questa stessa Terza Sezione ha, infatti, già affermato, e si tratta di principio che il Collegio condivide e ribadisce, che ai sensi dell’art. 101 c.p. reati della stessa indole sono non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni. Alla stregua di tale criterio, più reati possono considerarsi omogenei per comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali si sono realizzati, quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l’inclinazione verso un’identica tipologia criminosa, ovvero quando le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalità di aggressione dell’altrui diritti rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa (Sez. 3, n. 3362 del 04/10/1996, Barrese, Rv. 20653; conf. Sez. 3, n. 3055 del 30/09/1997, Caiafa, Rv. 209370; Sez. 1, n. 46138 del 27/10/2009, Rombolà, Rv. 245504; Sez. 2, n. 40105 del 21/10/2010, Apostolico, Rv. 248774; Sez. 6, n. 53590 del 20/11/2014, Genchi, Rv. 261869).
Nel caso in esame pare evidente la identità dell’indole del reato oggetto della sentenza impugnata e di quelli di cui alle precedenti condanne dallo stesso riportate, determinati da motivi analoghi (e cioè dalla intenzione di trattenere somme dovute agli enti previdenziali o all’erario), aventi identica struttura (omissiva) e realizzati nel medesimo contesto (cioè nell’ambito e in relazione alla attività di impresa svolta dall’imputato), indicativi, dunque, dell’attitudine dell’imputato a commettere reati qualitativamente omogenei e dell’insufficiente efficacia dissuasiva della misura sostitutiva, nei confronti di un soggetto che non ha dimostrato alcun ravvedimento nonostante un trattamento punitivo maggiormente stigmatizzante, che costituisce la ratio della esclusione soggettiva stabilita dalla L. n. 689 del 1981, art. 59, comma 1, lett. a), (cfr., Sez. U, n. 1601 del 13/01/1995, Saccomanno, Rv. 200043).
Ne consegue, in definitiva, la correttezza del rilievo della sussistenza di una preclusione soggettiva alla conversione della pena detentiva, idonea a escludere la concedibilità di tale beneficio, che comporta anche l’assorbimento delle censure relative alla sufficienza e alla idoneità della motivazione in ordine al giudizio di meritevolezza del beneficio e alla presunzione di inadempimento alla obbligazione di pagamento della pena pecuniaria.
3. Il ricorso in esame deve, dunque, essere respinto, stante l’infondatezza delle censure cui è stato affidato.
Al rigetto del ricorso consegue l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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