Rapina propria e rapina impropria

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 17 giugno 2019, n. 26596.

La massima estrapolata:

A differenza della rapina propria (articolo 628, comma 1, del Cp), per la cui consumazione – come per il furto – è necessaria la verificazione dell’evento dell’“impossessamento” della cosa mobile altrui, per la consumazione della rapina impropria (articolo 628, comma 2, del Cp) è invece sufficiente il solo perfezionamento della “sottrazione”. Difatti, nella rapina impropria, l’impossessamento non costituisce l’elemento materiale della condotta incriminata – ossia l’evento del reato la cui verificazione è determinante ai fini della sua consumazione – bensì l’oggetto del dolo specifico, richiesto dalla norma incriminatrice in alternativa allo scopo di assicurare a sé o ad altri l’impunità. Ne deriva che la “sottrazione”, quale componente dell’elemento materiale del reato di rapina, assume un ruolo centrale sotto un duplice profilo. In primo luogo, il momento temporale in cui essa si perfeziona rispetto alla violenza (o alla minaccia) segna il discrimine tra la rapina propria e impropria: infatti, nella fattispecie di cui all’articolo 28, comma 1, del Cp, la violenza o minaccia costituiscono le modalità attuative attraverso cui la sottrazione viene posta in essere, che dunque segue (e non precede) le condotte violente o minacciose. Invece, nella rapina impropria, la sottrazione deve avvenire – come nel furto – senza violenza o minaccia e, perciò, deve precedere (e non seguire) le condotte violente o minacciose, le quali sono poste in essere dall’agente non al fine di sottrarre la cosa mobile altrui – come per la rapina propria -, ma al fine di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta ovvero l’impunità. In secondo luogo, la sottrazione costituisce l’elemento determinante ai fini della distinzione tra rapina impropria consumata e rapina impropria tentata: infatti, essendo l’impossessamento un elemento facente parte del dolo specifico della rapina impropria e non l’evento del reato, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui – ossia lo spossessamento – l’impiego della violenza (o della minaccia) da parte dell’agente, al fine di conseguire il possesso della res (ovvero l’impunità), costituisce rapina impropria consumata – e non già rapina impropria tentata indipendentemente dalla verificazione in concreto anche dell’impossessamento.

Sentenza 17 giugno 2019, n. 26596

Data udienza 29 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppi – rel. Consigliere

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2459/2014, emessa il 9.7.2014 dalla Corte d’Appello di Firenze;
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nella pubblica udienza del 29.5.2019 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Dott. Giulio Romano, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 9 luglio 2014 la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa dal GIP del Tribunale della stessa citta’ il 20 luglio 2011, con cui (OMISSIS) e’ stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’articolo 628 c.p., comma 2.
Avverso la sentenza d’appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, non essendo i fatti stati qualificati come tentato furto e resistenza a pubblico ufficiale, cosi’ come originariamente contestati. Secondo il ricorrente, la complessiva condotta a lui addebitata si sarebbe dovuta sussumere in piu’ fattispecie, ossia in quella del furto aggravato – perche’ il mezzo sottratto, previa effrazione del bloccasterzo, era parcheggiato nella pubblica via – nonche’ in quella di resistenza a pubblico ufficiale, in considerazione dell’abbondante lasso di tempo trascorso tra l’avvenuto impossessamento della cosa mobile altrui ed il controllo, del tutto fortuito, da parte della P.G.
All’odierna odierna udienza pubblica, verificata la regolarita’ degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile, essendo il motivo di censura dedotto manifestamente infondato.
Questo Collegio ritiene corretta la qualificazione giuridica dei fatti contestati al prevenuto come rapina impropria ex articolo 628 c.p., comma 2.
Sul punto va preliminarmente osservato che, a differenza della rapina propria ex articolo 628 c.p., comma 1, per la cui consumazione – come per il furto – e’ necessaria la verificazione dell’evento dell’impossessamento della cosa mobile altrui, per la consumazione della rapina impropria e’ invece sufficiente il solo perfezionamento della sottrazione.
Difatti, nella rapina impropria, l’impossessamento non costituisce l’elemento materiale della condotta incriminata – ossia l’evento del reato la cui verificazione e’ determinante ai fini della sua consumazione – bensi’ l’oggetto del dolo specifico, richiesto dalla norma incriminatrice in alternativa allo scopo di assicurare a se’ o ad altri l’impunita’.
Conseguentemente, puo’ osservarsi che la sottrazione, quale componente dell’elemento materiale del reato di rapina, assume un ruolo centrale sotto un duplice profilo. In primo luogo, il momento temporale in cui essa si perfeziona rispetto alla violenza (o alla minaccia) segna il discrimine tra la rapina propria ed impropria. Difatti, nella fattispecie ex articolo 628 c.p., comma 1, la violenza o minaccia costituiscono le modalita’ attuative attraverso cui la sottrazione viene posta in essere, che dunque segue (e non precede) le condotte violente o minacciose. Invece, nella rapina impropria, la sottrazione deve avvenire – come nel furto – senza violenza o minaccia e, percio’, deve precedere (e non seguire) le condotte violente o minacciose, le quali sono poste in essere dall’agente non al fine di sottrarre la cosa mobile altrui – come per la rapina propria -, ma al fine di assicurare a se’ o ad altri il possesso della cosa sottratta ovvero l’impunita’.
In secondo luogo, la sottrazione costituisce l’elemento determinante ai fini della distinzione tra rapina impropria consumata e rapina impropria tentata. Difatti, essendo l’impossessamento un elemento facente parte del dolo specifico della rapina impropria e non l’evento del reato, se vi e’ stata la sottrazione della cosa mobile altrui – ossia lo spossessamento – l’impiego della violenza (o della minaccia) da parte dell’agente, al fine di conseguire il possesso della res (ovvero l’impunita’), costituisce rapina impropria consumata – e non gia’ rapina impropria tentata – indipendentemente dalla verificazione in concreto anche dell’impossessamento (Sez. 2, n. 1135 del 22/02/2017, Rv. 269858; SS.UU., n. 34952 del 19/0472012, Rv. 253153).
Con riguardo, poi, al rapporto di immediatezza che deve sussistere tra la sottrazione e l’impiego di violenza (o minaccia), va osservato che esso non va interpretato letteralmente nel senso che le condotte violente (o minacciose) debbono seguire la sottrazione senza alcuna soluzione di continuita’. Anzi, per giurisprudenza costante di questa Corte, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicche’, per la configurazione del reato, non e’ richiesta la contestualita’ temporale tra la sottrazione e l’uso della violenza (o minaccia), essendo invece sufficiente che tra le due diverse attivita’ intercorra un arco temporale tale da non interrompere l’unitarieta’ dell’azione, volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l’impunita’. (Sez. 2, n. 30127 del 09/04/2009, Rv. 244821; Sez. 2, n. 11135 del 26/06/2012, Rv. 254171; Sez. 2, n. 43764 del 04/10/2013, Rv. 257310; Sez. 7, n. 34056 del 29/05/2018, Rv. 273617).
Orbene, alla luce delle considerazioni svolte, appare corretta ed esente da censure logico-giuridiche l’impianto motivazionale della sentenza impugnata in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti contestati al (OMISSIS) come rapina impropria ex articolo 628 c.p., comma 2, anziche’ come furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale.
Dalla ricostruzione della vicenda, effettuata dai giudici di primo e secondo grado, emerge che l’iter criminis e’ stato unico e unitario nella sua interezza, senza alcuna sfasatura spazio-temporale tra la sottrazione dello scooter e la reazione violenta impiegata dall’agente per assicurarsi il possesso della res ovvero l’impunita’.
Difatti, il (OMISSIS), completata la sottrazione, ossia, partendo dal parcheggio in sella allo scooter, di cui aveva manomesso il bloccasterzo, e’ stato notato da una pattuglia della Polizia di Stato, che decideva di raggiungerlo e controllarlo. L’uomo, pero’, accortosi della volante, ha accelerato l’andatura, e, caduto a terra a causa di una brusca manovra, ha tentato prima di fuggire e nascondersi e poi, una volta raggiunto, ha usato violenza contro gli operatori della Questura.
Cio’ posto, come correttamente affermato dalla Corte fiorentina, dato il rapporto di immediatezza nonche’ di contiguita’ spazio-temporale tra la sottrazione del mezzo e la violenza adoperata dal (OMISSIS) contro gli agenti per conseguire il possesso della res ovvero l’impunita’, deve considerarsi sussistente il reato complesso di rapina impropria consumata, che assorbe in se’ gli elementi propri del furto nonche’ quelli propri del reato di resistenza a pubblico ufficiale (Sez. 2, n. 34845 del 09/07/2008, Rv. 243273; Sez. 5, n. 12597 del 30/1172016, Rv. 269477).
2. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento di una somma che, valutati i profili di colpa, si determina equitativamente in Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.

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