Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 13 ottobre 2020, n. 22126.

La massima estrapolata:

E’ nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullita’vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risultera’ insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione. Il fatto che il contratto pretesamente simulato, benche’ non registrato, sfugga alla sanzione di nullita’ prevista dall’art.1, comma 346, della L. n. 311/2004, per essere stato stipulato anteriormente alla sua entrata in vigore, non impedisce di rilevare la causa di nullita’ nel coevo patto dissimulato di maggior canone. In tal caso, si può ravvisare ravvisarsi il vizio genetico che incide sulla causa dello stesso, rappresentato dalla finalita’ di elusione fiscale.

Sentenza 13 ottobre 2020, n. 22126

Data udienza 7 febbraio 2020

Tag/parola chiave: LOCAZIONE – CANONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21605/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), nella qualita’ di amministratrice di sostegno di (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 6800/2017, pubblicata il 17 gennaio 2018;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 febbraio 2020 dal Consigliere Iannello Emilio;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Patrone Ignazio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale, assorbito quello incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato in data 11/10/2011 (OMISSIS) intimo’ a (OMISSIS) sfratto per morosita’, in relazione all’immobile a lui concesso in locazione, ad uso commerciale, con contratto stipulato il 31/3/2006, registrato in data 4/4/2006, deducendo il mancato pagamento del canone relativo ai mesi da giugno a settembre 2011 (pari a Euro 775 mensili, oltre aggiornamenti Istat nella misura del 100% dell’indice dei prezzi al consumo) per un complessivo importo di Euro 3.421,16.
L’intimato vi si oppose, assumendo l’esistenza di un maggiore controcredito, sul rilievo che:
– il rapporto giuridico tra le parti traeva origine dal contratto di locazione stipulato in data 1/2/2000 che prevedeva illegittimamente una durata di sei anni senza possibilita’ di rinnovo ed un canone mensile di Lire 700.000 (Euro 361,51);
– detto contratto si era automaticamente rinnovato sino al mese di febbraio 2012 dovendosi ritenere illegittima la clausola relativa ad una durata inferiore;
– la locatrice aveva preteso fin dall’origine del rapporto che le fosse corrisposto un canone mensile di Lire 1.500.000 (Euro 775,00) nonche’ di stipulare un nuovo contratto il 31/3/2006, che prevedeva tale importo, diverso rispetto a quello indicato nel contratto originario, in violazione di quanto previsto dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 79;
– il nuovo contratto era affetto da nullita’ in quanto stipulato in violazione di norme imperative al fine di pretendere un canone maggiore, come illegittimo era l’aggiornamento ISTAT previsto al 100%.
Transitato il giudizio alla fase a cognizione piena, il resistente chiese, nella memoria integrativa, in via riconvenzionale, accertarsi la vigenza del contratto del 1/2/2000 al canone pattuito, con conseguente nullita’ di ogni diversa determinazione contra legem, e la condanna della locatrice alla restituzione delle somme indebitamente pretese e corrisposte nel corso del rapporto, ammontanti ad Euro 55.582,21 per maggiori canoni e ad Euro 1.904,44 per aumenti ISTAT non dovuti oltre interessi legali sul deposito cauzionale.
2. Il Tribunale rigetto’ la domanda principale e, in parziale accoglimento della spiegata riconvenzionale, dichiaro’ che il rapporto tra le parti era regolato dal contratto di locazione stipulato in data 1/2/2000, rinnovatosi ex lege al canone mensile di Euro 361,51; dichiaro’ la nullita’ di ogni diversa pattuizione relativa al canone di locazione e all’aggiornamento ISTAT; condanno’ la ricorrente al pagamento della somma di Euro 55.582,21, oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo, nonche’ alla rifusione delle spese processuali.
3. Tale decisione e’ stata sostanzialmente ribaltata dalla Corte d’appello di Roma che, con la sentenza in epigrafe, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla locatrice, ha dichiarato risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore, condannandolo al pagamento della somma di Euro 2.838,52 a titolo di canoni locativi scaduti e non pagati dal 1/6/2011 al 30/9/2011 (al netto delle somme pagate dal conduttore per adeguamenti Istat eccedenti la percentuale del 75%) e dell’ulteriore somma di Euro 834,20, a titolo di indennita’ di occupazione, da ottobre 2011 a luglio 2014, data dell’avvenuto rilascio dell’immobile.
Ha infatti ritenuto, per quanto ancora in questa sede interessa, che:
– avendo le parti stipulato in data 1/2/2000 un contratto di locazione ad uso commerciale, non registrato, per un canone mensile previsto nella misura di Euro 361,51, ma, come riconosciuto dallo stesso appellato, fin d’origine del rapporto, di fatto corrisposto in quella (“certamente concordata tra le parti”) di Euro 775,00, doveva escludersi la violazione della L. n. 392 del 1978, articolo 79, norma che sanziona la pretesa di somme ulteriori rispetto a quelle originariamente pattuite, risultando altresi’ inconferente il richiamo alla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, (che sanziona con la nullita’ ogni pattuizione volta a determinare un importo superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato), poiche’ afferente esclusivamente ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo;
– al contratto registrato del 31/3/2006, nel quale le parti avevano indicato in Euro 775,00 il canone dovuto (corrispondente a quello reale gia’ corrisposto in vigenza del primo contratto), va riconosciuta valenza novativa, atteso che con esso venivano regolamentati, in maniera diversa rispetto al precedente accordo, aspetti non marginali del rapporto, quali la disciplina della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento dei canoni e la misura dello aggiornamento Istat; inoltre, dalla stipula del nuovo contratto derivava il diritto del conduttore a permanere nell’immobile fino al 2018 (seconda scadenza contrattuale), e dunque per un periodo di ulteriori sei anni rispetto alla scadenza ex lege del contratto del 2000.
4. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resiste (OMISSIS), nella qualita’ di amministratrice di sostegno di (OMISSIS), depositando controricorso, con il quale anche propone ricorso incidentale condizionato, con unico mezzo.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del proprio ricorso il (OMISSIS) denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, (motivazione apparente) e dell’articolo 437 c.p.c.”, in relazione al rigetto della eccezione di inammissibilita’, per mutatio libelli, del primo motivo di gravame.
Premesso che tale eccezione era stata opposta sul rilievo che solo in appello, con detto motivo, la locatrice aveva dedotto che, con il contratto del 2006, le parti avrebbero concordato una novazione contrattuale, lamenta che la Corte di merito l’ha ritenuta infondata, laconicamente affermando che la prospettazione del carattere novativo delle obbligazioni assunte con il nuovo contratto era “facilmente desumibile dalla difesa assunta alla locatrice con la memoria depositata in data 13/2/2012”.
Deduce che tale generico rinvio costituisce motivazione apparente poiche’ renderebbe impossibile comprendere le ragioni poste alla base della reiezione della eccezione.
Soggiunge che, peraltro, dalla disamina dell’atto richiamato per relationem, non emerge alcun brano dal quale desumere la tesi della novazione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli articoli 1230 e 1231 c.c., in combinato disposto con la L. n. 392 del 1978, articolo 79 e articolo 1418 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente una novazione tra il primo e il secondo contratto, mentre in realta’, di questa, non sussistevano ne’ l’elemento oggettivo, ne’ l’elemento soggettivo.
Rileva infatti che: da un lato, gli elementi individuati dai giudici d’appello come costituenti la novazione (ossia, la previsione della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento; la misura dell’aggiornamento Istat; la permanenza del conduttore fino al 2018) non potevano ritenersi presupposti oggettivi di una novazione del rapporto obbligatorio, non comportando una modificazione ne’ dell’oggetto ne’ del titolo (aliquid novi), ma costituendo piuttosto delle odificazioni accessorie ex articolo 1231 c.c.; dall’altro non risulta verificata in sentenza la sussistenza ne’ dell’animus novandi, ne’ della causa novandi, ma vi erano anzi elementi che escludevano categoricamente la ricorrenza di tali elementi e che presuntivamente avrebbero dovuto portare alla esclusione della novazione ed a ravvisare la sussistenza di un abuso da parte della locatrice.
Rimarca in tal senso che il canone, che costituisce il cuore e l’elemento intorno al quale ruota l’essenza di ogni locazione, era rimasto identico poiche’ si era passati da Euro 775 pagati de facto con il primo contratto ad Euro 775 pagati “di diritto” con il secondo contratto, e cio’ avrebbe dovuto far presumere, in ragione della sperequazione della posizione delle parti, che la stipula del secondo contratto altro non era che un tipico escamotage con cui tentare di fare salvi gli effetti di un abuso protratto dal 2000 al 2006, come correttamente aveva rilevato il Tribunale.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’articolo 437 c.p.c., comma 2, per avere, implicitamente, ritenuto ammissibile il secondo motivo di gravame con il quale la locatrice, mutando radicalmente la difesa opposta in primo grado alla domanda riconvenzionale, aveva dedotto che, coevamente alla stipula del primo contratto, le parti avessero concordato il canone effettivamente dovuto nella maggiore misura di Lire 1.500.000, del quale al contempo, anche sul punto smentendo le proprie precedenti difese, confessava l’effettiva percezione sin dal 1 febbraio 2000.
Rileva che, cosi’ argomentando, controparte aveva in appello, per la prima volta, dedotto di avere concluso con il conduttore un patto aggiunto, esterno ed orale, contrario al tenore del primo contratto, qualificabile come accordo simulatorio ed aveva, quindi, introdotto un nuovo tema di indagine inammissibile in appello.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione degli articoli 2697, 2722, 2729, 1414 e 1417 c.c. e della L. n. 392 del 1978, articolo 79, nonche’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello:
a) ritenuto provato detto accordo simulatorio (la cui esistenza non poteva considerarsi postulata per implicito dalle difese e domande riconvenzionali da esso svolte in primo grado), erroneamente ritenendo di poterlo desumere in via presuntiva dalla sola erogazione, de facto, del canone maggiorato sin dall’inizio del rapporto;
d) omesso comunque di rilevarne la nullita’ (siccome sancita anche dalla allora gia’ intervenuta sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 23601 del 2017) in quanto volto a maggiorare il canone previsto dal contratto apparente;
c) omesso di considerare il fatto decisivo rappresentato dal rilascio, da parte della locatrice, di quietanze per la somma inferiore prevista nel primo contratto (fatto, secondo il ricorrente, idoneo di per se’ a dimostrare l’inesistenza di un patto aggiunto sul canone).
5. Con il quinto motivo il ricorrente principale denuncia, infine, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello dichiarato risolto il contratto sulla base della previsione contenuta nell’articolo 4 del secondo contratto, secondo cui il mancato pagamento puntuale anche di due sole rate del canone avrebbe comportato la risoluzione di diritto ex articolo 1456 c.c., in assenza di rituale domanda in tal senso, avendo l’attrice, con l’intimato sfratto, proposto la diversa domanda (costitutiva, non dichiarativa) di risoluzione del contratto per inadempimento.
6. Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale condizionato (OMISSIS), nella detta qualita’ di amministratrice di sostegno di (OMISSIS), sulla premessa che il contratto del 2006, poiche’ novativo del rapporto, ha fatto venir meno l’apparente incongruenza tra il canone dichiarato e quello effettivo, chiede che, nel caso venga accolto il ricorso principale, l’eventuale diritto alla ripetizione del maggior canone non dovuto sia circoscritto al solo periodo di vigenza del primo contratto (1 febbraio 2000 – 31 marzo 2006).
7. Il primo motivo del ricorso espone due distinte censure, entrambe prospettanti errores in procedendo: la prima, come detto, denuncia motivazione apparente sulla eccezione, disattesa, di inammissibilita’ del primo motivo di gravame; la seconda mira a contestare la correttezza del rigetto di tale eccezione.
7.1. La prima di tali censure e’ inammissibile, attesa la natura meramente processuale della questione la cui decisione si lamenta essere supportata da motivazione apparente.
Ed infatti, come non e’ deducibile il vizio di omessa pronuncia (come ricorda lo stesso ricorrente introducendo l’illustrazione del terzo motivo di ricorso: v. pag. 20) in relazione a domande o eccezioni diverse da quelle di merito, cosi’, a fortiori, non e’ nemmeno prospettabile un vizio di carenza o apparenza della motivazione addotta a supporto di espressa statuizione su questione di natura processuale.
Cio’ in quanto, come efficacemente evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “con riguardo ai vizi del procedimento… l’oggetto dello scrutinio che e’ chiamato a compiere il giudice di legittimita’, a differenza di quel che accade con riferimento agli errores in iudicando denunciati a norma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non (e’) costituito dal contenuto della decisione formulata nella sentenza (che segna solo il limite entro cui la parte ha interesse a dedurre il vizio processuale), bensi’ direttamente dal modo in cui il processo si e’ svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato”. Di tali fatti la Corte di cassazione deve prendere essa stessa cognizione, poiche’ si collocano “all’interno di una vicenda che e’ tuttora in corso di sviluppo”, di modo che l’eventuale vizio verificatosi anche nei precedenti gradi o fasi e’ “sempre attuale, ove sia tale da incidere sulla decisione della causa e da compromettere la realizzazione del giusto processo”. Questo essendo il fondamento dell’estensione anche ai profili di fatto dello scrutinio rimesso alla Corte di Cassazione, deve conseguentemente escludersi che questo “debba ridursi alla valutazione di sufficienza e logicita’ della motivazione del provvedimento impugnato… giacche’ non e’ attraverso la motivazione del provvedimento impugnato, o non solo attraverso di essa, che la Corte di cassazione conosce del vizio processuale denunciato dal ricorrente” (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).
7.2. La seconda delle esposte censure – che invece, per l’appunto, invoca lo scrutinio diretto di questa Corte sulla correttezza dello svolgimento processuale sotto il profilo in questione (ossia in relazione alla eccepita inammissibilita’, per mutatio libelli, del motivo di gravame con il quale controparte deduceva che, con il contratto del 2006, le parti sarebbero pervenute ad un novazione del rapporto di locazione) – e’ poi infondata.
Come questa Corte ha gia’ avuto modo di rilevare, la novazione non forma oggetto di un’eccezione in senso proprio, come si deduce dalla nozione e dalla disciplina quali delineate negli articoli 1230 e 1235 c.c., poste a raffronto con l’espressa previsione della non rilevabilita’ d’ufficio della compensazione (articolo 1242 c.c.), e quindi il giudice puo’ rilevare d’ufficio il fatto corrispondente, ove ritualmente introdotto nel processo (Cass. 17/11/2016, n. 23434; 08/04/2009, n. 8527).
Il rilievo, ribadito in memoria (§ 1.5), secondo cui mancherebbe, nella specie, tale ultimo presupposto, e’ infondato.
La Corte d’appello ha rilevato la novazione sulla base di elementi (quelli sopra ricordati relativi alla misura del canone, alla disciplina della risoluzione del contratto, alla durata dello stesso) risultanti pacificamente dalle comuni allegazioni delle parti.
Diversa questione – di merito, non processuale – e’ poi se tali elementi giustificassero effettivamente oppure no l’inferenza trattane dalla Corte d’appello, restando pero’ comunque escluso che, per aver attribuito ad essi detta valenza, la Corte sia incorsa nel denunciato error in procedendo.
8. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta nel merito la fondatezza dell’assunto secondo cui il contratto stipulato tra le parti nel 2006 avrebbe comportato una novazione del rapporto obbligatorio, deve invece ritenersi fondato.
Secondo il costante orientamento della Cassazione, in tema di locazione, non e’ sufficiente ad integrare novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell’animus e della causa novandi, il cui accertamento costituisce compito proprio del giudice di merito insindacabile in sede di legittimita’ se logicamente e correttamente motivato (v. ex multis Cass. 13/06/2017, n. 14620; 09/03/2010, n. 5673; 21/05/2007 n. 11672).
Alla luce di tale pacifico indirizzo appare evidente l’errore di sussunzione in cui e’ incorso il giudice a quo per avere attribuito rilevanza, ai fini della configurabilita’ della dedotta novazione, sotto il profilo oggettivo (aliquid novi), a pattuizioni incidenti su aspetti meramente accessori del rapporto.
E’ appena il caso di rilevare, infatti, che la previsione della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento del canone, riguardando situazione meramente eventuale e patologica del rapporto, non comporta di per se’ alcuna modificazione ne’ dell’oggetto ne’ del titolo del rapporto locativo.
Quanto al prolungamento di un ulteriore seennio del rapporto, occorre anzitutto rilevare che esso costituisce riferimento meramente tautologico, essendo affermato in sentenza non gia’ perche’ espressamente previsto nell’accordo del 2006, ma proprio quale conseguenza del postulato carattere novativo dell’accordo (da esso infatti facendosi discendere che quella del 2012 sarebbe stata non piu’ la seconda scadenza del rapporto, ove ricondotto a quello preesistente, ma la prima, conseguentemente restando il rapporto soggetto a rinnovazione tacita con limitata facolta’ di disdetta ai sensi degli articoli 28 e 29 legge eq. can.).
In ogni caso si tratterebbe di effetto incidente, alla stregua della consolidata giurisprudenza sopra ricordata, su aspetto meramente accessorio del rapporto, come tale inidoneo a rappresentare effettivamente modifica novativa del suo oggetto.
Tanto meno tale rilevanza puo’ attribuirsi alla prevista maggiore misura dell’aggiornamento Istat del canone, trattandosi di previsione che, oltre a essere palesemente e incontestatamente nulla per contrasto con l’articolo 32 legge eq. can., incide anch’essa su aspetto del rapporto (ossia l’ammontare del canone) che, secondo la citata giurisprudenza, non puo’ comunque considerarsi, di per se’ solo, suscettibile di modificazioni tali da integrare novazione del rapporto.
9. E’ infondato il terzo motivo di ricorso.
L’esistenza tra le parti di un accordo simulatorio circa la misura del canone – opposta da parte della locatrice, per la prima volta in appello, al fine di contrastare la domanda riconvenzionale del conduttore di ripetizione del maggior canone versato e chiederne pertanto il rigetto in riforma della sentenza di primo grado che tale domanda aveva accolto, ancorche’ certamente nella specie configuri prospettazione radicalmente innovativa rispetto alle difese svolte dalla locatrice in primo grado, configura eccezione in senso lato (v. Cass. 24/06/1998, n. 6272).
Questa, come noto, consiste, secondo la definizione ricavabile con chiarezza dall’articolo 2697 c.c., nella allegazione (se fatta dalla parte) o nella rilevazione (se fatta d’ufficio dal giudice) di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio.
Come tale essa si sottrae al divieto posto dall’articolo 437 c.p.c., comma 2, (parallelo a quello dettato, per il processo ordinario, dall’articolo 345 c.p.c.). Questo, infatti, riguarda le eccezioni non rilevabili d’ufficio (c.d. eccezioni in senso stretto, che sono quelle riservate all’iniziativa della parte per legge o perche’ corrispondenti alla titolarita’ di un’azione costitutiva: v., per tale definizione delle eccezioni in senso stretto, Cass. Sez. U. 03/02/1998, n. 1099; Sez. U. 27/07/2005, n. 15661). Resta tuttavia ferma, anche per le eccezioni rilevabili d’ufficio, la condizione che si tratti di eccezione dedotta (o rilevata d’ufficio dal giudice) con riferimento a fatti principali o secondari risultanti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo (non essendo invece necessario, pena la vanificazione della distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato, che tali fatti fossero, in primo grado, anche oggetto di espressa e tempestiva attivita’ assertiva: v. Cass. Sez. U. 07/05/2013, n. 10531; Cass. Sez. U. n. 15661 del 2005, cit.; Cass. Sez. U. 25/05/2001, n. 226/SU; v. anche Cass. 26/02/2014, n. 4548; Cass. 31/10/2018, n. 27998).
Nel caso di specie, la Corte d’appello, nell’accogliere tale eccezione, non ha decampato da tali limiti, avendo deciso sulla base di un fatto – quello, divenuto pacifico in appello, che durante tutto il rapporto il conduttore aveva corrisposto il canone in misura maggiore rispetto a quello pattuito per iscritto – certamente risultante dalle stesse ammissioni delle parti ed evidentemente valorizzato a tal fine, quale elemento indiziario dell’esistenza di un accordo in tal senso le parti.
Come gia’ detto a proposito del primo motivo, diversa questione -di merito, non processuale – e’ se tale elemento presuntivo giustificasse effettivamente oppure no l’inferenza trattane dalla Corte d’appello, restando pero’ comunque escluso che, per aver attribuito detta valenza a quel fatto risultante ex actis, la Corte sia incorsa nel denunciato error in procedendo.
10. Il quarto motivo e’ fondato, nei termini appresso precisati.
10.1. Come sopra esposto (§ 4) il motivo si articola in tre diverse sub-censure, chiaramente distinguibili all’interno della pur ampia e complessa censura, dovendosi pertanto disattendere l’eccezione di inammissibilita’ che, sulla opposta ma non condivisibile premessa della sovrapposizione di censure incompatibili, e’ preliminarmente per esso dedotta in controricorso (v. Cass. Sez. U 24/07/2013, n. 17931).
10.2. Con la prima di tali censure, il ricorrente in sostanza lamenta che, in presenza di contratto scritto di locazione, quello del 2000, indicativo di una certa misura del canone, l’affermazione -opposta dalla odierna resistente, in primo grado, al fine di paralizzare la domanda riconvenzionale del conduttore di ripetizione di indebito -dell’esistenza di un coevo separato accordo tra le parti, circa l’obbligo di versare un canone reale pari al doppio, equivaleva in sostanza all’affermazione di una simulazione relativa del contratto scritto, con riferimento al canone, e ne richiedeva pertanto la prova nel rispetto dei limiti dettati dagli articoli 1414 ss. e 2722 c.c.. Limiti che, invece, la Corte territoriale non avrebbe rispettato avendo in sostanza valorizzato il solo dato fattuale dell’effettivo versamento, da parte del conduttore, nel corso del rapporto, del preteso canone maggiore.
Tale doglianza e’ fondata, rimanendo conseguentemente assorbito l’esame delle altre ragioni di critica pure esposte nella ampia illustrazione del motivo.
In tema di prova della simulazione nei rapporti tra le parti (arg. a contrario dall’articolo 1417 c.c., che la prova per testi senza limiti ammette solo se la domanda e’ proposta da creditori o da terzi ovvero quando essa, anche se proposta dalle parti, sia diretta a far valere l’illiceita’ del contratto), se il negozio e’ stato redatto per iscritto vale la regola generale della limitazione dell’ammissibilita’ delle prove testimoniali (e dunque anche di quella per presunzioni, giusta il disposto dell’articolo 2729 c.c., comma 2), onde, sia per la simulazione assoluta che per quella relativa, la prova puo’ essere data – ove, come nella specie, si assuma che si tratti di patto coevo -soltanto in base a controdichiarazioni (articolo 2722 c.c.; v., in tema di simulazione relativa del contratto di locazione, con riferimento al canone, Cass. 15/01/2003, n. 471).
La Corte d’appello non si e’ attenuta a tale regola di giudizio, avendo in effetti dato per scontato che, “atteso che fin dall’origine l’importo corrisposto… ammontava ad Euro 775” (v. sentenza, pagg. 6, in fine, e 7, primo cpv.), tale importo fosse stato “certamente concordato tra le parti”: con cio’ dunque chiaramente ricavando la prova della simulazione dal comportamento stesso delle parti, laddove avrebbe dovuto invece valutare l’esistenza a tal fine di prova di diverso tipo e, dunque, in sostanza, di una controdichiarazione scritta.
Ne’ – giova aggiungere, ancorche’ la sentenza non ne faccia cenno – potrebbe attribuirsi il valore di “principio di prova scritta” (legittimante, ai sensi dell’articolo 2724 c.c., n. 1, il ricorso alla prova per testi o per presunzioni) alle ricevute che, qualche volta, eccezionalmente, vennero consegnate al conduttore per un importo pari a quello effettivamente corrisposto.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di simulazione del contratto, il principio di prova scritta che, ai sensi dell’articolo 2724 c.c., n. 1, consente eccezionalmente la prova per testi (e, quindi, presuntiva) deve consistere in uno scritto, proveniente dalla persona contro la quale la domanda e’ diretta, diverso dalla scrittura le cui risultanze si intendono cosi’ sovvertire e contenente un qualche riferimento al patto che si deduce in contrasto con il documento (Cass. 03/06/2016, n. 11467; 22/03/1990, n. 2401).
10.3. L’accoglimento della censura teste’ considerata, come detto, e’ assorbente rispetto a tutte le altre del quarto motivo.
Mette conto tuttavia rimarcare ad abundantiam – per la rilevanza della questione posta – la fondatezza anche della seconda censura (v. supra § 4, lettera b).
A tale conclusione deve giungersi, per le ragioni qui di seguito esposte, alla luce del (e in coerenza con) principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 23601 del 09/10/2017, secondo cui “e’ nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullita’ vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risultera’ insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione”.
10.3.1. La sanzione di nullita’ dell’accordo dissimulato sul maggior canone, il suo radicamento positivo nella previsione di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 79, l’affermata sua insanabilita’ per effetto di una successiva registrazione, trovano giustificazione, in tale arresto, nei seguenti passaggi argomentativi che giova brevemente ripercorrere:
a) il principio di tendenziale non interferenza tra le regole di diritto tributario e quelle attinenti alla validita’ civilistica degli atti, recepito nella L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10, comma 3, ha trovato nel tempo, nella specifica materia locatizia, non consonanti interventi normativi prevedenti nullita’ testuali a presidio dell’osservanza degli obblighi tributari (L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, a mente del quale “e’ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione di immobili urbani superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”; L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 346, che ha stabilito che “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita’ immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati”; viene anche ricordato, benche’ non piu’ in vigore, Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23, articolo 3, commi 8 e 9, il quale aveva previsto un particolare regime in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonche’ in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio e di una locazione recante un canone inferiore rispetto a quello realmente pattuito);
b) investita piu’ volte della questione di legittimita’ costituzionale di tali norme, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibili o infondate quelle riguardanti L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1 (ord. n. 242 del 2004) e L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346 (ord. n. 420 del 2007), in tale ultima occasione in particolare affermando che la norma censurata “eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullita’ del negozio ai sensi dell’articolo 1418 c.c.”: passaggio questo che lasciava intendere o comunque non escludeva che la nullita’ ivi prevista non fosse propriamente o soltanto una nullita’ testuale (articolo 1418 c.c., comma 3) ma potesse intendersi anche come nullita’ virtuale (articolo 1418 c.c., comma 1) per contrarieta’ a norme imperative;
c) la giurisprudenza di legittimita’ ha a sua volta a lungo adottato un orientamento tendente a negare che la norma fiscale avesse carattere imperativo, conseguentemente affermando un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validita’ civilistica degli atti, e tale indirizzo ha mantenuto fermo anche dopo l’introduzione, con la L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, della sanzione della nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato nelle locazioni abitative (conseguentemente fatta oggetto di una interpretazione restrittiva in termini di mera invariabilita’ successiva della pattuizione sul canone: Cass. n. 16089 del 2003 e succ. conformi); tale orientamento e’ stato pero’ radicalmente rivisto da Cass. Sez. U n. 18213 del 2015 che -nell’affermare che la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone e non e’ sanabile dalla registrazione tardiva – muove dalla premessa che si tratti non solo di nullita’ testuale ma, in parte qua, anche virtuale, attesa la causa concreta del patto occulto, illecita perche’ caratterizzata dalla vietata finalita’ di elusione fiscale e, quindi, insuscettibile di sanatoria;
d) si e’ dunque affermata nella giurisprudenza di questa Corte una diversa linea di pensiero che, sulla scorta di “indicazioni… di carattere storico-sistematico ed etico-costituzionale”, tende a riconoscere che “le disposizioni di legge successive al 1998 introducono un principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validita’ del negozio, principio generale di cui e’ sostanziale conferma nel dictum dello stesso giudice delle leggi (Corte Cost. 420 del 2007)”; principio che non puo’ ritenersi contrastato dalla previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, articolo 10, comma 3, ultimo inciso, (a mente del quale “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita’ del contratto”), atteso che si e’ al cospetto di disposizioni che, circoscritte al solo ambito delle locazioni (e dunque leges speciales), non costituiscono prescrizioni di esclusivo carattere tributario, ma introducono regole di diritto civile, comminando una speciale nullita’ nei rapporti tra privati, sia pure per effetto di una violazione di carattere tributario, come autorevolmente sostenuto dallo stesso giudice delle leggi;
e) tale chiave di lettura del sistema assume particolare rilievo nel caso – quale quello all’esame delle Sezioni Unite nell’arresto che qui si sta richiamando – di doppia pattuizione del canone, l’una indicata in un contratto simulato e registrato, l’altra (maggiore) specificata in un atto dissimulato e non registrato;
f) al riguardo, esclusa la possibilita’ di assimilare sul piano morfologico e degli effetti civilistici l’ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto contenente ab origine l’indicazione del canone realmente dovuto (in assenza, pertanto, di qualsivoglia procedimento simulatorio) e quella di simulazione del canone con registrazione del solo contratto simulato recante un canone inferiore, cui acceda il c.d. “accordo integrativo” con canone maggiorato, l’esame di tale ultima fattispecie dalla prospettiva dell’accordo simulatorio consente di far emergere il vizio da cui essa e’ affetta: “vizio genetico, attinente alla sua causa concreta, inequivocabilmente volta a perseguire lo scopo pratico di eludere (seppure parzialmente) la norma tributaria sull’obbligo di registrazione dei contratti di locazione”;
g) ne consegue che “se tale norma tributaria si ritiene essere stata elevata a “rango di norma imperativa”, come sembra suggerire l’evoluzione normativa e giurisprudenziale piu’ recente e come precisato dalla stessa Corte costituzionale, deve concludersi che la convenzione negoziale sia intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perche’ ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarieta’ a norma imperativa (ex articolo 1418 c.c., comma 1) tale essendo costantemente ritenuto lo stesso articolo 53 Cost., la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) e’ stata, gia’ in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985)”;
h) ne discende ulteriormente che, “trattandosi di un vizio riconducibile al momento genetico del contratto, e non (soltanto) ad un mero inadempimento successivo alla stipula… deve allora ravvisarsi la diversa ipotesi di una nullita’ virtuale, secondo la concezione tradizionale di tale categoria – e, quindi, tradizionalmente insanabile ex articolo 1423 c.c.: in tal caso, infatti, la nullita’ deriva non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceita’ della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare”;
i) se in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato ci si trova di fronte ad una nullita’ testuale L. n. 311 del 2004, ex articolo 1, comma 346, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all’obbligo di registrazione, nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalita’ di elusione fiscale, si e’ in presenza, quanto al c.d. “accordo integrativo”, di una nullita’ virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l’intero rapporto – compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione (v. sentenza citata, par. 25);
l) in tale contesto ricostruttivo L. n. 392 del 1978, articolo 79, assume rilievo di norma speculare a quella di cui alla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, previa analoga revisione dell’esegesi tradizionale (secondo cui la sanzione di nullita’ in essa prevista ha riguardo alle sole vicende funzionali del rapporto, colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle convenute al momento della conclusione dell’accordo) nel senso che il patto di maggiorazione del canone e’ nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto.
10.3.2. Questa Corte ha avuto gia’ occasione di rimarcare che, benche’ la ripercorsa pronuncia delle Sezioni Unite riguardi fattispecie riferita a contratto stipulato in data 20/10/2008, successiva dunque all’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, nondimeno proprio l’operata distinzione tra la nullita’ testuale (sancita da quest’ultima disposizione in conseguenza della omessa registrazione, violazione extraformale) e la nullita’ virtuale (discendente dal vizio genetico del patto determinato dallo scopo elusivo perseguito con la simulazione e dalla sua contrarieta’ alla norma tributaria imperativa che impone l’obbligo di registrazione del contratto) e il rilievo autonomo attribuito comunque a quest’ultima, consentono di ritenere che il principio debba applicarsi anche a contratti di locazione non abitativa che siano stati stipulati anteriormente alla entrata in vigore della citata L. n. 311 del 2004 (v. Cass. 02/03/2018, n. 4922).
Anche in tal caso, infatti, non e’ dubitabile che l’accordo simulatorio trovi la sua causa concreta (scopo pratico) nella finalita’ di eludere il fisco, sottraendo il maggior canone dissimulato realmente pattuito all’erario (non soltanto all’imposta di registro, ma anche a quella sui redditi); anche in tal caso, dunque, l’accordo si pone in contrarieta’ con norma, certamente ad esso preesistente, che impone l’obbligo di registrazione (integrale, fedele) dei contratti di locazione.
A tale norma, in virtu’ della descritta evoluzione ermeneutica, deve riconoscersi carattere imperativo e idoneita’ pertanto a incidere sulla validita’ degli atti civili che con essa si pongono in contrasto, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1418 c.c., comma 1.
Non si tratta, pertanto, di fare una non consentita applicazione retroattiva della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, bensi’ di applicare norme preesistenti sia pure alla luce di una mutata interpretazione della loro forza ed espansivita’ nella gerarchia dei principi dell’ordinamento e della conseguente loro incidenza sulla validita’ degli atti negoziali privatistici.
Del resto, come opportunamente rimarcato dalle Sezioni Unite (v. sentenza citata, paragrafi da 13.2 a 13.3), la norma di cui alla L. cit., articolo 1, comma 346, quand’anche fosse applicabile, non potrebbe comunque svolgere un ruolo diretto ai fini della configurazione di una nullita’ (testuale) del descritto accordo simulatorio. Manca, invero, per le locazioni non abitative, una norma analoga a quella dettata per le locazioni abitative della L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, che sancisca la nullita’ testuale del patto di maggiorazione del canone. “La nullita’ e’, di converso, stabilita per l’intero contratto (e non per il solo patto controdichiarativo), in conseguenza non gia’ di un vizio endonegoziale, ma (della mancanza) di un requisito extraformale costituito dall’omissione della registrazione del contratto” (v. sentenza citata, par. 13.3).
La nullita’ (virtuale) dell’accordo simulatorio (in se’ e con i visti diversi effetti) resta dunque, ripetesi, legata (solo) alla illiceita’ dello scopo pratico perseguito, certamente ravvisabile anche prima dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, per contrarieta’ con norma cardine dell’ordinamento, cui non puo’ non riconoscersi carattere imperativo anche in epoca antecedente alla detta evoluzione legislativa (da intendersi solo quale motivo o occasione, per l’interprete, di una diversa prospettiva storico – ricostruttiva e di una mutata sensibilita’ etico-costituzionale).
Non sfugge che tale soluzione rende ancor piu’ accentuata, per i contratti anteriori alla L. n. 311 del 2004, la disparita’ di disciplina rispetto all’ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto (non sanzionata da alcuna nullita’, non essendo detta legge retroattiva), ma anche in tal caso vale quanto rilevato dalle Sezioni Unite con riferimento al diverso regime della nullita’ testuale L. cit., ex articolo 1, comma 346 e della nullita’ virtuale, e cioe’ che “la diversita’ di conseguenze puo’ trovare una congrua spiegazione nella maggiore gravita’ del vizio che inficia le ipotesi simulatorie rispetto a quelle in cui manchi la registrazione del contratto tout court: un vizio genetico e voluto da entrambe le parti nel primo caso, un inadempimento successivo alla stipula di un contratto geneticamente valido, nel secondo caso”.
10.3.3. Proprio tale ultima considerazione rende evidente che nessun rilievo scriminante, nella valutazione della validita’ del patto dissimulato sul canone, puo’ assegnarsi al fatto che, nell’ipotesi in esame, diversamente da quello considerato da Cass. n. 4922 del 2018 e da Cass. Sez. U n. 23601 del 2017, il contratto simulato non era stato registrato.
Come s’e’ detto, infatti, il fatto che il contratto pretesamente simulato, benche’ non registrato, sfugga alla sanzione di nullita’ prevista dalla citata L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, per essere stato stipulato anteriormente alla sua entrata in vigore, non impedisce, infatti, di rilevare la causa di nullita’ nel coevo patto dissimulato di maggior canone, anche in tal caso potendo in esso (e solo in esso, non anche nel contratto apparente) certamente ravvisarsi il vizio genetico incidente sulla causa dello stesso, rappresentato dalla finalita’ di elusione fiscale.
11. L’esame del quinto motivo di ricorso, rimane a sua volta assorbito.
L’esistenza di un controcredito ben maggiore rispetto a quello rappresentato dai canoni non versati (la cui entita’ peraltro deve ritenersi permanere, anche dopo il 2006, nella misura concordata nel 2000, essendo la successiva pattuizione, del cui carattere non novativo si e’ gia’ detto, nulla per violazione dell’articolo 79 legge eq. can.) vale di per se’ ad escludere la sussistenza, in alcuna misura, della dedotta morosita’.
12. E’ infine inammissibile l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato.
La questione con esso posta e’ rimasta assorbita nella sentenza impugnata e su di essa dovra’ nuovamente pronunciarsi il giudice di rinvio (il quale peraltro dovra’, ovviamente, a tal fine tener conto del principio affermato supra al § 8 e delle ragioni, ivi esposte, che hanno condotto all’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale).
Come tale essa non e’ suscettibile di essere posta ad oggetto di ricorso incidentale condizionato, presupponendo pur sempre esso la soccombenza della parte che lo propone (v. Cass. 13/07/2018, n. 18648; n. 22095 del 22/09/2017; n. 4472 del 07/03/2016; n. 574 del 15/01/2016; n. 6572 del 03/12/1988; n. 767 del 09/02/1982; n. 1980 del 07/04/1981).
13. In accoglimento del secondo e del quarto motivo del ricorso principale, nei termini di cui sopra, la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso principale, nei termini di cui in motivazione; rigetta il primo e il terzo; assorbito il quinto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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