Quando il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 novembre 2022| n. 34131.

Quando il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà

Qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà indivisa, ciascuno dei comunisti ha, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo a regole di comune esperienza che uno o alcuni di essi gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti, sicché l’eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non può essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di chi appariva agire per tutti. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva statuito la validità ed opponibilità ai comproprietari, anche se rimasti estranei alla stipulazione, di un contratto di affitto di fondo agricolo sottoscritto da uno solo di essi, nonché l’estensione a ciascuno di essi degli effetti della domanda di risoluzione del contratto, avanzata da un comproprietario soltanto, e del conseguente ordine di rilascio).

Ordinanza|21 novembre 2022| n. 34131. Quando il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà

Data udienza 12 luglio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Occupazione illegittima di un terreno – Contratti agrari – Domanda proposta innanzi a giudice incompetente – Esclusione della necessità del tentativo di conciliazione in sede stragiudiziale anche prima della riassunzione davanti alla sezione specializzata agraria – Contestazione dell’inadempimento – Onere del locatore di comunicarla al conduttore prima di ricorrere all’autorità giudiziaria per la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico a coltivatore diretto – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26688/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte suprema di Cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta mandato in calce al controricorso, dall’avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– intimati –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari – Sezione Specializzata Agraria – n. 1345/2020, depositata il 22 luglio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 luglio 2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

Quando il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprietà

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ed (OMISSIS), deducendo di essere proprietari, unitamente ad altri fratelli, di un fondo sito in (OMISSIS), convennero in giudizio (OMISSIS), quale occupante sine titulo del terreno, chiedendone la condanna al rilascio del bene, nonche’ al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della illegittima occupazione.
Il convenuto, costituitosi in giudizio, eccepi’ l’esistenza di un contratto di affitto, concluso con (OMISSIS), di cui chiese la chiamata in causa per essere garantito in caso di accoglimento delle domande degli attori.
Autorizzata la chiamata in causa, (OMISSIS) spiego’ domanda riconvenzionale nei confronti del (OMISSIS), chiedendo la risoluzione del contratto di affitto per morosita’ nel pagamento dei canoni e per mutamento della destinazione del fondo, concesso per uso pascolo, a colture seminative.
Il Tribunale di Foggia, accogliendo l’eccezione di incompetenza sollevata dal convenuto con riguardo alla domanda riconvenzionale svolta da (OMISSIS), con ordinanza del 18 luglio 2018, declino’ la competenza a favore della Sezione Specializzata Agraria del medesimo Tribunale, dinanzi al quale la causa venne riassunta dagli attori.
2. La Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Foggia rigetto’ la domanda di rivendicazione avanzata da (OMISSIS) e (OMISSIS), dichiarando assorbita la domanda di risarcimento del danno da illegittima occupazione, e, in accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata da (OMISSIS), dichiaro’ risolto il contratto di affitto agrario per grave inadempimento di (OMISSIS), condannando quest’ultimo a rilasciare il fondo in favore di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
La sentenza impugnata dal (OMISSIS) venne parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Bari – Sezione Specializzata Agraria – che compenso’ per meta’ le spese del primo grado di giudizio tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanno’, in solido tra loro, (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione, in favore di (OMISSIS), della residua meta’; rigetto’, nel resto, l’appello confermando la sentenza di primo grado.

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In sintesi, la Corte barese, disattesa l’eccezione di improponibilita’ della domanda riconvenzionale per mancato tentativo di conciliazione prima della riassunzione davanti alla Sezione specializzata agraria, ritenne che il concedente avesse ottemperato all’onere imposto dalla L. n. 203 del 1982, articolo 5 e che le offerte del (OMISSIS) non integrassero gli estremi dell’offerta non formale idonea ad escludere la mora debendi. Ritenuto, quindi, valido ed efficace il contratto di affitto stipulato da (OMISSIS) anche nei confronti degli altri comproprietari, ordino’ al (OMISSIS) il rilascio del terreno anche nei confronti di questi ultimi.
3. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione, affidato a cinque motivi.
(OMISSIS) resiste con controricorso.
Gli eredi di (OMISSIS) e (OMISSIS) non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
4. La trattazione e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1. cod. proc civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Il ricorrente ha depositato, ai sensi dell’articolo 372 c.p.c., copia del verbale di deposito e pubblicazione, in data 17 aprile 2010, del testamento olografo di (OMISSIS), con allegato estratto per riassunto del registro degli atti di morte del Comune di Foggia e la scheda testamentaria sottoscritta dal de cuius.
Il ricorrente ed il controricorrente hanno depositato memorie ex articolo 380-bis.1. c.p.c..

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 11, comma 3, per non avere la Corte d’appello dichiarato l’improponibilita’, per mancato espletamento del prescritto tentativo di conciliazione, della domanda riconvenzionale proposta da (OMISSIS), diretta a conseguire la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico.
Richiamando a sostegno del motivo la sentenza di questa Corte n. 6517/1997, il (OMISSIS) sostiene che, qualora il convenuto, a fronte dell’originaria domanda dell’attore, non riconducibile alla materia dei contratti agrari, si limiti a sollevare un’eccezione riconvenzionale che determini lo spostamento di competenza a favore della sezione agraria, non si pone la necessita’ del previo tentativo di conciliazione ne’ per l’attore, ne’ per il convenuto, in difetto di ampliamento del thema decidendum; per contro, se l’attore, come nel caso di specie, propone una domanda non riconducibile alla materia dei contratti agrari ed il convenuto propone, a sua volta, domanda riconvenzionale rientrante nella previsione del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 11 l’ampliamento del thema decidendum rende necessario il preventivo tentativo di conciliazione.
1.1. Il motivo e’ infondato.
1.2. La sentenza impugnata si pone in linea con il costante e consolidato orientamento di questa Corte che ha, in piu’ occasioni, precisato che una domanda in materia di contratti agrari inizialmente proposta innanzi a giudice incompetente non deve essere preceduta dal tentativo di conciliazione in sede stragiudiziale neppure prima della riassunzione davanti alla sezione specializzata agraria, a seguito della pronuncia con cui il giudice adito, o, eventualmente, la Corte di cassazione in sede di regolamento di competenza, preso atto della eccezione riconvenzionale di parte convenuta, abbia dichiarato l’incompetenza per materia del giudice originariamente adito. E cio’ perche’ la riassunzione non comporta l’instaurazione di un nuovo rapporto processuale, ma costituisce la prosecuzione di quello promosso davanti al giudice dichiaratosi incompetente (Cass., sez. 3, 12/12/2003, n. 19056; Cass., sez. 3, 20/08/2015, n. 17011).

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Si e’, in particolare, spiegato che la diversa conclusione, fatta propria da alcune pronunce di questa Corte (come, ad esempio, Cass., sez. 3, 28/11/1998, n. 12086, secondo la quale “l’attribuzione della competenza alla sezione specializzata agraria intervenuta nel corso del giudizio (inizialmente ritualmente instaurato, senza il previo tentativo di conciliazione innanzi al pretore giudice del lavoro) non puo’…non portare” alla declaratoria di improcedibilita’ della domanda riassunta dinanzi al giudice specializzato agrario senza il previo tentativo di conciliazione), non puo’ essere seguita: se, infatti, il tentativo di conciliazione di cui si discute integra una “condizione di proponibilita’ della domanda inerente ad un rapporto agrario”, cio’ non puo’ che significare che per verificare la proponibilita’ della domanda occorre avere riguardo esclusivamente alla “legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda (ex articolo 5 c.p.c.)”, dovendosi tenere conto che, vertendosi in tema di disposizioni processuali, deve ritenersi operante il principio generale dell’assoggettamento dell’atto ai requisiti fissati dalla legge del tempo in cui l’atto e’ posto in essere, salva espressa previsione contraria (Cass., sez. 3, 7/08/1987, n. 6788).
Alla medesima conclusione si perviene, d’altro canto, se si considera che ove sia stata proposta dinanzi ad un giudice diverso dalla sezione specializzata agraria una domanda non relativa ad un contratto agrario, non puo’ certamente ritenersi che l’originaria pretesa possa divenire improponibile per effetto di una domanda riconvenzionale o a causa del mutamento, in forza di legge, del giudice investito della controversia; neppure la situazione muta nell’ipotesi in cui l’attore abbia proposto dinanzi al tribunale in composizione ordinaria una domanda, in realta’ di competenza della sezione agraria, che, proprio perche’ relativa a controversia agraria, doveva essere preceduta dal tentativo di conciliazione (Cass., sez. 3, 12/12/2003, n. 19056). Cio’ si spiega per il fatto che, in una tale eventualita’, l’attore ha proposto una domanda dinanzi a “giudice incompetente”, ma non una domanda “improponibile”, essendo certo che per la proposizione di domande anche se relative a controversie agrarie, dinanzi al tribunale ordinario, non e’ necessario l’esperimento del previo tentativo di conciliazione.

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Alla stregua dei superiori principi, e’ del tutto irrilevante che, nel caso di specie, (OMISSIS), costituendosi nel giudizio incardinato dinanzi al Tribunale ordinario, abbia svolto domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto di affitto, e non eccezione riconvenzionale volta solo a paralizzare la pretesa del (OMISSIS), considerato che tale domanda e’ stata spiegata nell’ambito di un giudizio introdotto per formulare una domanda non ricadente nel perimetro del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 11 per la quale non era richiesto il preventivo tentativo di conciliazione.
2. Con il secondo motivo deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. 23 maggio 1982, n. 203, articolo 5, comma 3, per non avere i giudici di appello dichiarato l’improponibilita’ della domanda formulata da (OMISSIS) in quanto non preceduta dalla raccomandata contenente le motivate richieste del concedente circa le inadempienze contestate al conduttore. Lamenta il ricorrente che la Corte barese, pur affermando che la lettera datata 3 febbraio 2017, inviata dal concedente all’affittuario, con la quale il primo contestava al secondo gli inadempimenti contrattuali, non contenesse una esplicita illustrazione delle richieste del concedente, come prescritto dalla legge, aveva comunque ritenuto che l’indicazione delle suddette richieste potesse “desumersi, quantunque in modo implicito, dalla stessa natura degli inadempimenti contestati dal concedente all’affittuario”; sottolinea, al riguardo che l’onere di illustrazione delle “motivate richieste” implica, al contrario, l’indicazione dei mezzi e dei comportamenti che il locatore ritiene necessari al fine di vedere realizzato il suo diritto ad un esatto adempimento, essendo la preventiva contestazione finalizzata a consentire all’affittuario di sanare l’inadempimento nel termine di tre mesi dal ricevimento della comunicazione.
2.1. Il motivo e’ inammissibile.
2.2. La L. n. 203 del 1982, articolo 5 prevede, da un lato, che la risoluzione del contratto di affitto a coltivatore diretto puo’ essere pronunciata nel caso in cui l’affittuario si sia reso colpevole di grave inadempimento contrattuale e, dall’altro, che “prima di ricorrere all’autorita’ giudiziaria, il locatore e’ tenuto a contestare all’altra parte, mediante lettera raccomandata, l’inadempimento e ad illustrare le proprie motivate richieste”, al fine di consentire all’affittuario di sanare l’inadempienza nel termine di tre mesi dal ricevimento di tale comunicazione. La comunicazione che non illustri le motivate richieste, in modo da consentire all’intimato di valutarle ai fini della sanatoria prevista dalla disposizione normativa, non integra valida contestazione di eventuali inadempienze, dovendo il conduttore conoscere non solo i fatti di cui il conduttore si lamenti, ma anche cio’ che quest’ultimo vuole al fine di vedere realizzato il suo diritto ad un esatto adempimento (Cass., sez. 3, 2/12/1992, n. 12856). Di conseguenza, in difetto della indicazione dei mezzi per consentire all’affittuario di sanare l’inadempimento nel termine di legge, l’onere di contestazione ex articolo 5 citato puo’ dirsi osservato nel solo caso in cui dalla contestazione stessa risulti l’impossibilita’ del ripristino della situazione provocata dall’inadempimento (Cass., sez. 3, 09/05/1994, n. 4485).
2.3. Posto cio’, osserva il Collegio che l’accertamento se, in concreto, la contestazione sia conforme al modello legale, ossia contenga le “motivate richieste”, e la verifica se si sia di fronte a inadempienze suscettibili di essere sanate integrano tipici accertamenti di fatto rimessi al giudice di merito, come tali sindacabili in sede di legittimita’ esclusivamente sotto il profilo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. 3, 16/01/2009, n. 978).
2.4. Nel caso in esame, il ricorrente non evidenzia vizi rilevanti sotto il profilo sopra indicato, ma si limita piuttosto a contrapporre alla lettura data dal giudice del merito alla lettera di contestazione del 3 febbraio 2017 una propria soggettiva interpretazione, che si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni del giudice di merito, estranea alla finalita’ del giudizio di legittimita’.

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Ne segue che l’apprezzamento svolto dalla Corte territoriale, che ha comunque ritenuto, con accertamento di fatto esaustivo e scevro da vizi logici, che l’indicazione delle richieste poteva “inequivocamente desumersi”, seppure in modo implicito, dalla stessa natura degli inadempimenti contestati dal concedente all’affittuario, non e’ stato proficuamente censurato, risolvendosi la censura in una mera proposta di una interpretazione diversa del contenuto della comunicazione, non consentita in questa sede.
2.5. A cio’ va aggiunto che la contestazione dell’inadempimento che il locatore, ai sensi della L. n. 203 del 1982, articolo 5 ha l’onere di comunicare al conduttore prima di ricorrere all’autorita’ giudiziaria per la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico a coltivatore diretto, non deve necessariamente contenere anche una diffida ad adempiere entro il termine assegnato al conduttore dalla legge per sanare l’inadempimento perche’ la relativa facolta’ deriva a quest’ultimo direttamente dalla legge e puo’ essere, quindi, esercitata indipendentemente dall’invito del locatore (Cass., sez. 3, 14/10/2019, n. 25759).
3. Con il terzo motivo censura la decisione gravata, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli articoli 1220, 1175 e 1375 c.c. “per avere ritenuto che l’offerta del conduttore di pagamento dei canoni non fosse idonea ad escludere la sua mora debendi”.
Il ricorrente ribadisce, con riferimento all’annata agraria 2014/2015, che la raccomandata datata 27 novembre 2015, con cui aveva invitato il concedente ad inviargli le coordinate bancarie affinche’ potesse rimettergli la somma dovuta a titolo di canoni di affitto, non era stata riscontrata dal (OMISSIS) e che neppure aveva sortito effetti la successiva lettera raccomandata spedita in data 4 agosto 2016, con la quale aveva sollecitato il concedente ad indicare le modalita’ per potergli recapitare le somme dovute; soltanto qualche mese dopo, e precisamente in data 3 febbraio 2017, il (OMISSIS) gli aveva comunicato che, in ragione di gravi inadempimenti, il contratto di affitto doveva intendersi risolto e, in risposta a tale missiva, aveva inviato al (OMISSIS) altra lettera in data 4 maggio 2017, invitandolo nuovamente ad indicare le modalita’ con cui fargli pervenire la somma. Contesta, pertanto, alla Corte barese di non avere tenuto conto che aveva ripetutamente tentato di consegnare al (OMISSIS) le somme dovute a titolo di canoni e di avere trascurato completamente di valutare il comportamento del creditore, che era stato contrario al dovere di buona fede, sebbene, in caso di offerta non formale, al fine di valutare la legittimita’ del rifiuto del creditore e, di conseguenza, l’impedimento della mora del debitore, dovesse compiersi una valutazione comparativa della condotta delle parti. Soggiunge che, avendo formulato un’offerta non formale idonea, ex articolo 1220 c.c., ad escludere la sua mora debendi, non era tenuto ad effettuare alcuna offerta banco iudicis.

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3.1. Il motivo e’ infondato.
3.2. L’offerta informale (o non formale), ai sensi dell’articolo 1220 c.c., come chiarito da questa Corte, consiste in una qualsiasi condotta del debitore idonea a manifestare il serio intento di effettuare la prestazione e, pertanto, a questi fini occorre che la prestazione venga posta a disposizione del creditore con modalita’ tali da consentirne concretamente la fruibilita’ (Cass., sez. 2, 12/03/1984, n 1699; Cass., sez. 3, 10/03/1982, n. 1551).
In altri termini, l’offerta non formale della prestazione esclude la mora del debitore, ai sensi dell’articolo 1220 c.c., cosi’ preservandolo dalla responsabilita’ per il ritardo, solo se sia reale ed effettiva, e cioe’ abbia i caratteri della serieta’, tempestivita’ e completezza e consista nell’effettiva introduzione dell’oggetto della prestazione dovuta nella sfera di disponibilita’ del creditore per l’adempimento dell’obbligazione, in modo che quest’ultimo possa aderirvi senza ulteriori accordi e limitarsi a ricevere la prestazione stessa (Cass., sez. 2, 13/12/2010, n. 25155; Cass., sez. 3, 28/10/2015, n. 21924).
Con specifico riferimento alle obbligazioni pecuniarie, costituisce offerta non formale, idonea a conseguire gli effetti di cui all’articolo 1220 c.c., l’attivita’ con cui il debitore, manifestando una seria volonta’ di pronto adempimento, immetta comunque la somma di danaro dovuta nella sfera di disponibilita’ del creditore, in modo che questi possa apprenderla immediatamente (in senso conforme, Cass., sez. 3, 03/01/1982, n. 186, che ha ritenuto idoneo a escludere la mora debendi l’inserimento nel proprio fascicolo di causa di un assegno circolare intestato al creditore, con autorizzazione al ritiro; Cass., sez. 3, 06/07/2006, n. 15352; Cass., sez. 2, 13/12/2010, n. 25155).
La Corte di merito risulta avere fatto corretta applicazione di tali principi, avendo rilevato che con le tre raccomandate inviate al creditore (OMISSIS) il (OMISSIS) si era sostanzialmente limitato a manifestare la propria disponibilita’ a pagare i canoni di affitto eventualmente con bonifico bancario da effettuarsi solo dopo che il creditore gli avesse comunicato le proprie coordinate bancarie, ma, a fronte del comportamento del creditore, che non aveva dato riscontro alla sua richiesta, non aveva poi posto in essere comportamenti seri per porre la prestazione a disposizione del creditore in modo da consentirgli di poter in concreto avere immediata disponibilita’ delle somme.
Alla luce delle circostanze di fatto puntualmente richiamate nella sentenza impugnata, pertanto, la Corte d’Appello ha negato che le predette raccomandate rappresentassero offerta non formale, seria e concreta, come tale idonea ad escludere la mora debendi, rafforzando tale conclusione con l’ulteriore considerazione, del tutto condivisibile, che il (OMISSIS), pur essendo gia’ moroso di ben tre annualita’ al momento in cui era stata proposta domanda riconvenzionale da parte di (OMISSIS), soltanto nel giudizio di secondo grado aveva offerto banco iudicis un assegno circolare, emesso in favore del creditore, di importo pari all’ammontare complessivo dei canoni gia’ scaduti, subordinando l’offerta alla condizione che l’accettazione da parte del creditore comportasse volonta’ di rinunzia a tutte le domande da quest’ultimo formulate nel giudizio.
Trattasi all’evidenza di un’offerta non formale inidonea ad escludere la mora del debitore, ai sensi dell’articolo 1220 c.c., considerato che non assolve alla funzione di introdurre effettivamente l’oggetto della prestazione dovuta nella sfera di disponibilita’ del creditore nei luoghi indicati dall’articolo 1182 c.c. per l’adempimento dell’obbligazione, in modo che quest’ultimo possa aderirvi senza ulteriori accordi e limitarsi a ricevere la prestazione stessa (Cass., sez. 2, 13/12/2010, n. 25155).
4. Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2907 c.c., 99 e 112 c.p.c., per avere la Corte di merito ordinato il rilascio del fondo, conseguente alla pronuncia di risoluzione del contratto di affitto, anche in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), che non avevano proposto la relativa domanda. Lamenta il ricorrente che i giudici di appello, sul punto, hanno confermato la sentenza di primo grado sul rilievo, errato, che l’estensione dell’ordine di rilascio in favore degli altri comproprietari del fondo fosse una conseguenza dell’opponibilita’ del contratto di locazione anche ai comproprietari non locatori, in virtu’ del principio secondo cui deve presumersi la concorrenza di pari poteri gestori in capo a tutti i comunisti, in difetto di prova contraria.

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Il motivo e’ infondato.
La sentenza impugnata si pone in linea con il principio pacifico della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui il comproprietario puo’ agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile per finita locazione o la risoluzione del contratto per inadempimento, trattandosi di un atto di ordinaria amministrazione della cosa comune per il quale si deve presumere che sussista il consenso degli altri comproprietari o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione (tanto che si esclude la necessita’ della integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti) (Cass., sez. 3, 13/07/1999, n. 7416; Cass., sez. 3, 04/06/2008, n. 14759).
Pertanto, qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto un immobile in comproprieta’ indivisa, ciascuno dei comunisti ha, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori, rispondendo a regole di comune esperienza che uno o alcuni di essi gestiscano, con il consenso degli altri, gli interessi di tutti, sicche’ l’eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva nei soli rapporti interni fra i comproprietari e non puo’ essere eccepita alla parte conduttrice (Cass., sez. 2, 02/02/2016, n. 1986).
Cio’ impone di ritenere che il contratto di locazione, seppure concluso dal (OMISSIS) solo con (OMISSIS), come ritenuto dalla Corte d’appello, era valido ed opponibile anche agli altri comproprietari del fondo, anche se rimasti estranei alla stipula del contratto di affitto, e che l’ordine di rilascio del fondo, derivante dall’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di affitto, sebbene proposta dal solo (OMISSIS), si estende anche agli altri comproprietari del bene.
5. Con il quinto motivo, censurando la decisione impugnata, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente compensato per meta’ le spese processuali tra lo stesso ricorrente (OMISSIS) e (OMISSIS), nonostante la soccombenza totale di questi ultimi nella causa promossa nei suoi confronti.
Il motivo e’ infondato.
La statuizione di compensazione delle spese del procedimento, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2 nel testo applicabile ratione temporis, novellato dal Decreto Legge n. 132 del 2014, trattandosi di procedimento introdotto nel 2016, puo’ essere disposta nel caso di soccombenza reciproca, nelle ipotesi di assoluta novita’ della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, nonche’ – per effetto della sentenza del 7 marzo 2018 n. 77 della Corte costituzionale – nelle analoghe ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti e in quelle di assoluta incertezza, che presentino la stessa, o maggiore, gravita’ ed eccezionalita’ delle ipotesi tipiche espressamente previste dall’articolo 92, comma 2, c.p.c.
Nell’impugnata sentenza si fa espresso riferimento alla ipotesi di “accoglimento parziale dell’appello”, derivante dall’accoglimento della domanda di rilascio del fondo affittato anche in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS) in conseguenza della ritenuta fondatezza della domanda di risoluzione del contratto di affitto proposta da (OMISSIS), cosicche’ non e’ ravvisabile il denunciato vizio di violazione di legge, dovendosi, peraltro, ribadire che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimita’ (cfr. Cass., sez. 2, 31/1/2014, n. 2149; Cass., sez. 1, 24/01/2013, n. 1703, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese giudiziali, nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell’una o dell’altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l’oggetto della lite nel suo complesso).
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
A carico del ricorrente non sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, trattandosi di controversia di natura agraria, e dunque sottratta a tale disciplina.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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