Quando è inammissibile per carenza d’interesse il ricorso per cassazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 18 novembre 2019, n. 46588

Massima estrapolata:

In tema d’impugnazioni, è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ab origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio. (Fattispecie in tema di mancata concessione delle attenuanti generiche, in cui l’imputato si doleva della mancata pronuncia della Corte di Appello, a fronte di un motivo di appello manifestamente inammissibile perché non specificava le ragioni poste alla base dell’invocato riconoscimento delle stesse circostanze e non adduceva una motivata censura all’argomento al riguardo impiegato dal giudice di primo grado).

Sentenza 18 novembre 2019, n. 46588

Data udienza 3 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/10/2018 della Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere MENGONI Enrico;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19/10/2018, la Corte di appello di Firenze, in riforma della pronuncia emessa il 2/3/2016 dal Tribunale di Grosseto, dichiarava (OMISSIS) colpevole del reato alla stessa ascritto, condannandola alla pena di tre anni di reclusione, con pene accessorie L.Fall., ex articolo 216; dall’intestazione e dalla motivazione della sentenza, tuttavia, si comprendeva che la stessa riguardava una diversa pronuncia (emessa dal Tribunale di Firenze il 25/9/2017), peraltro confermata, una diversa imputata ( (OMISSIS)), una differente contestazione (Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 256, comma 2) e una differente pena (sette mesi di arresto e 3.000,00 Euro di ammenda). Lo stesso Collegio, con ordinanza del 30/4/2019, provvedeva a correggere l’errore materiale.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputata (prima di tale ordinanza), deducendo i seguenti motivi:
– nullita’ della sentenza per mancanza della parte dispositiva e violazione dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera f), in ragione di quanto sopra richiamato;
– mancanza di motivazione quanto alle circostanze attenuanti generiche, sulle quali nessun argomento la Corte avrebbe speso (al pari del Tribunale), nonostante l’espresso motivo di censura.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
In relazione alla prima censura – e pacifico l’errore nel quale e’ incorso il Collegio di appello, che alla intestazione e motivazione pertinenti ha allegato il dispositivo di un altro processo – basti qui richiamare il costante e condiviso indirizzo a mente del quale in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, qualora la divergenza dipenda da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo (come, all’evidenza, nel caso di specie), e’ legittimo il ricorso alla motivazione per individuare l’errore medesimo ed eliminarne i relativi effetti (tra le altre, Sez. 6, n. 24157 del 1/3/2018, Cipriano, Rv. 273269; Sez. 2, n. 13904 del 9/3/2016, Palumbo, Rv. 266660; si veda anche Sez. 4, n. 26172 del 19/5/2016, Ferlito, Rv. 267153, a mente della quale nell’ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore nella materiale indicazione della pena nel dispositivo e dall’esame della motivazione emerga in modo chiaro ed evidente la volonta’ del giudice, potendosi ricostruire il procedimento seguito per determinare la sanzione, la motivazione prevale sul dispositivo con la conseguente possibilita’ di rettifica dell’errore in sede di legittimita’, secondo la procedura prevista dall’articolo 619 c.p.p., non essendo necessarie, in tal caso, valutazioni di merito).
Ne consegue che nessuna nullita’ della sentenza puo’ esser ravvisata nel caso di specie, in relazione all’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera f), atteso che la motivazione della stessa concerne senza dubbio la ricorrente (OMISSIS) ed il reato ascrittole, cosi’ come contiene la conferma della decisione di primo grado;
soltanto il dispositivo depositato con la motivazione stessa – a differenza di quello letto in udienza ed allegato al verbale – e’ stato dunque “traslato” da altro giudizio, e cio’ per evidente errore materiale che la stessa Corte di appello ha successivamente corretto.
5. Alle medesime conclusioni di inammissibilita’, poi, perviene il Collegio anche quanto alla seconda censura.
Al riguardo, si osserva che il Giudice di secondo grado, pur investito della doglianza in punto di omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non ha invero provveduto, non risultando dalla sentenza alcuna motivazione al riguardo; questa constatazione, tuttavia, deve esser letta in relazione al contenuto della doglianza medesima, dovendosi apprezzare se la stessa rispondesse ai richiesti canoni di ammissibilita’. Ebbene, la risposta a tale verifica risulta certamente negativa, atteso che la (OMISSIS), con il primo motivo di gravame, si era limitata a lamentare “la mancata concessione delle attenuanti generiche” e la relativa carenza motivazionale, senza tuttavia specificare le ragioni – eventualmente sottoposte al Giudice del merito e non valutate – per le quali avrebbe meritato il riconoscimento della stesse circostanze e, soprattutto, senza addurre una motivata censura all’argomento al riguardo impiegato dal primo Giudice; il quale, in particolare, aveva rilevato l’assenza di elementi positivi per aderire alla richiesta (si ribadisce, neppure in questa sede rappresentati), evidenziando l’insufficienza, sul punto, dello stato di incensuratezza.
Deve quindi ribadirsi il principio, di costante affermazione giurisprudenziale, in forza del quale in tema d’impugnazioni e’ inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ab origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (tra le molte, Sez. 6, n. 47222 del 6/10/2015, Arcone, Rv. 265878).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

 

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