Quando agisce in carenza di potere l’Ordine dei medici

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 28 luglio 2020, n. 16045.

La massima estrapolata:

Agisce in carenza di potere l’Ordine dei medici che sottopone a procedimento disciplinare e sanziona un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, compiendo atti non ricompresi fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine.

Sentenza 28 luglio 2020, n. 16045

Data udienza 13 giugno 2019

Tag/parola chiave: Professioni – Responsabilità professionale – Medico – Violazione codice deontologico – Gestione infermieristica del dolore toracico – Linee guida – Redazione – Deleghe di atti di stretta pertinenza medica – Procedimento disciplinare – Prescrizione – Decorrenza del termine quinquennale – Art. 51, Dpr 221/1950

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 4190/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente e c/ricorrente incidentale –
contro
ORDINE PROVINCIALE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrentee ricorrente incidentale –
e contro
PROCURA REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE BOLOGNA, MINISTERO SALUTE;
– intimati –
avverso la decisione n. 72/2017 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI SANITARIE di ROMA, depositata il 28/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/06/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che si riporta agli atti;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega orale dell’Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che si riporta agli atti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di (OMISSIS), con Delib. 18 marzo 2016, irrogo’ la sanzione amministrativa della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi nei confronti del Dottor (OMISSIS), dirigente medico del Servizio di emergenza-urgenza della ASL di Bologna, che aveva partecipato nel 2006 alla redazione ed all’applicazione di protocolli e linee guida sull’impiego del personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza (ambulanza 118). Secondo l’organo disciplinare, le istruzioni operative contenute in detti protocolli, denominate “Procedura UOC 118 (OMISSIS) “Gestione infermieristica del dolore toracico””, e “Istruzione operativa UOC 118 “Gestione infermieristica dei pazienti con intossicazione acuta da oppiacei”, sostanziavano vere e proprie deleghe di atti di stretta pertinenza medica, ed eludevano i limiti posti dalla legge e dal codice deontologico per demarcare la linea di confine dell’autonomia delle professioni sanitarie. Cio’ in quanto la deontologia medica riserva alla diretta responsabilita’ del medico la diagnosi, prescrizione e somministrazione farmacologica, funzioni non delegabili al personale infermieristico e che, comunque, vanno effettuate sotto il diretto controllo del medico. Inoltre l’Ordine ritenne tali atti contrastanti con il dovere di garanzia della sicurezza delle procedure a tutela del paziente, soprattutto in relazione agli aspetti valutativi.
Le violazioni contestate riguardavano diverse disposizioni del codice deontologico del 2006, vigente all’epoca, e cioe’ l’articolo 13, comma 1, in materia di prescrizione e trattamento terapeutico, articolo 14, comma 1, in materia di sicurezza del paziente e prevenzione del rischio clinico, nonche’ alcune disposizioni del codice deontologico del 2014, e cioe’ l’articolo 3, commi 3 e 4, in materia di doveri e competenze dei medici, articolo 13, commi 1, 4 e 5, in materia di prescrizione ai fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, articolo 14, comma 1, in materia di prevenzione e gestione di eventi avversi e sicurezza delle cure.
2.- La sanzione fu annullata dalla Commissione Medica Centrale, che confermo’ la sussistenza della potesta’ disciplinare in materia, contestata dal ricorrente, secondo il quale, sul piano oggettivo, la censurabilita’ della condotta in termini deontologici non poteva estendersi ai comportamenti riferibili esclusivamente allo svolgimento delle funzioni dirigenziali nell’esercizio di poteri attinenti al rapporto di impiego con l’istituzione pubblica. Al riguardo la Commissione osservo’ che, a norma dell’articolo 68 del codice di deontologia, il medico operante nelle strutture sanitarie pubbliche e private e’ soggetto alla potesta’ disciplinare dell’Ordine indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, in quanto l’appartenenza all’Ordine stesso, che si consegue per effetto della iscrizione all’Albo professionale, determina l’accettazione da parte dell’iscritto della disciplina e del conseguente esercizio del potere disciplinare.
La decisione richiamo’ la giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale la competenza dell’Ordine ad irrogare sanzioni disciplinari non viene meno nei confronti del professionista che, regolarmente iscritto all’Albo, sia dipendente della p.a..
La Commissione escluse poi la pregiudizialita’ del rimedio giurisdizionale avverso il provvedimento amministrativo adottato dalla ASL il 17 ottobre 2007 per rendere operativo l’atto di organizzazione in questione, nella specie non promosso, rispetto alla iniziativa disciplinare, stante la indipendenza strutturale e teleologica dei due procedimenti, e giudico’ fondati gli addebiti quanto alla illiceita’ dei protocolli ed alla contrarieta’ degli stessi alla deontologia medica, ritenendo pero’ prescritti gli addebiti, rilevando che la condotta attribuita all’incolpato, consistendo nella fattiva partecipazione alla elaborazione delle linee guida ed ai protocolli operativi per gli interventi di emergenza ed urgenza, si inquadra nella fattispecie dell’atto istantaneo con effetti permanenti.
Cio’ posto, essendo state le istruzioni operative approvate nel 2007, mentre l’apertura del procedimento disciplinare era intervenuta nel 2015, era decorso il termine quinquennale di prescrizione stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 51.
3.- Per la cassazione di tale decisione ricorre il Dott. (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di (OMISSIS), che ha proposto ricorso incidentale cui il sanitario resiste con controricorso. Nell’imminenza della udienza le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si deduce “violazione del Decreto Legislativo n. 223 del 1946, articoli 3 e 10 (recte: n. 233), Decreto Legislativo n. 502 del 1992, articoli 2 e 3, Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 38 e dei principi in ordine all’estensione oggettiva del potere disciplinare ordinistico, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – error in iudicando. Erroneita’ della sentenza per non aver rilevato la carenza assoluta di potesta’ disciplinare, l’usurpazione e lo sviamento di potere in capo all’Ordine e la conseguente nullita’ del provvedimento disciplinare impugnato”. Secondo il ricorrente, se e’ vero che, da un punto di vista soggettivo, il rapporto di dipendenza del medico con l’Azienda sanitaria non esclude ex se la potesta’ disciplinare dell’Ordine, tuttavia, sul piano oggettivo, tale potesta’ si estende alle sole condotte che violino la correttezza ed il decoro professionale, non potendo ricomprendere le mancanze attribuibili al medico nell’espletamento di mansioni amministrative, o ricollegabili all’esercizio di attivita’ di dirigente pubblico di una struttura sanitaria, competendo l’accertamento della responsabilita’ dirigenziale del sanitario all’Azienda. Nel ricorso si ipotizza inoltre l’usurpazione e lo sviamento di potere da parte dell’Ordine, che avrebbe utilizzato lo strumento disciplinare in modo distorto, al fine di opporsi a scelte amministrative, anziche’ agire in via giurisdizionale per l’annullamento dei protocolli che riteneva illegittimi o in via amministrativa segnalando la questione alla Regione o al Ministero della Salute.
2.- La doglianza e’ fondata.
2.1.- Gli Ordini delle professioni sanitarie sono investiti di funzioni di interesse pubblico dal D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse), come modificato dalla L. n. 3 del 2018, articolo 4. Fra tali funzioni, a tutela di interessi generali della collettivita’, garantiti dall’ordinamento e connessi all’esercizio professionale, vi e’ quella di vigilare “sugli iscritti agli albi, in qualsiasi forma giuridica svolgano la loro attivita’ professionale, compresa quella societaria, irrogando sanzioni disciplinari” (D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, articolo 1, comma 3, lettera l, come successivamente modificato dalla L. 11 gennaio 2018, n. 3, articolo 4, comma 1).
L’Ordine e’ chiamato, in questa prospettiva, a promuovere e assicurare “l’indipendenza, l’autonomia e la responsabilita’ delle professioni e dell’esercizio professionale, la qualita’ tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salvaguardia dei diritti umani e dei principi etici dell’esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva” (D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, articolo 1, comma 3, lettera c, come successivamente modificato). All’Ordine e’ attribuito un potere disciplinare, esercitato, in particolare, dalla Commissione di albo (D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, articolo 3, comma 2, lettera c, come successivamente modificato).
Tale potere, cosi’ configurato nelle sue finalita’, e’ volto ad assicurare il rispetto delle regole deontologiche che governano il corretto esercizio della professione. Il legislatore ha inteso, in tal modo, delimitare un potere sanzionatorio che, se non ristretto entro confini ben precisi, potrebbe irragionevolmente invadere la sfera dei diritti dei singoli destinatari delle sanzioni (Corte Cost., sent. n. 259 del 2019). Esso puo’ dunque essere legittimamente esercitato solo “tenendo conto degli obblighi a carico degli iscritti, derivanti dalla normativa nazionale e regionale vigente e dalle disposizioni contenute nei contratti e nelle convenzioni nazionali di lavoro”, nonche’ “secondo una graduazione correlata alla volontarieta’ della condotta, alla gravita’ e alla reiterazione dell’illecito” (ancora articolo 1, comma 3, lettera l, gia’ citato).
Il potere disciplinare nasce, quindi, limitato dal necessario rispetto delle garanzie degli iscritti, ma anche dalla natura dei codici deontologici, definiti dalla Commissione Centrale per gli esercenti le Professioni Sanitarie CCEPS organo di giurisdizione speciale chiamato, ai sensi del D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, articolo 3, comma 4, a pronunciarsi sui ricorsi promossi avverso i provvedimenti disciplinari adottati dalla Commissione di albo – atti di soft law vincolanti nei termini e nei limiti indicati dalla legge (decisione 7 luglio 2017, n. 80).
2.2.- In tale prospettiva, il D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, articolo 10, nel disporre, al comma 1, che i sanitari che siano impiegati in una pubblica amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato l’esercizio della libera professione, possono essere iscritti all’albo, aggiunge, al comma 2, che “essi sono soggetti alla disciplina dell’Ordine o Collegio, limitatamente all’esercizio della libera professione”. E il Decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221, articolo 38 (Approvazione del regolamento per la esecuzione del Decreto Legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse) delimita a sua volta l’ambito di operativita’ del potere disciplinare, disponendo che esso possa essere esercitato nei soli confronti dei “sanitari che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della professione o, comunque, di fatti disdicevoli al decoro professionale”.
La giurisprudenza di legittimita’ ha avuto occasione di pronunciarsi sul tema della latitudine del potere disciplinare nei confronti dei professionisti, affermandone la estensione, oltre che alla professione espletata secondo un modello organizzativo autonomo, anche con riguardo a violazioni di norme deontologiche inerenti l’esercizio di attivita’ legata allo status del professionista e svolta nell’ambito del rapporto di lavoro, privato o pubblico (Cass. 23 luglio 1993, n. 8329; Cass. 18 maggio 2000, n. 6469; Cass. 23 gennaio 2002, n. 747; Cass. 29 maggio 2003, n. 8639).
Con specifico riferimento alle professioni sanitarie, questa Corte ha sottolineato che il richiamato del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 38, considera illeciti disciplinari i comportamenti tenuti dagli iscritti anche se nello svolgimento di attivita’ diverse dall’esercizio della professione, quante volte il comportamento sia suscettibile di essere considerato di pregiudizio per il decoro della professione (Cass. 19 agosto 2011, n. 17418).
Tale precisazione ha avuto il senso di chiarire che gli appartenenti a categorie professionali, al pari degli esercenti funzioni costituzionali, sono soggetti a sanzioni disciplinari sia per condotte c.d. funzionali, che per fatti extrafunzionali, sempre che le une e gli altri siano idonei a incidere sulla connotazione deontologica della categoria di riferimento.
La stessa giurisprudenza di legittimita’ ha peraltro nitidamente affermato che, seppure il D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1944, articolo 10, non esclude che l’Ordine professionale possa sanzionare comportamenti tenuti al di fuori dello stretto esercizio della libera professione, esso intende, sia pure con formula non perspicua, che il potere disciplinare non puo’ incidere sul rapporto di impiego con la P.A. o con altro privato (Cass. 31 maggio 2006, n. 13004). Ed ha poi ulteriormente chiarito che se l’organo disciplinare ha la funzione di valutare il comportamento del sanitario sotto l’aspetto deontologico, che ben puo’ venire in rilievo pur se si inserisca nell’ambito di un’attivita’, sua o di altri, legittima sotto il profilo amministrativo, esso tuttavia non puo’ sindacare l’attivita’ amministrativa dell’ente pubblico (Cass. 3 marzo 2011, n. 5118), con il quale, con la nomina di un soggetto quale dirigente, si genera un rapporto di immedesimazione organica, con conseguente imputazione all’ente dell’azione del dirigente medesimo.
La CCEPS, alla luce del quadro normativo sopra illustrato, ha ritenuto che sia sottratto al potere disciplinare dell’Ordine il comportamento del medico riconducibile all’ambito dell’esercizio di mansioni o funzioni pubbliche e non riferibile ad attivita’ svolte nell’interesse personale del professionista (decisione n. 16 dell’8 giugno 1991), ne’ all’attivita’ professionale in genere (decisione n. 41 del 21 febbraio 2000).
Risulta pertanto evidente che, nel caso in esame, l’Ordine dei medici ha agito in carenza di potere, poiche’ ha sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, compiendo atti non ricompresi fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine.
2.3.- Tra l’altro, con la irrogazione della sanzione in esame, l’Ordine, e quindi, la CCEPS ha finito per sovrapporsi, contestandola, all’azione amministrativa della Asl di Bologna estrinsecatasi nella predisposizione dei protocolli sull’impiego del personale infermieristico.
A tale riguardo non e’ superfluo sottolineare che, con la Delib. n. 508 del 2016, proposta dall’assessore alle politiche per la salute, la Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, nell’esercizio della propria ampia competenza amministrativa in materia di “tutela della salute”, fondata sull’articolo 117 Cost., comma 3 e articolo 118 Cost., aveva autorizzato l’impiego di personale infermieristico specializzato nell’assistenza sanitaria in emergenza (ambulanza 118), proprio in conformita’ ai protocolli operativi oggetto del procedimento disciplinare all’odierno esame, predisposti dal personale medico, in attuazione di quanto stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, articolo 10 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza) e dall’intesa in Conferenza Stato-Regioni dell’11 aprile 1996 (Atto di intesa tra Stato e regioni di approvazione delle linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992).
A seguito dell’approvazione di tale Delib., era stato promosso un procedimento disciplinare nei confronti dell’assessore alle politiche per la salute della Regione, che svolgeva la professione sanitaria, definito con la irrogazione nei confronti dello stesso della sanzione della radiazione dall’Albo.
La Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in riferimento a tale pronuncia, ritenendo che essa rappresentasse un’interferenza, priva di qualsiasi base legislativa, nelle determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente attribuita alla Regione in materia di “tutela della salute” e, in particolare, nell’esercizio delle specifiche funzioni regionali di organizzazione del servizio sanitario e dei servizi di emergenza, in violazione dell’articolo 117 Cost., commi 3, 4 e 6, articolo 118 Cost., comma 1, articoli 121 e 123 Cost., nonche’ della Legge Regionale 31 marzo 2005, n. 13, articolo 46 (Statuto della Regione Emilia-Romagna), anche in relazione al riparto di competenze delineato dal Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, articolo 2 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, articolo 1) e dal Decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1998, n. 112, articoli 112, 114 e 115 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).
La Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 259 del 2019, ha annullato l’atto impugnato, ritenuto invasivo delle attribuzioni della Regione, proprio sulla base del rilievo che l’Ordine dei medici aveva sottoposto a procedimento disciplinare e sanzionato un proprio iscritto per atti compiuti da quest’ultimo non nell’esercizio della professione di medico, ma nell’esercizio di una funzione pubblica, in qualita’ di assessore regionale. Tali atti, ascrivibili a un munus pubblico, non rientrano dunque, secondo il giudice delle leggi, fra quelli sottoposti al potere sanzionatorio dell’Ordine, che ha interferito illegittimamente con l’esercizio delle prerogative dell’assessore – tra le quali rientra la facolta’ di proporre e di concorrere a formare e deliberare gli atti dell’organo collegiale di appartenenza – e, attraverso tale comportamento, con le attribuzioni costituzionali della Regione in materia di organizzazione sanitaria con conseguente menomazione delle stesse.
3. – Resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale l’esame del secondo, con il quale si denuncia “violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950, articolo 38 e degli articoli 33 e 117 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Error in iudicando. Erroneita’ della sentenza per aver ammesso l’esistenza di una nozione di “atto medico” rilevante sul piano deontologico distinta dalla relativa nozione legale”; del terzo, relativo alla presunta “violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 – Error in procedendo. Erroneita’ e/o nullita’ della decisione impugnata per carenza assoluta di motivazione in ordine al capo di accertamento dell’illegittimita’ dei protocolli di impiego avanzato del personale infermieristico redatti dal ricorrente”; del quarto, che contesta la “violazione della L. n. 42 del 1999, articolo 1; L. n. 251 del 2000, articolo 1; articolo 32, par. 7, dir. 36/2005/UE; L. n. 190 del 2014, articolo 1, comma 566; Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, articolo 10, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 – Error in iudicando. Erroneita’ della sentenza per aver ritenuto sussistente la violazione del sistema delle riserve professionali nei protocolli di impiego avanzato del personale infermieristico oggetto di incolpazione”.
4.- Resta parimenti assorbito dall’accoglimento del ricorso principale quello incidentale, con il quale l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di (OMISSIS) deduce la mancata decorrenza del termine di prescrizione dell’azione disciplinare.
5. – In definitiva, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale. La decisione impugnata deve essere cassata, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia puo’ essere decisa nel merito annullando la sanzione disciplinare irrogata al ricorrente principale. Si ritiene equo compensare le spese del giudizio, avuto riguardo alla peculiarita’ della questione ed alla natura degli interessi coinvolti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri ed il ricorso incidentale. Cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, annulla la sanzione disciplinare irrogata al ricorrente. Compensa tra le parti le spese del giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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