Qualora non sia in corso un’attività di captazione delle comunicazioni

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 17 maggio 2019, n. 21731.

La massima estrapolata:

In tema di prove, qualora non sia in corso un’attività di captazione delle comunicazioni, il testo di un messaggio sms, fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell’apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto, ha natura di documento la cui corrispondenza all’originale è asseverata dalla qualifica soggettiva dell’agente che effettua la riproduzione, ed è, pertanto, utilizzabile anche in assenza del sequestro dell’apparecchio.

Sentenza 17 maggio 2019, n. 21731

Data udienza 20 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella Patriz – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – rel. Consigliere

Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/12/2017 della CORTE ASSISE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa CESQUI ELISABETTA, che conclude per il rigetto del ricorso;
udito il difensore.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di BOLOGNA in difesa di:
(OMISSIS);
si associa alle conclusioni del Procuratore Generale e deposita conclusioni e nota spese;
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di PERUGIA in difesa di:
ASSOCIAZIONE (OMISSIS);
conclude chiedendo la conferma della sentenza e deposita conclusioni e nota spese; (parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Sato);
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di BOLOGNA in difesa di:
(OMISSIS);
conclude chiedendo la conferma della sentenza e deposita conclusioni e nota spese;
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di AREZZO in difesa di:
(OMISSIS);
(OMISSIS);
conclude chiedendo la conferma della sentenza e deposita conclusioni e nota spese; ( (OMISSIS) ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato);
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di FORLI’ in difesa di:
(OMISSIS);
(OMISSIS);
(OMISSIS);
(OMISSIS);
(OMISSIS);
(OMISSIS);
conclude chiedendo la conferma della sentenza e deposita conclusioni e nota spese;
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di RIETI in difesa di:
(OMISSIS);
insiste nei motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento;
E’ presente l’avvocato (OMISSIS), del foro di LECCE in difesa di:
(OMISSIS);
si riporta ai motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in primo grado il 24 ottobre 2016 la Corte di Assise di Arezzo ha affermato la penale responsabilita’ di (OMISSIS) in relazione alla contestazione di omicidio e soppressione di cadavere in danno di (OMISSIS), fatto avvenuto in luogo sconosciuto, in data compresa tra il (OMISSIS).
L’imputato veniva condannato alla pena di anni ventisette di reclusione, esclusa l’aggravante dei futili motivi, cosi’ determinata: anni ventisei di reclusione per il piu’ grave reato di omicidio volontario di cui al capo A) dell’imputazione, aumentata in considerazione del riconosciuto vincolo di continuazione con il reato di soppressione di cadavere di cui al capo B) sino alla pena finale di anni ventisette di reclusione.
1.1 Secondo l’imputazione (capo A) (OMISSIS), detto padre (OMISSIS), con modalita’ non potute accertare anche in considerazione della soppressione del cadavere, cagionava volontariamente la morte di (OMISSIS), con l’aggravante dei futili motivi rappresentati dal fatto che la vittima, rappresentandogli di esserne innamorata e di aspettare un figlio da lui, che era parroco del paese, gli avrebbe rivolto la inconsistente minaccia di farlo arrestare per tale motivo dai suoi amici Carabinieri.
Cio’ avveniva nel Comune di (OMISSIS) (una frazione con circa duecento abitanti) dopo la scomparsa della donna avvenuta nel pomeriggio del (OMISSIS).
Al capo B) e’ contestato il delitto di soppressione di cadavere poiche’, dopo aver ucciso la signora (OMISSIS) ed averne occultato temporaneamente il corpo, ponendo in essere una serie di depistaggi finalizzati ad avere piu’ tempo per completare quanto iniziato e consistenti nell’utilizzare il cellulare della signora al fine di farne credere l’esistenza in vita ed accreditare la tesi del suo allontanamento volontario, ne sopprimeva il cadavere al fine di renderne impossibile il rinvenimento.
1.2 La sentenza di primo grado afferma che il contesto probatorio acquisito depone per la colpevolezza di padre (OMISSIS) in ordine ad entrambi i capi di imputazione.
Si compie riferimento allo stretto rapporto intercorrente tra la (OMISSIS), donna descritta dai testi come molto introversa e taciturna (senza occupazione stabile), ed il figlio (OMISSIS), classe (OMISSIS) e portatore di handicap invalidante, per come tale rapporto e’ stato descritto, tra gli altri, dal suocero della donna scomparsa, (OMISSIS).
Costui ha descritto in termini quasi morbosi il rapporto intercorrente tra madre e figlio, tale per cui questa non era solita allontanarsi facilmente da casa senza il figlio o senza il marito (OMISSIS), anche in considerazione del fatto che, non avendo la donna la patente, si spostava sempre insieme a loro, con la vettura del marito.
Quest’ultimo viene descritto come una persona dedita abitualmente al consumo di alcol, ma che mai avrebbe alzato le mani verso la moglie; la coppia soffriva di ristrettezze economiche e cio’ aveva creato qualche discussione tra i due.
La stessa descrizione veniva confermata inoltre da altre tre testimoni, le sorelle della vittima, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
La Corte di primo grado deduceva quindi da tali elementi, ed in modo particolare dall’attaccamento della madre verso il figlio e dalle sue abitudini di vita (la donna, come si e’ detto, era priva di patente di guida e quel giorno non era attivo alcun servizio di trasporto), che doveva ritenersi escluso che la stessa il giorno (OMISSIS) si fosse allontanata volontariamente da casa.
1.3 In ordine agli eventi succedutisi in data (OMISSIS), la Corte evidenzia che la (OMISSIS), subito dopo pranzo, verso le ore 14, era stata vista dalla suocera (OMISSIS) procedere a piedi sulla strada statale in direzione della canonica.
La (OMISSIS) veniva notata anche dal suocero (OMISSIS), il quale evidenziava la particolare eleganza con cui era vestita quel giorno la donna, che solitamente non usava vestirsi in tal modo ma che dal mese di (OMISSIS) si mostrava piu’ curata ed appariscente.
Verso le 14,30 la signora (OMISSIS) dichiarava di aver notato anche padre (OMISSIS) nei pressi della canonica, mentre parlava con (OMISSIS), e di non aver piu’ visto ne’ lui ne’ la (OMISSIS), sicche’, verso le 19, iniziavano le ricerche di (OMISSIS), senza alcun risultato.
La (OMISSIS) non era rientrata per la cena, prevista a quell’ora a casa dei suoceri, tenendo una condotta del tutto inusuale, visto che si era allontanata senza portare con se’ il figlio. Quello stesso giorno padre (OMISSIS) doveva celebrare un funerale nel pomeriggio, alle ore 15.00, ma – come si afferma in sentenza – arrivo’ in ritardo (intorno alle 15.30, accompagnato in auto proprio da (OMISSIS), il marito di (OMISSIS), che era solito svolgere queste mansioni).
La persona che accompagnava nei suoi spostamenti, con la vettura, padre (OMISSIS) era proprio (OMISSIS), che anche quel pomeriggio si era recato da lui.
Intorno alle ore 19 del (OMISSIS) si attivano piu’ persone in cerca di (OMISSIS), senza alcun risultato.
I parenti della donna, in particolare, provano piu’ volte a contattare il cellulare della (OMISSIS) che, tuttavia, risultava non raggiungibile.
Sulla base di alcune informazioni raccolte dagli investigatori, si ipotizza – in quel momento – un allontanamento volontario.
A cio’ seguiva – si afferma – un anomalo comportamento di padre (OMISSIS) che non usciva in giro nel paese per una decina di giorni.
La Corte di primo grado rileva inoltre che in data (OMISSIS) (giorno successivo a quello della scomparsa) risultava essere arrivato un sms inoltrato dalla utenza della (OMISSIS) sul telefono della signora (OMISSIS), dove la donna rassicurava di stare bene e di essere solo stanca del marito (… sto bene, adesso non posso chiamare, (OMISSIS) mi stanca, torno preso a prendere (OMISSIS)..).
Cio’ accreditava, in quel momento, l’ipotesi del volontario allontanamento della donna, con riflessi negativi sullo svolgimento delle indagini, tanto che la prima perquisizione dei locali della canonica risulta posta in essere solo in data (OMISSIS) (a distanza di piu’ di quattro mesi dalla scomparsa di (OMISSIS)).
La Corte evidenzia – quanto alla ricezione del messaggio – che era la prima volta che la (OMISSIS) inviava un sms sul telefono della suocera, dato che era solita chiamare al telefono fisso di casa. Le comunicazioni provenienti dal cellulare della (OMISSIS), dal giorno della scomparsa, avvenivano – di contro – tutte con uso della funzione sms, come meglio si dira’ in seguito.
In ogni caso, come si e’ detto, tale messaggio, nella fase iniziale delle indagini, corroborava la tesi di un allontanamento volontario della donna.
1.4 Quanto alla ricostruzione dei comportamenti tenuti da (OMISSIS), la sentenza di primo grado reputava non attendibili le dichiarazioni rese dalla teste (OMISSIS) che, escussa sul ssipunto tre volte, nelle prime due escussioni si diceva convinta di aver intravisto la (OMISSIS) in data (OMISSIS) verso le ore 10 mentre usciva dal Comune di (OMISSIS), incrociandola mentre si dirigeva all’anagrafe (“aveva addosso una felpa grigia con cappuccio ed il cappuccio le ricopriva la testa”). La certezza della teste in merito, pero’, vacillava durante la terza escussione ed era ancor piu’ incerta in dibattimento, dove a specifica domanda del Presidente del Collegio, la donna esprimeva perplessita’, da estendere anche alle prime due deposizioni, circa l’avvistamento della (OMISSIS), dicendosi non piu’ sicura dell’avvistamento stesso e dichiarando di essere stata suggestionata.
Il convincimento della scarsa attendibilita’ di tale teste veniva completato dalla descrizione che questa forniva in generale della donna, dicendo che non era in grado di darne una descrizione dettagliata e di ricordare soltanto determinate caratteristiche.
Cio’ veniva ulteriormente avvalorato dal riscontro negativo rappresentato dal fatto che non si avevano tracce di un accesso della (OMISSIS) nel Comune di (OMISSIS).
1.5 La Corte rilevava come la dichiarazione della suocera (OMISSIS) circa il fatto di aver visto la (OMISSIS) dirigersi intorno alle 14 in direzione della canonica veniva ulteriormente avvalorata dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (deposizioni riportate a partire da pag. 41 e sino a pag.50 della decisione di primo grado, oggetto di successiva valutazione alla pagina 187).
1.6 La sentenza di primo grado valorizza inoltre le dichiarazioni rese dalla teste (OMISSIS).
Quest’ultima ha un negozio nel centro di (OMISSIS) frequentato dalla (OMISSIS), di cui raccoglieva le confidenze.
Per tale motivo la Corte reputa particolarmente attendibili le dichiarazioni della (OMISSIS), la quale ha riferito sulla passione amorosa nutrita da (OMISSIS) per padre (OMISSIS), nonche’ sulla pregressa gelosia della (OMISSIS) per il marito e le sue preoccupazioni relative al figlio (OMISSIS) e ai problemi di alcolismo del marito.
Cio’ che rileva e’ che la teste dichiarava di aver notato i cambiamenti della (OMISSIS), dopo il mese di (OMISSIS), in quanto riferiva di un visibile cambio di umore nonche’ di un piu’ curato aspetto fisico della stessa.
La (OMISSIS) riferiva altresi’ di aver ricevuto, da ultimo, le confidenze della donna proprio il (OMISSIS).
La teste dichiarava che la donna si era recata al negozio verso le 10 del mattino ed era da un po’ di mesi che le due non si vedevano in quanto la (OMISSIS) era stata operata all’ernia.
La (OMISSIS) riferiva altresi’ di aver fatto i complimenti alla donna per il suo aspetto fisico ma che quest’ultima, rappresentando un suo malessere, aveva incominciato a piangere. Dopo poco suonava il telefono della (OMISSIS), che lo prendeva di scatto ed usciva a parlare per circa cinque minuti per poi rientrare nel negozio in stato di agitazione e salutare frettolosamente l’amica, affermando che l’aveva chiamata la sorella per chiederle il suo orario serale di rientro a casa (ma in realta’ la telefonata in questione era intercorsa proprio con padre (OMISSIS), come emergera’ dall’analisi dei tabulati).
Alla domanda circa che cosa avesse in programma di fare quel giorno, la (OMISSIS) rispondeva che sarebbe tornata a casa della suocera a fare la tinta ai capelli e poi avrebbe stirato, sostenendo che quel giorno per lei era un giorno triste (.. e’ una giornata che oggi non so cosa farei..se potessi sparirei, anche sotto un ponte.. ho una giornata brutta..), dicendosi molto preoccupata e chiedendo all’amica di passare da lei uno dei giorni seguenti perche’ aveva bisogno di parlarle (la sentenza avvalora il fatto che le medesime dichiarazioni venivano rese da altra teste ritenuta attendibile, (OMISSIS)).
In ordine al rapporto tra la (OMISSIS) e padre (OMISSIS) (arrivato in quel luogo nella primavera del (OMISSIS)) diceva che questa le riferiva di esserne fortemente innamorata (confidenza ricevuta prima della fine del (OMISSIS)) e che lui le faceva spesso i complimenti per il suo aspetto e la incentivava a migliorarsi fisicamente.
La teste riferiva che, nel raccontare cio’, traspariva la sofferenza della (OMISSIS) causata da tale sentimento.
Era gelosa di altre donne che frequentavano la parrocchia e non riusciva a distogliere il pensiero da lui.
Non ha mai ricevuto, la teste, conferme dalla (OMISSIS) circa l’esistenza di un rapporto effettivo tra i due.
Dopo circa un mese dalla scomparsa della donna la teste riferiva di aver visto padre (OMISSIS) nel suo negozio e, alla domanda a lui rivolta circa la (OMISSIS), lo stesso attribuiva il fatto al rapporto distaccato che ormai lei aveva con il marito, ipotizzando un allontanamento volontario perche’ interessata ad un altro uomo ed affermando che secondo lui la donna non sarebbe tornata.
1.7 Il sentimento della (OMISSIS) verso padre (OMISSIS) veniva confermato da una ulteriore teste che aveva ricevuto le confidenze della donna, (OMISSIS), frequentatrice dell’oratorio parrocchiale.
padre (OMISSIS) e’ stato trasferito a (OMISSIS).
1.8 La sentenza di primo grado operava altresi’ alcuni riferimenti agli sms inviati, dopo la scomparsa, dal telefono della (OMISSIS) (acceso per l’occasione cinque volte tra il (OMISSIS)) ed indirizzati alla signora (OMISSIS) (sms arrivato, peraltro, sul telefono del marito (OMISSIS), che dichiarava di non aver mai dato il suo numero alla (OMISSIS)) e a padre (OMISSIS) (persona che la (OMISSIS) non conosceva nemmeno), entrambi contenenti espressioni non tipicamente utilizzate dalla (OMISSIS) ed errori di lingua (.. bisogna avere timora di dio…si veda il testo integrale a pagina 68 della sentenza).
Tale ultimo elemento era stato ravvisato anche dalla nipote della donna in un momento in cui aveva intravisto i suoi sms in entrata.
Si evidenziava in particolare che in uno degli sms inviati figurava l’espressione “bisogna di aver timora di Dio”, espressione tipicamente riferibile all’imputato.
1.9 Altra evidenza utilizzata dalla Corte a sostegno del suo assunto era rappresentata dal fatto che, come testimoniato da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il (OMISSIS) padre (OMISSIS) aveva officiato il funerale di (OMISSIS) in localita’ (OMISSIS) presentandosi, come si e’ detto, in ritardo, in quanto lo stesso era programmato per le ore 15 e padre (OMISSIS) si era presentato intorno alle 15.30.
1.10 Si evidenziava anche la deposizione di (OMISSIS), che parlava di tre o quattro incontri con padre (OMISSIS) a sfondo sessuale, avvenuti in (OMISSIS), che lo stesso consumava dietro corresponsione di denaro, peraltro negati dallo stesso in sede di esame.
1.11 Ulteriori elementi di prova valorizzati in sentenza erano i numerosissimi contatti telefonici intercorsi – dopo l’estate del (OMISSIS) – tra la donna e padre (OMISSIS), come risulta dai relativi tabulati.
I contatti tra i due iniziavano nel (OMISSIS) per arrivare a circa quaranta contatti al giorno a decorrere dal mese di (OMISSIS), considerando le chiamate effettuate e ricevute e gli sms formulati e ricevuti (v. pag. 100 della sentenza di primo grado).
Si evidenzia, in sentenza, la rilevanza di tali dati anche in considerazione del raffronto operato con altre persone, diverse dall’imputato, che la donna aveva contattato in tale arco temporale, con contatti decisamente irrilevanti rispetto a quelli avuti con padre (OMISSIS).
Numerosi contatti tra i due si erano verificati anche il (OMISSIS) tra le ore 6.47 e le ore 13.46 (chiamata di sei-sette secondi, vedi pag. 104 della sentenza di primo grado). Dato obiettivamente significativo veniva ritenuto la sostanziale cessazione del contatto tra le due utenze in relazione al periodo che andava dal (OMISSIS) e il cambio radicale del profilo di utilizzo del numero di telefono della (OMISSIS), come se il possessore fosse persona diversa da quella che lo aveva in uso prima della scomparsa della donna.
A decorrere dall'(OMISSIS), inoltre, le celle agganciate dall’utenza in uso a padre (OMISSIS) risultano essere le stesse che verranno agganciate dall’utenza della donna (nei rari momenti di utilizzo), come se i due cellulari fossero nelle mani della stessa persona. La Corte di primo grado, in virtu’ di tali elementi, escludeva la tesi del suicidio della donna, nonostante la donna avesse piu’ volte manifestato la volonta’ di scomparire e di farsi del male.
1.12 Veniva ritenuta inaffidabile la pista investigativa rappresentata dal “(OMISSIS)”, identificato in (OMISSIS).
Le indagini facevano comprendere che tale soggetto non aveva alcun ruolo nella scomparsa della donna, non trovando conferma l’ipotesi iniziale che questa fosse volontariamente andata via con costui a bordo di una Twingo di colore giallo. Dal cellulare in uso a (OMISSIS), a seguito delle verifiche operate sui tabulati, non emergeva alcun contatto con l’utenza di questa persona.
La sentenza escludeva altresi’ la pista di “zio (OMISSIS)” – introdotta dallo stesso imputato in sede di esame – come colui che avrebbe caricato in macchina e portato via la donna in data (OMISSIS).
Le indagini in merito non portavano a nessuna acquisizione utile.
1.13 Quanto alle dichiarazioni rese da padre (OMISSIS), si evidenzia in sentenza che lo stesso ha negato l’intensita’ delle comunicazioni telefoniche con la (OMISSIS), fatto che, contrariamente, risultava dai tabulati telefonici (le chiamate dal cellulare di (OMISSIS) verso quello di padre (OMISSIS) coprivano l’intero arco della giornata, posto che avevano – di regola – inizio alle 6.40 e terminavano dopo le 22 di sera).
Lo stesso dichiarava che nel (OMISSIS) la donna gli avrebbe confidato l’amore che provava per lui e che le sarebbe piaciuto avere un figlio.
Inoltre, in sede di interrogatorio garantito, confermava le dichiarazioni rese in precedenza ai PM in ordine al fatto che la donna gli avrebbe detto di essere incinta, circostanza dall’imputato negata nel dibattimento, ove questi sosteneva trattarsi del desiderio della (OMISSIS) e non della realta’. Specificava, peraltro, di essere stato pronto ad accompagnarla a (OMISSIS) per verificare se la donna fosse davvero incinta e se lui fosse il padre del bambino.
In particolare, si diceva agitato per la situazione in quanto avrebbero potuto costringerlo a recarsi in ospedale per fare il test del DNA, dichiarandosi preoccupato del suo onore e della sua dignita’ di prete.
Si evidenzia che non sempre le dichiarazioni dell’imputato risultavano coerenti ma che, in ogni caso, il ricovero avvenuto nel (OMISSIS) escludeva qualsiasi gravidanza in atto. L’uomo riferiva inoltre di non aver interrotto la relazione perche’ aveva paura della situazione, in quanto la (OMISSIS) era arrivata persino alle minacce di farlo arrestare dai suoi amici Carabinieri.
Circa le comunicazioni telefoniche intercorse tra i due l'(OMISSIS) intorno alle 14 l’imputato dichiarava in dibattimento di non ricordare nulla, mentre nell’interrogatorio sosteneva che la (OMISSIS) lo avrebbe chiamato per dirgli che lo avrebbe raggiunto in canonica per fare l’amore e che lo stesso rispondeva con un sms che la porta della canonica era aperta.
La sentenza basava il suo convincimento circa la responsabilita’ dell’imputato anche in considerazione dell’attivita’ di depistaggio dallo stesso operata (tesi dell’allontanamento volontario con il “(OMISSIS)”, sms provenienti dal cellulare della donna e dopo la scomparsa della stessa, tesi dell’allontanamento volontario con zio (OMISSIS), personaggio sostanzialmente inventato dall’imputato dopo il fallimento della pista originaria) fin dal giorno della sparizione al fine di allontanare da se’ i sospetti, posto che il loro legame era noto nella comunita’ locale di (OMISSIS).
1.12 La sentenza di primo grado basava il suo convincimento sul complesso di tali elementi (riassunti da pagina 206 a pagina 212), tutti ricondotti univocamente alla volonta’ omicida dell’imputato e tali da escludere in modo netto e deciso le diverse ipotesi dell’allontanamento volontario e del suicidio.
In particolare, la Corte di primo grado non nega la natura essenzialmente indiziaria degli elementi a carico dell’imputato ma afferma che vi e’ piena gravita’ e convergenza dei dati raccolti sulla ipotesi introdotta dall’accusa.
Si compie riferimento ai canoni valutativi della prova indiziaria – per come ribaditi in piu’ occasioni da questa Corte di legittimita’ – e si afferma che la prova della colpevolezza e’ stata raggiunta al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
Vengono riepilogate le evidenze indizianti, rappresentate in sintesi da:
a) il numero elevatissimo dei contatti telefonici intercorsi tra (OMISSIS) e l’imputato nel corso del (OMISSIS) (in numero di 2091) e sino alle ore 14.00 del (OMISSIS) (in numero di 4027 da gennaio a maggio)” con successivo azzeramento degli stessi a partire da tale data;
b) l’anomalo utilizzo del cellulare della (OMISSIS) nei giorni successivi alla scomparsa, con invio di alcuni messaggi (mai di chiamate vocali) tesi ad accreditare la tesi della scomparsa volontaria, ma – per i motivi gia’ esposti – riconducibili in realta’ alla mano di padre (OMISSIS) (si veda il messaggio indirizzato, gia’ nel pomeriggio del (OMISSIS), a persona che la (OMISSIS) non conosceva, un altro sacerdote conosciuto dall’imputato);
c) il dato convalidante, rispetto alla ipotesi di cui al punto precedente, rappresentato dalla correlazione spaziale tra le celle agganciate dall’apparecchio in uso all’imputato e quelle agganciate dall’apparecchio della (OMISSIS) nei rari momenti di utilizzo posteriori al (OMISSIS);
d) l’arrivo di padre (OMISSIS) in ritardo alla celebrazione del funerale fissato nel pomeriggio del (OMISSIS), da porsi in correlazione con l’incontro con la (OMISSIS), che era stata vista dirigersi in direzione della canonica intorno alle 14.00;
e) il primo tentativo di depistaggio, posto che fu padre (OMISSIS) a suggerire al maresciallo (OMISSIS) l’ipotesi della fuga di Guerrina con il “(OMISSIS)”:
f) il secondo tentativo di depistaggio, posto che fu padre (OMISSIS) ad introdurre, in modo fantasioso e subdolo (evocando il segreto della confessione), l’ipotesi del rientro temporaneo in (OMISSIS) di (OMISSIS) insieme a tal “zio (OMISSIS)”;
g) le stesse oscillazioni dichiarative tenute dall’imputato che,in sede di interrogatorio di garanzia del 26 agosto 2015,aveva confermato di aver visto (OMISSIS) in canonica il (OMISSIS), dopo i numerosi contatti telefonici intercorsi tra i due in mattinata (intorno alle 14, dopo lo scambio di sms), salvo smentire decisamente tale affermazione in sede di esame dibattimentale.
La sentenza ritiene, quindi, che l'(OMISSIS) l’imputato decideva di agire e sopprimeva la donna.
I giudici di primo grado si interrogano sul movente e sulle modalita’ del fatto.
Si ipotizza, a fronte delle insistenze di (OMISSIS), una sorta di “incontro chiarificatore” avvenuto nel primo pomeriggio del (OMISSIS) in canonica, tra le 14 e le 14.30.
Dopo il periodo in cui la donna era stata nella vicina (OMISSIS), il suo ritorno in (OMISSIS) rendeva necessario l’incontro, cui l’imputato non poteva sottrarsi. Si ritiene che padre (OMISSIS) si sentisse in pericolo – non avendo intenzione di dismettere l’abito talare – per l’insistenza della donna a rendere pubblica la relazione.
Nel corso di tale incontro si verificava la soppressione di (OMISSIS), con gesto verosilmente istintivo e non frutto di precedente pianificazione.
In ogni caso, il mancato accertamento pieno del movente, pur non rifluendo come elemento a discarico, porta alla esclusione della circostanza aggravante dei motivi futili. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche viene argomentato in rapporto alla assoluta mancanza di elementi positivi di valutazione della condotta (anche processuale) e per la particolare gravita’ del fatto.
2. Decidendo sull’appello proposto da (OMISSIS) la Corte d’Assise di Appello di Firenze, con sentenza del 14 dicembre 2017, confermava la sentenza di primo grado nella parte relativa alle affermazioni di responsabilita’ e rideterminava la pena irrogata in anni venticinque di reclusione.
2.1 Dopo aver riepilogato le risultanze probatorie, sintetizzato le valutazioni della Corte di primo grado ed esposto il contenuto dei motivi di appello (questi ultimi da pag. 30 a pag.34), la Corte di merito, in parte motiva, respingeva le doglianze relative alle ordinanze emesse dalla Corte di primo grado, nel modo che segue.
In ordine alla richiesta di ammissione della deposizione del consulente della difesa dell’imputato, Dott. (OMISSIS), sugli accertamenti logico-tecnico-scientifici effettuati in ordine ai fatti di cui all’imputazione, si ribadiva la assoluta genericita’ della richiesta, riverberatasi negativamente sul giudizio formulato in merito alla rilevanza della prova, che e’ stata quindi legittimamente esclusa. Va precisato che la richiesta difensiva si e’ sempre riferita all’ammissione del consulente come testimone.
Parimenti corretta si reputava l’ordinanza con cui la Corte di primo grado respingeva la richiesta di assunzione dei medesimi consulenti alla controprova, in quanto questa, formulata dopo l’ordinanza di ammissione delle prove richieste dalle parti, risultava tardiva.
All’esito del dibattimento, inoltre, non vengono ritenuti necessari ulteriori accertamenti di natura tecnica sulle celle telefoniche agganciate dalle utenze nella disponibilita’ della (OMISSIS) e dell’imputato, essendo quelli gia’ svolti, come gia’ acquisiti, assolutamente esaustivi.
Si ribadivano inoltre le argomentazioni svolte dalla sentenza di primo grado in merito alla ordinanza di rigetto della richiesta di escussione in dibattimento dei testi esaminati in sede di incidente probatorio (richiesta proveniente dalla difesa, che aveva inserito i soggetti gia’ escussi nella propria lista).
Invero, secondo la Corte di Assise d’Appello, la richiesta del difensore riguardava circostanze che erano gia’ state oggetto di esame dei testi escussi in sede di incidente probatorio.
A fronte della mancata indicazione di fatti ulteriori sui quali deporre e, comunque, in assenza della necessita’ di provvedere ad un nuovo esame, l’istanza era stata legittimamente respinta.
Nessun rilievo poteva attribuirsi al fatto che nel momento di celebrazione dell’incidente probatorio si procedeva per una ipotesi di reato diversa dall’omicidio (iscrizione per favoreggiamento) posto che l’atto istruttorio aveva ad oggetto le dichiarazioni gia’ rese dai soggetti sentiti durante le prima indagini e la valenza dimostrativa non e’ correlata alla ipotesi di reato per cui si procede ma al contenuto delle dichiarazioni rese. Veniva dunque ritenuta legittima l’avvenuta acquisizione dei verbali di incidente probatorio mediante lettura.
La Corte di secondo grado confermava inoltre la motivazione relativa alla ordinanza con cui era stata respinta l’eccezione di nullita’ del sequestro probatorio del PC dell’imputato, sostenendosi che, indagandosi su di un caso di omicidio, assumevano sicuramente rilevanza una serie di elementi presenti all’interno della memoria del PC, senza alcuna sovrabbondanza del sequestro dell’intero apparecchio rispetto alle finalita’ dimostrative.
Si riteneva, sempre sui temi in rito, corretta la motivazione in punto di rigetto della eccezione di inutilizzabilita’/nullita’ dell’accertamento tecnico irripetibile relativo alle tracce di liquido seminale estrapolato dal copridivano che si trovava nella canonica di (OMISSIS).
Risultava infatti dagli atti la ritualita’ della relativa notifica, con gli avvertimenti di legge, effettuata in data 10 settembre 2014. La dedotta indeterminatezza del destinatario si assume inesistente, in quanto sull’atto risultava chiaramente la dicitura relativa ai difensori ” (OMISSIS)”. Si condivideva la decisione della Corte di merito anche quanto al rigetto della richiesta di trascrizione integrale delle intercettazioni, rilevandosi che nel momento della richiesta di giudizio immediato i supporti informatici contenenti le conversazioni intercettate erano depositati agli atti del processo. La difesa aveva quindi da quel momento la concreta possibilita’ di estrarne copia, di ascoltare e individuare le conversazioni che si reputavano rilevanti. Non appariva quindi ravvisabile alcuna violazione dell’articolo 268 c.p.p..
3. Passando ai temi di merito, per quanto riguarda il segnalato ritardo nello svolgimento di approfonditi accertamenti, che si sarebbero dovuti espletare nella immediatezza della scomparsa per condurre a migliori risultati investigativi, si riteneva di attribuire cio’ proprio al comportamento falsificante di padre (OMISSIS). Questi infatti, sin dal primo pomeriggio dell'(OMISSIS), mentre viaggiava con (OMISSIS) per recarsi a celebrare il funerale a (OMISSIS), approfittando dell’argomento introdotto da quest’ultimo, introduceva il tema dell’intesa amorosa tra la donna e il “(OMISSIS)”, che aveva colto il giorno precedente. L’ (OMISSIS), quindi, non appena rientrava a casa ed apprendeva della scomparsa della moglie, riferiva immediatamente che questa poteva essersi allontanata con il marocchino e al contempo invitava il Maresciallo (OMISSIS) a chiederne conferma a padre (OMISSIS).
Si reputava quindi che, attraverso tale primo depistaggio delle indagini messo in opera dall’imputato, proprio quest’ultimo avesse in realta’ instillato nella mente di (OMISSIS) tale erronea convinzione.
padre (OMISSIS), quindi, insinuava in modo pregnante un sospetto che, solo per ingenuita’ e per la fiducia in lui riposta in quanto membro vicino alla famiglia, (OMISSIS) aveva recepito.
3.1 In riferimento agli accertamenti per riscontrare la veridicita’ delle dichiarazioni di (OMISSIS) in merito all’avvistamento del (OMISSIS), la Corte ribadiva che le verifiche erano state in realta’ tempestive ed esaustive e avevano razionalmente ad esito negativo, ribadendo che proprio in virtu’ del depistaggio posto in essere dall’imputato, fino alla seconda meta’ del mese di luglio le indagini erano state orientate nella direzione dell’allontanamento volontario.
A cio’ si aggiungeva la considerazione che le valutazioni delle dichiarazioni dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) apparivano correttamente valutate.
Il mancato sequestro dei cellulari dei coniugi era oggetto di critica da parte dell’appellante, in quanto si riteneva essere la premessa della erronea valutazione delle stesse. La Corte territoriale evidenzia tuttavia la inutilita’ del sequestro degli apparecchi, in quanto sui telefoni di vecchia generazione, quale era quello della (OMISSIS), non era possibile recuperare il contenuto dei messaggi cancellati, in quanto l’apparecchio sovrascrive subito le nuove informazioni, rendendo cosi’ irrecuperabili le vecchie. In ogni caso risulta certo il contenuto del messaggio, posto che venne fotografato dagli investigatori sul display del telefono della persona cui la teste (OMISSIS) lo aveva inoltrato, dunque nessun dubbio puo’ residuare su tale aspetto.
3.2 Si evidenziava poi che il mancato compimento di alcune attivita’ di P.G., ed in particolare il fatto che il maresciallo (OMISSIS) non avesse redatto apposita notazione di P.G. sull’esito della consultazione della rubrica del telefono dell’imputato, nel corso della sua assunzione a sommarie informazioni, non rispondeva al vero (dunque viene affermato con certezza che nel telefono dell’imputato il numero del confratello (OMISSIS) precedeva quello del (OMISSIS)). Risultava, infatti, che questa era stata allegata alla richiesta di proroga delle operazioni di intercettazione in corso. Il fatto che non fossero stati riportati tutti i numeri dipendeva dalla circostanza che quelli non riportati venivano considerati irrilevanti ai fini delle indagini. I dati relativi venivano riferiti dal maresciallo (OMISSIS), della cui attendibilita’ non si dubitava, nel corso della testimonianza resa in dibattimento.
Il mancato accertamento, inoltre, relativo alla paternita’ delle tracce di sangue rinvenute sull’interruttore presente nel garage dell’abitazione della donna scomparsa, si spiegava con il fatto che dal test eseguito era risultato trattarsi di tracce di sangue attribuibili a soggetto di sesso maschile, mentre la ricerca era indirizzata alla eventuale individuazione del sangue della (OMISSIS). Nessuna lacuna investigativa veniva ritenuta sussistente circa l’analisi delle ipotesi alternative – introdotte dallo stesso imputato – atteso che sia la persona di (OMISSIS) che il fantomatico (OMISSIS) sono stati oggetto di verifica, il primo con piena dimostrazione di estraneita’ ai fatti, il secondo con conferma della inesistenza.
3.3 La Corte di secondo grado, nell’elaborare i dati istruttori, evidenzia in primis quello rappresentato dal numero dei contatti telefonici, sia generanti interlocuzione tra le due utenze, che quelli che non avevano prodotto alcun dialogo diretto tra i due protagonisti della vicenda (circa quaranta al giorno), ritenendo che cio’ fosse tale da attribuire un significato pregnante a tutti gli altri elementi dai quali si evinceva che tra i due vi fosse certamente – una relazione sentimentale e sessuale.
In tal senso depongono, ad ulteriore sostegno, non soltanto le affermazioni della (OMISSIS) e della (OMISSIS) (destinatarie delle, sia pur parziali, confidenze della (OMISSIS)), ma le stesse ammissioni sul tema degli incontri sessuali – poi ritrattate in dibattimento – provenienti dall’imputato.
Riprendendosi stralci di motivazione della sentenza di primo grado, la Corte confermava che il motivo che avrebbe indotto padre (OMISSIS) ad uccidere la donna era rappresentato dalla sua preoccupazione relativa alla intensita’ del sentimento manifestatogli dalla stessa, che a volte lo minacciava del fatto che avrebbe raccontato tutto ai suoi superiori e che lo avrebbe fatto arrestare dai suoi amici Carabinieri, se l’avesse lasciata.
L’uomo, quindi, che nulla sapeva circa il funzionamento del meccanismo giudiziario italiano, ma ben conosceva le gravi conseguenze di un arresto nel suo Paese, iniziava ad aver paura della situazione, tanto da determinarsi, in un momento di particolare tensione, ad uccidere la donna.
Si confermavano inoltre i ragionamenti esposti nella sentenza di primo grado in ordine all’utilizzo del cellulare della donna da parte dell’imputato in momento successivo all’omicidio, a fini di depistaggio, valorizzando il fatto rappresentato dalle medesime celle telefoniche nelle quali venivano censiti entrambi i cellulari nel momenti di invio dei messaggi da parte dell’utenza della donna. Si riproduce la sequenza ed il testo dei messaggi (alle pagine 46 e 47 dell sentenza) e si evidenzia come anche quello ricevuto da (OMISSIS) nel pomeriggio del (OMISSIS), dal particolare valore dimostrativo, venne fotografato in sede di indagini. Il solo messaggio inviato a (OMISSIS) e’ andato processualmente perduto ed e’ stato rievocato solo in sede di deposizione da parte del soggetto che ebbe a riceverlo.
Elementi obiettivi a carico, questi, confortati anche dalla circostanza degli errori espressivi contenuti nei messaggi medesimi, ricondotti a padre (OMISSIS) per l’utilizzo di alcune sue espressioni tipiche, e dal fatto che non si comprendeva il motivo dell’invio dei messaggi ai soggetti destinatari ( (OMISSIS), anziche’ alla moglie (OMISSIS); padre (OMISSIS), di cui la vittima non aveva il numero di telefono, ma il cui contatto in rubrica dell’imputato era contiguo a quello del (OMISSIS), ritenendosi quindi tale sms frutto di un mero errore dell’imputato; (OMISSIS), con cui la donna non aveva contatti da mesi perche’ lo stesso l’aveva respinta). Si ritiene, inoltre, significativa anche la sequenza temporale dei messaggi. In particolare, quello inviato alla coppia (OMISSIS)- (OMISSIS) – in data (OMISSIS) – era chiaramente riferito al fatto che costoro, pochi giorni prima, avevano manifestato il loro disagio a Don (OMISSIS), precedente parroco della frazione, e tale circostanza era stata oggetto di un colloquio intercorso tra Don (OMISSIS) e padre (OMISSIS). I riferimenti precisi contenuti nel messaggio a tale antecedente sono ulteriore conferma – per i giudici di secondo grado – del fatto che l’apparecchio di (OMISSIS) veniva utilizzato, per scopi di depistaggio, da padre (OMISSIS).
Si valorizza, sul punto, anche la deposizione resa da (OMISSIS), donna incaricata delle pulizie della canonica. Costei ha affermato che intorno a (OMISSIS) padre (OMISSIS) le aveva tolto le chiavi della sua camera, affermando che ci avrebbe pensato lui a ripulirla. Tale aspetto viene posto in correlazione con la necessita’ dell’imputato di “custodire” all’interno della stanza qualcosa che nessuno avrebbe dovuto vedere, come – si ipotizza- il cellulare della (OMISSIS).
3.4 Si riprendeva inoltre la motivazione di primo grado in ordine alla ritenuta estraneita’ alla vicenda del “(OMISSIS)”, identificato in (OMISSIS). Si evince infatti dal contenuto di una conversazione intervenuta tra questi e l’imputato in data 10 dicembre 2014, come l’ (OMISSIS) non potesse essere coinvolto nella vicenda criminosa. Questi, infatti, rimproverava l’imputato di avergli dato il suo numero di telefono per aiutarlo a cercare lavoro e non per altre ragioni, da cio’ emergendo che l’ (OMISSIS) non sapesse nulla della scomparsa della donna e non temesse del pari di essere intercettato, non avendo nulla da nascondere.
Di contro l’imputato, sapendo di essere sottoposto ad attivita’ di ascolto, e tendendo anche in tal modo a depistare la attivita’ di indagine, nel corso della conversazione insinuava capziosamente l’esistenza di una conoscenza di un certo tipo tra il suo interlocutore e la (OMISSIS), di natura intima, circostanza che veniva immediatamente smentita dall’ (OMISSIS).
Veniva inoltre confermata la sentenza di primo grado in merito all’invenzione, ancora a fini di depistaggio operato dall’imputato, della figura di zio (OMISSIS), introdotta da padre (OMISSIS) solo una volta accortosi che il messaggio delle 17,26 dell'(OMISSIS) destinato a (OMISSIS) era giunto al suo amico nigeriano di Roma, padre (OMISSIS). L’imputato ne parla, volutamente, con padre (OMISSIS) nel mese di settembre del (OMISSIS), li’ dove – in tesi – l’incontro con tale personaggio (che avrebbe portato con se (OMISSIS)) sarebbe avvenuto gia’ il pomeriggio del (OMISSIS) e, successivamente, il (OMISSIS). Si ritiene del tutto incompresibile la ragione per cui – se fosse vera tale versione – in un momento in cui l’intera comunita’ locale si era posta alla ricerca della (OMISSIS) padre (OMISSIS) non disvelasse la circostanza, non essendo minimamente ragionevole la tesi della inibizione correlata ad un fantomatico segreto imposto dal vincolo della confessione.
4. Secondo la ricostruzione operata dalla Corte di Assise di Appello, dopo l’ultima veloce conversazione telefonica delle ore 13.46 dell'(OMISSIS), l’ (OMISSIS) incontrava la donna, per strada o in canonica, e i due iniziavano a discutere animatamente.
A fronte delle reiterate minacce della vittima di riferire fatti scabrosi ai suoi superiori se non avesse aderito alle sue richieste, in un momento di rabbia e d’impeto, padre (OMISSIS) uccideva la donna. Successivamente ne occultava il cadavere e poi lo sopprimeva, per cancellare la prova dell’omicidio, in cio’ venendo favorito dalla particolare conformazione del territorio, ricco di boschi fitti, trattenendo con se’ il telefono della donna per svolgere le attivita’ di depistaggio ampiamente descritte. Solo nel mese di settembre, infatti, riprendevano le ricerche della donna scomparsa, proprio in virtu’ delle condotte depistanti tenute dall’imputato.
4.1 La Corte di secondo grado non condivide l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado in merito al mancato accertamento preciso del movente.
Questo veniva infatti ravvisato dalla Corte di Assise di Appello nelle pressanti richieste della donna all’imputato di dare una connotazione diversa e piu’ stabile alla loro relazione, che specie negli ultimi tempi si era evoluta, con alti e bassi emotivi vissuti dalla donna, minacciando in caso contrario di raccontare tutto ai suoi superiori e comunque di aggravare ulteriormente la sua posizione. Quella minaccia avrebbe prodotto il naturale effetto di incutere timore all’imputato, confermato dal fatto che proprio quest’ultimo, nelle occasioni in cui veniva sentito dagli inquirenti, si diceva piu’ volte preoccupato di cio’ che poteva succedergli a fronte della rivelazione della donna, tenuto conto peraltro del fatto che egli era uno straniero, non conosceva adeguatamente la legislazione italiana e non sapeva esattamente a cosa andasse incontro in caso di inosservanza della stessa. L’accertamento del movente, si afferma, rafforza ulteriormente la ricostruzione complessiva dei fatti.
4.2 La Corte inoltre si sofferma, sulla base degli elementi illustrati nella sentenza di primo grado, sulla assoluta esclusione delle ipotesi alternative residue, quali l’allontanamento volontario, il suicidio e la adombrata (nell’atto di appello) responsabilita’ del marito (OMISSIS) (alle pagine 56/62 della motivazione). Viene ribadita la conclusione cui si e’ pervenuti in primo grado circa l’orario della passeggiata di (OMISSIS) in direzione della canonica, da collocarsi subito dopo le 13.45 in virtu’ dei dati tecnici relativi all’esame dei tabulati, da incrociarsi con le affermazioni rese dai testimoni,e con affermazione di scarsa attendibilita’ della deposizione resa dai coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS).
Quanto alle modalita’ del gesto omicidiario, la Corte di Assise di Appello ritiene altamente probabile l’ipotesi dello strozzamento, tale da escludere la fuoriuscita di sangue della vittima. A cio’ sarebbe seguito un occultamento temporaneo del corpo della donna, successivamente completato con modalita’ tali da assicurare la impossibilita’ di recupero. Solo alle ore 14.20, si evidenzia, padre (OMISSIS) ha chiamato (OMISSIS), con tempo sufficiente a consumare il delitto.
Viene esclusa l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale. Lo stesso comportamento tenuto dall’imputato e’ indicativo in tal senso, posto che l’attivita’ di soppressione del corpo e’ sostenuta – di regola – dalla necessita’ di occultare le tracce fisiche di un omicidio volontario.
Viene infine ribadita l’assenza di elementi positivi – sul fatto o sullo,personalita’ – idonei a sostenere la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
5. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, (OMISSIS). Il ricorso si articola in venti motivi e riprende ampiamente le doglianze gia’ formulate in sede di atto di appello. I motivi vengono di seguito sintetizzati nei limiti di stretta necessita’ per la motivazione della presente sentenza, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
5.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di mancata assunzione di prova decisiva consistente, in tesi, nella consulenza tecnica del dottor (OMISSIS) (indicata in lista come accertamenti logico-tecnici-scientifici) in punto di ubicazione delle celle telefoniche e riscontro dei tabulati in riferimento ai fatti di cui all’imputazione.
La difesa lamenta la mancata assunzione di tale prova testimoniale di tipo tecnico, rigettata in entrambi i precedenti gradi di giudizio sia per la genericita’ che per la tardivita’ della stessa.
In particolare la Corte di Assise d’Appello ha affermato che la richiesta di prova era manifestamente generica ed e’ stata, pertanto, legittimamente disattesa.
Ha altresi’ affermato che gli accertamenti sulle celle impegnate dai telefoni di (OMISSIS) e di padre (OMISSIS), svolti in dibattimento, erano del tutto esaustivi.
La difesa assume che, non conformandosi alle linee interpretative fatte proprie da questa Corte di legittimita’, entrambi i giudici di merito, ai fini dell’individuazione del termine prima del quale la richiesta avrebbe dovuto formularsi (quale prova contraria), non abbiano fatto riferimento alla pronuncia della ordinanza ammissiva delle prove da parte del giudice, bensi’ al primo momento di richiesta delle prove.
Sciolto questo nodo processuale, la difesa sostiene che entrambi i giudici di merito avrebbero in tal modo leso i diritti dell’imputato, in quanto la mancata assunzione della prova in discussione avrebbe determinato effetti pregiudizievoli in punto di ingiusto accrescimento della valenza probatoria dei dati introdotti dall’accusa.
La difesa, in contraddittorio, aveva specificato che l’oggetto della deposizione sarebbe stato quello della ubicazione delle celle telefoniche. La domanda dunque non poteva dirsi generica.
Si afferma cio’ in considerazione del fatto che in entrambe le sentenze emerge la rilevanza delle circostanze che il consulente tecnico avrebbe dovuto illustrare all’atto della escussione. L’importanza dell’argomento “celle telefoniche” e’ data dal fatto che nella sentenza di primo grado si indicano le celle che avrebbero occupato i cellulari degli attori della vicenda nei momenti in cui sarebbero stati inviati gli sms che, successivamente alla scomparsa della donna, risulterebbero generati dalla sua utenza.
Cio’ in quanto, secondo entrambi i giudizi di merito, il possesso del cellulare della (OMISSIS) da parte dell’imputato era la prova del fatto che l’imputato, prima di impossessarsene, aveva tolto la vita alla donna.
5.2 Con il secondo motivo si adduce altra mancata assunzione di prova decisiva consistente nella prova testimoniale relativa alle persone gia’ escusse in sede di incidente probatorio.
La difesa evidenzia che l’incidente probatorio si e’ tenuto in una fase storica correlata all’ipotesi di reato di favoreggiamento, dunque un fatto di reato diverso da quello contestato all’imputato in sede dibattimentale, con diversa incidenza della prova raccolta. Si sostiene, inoltre, che in tal caso si sarebbe dovuta ritenere ammissibile in dibattimento la ripetizione della prova dichiarativa che era gia’ stata oggetto di incidente probatorio, dovendosi rispettare, ai fini della ammissibilita’, il solo parametro normativo di cui all’articolo 190 e non anche quello di cui all’articolo 190 bis c.p.p., di fatto applicato. Si citano arresti giurisprudenziali sul tema controverso.
Si afferma dunque che si sarebbe dovuta ammettere la prova testimoniale di cui al presente motivo di ricorso, in quanto vertente sulla diversa e piu’ grave ipotesi di reato contestata e su un completo compendio probatorio di cui la difesa non disponeva in precedenza, in quanto relativo a tutte le attivita’ di indagine preliminare non esistenti all’atto di espletamento dell’incidente probatorio.
Si contesta la considerazione espressa dalla Corte di Assise d’Appello sulla medesimezza delle circostanze indicate in lista testimoniale rispetto ai contenuti dell’incidente probatorio.
Si argomenta l’assunto, ponendovi a fondamento la lesiva sottrazione all’imputato della possibilita’ di sottoporre a confronto dibattimentale i testimoni ascoltati in sede di incidente probatorio, sostenendo che in merito entrambe le sentenze non abbiano fornito adeguata risposta.
Si ritiene, inoltre, che non si sarebbe potuto dare lettura dei verbali delle testimonianze rese in sede di incidente probatorio, ai sensi dell’articolo 511 c.p.p., comma 2, attesa la illegittima mancata ammissione della prova di cui al presente motivo, con conseguente inutilizzabilita’ delle dichiarazioni rese in sede di anticipazione del contraddittorio.
In presenza della richiesta di nuovo ascolto dei testi la lettura non e’ consentita, potendo essere realizzata solo dopo l’esame.
5.3 Con il terzo motivo di ricorso si assume la inosservanza di norme processuali quanto alla ritenuta utilizzabilta’ dell’interrogatorio reso dall’imputato il 26 agosto 2015 nella sua interezza e non gia’ nella sola parte utilizzata per le contestazioni.
Si deduce, inoltre, carenza assoluta di motivazione in relazione alla utilizzabilita’ dello stesso nella sua integralita’, in modo difforme da quanto ritenuto in primo grado.
La Corte di Appello avrebbe riformato senza una progressione logica e motivazionale tale segmento della sentenza di primo grado, ove al contrario si stabiliva la utilizzabilita’ delle dichiarazioni di cui al verbale del 26 agosto 2015 solo limitatamente alle parti oggetto di contestazione.
5.4 Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione per la asserita carenza ed illogicita’ della stessa, nonche’ travisamento della prova in punto di utilizzabilita’ delle contestazioni ai fini della prova dei fatti.
Si ritiene che il giudice di secondo grado, a differenza di quanto affermato nella sentenza di primo grado, abbia errato nel ritenere che il contenuto del verbale dell’interrogatorio, ove erano confluiti i verbali delle sommarie informazioni rese in precedenza dall’imputato, entrando a far parte del compendio probatorio complessivamente acquisito, potesse essere utilizzato come prova dei fatti ivi contenuti. Si osserva che, a differenza di quanto avvenuto nel caso di specie, le dichiarazioni predibattimentali, utilizzate per le contestazioni all’imputato durante l’esame, possano essere valutate solo nei limiti delle parti contestate e previa valutazione del giudizio di prevalenza delle dichiarazioni rese in fase di indagini rispetto a quelle rese in dibattimento ed oggetto di contestazione.
La Corte di secondo grado, inoltre, avrebbe operato, in modo illogico in punto di ricostruzione del fatto e mediante il ricorso a prove inesistenti, con ricostruzione delle modalita’ di esecuzione dell’omicidio in modo congetturale e priva di elementi di prova idonei a supportarla (si contestano le affermazioni di cui a pag. 65 della decisione di secondo grado sulle modalita’ di consumazione dell’omicidio mediante strangolamento). Si evidenzia cio’ in considerazione della ricostruzione delle modalita’ di svolgimento del fatto operate dalla Corte d’Appello, secondo cui lo stesso sarebbe stato consumato nei pressi della canonica, luogo ove circolavano continuamente persone e vetture, e, nonostante cio’, senza che vi siano state persone che abbiano notato una sola parte dell’accaduto. In cio’ si assume la contraddittorieta’ della sentenza in quanto il dibattimento, al contrario, forniva la prova che le ricerche erano state iniziate nell’immediatezza dei fatti e all’interno dello stesso circondario abitativo con particolare attenzione alla canonica.
La verifica scientifica delle tracce presenti nelle vetture, inoltre, non faceva pervenire alcuna traccia riferibile alla (OMISSIS), rendendo quindi illogica la motivazione della sentenza di secondo grado ove si assume che l’occultamento del cadavere della donna sarebbe avvenuto attraverso lo spostamento dello stesso dalla zona mediante il caricamento del corpo nella vettura dell’imputato e con trasferimento in localita’ sconosciuta.
5.5 Con il quinto motivo si deduce ancora vizio di motivazione, violazione dell’articolo 195 c.p.p., comma 4 e travisamento della prova in punto di individuazione del soggetto autore di un depistaggio nella persona dell’imputato.
La ricostruzione operata su tale punto da entrambe le sentenze si fonderebbe su dati travisati e non corrispondenti agli elementi di prova acquisiti, in quanto, contrariamente a quanto si assume nelle sentenze, le indicazioni fuorvianti e depistatorie sarebbero quelle rivolte al Maresciallo (OMISSIS) dal marito della (OMISSIS), che, come dallo stesso affermato, da padre (OMISSIS) riceveva solo una risposta in ordine alla supposto intesa amorosa tra la donna ed il (OMISSIS) (“Si sara’ innamorata di lui”).
I giudici di merito, inoltre, non avrebbero potuto utilizzare le dichiarazioni rese al Maresciallo (OMISSIS) dall’imputato al fine di ritenerlo autore del depistaggio, in quanto le dichiarazioni del Maresciallo (“padre (OMISSIS) confermo’ quanto detto dall’ (OMISSIS)”) venivano rese in dibattimento dall’ufficiale di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni rilasciate da testimoni appositamente interpellati nell’ambito di un’attivita’ d’indagine, ancorche’ non verbalizzate, ex articolo 195 c.p.p., comma 4.
5.6 Al sesto motivo di ricorso la difesa lamenta la mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione quanto ai contatti telefonici tra l’imputato e la donna e quanto alla ritenuta esistenza di una relazione sentimentale e sessuale tra i due.
Le affermazioni della Corte d’Appello concretizzano, in tesi, violazioni di legge, in quanto le emergenze indiziarie che si valorizzano per giungere a tali conclusioni sono rappresentate solo dal numero di contatti telefonici tra i due nel periodo antecedente la scomparsa, molti dei quali peraltro non effettivi in quanto non si era registrata una effettiva interlocuzione verbale, e da solo ipotizzati rapporti sessuali.
In ordine ai contatti telefonici si lamenta una illegittima motivazione per relationem, li’ dove la sentenza di secondo grado rinvia integralmente a quella di primo grado, senza esplicitare in modo critico le ragioni per le quali abbia ritenuto di rigettare le censure mosse dal ricorrente.
Cio’ sarebbe avvenuto nonostante le osservazioni della difesa tese ad evidenziare che l’indizio costituito dal numero dei contatti non poteva dirsi connotato da gravita’ e certezza, tenuto conto delle prospettate ipotesi alternative e della presenza di contatti sostanzialmente formali e privi di reale interlocuzione.
Quanto ai ritenuti rapporti sessuali tra i due, la Corte richiama le sommarie informazioni rese dall’imputato del (OMISSIS), ritenute inutilizzabili dalla difesa ex articolo 63 c.p.p., comma 1, affermandosi che in quella sede l’imputato ammetteva sostanzialmente l’esistenza di una relazione sessuale, poi negata in dibattimento e non oggetto di alcuna contestazione ex articolo 503 c.p.p., comma 3.
Non vi sarebbe stata, da parte dell’imputato, alcuna ammissione – diretta o indiretta circa l’avvenuta consumazione di rapporti sessuali. La (OMISSIS), tra l’altro, dopo l’intervento subito nel (OMISSIS) era rimasta a (OMISSIS) dai suoceri sino al mese di (OMISSIS) ed i due non si erano certo incontrati in quel lungo periodo.
La difesa censura inoltre la argomentazione del giudice di secondo grado in riferimento a tracce biologiche della donna rinvenute nella canonica, delle quali si afferma la assenza. Stando alle testimonianze dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) emergerebbe altresi’ che la donna si era innamorata dell’imputato ma che questi non ricambiasse quel sentimento, emergendo, quindi, che la sussistenza di relazioni sessuali tra i due appariva una mera illazione.
La relazione sentimentale o, quantomeno, sessuale tra i due costituiva elemento determinante e decisivo ai fini della condanna dell’imputato.
La difesa sostiene che, contrariamente a quanto accaduto, la palese assenza della relazione avrebbe dovuto determinare una presa d’atto di assenza della gravita’ indiziaria su tale punto essenziale della ricostruzione.
5.7 Con il settimo motivo di ricorso la difesa lamenta la manifesta illogicita’ e carenza della motivazione, nonche’ travisamento della prova in ordine agli sms utilizzati ai fini della decisione ed alle deposizioni rese dai destinatari degli stessi sms.
La Corte di Appello non avrebbe fornito alcuna risposta in merito alle doglianze difensive relative alla inutilizzabilita’ degli sms perche’ riprodotti in fotocopia e inutilizzabilita’ degli stessi per la mancanza dei telefoni cellulari che li contenevano e dai quali sarebbero state estratte le fotografie, per omesso sequestro degli stessi supporti materiali.
Nel caso di specie, infatti, non risulterebbero sequestrati i cellulari contenenti tutti gli sms presi in esame dalle sentenze di merito e dai quali ne sono stati tratti elementi indiziari utilizzati al fine di pervenire alla condanna dell’imputato. Si assume che la difesa non e’ stata messa in condizione di potersi difendere adeguatamente anche in virtu’ delle alterazioni e delle approssimazioni evincibili dalle condotte degli attori del processo. Si evidenzia anche la manifesta illogicita’ del percorso argomentativo della Corte d’Appello ove in relazione al contenuto degli sms fa riferimento alla prova dichiarativa resa dai titolari delle utenze mobili.
Il mancato sequestro degli apparecchi cellulari renderebbe, in tesi, inutilizzabile la semplice riproduzione fotografica del display ove compare il testo del messaggio, non potendosi compiere alcuna verifica di autenticita’ e di provenienza di quel testo. Tale vizio renderebbe inutilizzabili anche le deposizioni di coloro che hanno affermato di aver ricevuto i messaggi di testo. Ne’ si potrebbe surrogare il mancato sequestro degli apparecchi telefonici mediante l’acquisizione delle foto (si contestano in particolare quelle dell’apparecchio di pertinenza di (OMISSIS)). La Corte d’Appello non avrebbe inoltre indicato da quale elemento probatorio oggettivo deriverebbe l’attribuzione della paternita’ degli errori presenti nel messaggio inviato ad (OMISSIS) dall’imputato (uso di termini propri delle origini congolesi di padre (OMISSIS)), essendosi solamente limitata a ripetere che l’imputato commetteva spesso quegli errori come si evinceva da altro foglio allo stesso sequestrato. Anche in merito a tale punto la difesa lamenta un vizio logico contenuto nella sentenza di secondo grado, in quanto attribuisce all’imputato un foglio, dove vi sarebbero tali errori, sequestratogli in canonica. L’unico foglio sequestrato con la presenza degli errori indicati, assume la difesa, e’ stato solo quello sequestrato successivamente al suo trasferimento da (OMISSIS) ed in occasione della perquisizione effettuata presso il Convento dei (OMISSIS) ove lo stesso si trovava. In merito a tale foglio la sentenza di secondo grado non fornisce alcuna risposta, nonostante la difesa avesse evidenziato che l’imputato aveva con se’ il foglio contenente le lettere errate chiarendo come si trattasse di appunti per preparare la sua difesa.
Analoghe doglianze vengono riproposte in riferimento a tutti gli sms provenienti dal cellulare della (OMISSIS), utilizzati in sentenza come elementi a carico dell’imputato.
5.8 All’ottavo motivo si assume la manifesta illogicita’ e carenza assoluta di motivazione, nonche’ travisamento della prova in punto di individuazione di attivita’ di depistaggio omissivo,consistente nel non aver consegnato all’autorita’ inquirente il numero di telefono di (OMISSIS). La Corte di merito afferma che in data (OMISSIS) l’imputato e (OMISSIS) (“il (OMISSIS)”) si sarebbero scambiati i numeri di telefono e, conseguentemente, la condotta omissiva dell’imputato costituirebbe elemento indiziante a carico. L’assunto motivazionale parrebbe privo di riscontro probatorio atteso che dall’esame del verbale di incidente probatorio emerge che, il (OMISSIS), solo l’imputato ebbe a dare il suo numero all’ (OMISSIS) ed inoltre, come risulta dai tabulati telefonici, emergerebbe che il primo contatto telefonico tra tali due utenze risaliva al (OMISSIS), con la conseguenza che sotto il profilo motivazionale la sentenza di secondo grado appare illogica, non potendo concludersi che l’imputato fosse in possesso del numero dell’ (OMISSIS) tra il (OMISSIS).
5.9 Con il nono motivo di ricorso la difesa lamenta vizio di motivazione in punto di attribuzione all’imputato della responsabilita’ per il depistaggio consistente nella creazione della figura di “zio (OMISSIS)”, una volta accortosi di aver commesso un errore nell’inviare il messaggio dell'(OMISSIS) utilizzando il cellulare della (OMISSIS). La difesa si duole dell’errato ed inammisibile doppio ragionamento presuntivo operato in merito dalla sentenza di secondo grado. In merito, inoltre, al silenzio serbato dall’imputato in relazione all’incontro avuto con la (OMISSIS) il (OMISSIS) e alla ritenuta non equiparabilita’, da parte della sentenza di secondo grado, di quei colloqui ad una confessione, la difesa sostiene che l’unico dato ad essere noto e’ che l’imputato era consapevole di non potere e di non dovere riferire quanto aveva vissuto in quelle specifiche circostanze, a prescindere da ogni considerazione circa la ricorrenza o meno della facolta’ di non rendere note le conoscenze avute da zio (OMISSIS) e dalla donna.
Si lamenta che la Corte di merito non ha chiarito le ragioni per cui la ricostruzione fatta dall’imputato durante l’esame non poteva essere ritenuta credibile.
La sentenza si rivelerebbe inoltre carente di motivazione per mancata valutazione di un elemento di prova decisivo costituito dalla intercettazione telefonica del (OMISSIS), ove padre (OMISSIS), rivolgendosi all’imputato, parla chiaramente di non continuare con la questione del “segreto professionale”, cui l’imputato fino a quel momento era convinto dover sottostare.
5.10 Al decimo motivo si assume, ancora, vizio di motivazione in relazione all’orario in cui l’imputato avrebbe incontrato “zio (OMISSIS)” il giorno (OMISSIS). Si sostiene che la deduzione della Corte di inverosimiglianza delle dichiarazioni dell’imputato non e’ ancorata a dati probatori oggettivi, in quanto questa desumerebbe cio’ dall’unico dato oggettivo rappresentato dall’orario in cui dal cellulare della donna venivano generati l’sms delle 17,20 e quello delle 17,26 destinati rispettivamente a (OMISSIS) e a padre (OMISSIS). Da cio’ la Corte deduce l’inverosimiglianza della dichiarazione dell’imputato, che affermava di aver incontrato zio (OMISSIS) poco prima della celebrazione della messa prevista per le 18, in quanto in sentenza si sostiene che l’incontro non poteva essere avvenuto prima dell’invio dei due sms.
5.11 Con l’undicesimo motivo la difesa lamenta la mancanza e la illogicita’ della motivazione in ordine all’elemento delle celle telefoniche e alla conclusione tale per cui l’imputato, dopo il fatto, si era impossessato del telefono della (OMISSIS). Riproponendo le censure mosse con l’atto di appello la difesa si duole del fatto che la conclusione cui perviene la sentenza di secondo grado non sia sostenuta da premesse logiche derivanti dalla interpretazione dei risultati probatori. Si imputa alla Corte di secondo grado una valutazione atomistica degli indizi a disposizione, senza vagliarne adeguatamente i requisiti, ritenuti dalla difesa assenti, della gravita’, della precisione e della concordanza. Avendo il giudice riconosciuto la sovrapponibilita’ delle celle di (OMISSIS) e l’impossibilita’ di individuare il punto esatto in cui una utenza si trovasse, allora e’ contraddittorio assegnare valenza indiziaria alla circostanza, che si assume non provata, che quando il cellulare della donna veniva riacceso, questo occupava la cella agganciata da quello dell’imputato in momenti prossimi. Si afferma a maggior ragione la contraddittorieta’ della sentenza ove si consideri che, come riconosciuto da entrambe le sentenze di merito, le coincidenze temporali delle presenze dei due telefonini nelle medesime “celle di copertura” in realta’ sono sfalsate nel tempo ed attingono le localita’ ove l’imputato operava come ministro di culto e dimorava abitualmente. La difesa, quindi, ritiene che tali dati non consentano di dimostrare l’utilizzo del telefono della donna da parte dell’imputato, con deduzione di mera congettura su tale punto, essendo il dato di partenza (ubicazione dei due apparecchi) privo di certezza.
Si evidenzia inoltre come il tema relativo alle celle telefoniche e all’analisi dei tabulati sia avvenuto in violazione del diritto di difesa dell’imputato, in assenza di un effettivo contraddittorio tecnico in merito, in quanto il dottor (OMISSIS) non veniva ammesso quale consulente informatico.
Si rileva inoltre la illogicita’ del percorso motivazionale seguito dalla sentenza per quanto riguarda la signora (OMISSIS), donna delle pulizie della canonica. A fronte della premessa data dalla dichiarazione della stessa di non aver piu’ avuto le chiavi della canonica dal mese di (OMISSIS) (in quanto l’imputato affermava che da quel momento in poi avrebbe fatto pulire la camera quando lo avrebbe ritenuto lui) si ritiene errata la conclusione della Corte tale per cui tale l’imputato avrebbe voluto in tal modo nascondere il cellulare della (OMISSIS), l’unico oggetto di cui non si era ancora disfatto in quanto utile strumento per depistare le ricerche della donna. La difesa lamenta il fatto che la sentenza avrebbe argomentato tale passaggio in modo illogico, in quanto la (OMISSIS) aveva le chiavi della camera fino al mese di (OMISSIS), quindi per un periodo di due mesi successivo alla scomparsa della (OMISSIS). Si ritiene inoltre che anche qualora la (OMISSIS) avesse trovato all’interno della camera un cellulare, questa non avrebbe potuto inferirne con certezza la riferibilita’ alla (OMISSIS).
5.12 Con il dodicesimo motivo la difesa lamenta carenza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione quanto al ritenuto movente dell’imputato nella commissione dei reati a lui ascritti.
La Corte di secondo grado avrebbe, a differenza della sentenza di primo grado, e senza confrontarsi con questa ne’ dare conto delle ragioni per le quali non si ritenevano attendibili le doglianze difensive, ravvisato il movente dell’imputato nelle pressanti richieste della (OMISSIS) all’imputato di dare una connotazione diversa alla loro relazione, minacciando lo stesso che in caso contrario avrebbe raccontato tutto ai suoi superiori e lo avrebbe fatto arrestare dai suoi amici Carabinieri. Quella minaccia avrebbe prodotto l’effetto di incutere timore all’ (OMISSIS) che, preoccupato dalle conseguenze che si sarebbero potute produrre, si sarebbe determinato in un momento di obnubilamento della mente a compiere l’omicidio e la soppressione materiale del corpo della donna. La ricostruzione, si afferma, e’ frutto di mera congettura, non essendo basata su risultanze obiettive. L’argomento viene, infatti, desunto da talune dichiarazioni rese dall’imputato che – si afferma – non sono state correttamente interpretate.
5.13 Con il tredicesimo motivo di ricorso, la difesa adduce vizio di motivazione in punto di credibilita’ ed attendibilita’ delle testimonianze relative agli avvistamenti della donna l'(OMISSIS). La sentenza di secondo grado apparirebbe manifestamente illogica nel ritenere non credibili – sul tema dell’orario dell’avvistamento – tutti i testimoni oculari ( (OMISSIS), che riferiva di averla vista lungo via (OMISSIS) verso le due e un quarto, (OMISSIS), (OMISSIS), i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali ultimi avrebbero visto la (OMISSIS) proprio (OMISSIS) intorno alle 14,15, e (OMISSIS)), eludendo altresi’ le specifiche doglianze mosse dall’appellante, che, ove valutate diversamente modificherebbero totalmente il quadro indiziario (in riferimento alla presumibile ora del delitto). Vengono riportate tutte le deposizioni allo scopo di far emergere – in tesi – le anomalie motivazionali.
5.14 Al quattordicesimo motivo la difesa invoca, ancora, vizio di motivazione per travisamento della prova con riferimento alla deposizione di (OMISSIS) (circa il presunto avvistamento del (OMISSIS)). La sentenza di primo grado riteneva non attendibile la stessa in quanto questa, sentita tre volte in merito al suo aver visto la donna il (OMISSIS), forniva risposta positiva durante le prime due escussioni, per vacillare la terza volta non dicendosi sicura in merito e affermando di essersi lasciata suggestionare nell’immediato. I vizi indicati dalla difesa, inficianti la sentenza di secondo grado, rilevano fortemente sul giudizio di colpevolezza in quanto se tale teste fosse stata ritenuta attendibile, il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato stante l’incompatibilita’ dell’uccisione della donna (OMISSIS) con la sua esistenza in vita il (OMISSIS), giorno in cui la teste aveva dichiarato di aver visto la (OMISSIS). La sentenza di secondo grado avrebbe eluso gli argomenti critici offerti dalla difesa e riferiti alla sentenza di primo grado in punto di attendibilita’ e riscontri utili alla tenuta logica della deposizione della (OMISSIS). La sentenza impugnata non esprimerebbe nessuna valutazione in ordine alla descrizione della (OMISSIS) effettuata dalla teste in dibattimento e ai rapporti di conoscenza che le due donne avevano, al fine di dimostrare la coerenza del riconoscimento inizialmente operato dalla teste.
5.15 Con il quindicesimo motivo di ricorso la difesa lamenta vizio di motivazione quanto alla omessa valorizzazione delle anomalie e dei ritardi nella conduzione delle indagini. Si contesta la omessa verifica delle tracce di sangue rinvenute sull’interruttore presente nel garage dell’abitazione dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS), di cui la Corte d’Appello sostiene il mancato accertamento in quanto dal test eseguito risultava essere sangue di soggetto maschile; tale prova, inoltre, veniva comparata solo con il dna dell’imputato. Essendo, invece, la ricerca indirizzata alla eventuale individuazione della (OMISSIS), la Corte sospendeva la attivita’ di ricerca in merito. La difesa sostiene che si sarebbe inspiegabilmente ritenuto di non estendere la ricerca ad altri soggetti, affermando che la paternita’ potesse essere del coniuge (OMISSIS). La difesa effettua poi una lunga ripresa di alcuni elementi in fatto, per come accertati o omessi nei primi due gradi di giudizio, riprendendo in larga parte argomenti gia’ esposti nei motivi di appello (e nei precedenti motivi di ricorso), tesi ad evidenziarne la superficialita’ e la mancanza di attivita’ istruttoria adeguata e sufficiente tale da eliminare ogni dubbio.
5.16 Al sedicesimo motivo si lamenta vizio di motivazione in relazione all’ipotesi alternativa del suicidio, ipotesi gia’ prospettata dalla difesa con atto di appello, tesa a porre in risalto la verosimiglianza della decisione della donna di porre fine alla propria esistenza in considerazione dell’aggravamento della depressione t cui era affetta. L’esclusione della credibilita’ del suicidio sarebbe illogica in quanto contrastante con il dato letterale delle testimonianze (specie quella resa dall’amica (OMISSIS)), da cui era possibile accreditare la tesi suicidiaria.
5.17 Con il diciassettesimo motivo di ricorso si adduce vizio di motivazione in ordine all’ipotesi di esclusione dell’allontanamento volontario. La Corte esclude tale ipotesi in virtu’ di molteplici elementi, quali le abitudini di vita della donna, il rapporto stretto con il figlio (OMISSIS), l’esame dei tabulati e l’esito degli accertamenti bancari. Secondo la difesa la motivazione sul punto risulta carente in considerazione della estrema genericita’ degli argomenti addotti a fondamento di tale assunto da parte della Corte di merito e della prova che la donna in piu’ momenti si fosse trovata sola, al contrario di quanto affermato dalla sentenza, che la definiva come persona che mai si sarebbe allontanata da sola dalla propria abitazione senza la compagnia quantomeno del marito.
5.18 Al diciottesimo motivo di ricorso la difesa lamenta manifesta illogicita’ della motivazione ed errore processuale in punto di valenza probatoria degli elementi acquisiti con una loro supposta interpretazione atomistica anziche’ una valutazione globale degli stessi. Si riafferma la illogicita’ motivazionale proprio nella parte essenziale del processo basato su prova indiziaria. La Corte avrebbe attribuito la responsabilita’ dei fatti all’imputato, limitandosi peraltro ad escludere le ipotesi difensive senza dimostrare la ricorrenza degli elementi sufficienti per attribuire la responsabilita’ dei reati contestati all’imputato, formulando ipotesi ricostruttive disancorate dai dati oggettivi, quali il numero dei contatti telefonici, l’innamoramento della donna e i rapporti sessuali avuti con l’imputato, gli sms dell'(OMISSIS) inviati con il cellulare della (OMISSIS) la cui paternita’ e’ stata attribuita all’imputato in considerazione della corrispondenza delle celle telefoniche, la presenza del cellulare della donna nella camera da letto dell’imputato e il depistaggio operato, come analizzato in precedente motivo, sul “(OMISSIS)”. Si ritiene che i singoli indizi, valutati singolarmente ed in modo avulso dal contesto di riferimento, non solo difettino di gravita’ e precisione, ma non consentano interpretazioni cumulative e d’insieme che permettano di superare i limiti di ambiguita’ e labilita’ propri dei singoli elementi indiziari. Non sarebbe stato superato il ragionevole dubbio.
5.19 Con il diciannovesimo motivo si deduce vizio di motivazione con riferimento all’ipotesi di esclusione dell’omicidio preterintenzionale. Si afferma, in sostanza, che in virtu’ della mancanza di elementi probatori significativi tali da privilegiare una delle due possibili qualificazioni giuridiche, la difesa assume che, anche in omaggio al principio di favor rei, si sarebbe dovuta riconoscere tale diversa qualificazione all’omicidio.
5.20 Con il ventesimo motivo di ricorso, infine, la difesa si duole del vizio di motivazione con riferimento all’esclusione della concessione delle circostanze attenuanti generiche. La sentenza sarebbe carente anche relativamente a tale profilo ove argomenta tale scelta in relazione al pessimo comportamento processuale tenuto dall’imputato, di cui la difesa contesta genericita’ e apoditticita’ per essere lo stesso disancorato da qualsiasi riscontro probatorio; dalla sua ripetuta attivita’ di depistaggio, di cui peraltro non si fornirebbe la prova; alle dichiarazioni spudoratamente menzognere rese nel corso dell’esame innanzi alla Corte di Assise, senza che la sentenza motivi in merito al fine di individuare quali siano state in concreto tali dichiarazioni.
6. Il contenuto dei motivi aggiunti.
6.1 Si premette, in tali motivi, che le due decisioni di merito non sono sovrapponibili e non realizzano – in alcuni cruciali segmenti ricostruttivi – il fenomeno della “doppia conforme”. Da cio’ una accentuata necessita’ di verifica di tutti i passaggi logici che hanno condotto alla affermazione di responsabilita’ delhmputato.
Successivamente, vengono in larga misura riproposti e ampliati taluni dei motivi del ricorso principale, nei modi che seguono.
Quanto al primo motivo (mancata ammissione della deposizione del consulente (OMISSIS)) si ribadisce che la circostanza di prova era stata specificata in udienza (verbale del 18 dicembre 2015). Si ribadisce la decisivita’ della prova non ammessa, atteso che la localizzazione dei cellulari dell’imputato e della (OMISSIS) dopo il (OMISSIS) e’ punto di grande rilevanza indiziaria. si ribadisce, altresi’, il tema della disparita’ di trattamento rispetto ad analoghe richieste di altre parti, ammesse; si contesta la valutazione di completezza dell’istruttoria cui fa riferimento la Corte di secondo grado nel respingere l’eccezione.
Quanto al secondo motivo, si ribadisce che lo stesso riguarda la violazione della previsione di legge di cui all’articolo 511 c.p.p., comma 2, in riferimento al principio generale di cui all’articolo 190 c.p.p.. Si riprende il tema della “ristrettezza” delle possibilita’ difensive in sede di escussione durante l’incidente probatorio, data la meno grave ipotesi di reato, in quel momento storico ipotizzata. Cio’ sosteneva ampiamente la richiesta dell’esame dibattimentale, ove ancora possibile, anche in virtu’ della sopravvenienza di numerosi atti di indagine, in epoca posteriore alla prima escussione. Gli elementi raccolti in sede di incidente probatorio sono stati concretamente utilizzati e dunque, si sostiene, il tema e’ rilevante. Si indicano in modo specifico i punti della decisione che fanno riferimento ai contributi raccolti in sede di incidente probatorio. Quanto a padre (OMISSIS) si ribadisce che la necessita’ della nuova escussione era imposta dal mancato sequestro del cellulare.
Quanto al terzo motivo, si ribadisce che essendosi l’imputato sottoposto ad esame potevano essere acquisite solo le parti del verbale di interrogatorio oggetto di contestazione e non l’intero verbale. Si ritiene invece che siano state utilizzate dichiarazioni rese in sede di indagini e non oggetto di contestazione.
Quanto al quarto e al quinto motivo, si ribadisce che e’ del tutto congetturale la tesi dell’incontro di padre (OMISSIS) con (OMISSIS) intorno alle 14 del (OMISSIS) con immediato soffocamento della donna. Il mancato rinvenimento del corpo della donna non consente, in realta’, di formulare alcuna ipotesi. Si ribadisce che la sequenza “ricostruita” dalla Corte di Assise d’Appello di quanto sarebbe accaduto tra le 13.50 e le 14.20 del (OMISSIS) e’ meramente congetturale.
Quanto al sesto motivo si riprende il tema della inesistenza della relazione sentimentale e sessuale tra i due protagonisti del processo. Non poteva desumersi l’esistenza della relazione dal numero dei contatti telefonici. La stessa presenza pregressa di (OMISSIS), confermata dall’olfatto dei cani molecolari, nella canonica, e’ agevolmente spiegabile per la frequentazione di quei locali da parte della donna, unitamente al figlio invalido. Le confidenze di (OMISSIS) erano disvelatrici di un amore non corrisposto. Per il resto si riprendono i temi del motivo di ricorso.
Quanto al settimo motivo si ribadisce la eccezione di inutilizzabilita’ delle foto riproducenti gli sms, in assenza del sequestro del supporto informatico. Vi e’ impossibilita’ di compiere le necessarie verifiche tecniche che avrebbero smentito o convalidato la particolare fonte di prova.
Quanto all’undicesimo motivo si affronta nuovamente il tema della valenza dei singoli dati indizianti, evidenziando – in tesi – la carenza dimostrativa di ciascuno di essi (comunanza delle celle – errori espressivi nel testo degli sms – invio di un messaggio ad (OMISSIS)). Viene ripercorso e criticato il pensiero espresso dai giudici del merito.
Quanto al dodicesimo motivo si ripropone il tema della ricostruzione congetturale, in secondo grado, del movente. Si aggiunge che essendosi, ormai, la donna confidata con piu’ persone circa la “passione” provata per padre (OMISSIS) non avrebbe avuto alcun senso ucciderla. Tra l’altro il trasferimento di padre (OMISSIS) era ormai imminente e sarebbe avvenuto di li’ a poco.
La debolezza del movente – come indicato dalla Corte di Assise d’Appello – si riflette su quella dell’intero quadro indiziario posto a carico del ricorrente.
Quanto al diciottesimo motivo si ripropone il tema del mancato confronto, da parte dei giudici del merito, con le ricadute del principio per cui l’esistenza di un ragionevole dubbio impedisce l’affermazione di penale responsabilita’. Gli argomenti di contrasto sono, essenzialmente, quelli gia’ esposti nel ricorso principale. Vengono riesaminati e criticati numerosi passaggi espressivi contenuti nelle decisioni di merito su temi rilevanti per la decisione. Si ripropone altresi’ la tesi della sottovalutazione delle ipotesi alternative, ivi compresa quella del suicidio o dell’allontanamento volontario.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ nel suo complesso infondato, per le ragioni che seguono.
1.1 Si procedera’ ad esaminare partitamente ciascun motivo (o gruppo di motivi, tenendo conto delle doglianze esposte nei motivi aggiunti) non senza esporre – dato il tema trattato – alcune considerazioni preliminari e di metodo.
In particolare, al fine di evitare l’eccesso di “parcellizzazione” dei dati utilizzati in sede di merito per la ricostruzione del fatto, correlato alla stessa impostazione del ricorso (tesa alla confutazione della validita’ processuale e logica di singoli punti argomentativi) appare opportuno premettere alcune considerazioni in tema di prova indiziaria.
Non vi e’ dubbio, infatti, circa la natura essenzialmente indiziaria dei dati raccolti ed elaborati in sede di merito nel presente giudizio, posto che: a) lo stesso fatto di reato, rappresentato dall’omicidio volontario di (OMISSIS), e’ frutto di apprezzamento logico derivante da una serie di evidenze indirette, non essendo mai stato rinvenuto il corpo della donna; b) l’attribuzione della azione materiale omicidiaria all’attuale ricorrente (OMISSIS) e’ anch’essa frutto di elaborazione e valutazione congiunta di prove indirette, non essendo stata acquisita nessuna fonte dimostrativa che abbia percepito, nella sua materialita’, il fatto storico oggetto della imputazione.
Le condizioni predette, come meglio si dira’ in seguito, non sono – tuttavia – ostative alla ricostruzione giudiziaria del reato di omicidio, cosi’ come contestato, sempre che i dati indizianti utilizzati sostengano, ad una valutazione congiunta, l’attribuzione del fatto delittuoso ad azione volontaria dell’imputato, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, cosi’ come imposto dal contenuto delle disposizioni di legge incidenti sul tema (articoli 530 e 533 c.p.p.).
1.2 Dunque, al di la’ delle specifiche questioni in rito – che verranno esaminate in rapporto ai singoli motivi che le contengono – va ribadito, in via generale, quanto segue.
Il ricorrente ha prospettato – nei modi prima esposti – l’intervenuta violazione dei parametri normativi di cui all’articolo 192 c.p.p. e/o della regola di giudizio del “ragionevole dubbio” come limite alla affermazione di penale responsabilita’.
Ora, va subito affermato che la risposta metodologica a simili interrogativi non risiede certo nella affermazione per cui il controllo sulla dimensione finalistica della motivazione (ossia la idoneita’ della medesima a dare conto, in modo logico e coerente, della esistenza di ragioni tali da resistere ad ipotesi alternative di spiegazione dei fatti, con confinamento del dubbio nell’area della irragionevolezza) sia da ritenersi aspetto estraneo al perimetro del giudizio di legittimita’.
Come recenti ed autorevoli arresti di questa Corte confermano (il riferimento e’ alla decisione Sez. Un. 27620 del 2016, ric. Dasgupta, nel cui ambito si e’ ritenuta centrale la verifica sulle modalita’ di superamento del dubbio in caso di avvenuta condanna in secondo grado) il controllo sulla motivazione della sentenza – sempre nei limiti delle doglianze contenute nel ricorso, salve le ipotesi di rilevabilita’ di ufficio di vizi non denunziati dalla parte – e’ anche di natura finalistica, nel senso che, oltre alla corenza interna delle affermazioni contenute nel testo (ed oltre il travisamento del contenuto della fonte informativa), e’ rilevabile l’eventuale “disallineamento” della decisione dai contenuti della regola di giudizio “finale” per cui la colpevolezza dell’imputato non puo’ essere affermata in presenza di “dubbio ragionevole”, il che equivale ad affermare che la motivazione deve offrire solida e razionale giustificazione complessiva circa il valore persuasivo attribuito agli elementi posti a carico e circa l’irrilevanza degli elementi prospettati – nella dialettica delle parti – come antagonisti (si vedano sul tema, in particolare Sez. 6 n. 6582 del 13.11.2012, rv 254572; Sez. 2 n. 44048 del 13.10.2009, rv 245627; Sez. 1 n. 41110 del 24.10.2011; Sez. 6 n. 8705 del 24.1.2013; Sez. 1 n. 8163 del 10.2.2015; Sez. 5 n. 10411 del 28.1.2013).
Tuttavia, e’ evidente che tale compito deve essere svolto dal giudice di legittimita’ attraverso la verifica della razionalita’ argomentativa dei passaggi espressivi in cui si articola la decisione e non mediante una impropria rivalutazione “diretta” di singoli elementi istruttori o mediante l’apprezzamento “diretto” di prospettazioni difensive su piste alternative rimaste, secondo il ricorrente, inesplorate.
1.3 Va ricordato, in proposito, quanto e’ stato piu’ volte affermato circa la natura della sentenza di merito, atto teso a rappresentare una argomentazione complessa, capace di fornire esplicazione logica ai contenuti autoritativi della decisione, espressi in dispositivo. Cio’ in rapporto al “nodo” essenziale di ogni valutazione giudiziaria, ossia l’essere quantomeno nelle intenzioni – la motivazione un atto capace di rappresentare una adeguata e razionale sintesi dei temi dimostrativi emersi nel processo, attraverso una loro organica reductio ad unum. La critica deve pertanto porsi il problema di individuare una reale frattura logica o una reale inefficacia funzionale, di tale percorso complessivo. Come e’ stato efficacemente affermato gia’ da Sez. 5 n. 8411 del 21.5.1992 (rv 191487) il vizio di motivazione non puo’ essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa; la sentenza, infatti, costituisce un tutto coerente ed organico, onde, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa non puo’ essere preso a se’, ma va posto in relazione agli altri.
Con cio’ si vuole dire che solo l’emersione di una precisa “disarticolazione” di un punto effettivamente qualificante del ragionamento decisorio puo’ portare all’annullamento della decisione emessa, li’ dove eventuali opinabilita’ nella attribuzione dell’effettivo “peso dimostrativo” ad un dato, salvo che non si traducano in illogicita’ manifesta o in una compromissione del profilo funzionale, possono al piu’ portare ad una parziale rettificazione (se strettamente necessario) della motivazione, ai sensi dell’articolo 619 c.p.p., comma 1 (come interpretato, tra le altre, da Sez. 1 n. 9707 del 10.8.1995, rv 202302), li’ dove il ragionamento giustificativo sia – nel suo complesso – adeguato e conforme alla regole di giudizio della fase processuale (si veda anche, sul tema, la costante affermazione per cui nell’ambito di decisioni complesse l’emersione di una criticita’ su una delle molteplici valutazioni concorrenti puo’ non comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione li’ dove le restanti valutazioni offrano ampia e rassicurante tenuta del ragionamento ricostruttivo, risalente gia’ a Sez. 1 n. 6922 del 11.5.1992, rv 190572; Sez. 4 n. 10116 del 28.9.1993, rv 195709; Sez. 1 n. 1495 del 2.12.1998, rv 212274,e costantemente ripresa nel tempo).
Si suole affermare, pertanto, che il giudizio di legittimita’ non si costruisce sull’esame delle possibilita’ rappresentative – anche plausibili – del fatto, ma sulla opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimita’ “nuove” attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi,e cio’ anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. 6 n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178), e sempre che – al fondo – non risulti compromessa la tenuta complessiva del ragionamento, in chiave di avvenuto rispetto della regola di giudizio finale.
1.4 In tal senso, va anche riaffermato che le operazioni di verifica da compiersi in sede di legittimita’ in rapporto ai motivi di ricorso (e alla tipologia di atti istruttori oggetto di valutazione) ed al fine di riconoscere o meno il vizio argomentativo del provvedimento impugnato, possono essere cosi’ schematizzate:
– verifica circa la completezza e la globalita’ della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcellizzazioni del materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le altre, Sez. 2, n. 9269 del 5.12.2012, Della Costa, rv. 254871), ne’ omettere la valutazione di elementi obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. 4, n. 14732 del 1.3.2011, Molinario, rv 250133,nonche’ Sez. 1, n. 25117 del 14.7.2006, Stojanovic, Rv 234167);
– verifica circa l’assenza di evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda in particolare la ricorrente affermazione della necessita’ di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioe’ su dati ipotetici e non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in Sez. 6, n. 6582 del 13.11.2012, Cerrito, rv 254572, nonche’ in Sez. 2, n. 44048 del 13.10.2009, Cassarino, rv 245627);
– verifica circa l’assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio (c.d. contradditorieta’ interna);
– verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell’ambito del percorso seguito e circa l’assenza di incompatibilita’ di detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di ricorso (travisamento della prova), li’ dove tali atti siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (in tal senso, ex multis, Sez. 1 n. 41738 del 19.10.2011, Rv 251516). In tale decisione si e’ precisato che “.. non e’, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilita’, ne’ che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione piu’ persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente piu’ significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione;
– sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilita’, cosi’ da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione..”. In detto contesto, anche il rispetto del canone decisorio secondo cui la colpevolezza dell’imputato deve risultare “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” (articolo 533 c.p.p. come novellato dalla L. n. 46 del 2006) non introduce, dunque, un ulteriore âEuroËœtipologia’ di vizio, tale da consentire l’esame del merito, ma si pone come criterio generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la tenuta dimostrativa) delle affermazioni probatorie contenute nella sentenza impugnata (sicche’ il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi particolare di “apparenza” di motivazione, secondo quanto affermato da Sez. 6 n. 8705 del 24.1.2013, in precedenza richiamata).
Il dubbio, peraltro, per determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, e’ solo quello “ragionevole” e cioe’ quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare (in tal senso Sez. 1 n. 3282 del 2012 del 17.11.2011). Cosi’ come la sua riconoscibilita’ – dunque la presa d’atto dell’esistenza del limite alla affermazione di responsabilita’ dell’imputato impone un confronto con le emergenze processuali, nel senso che per convalidare sul piano logico l’affermazione di responsabilita’ e’ necessario che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo eventualita’ remote, pur astrattamente formulabili come possibili “in rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benche’ minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalita’ umana, come affermato tra le altre – da Sez. 1, n. 31456 del 21.5.2008, ric. Franzoni,rv 240763, con orientamento ripreso, piu’ di recente, da Sez. 4, n. 22257 del 25.3.2014, rv 259204 (ove si e’ esplicitamente escluso che possa aver rilievo, a fini inibitori della pronunzia di sentenza di condanna, una ipotesi alternativa del tutto congetturale, pur se in astratto plausibile).
1.5 L’affermazione che precede implica, pertanto, la verifica – da operarsi in rapporto al contenuto dei motivi di ricorso – del corretto utilizzo delle massime logiche e di esperienza indicate come tali dal giudice di merito per attribuire o negare la “valenza indicativa” ai singoli dati indizianti, secondo le condivisibili affermazioni contenute in Sez. 6, n. 31706 del 7.3.2003, rv 224801, secondo cui il controllo di questa Corte sui vizi di motivazione della sentenza di merito, sotto il profilo della manifesta illogicita’, non puo’ estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza del quale il giudice abbia fatto uso nella ricostruzione del fatto, purche’ la valutazione delle risultanze processuali sia stata compiuta secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza dei canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento, e la motivazione fornisca una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate.
Ne consegue che la doglianza di illogicita’ puo’ essere accolta solo quando il ragionamento non si fondi realmente su una massima di esperienza (cioe’ su un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse, e valevole per nuovi casi), e valorizzi piuttosto una congettura (cioe’ una ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit, insuscettibile di verifica empirica o logicamente scorretta), o una pretesa regola generale che risulti priva, pero’, di qualunque e pur minima plausibilita’.
1.6 Va inoltre evidenziato, sempre in premessa, che in numerosi motivi si e’ contestata la reale valenza indiziante di alcune emergenze istruttorie.
Va dunque ricordato – qui in termini generali – che la prova del fatto rilevante e’ sempre fondata su un giudizio di “correlazione” tra un fatto principale (la proposizione fattuale contenuta nella ipotesi di accusa) e “fatti secondari” capaci, in rapporto al loro contenuto informativo, di evidenziare un significato di potenziale “corrispondenza al vero” dell’enunciato introdotto nella imputazione.
La classificazione logica e giuridica degli elementi probatori tra prova storica (o diretta) e prova critica (o indiziaria) si muove esclusivamente sul piano della loro “idoneita’ rappresentativa” rispetto al fatto da provare.
Tale partizione non riguarda la tipologia della fonte probatoria (un testimone puo’ essere portatore, ad es., quanto dell’una che dell’altra “classe” di elementi), bensi’ il rapporto esistente tra la “capacita’ dimostrativa”, del singolo elemento considerato, ed il “fatto da provare” nella sua oggettiva materialita’, cosi’ come descritto nella imputazione.
In tal senso, e’ definibile quale prova critico-indiziaria, ogni contributo conoscitivo che, pur non rappresentando in via diretta il fatto da provare, consenta – sulla base di una operazione di raccordo intellettivo e logico tra piu’ circostanze – di contribuire al suo disvelamento (dal fatto noto, l’indizio, si perviene alla conoscenza di quello ignoto).
L’indizio, pertanto, ha una sua autonoma capacita’ rappresentativa, che tuttavia per la sua parzialita’, – e per il rappresentare una circostanza diversa (pur se logicamente collegata) rispetto al fatto da provare – consente esclusivamente di attivare nella mente del soggetto chiamato ad operare la ricostruzione un meccanismo di inferenza logica, capace di condurre ad un accettabile risultato di conoscenza di cio’ che rileva ai fini del giudizio.
E’ proprio in ragione di tale “deficit strutturale” di capacita’ dimostrativa, che la prova indiziaria e’ oggetto di una particolare cautela valutativa da parte del legislatore, che ancora il risultato probatorio (articolo 192, comma 2) all’esistenza di particolari caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta inferenza (gravita’, precisione, concordanza), il tutto nell’ambito di una doverosa valutazione unitaria e globale dei dati raccolti (Sez. U., 4.2.1992, ric. Ballan, con insegnamento ribadito da Sez. U, n. 33748 del 12.7.2005, ric. Mannino, rv. 231678: poiche’ l’indizio e’ significativo di una pluralita’, maggiore o minore di fatti non noti – tra cui quello da provare -, nella valutazione di una molteplicita’ di indizi e’ necessaria una preventiva valutazione di indicativita’ di ciascuno di essi – sia pure di portata possibilistica e non univoca – sulla base di regole collaudate di esperienza e di criteri logici e scientifici, e successivamente ne e’ doveroso e logicamente imprescindibile un esame globale e unitario, attraverso il quale la relativa ambiguita’ indicativa di ciascun elemento probatorio possa risolversi, perche’ nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, si’ che il limite della valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella valutazione unitaria, in modo da conferire al complesso indiziario pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale puo’ affermarsi conseguita la prova logica del fatto).
Il singolo indizio, inteso pertanto come dato con contenuto informativo tale da “concorrere” all’accrescimento della verita’ contenuta nell’ipotesi di partenza, va sottoposto a verifica al fine di individuarne il “grado di persuasivita’” (si veda, sul tema, Sez. 1, n. 42750 del 9.11.2011, rv 251502) fermo restando che non puo’ pretendersi che il giudizio di “gravita’” (ossia il peso dimostrativo in rapporto al fatto da provare) sia uguale per ogni singolo dato indiziante, essendo del tutto usuale – nell’ambito della descritta valutazione unitaria richiesta dalla norma – la concorrenza di elementi indizianti di maggiore o minore gravita’, ferma restando la necessaria (al fine di raggiungere il risultato dimostrativo) precisione (intesa come direzione tendenzialmente univoca del contenuto informativo) e concordanza (il che implica – almeno sul piano tendenziale – la pluralita’ dei dati sottoposti a valutazione, la loro convergenza dimostrativa e, in ogni caso, l’assenza di dati antagonisti, o di smentita).
Il diverso “grado” di gravita’ del singolo indizio influisce dunque sulla valutazione complessiva, nel senso che, come e’ stato ribadito, di recente, da Sez. 5 n. 16397 del 21.2.2014, rv 259552, in tema di prova indiziaria, il requisito della molteplicita’, che consente una valutazione di concordanza, e quello della gravita’ sono tra loro collegati e si completano a vicenda, nel senso che, in presenza di indizi poco significativi, puo’ assumere rilievo l’elevato numero degli stessi, quando una sola possibile e’ la ricostruzione comune a tutti, mentre, in presenza di indizi particolarmente gravi, puo’ essere sufficiente un loro numero ridotto per il raggiungimento della prova del fatto.
Al contempo, va ribadito che la prova indiziaria, proprio in rapporto alle sue caratteristiche ontologiche, non puo’ – per definizione – offrire una rappresentazione del fatto sovrapponibile a quella di una prova diretta, posto che la dimostrazione e’ figlia non gia’ di una conclamata affidabilita’ di una voce narrante (o di un documento) in grado di riprodurre l’azione criminosa (in quanto tale) ma di un “raccordo logico” tra un fatto “secondario” e il “fatto da provare”.
La prova indiziaria conduce, in tesi, alla scoperta dell’identita’ dell’autore di un fatto di reato attraverso “significati intermedi”, tali da attivare un fondato e rassicurante percorso logico di dipendenza tra piu’ circostanze.
Ferma restando la certezza (in senso processuale) del risultato di prova, non puo’ dunque pretendersi dalla prova indiziaria un tasso esplicativo delle “modalita’ realizzative” del fatto che vada oltre i limiti ontologici della prova stessa (questa Corte, in piu’ occasioni ha affermato che il procedimento logico deve condurre alla conclusione caratterizzata da un alto grado di credibilita’ razionale, quindi alla certezza processuale che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia attribuibile all’agente come fatto prorio; cosi’ Sez. 1, n. 17921 del 3.3.2010, rv 247449).
Operate tali precisazioni di carattere generale, va anche ribadito che li’ dove il procedimento valutativo sin qui descritto risulti corretto sul piano del metodo, e’ costante e condivisibile l’affermazione per cui la prova logica non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) posto che, tra l’altro, la stessa prova storica se, da un lato, ha il pregio di rappresentare il fatto in via diretta (ad es. la narrazione del teste che abbia assistito all’azione delittuosa o una videoripresa del delitto), dall’altro, annida in se’ rischi di errore (falsita’ della deposizione, errore percettivo del teste, alterazione del dato tecnologico..) tali da determinare la necessita’ di un dovuto approccio “critico” da parte del giudice anche alle ipotetiche fonti dirette, nell’ambito di una ricostruzione che deve in ogni caso assicurare il massimo livello possibile di corrispondenza della decisione ai fatti, dati i valori in gioco (in tal senso, tra le altre, Sez. 1 n. 6992 del 30.1.1992, ric. Altadonna, ove si ribadisce, in via generale, che il legislatore all’articolo 192 non ha inteso introdurre alcuna “gerarchia di valore” nell’ambito delle diverse acquisizioni probatorie, ma ha unicamente indicato il criterio argomentativo che va applicato nella operazione ricostruttiva, nonche’, tra le altre, Sez. 1, n. 8511 del 6.7.1992, ric. Russo,rv 191509).
1.7 Cio’ posto, va anche ricordato che, li’ dove la ricostruzione del fatto âEuroËœprincipale’ (nel caso in esame, l’omicidio di (OMISSIS)) si alimenti da indizi, non e’ da escludersi – e non rappresenta un vizio della decisione l’utilizzo, nella decisione di merito, di argomenti di compatibilita’ logica tra la ricostruzione cui si perviene (sulla base delle evidenze indizianti) e le restanti emergenze di tipo storico acquisite agli atti. In tali parti della decisione, in altre parole, e’ usuale la formulazione di talune ipotesi, circa le modalita’ realizzative del fatto, allo scopo di “testare” l’affidabilita’ complessiva del percorso ricostruttivo.
Va pertanto realizzata – sempre in premessa – una opportuna distinzione tra la motivazione in senso proprio – da intendersi quale JO concatenazione logica dei dati dimostrativi reputati idonei a sorreggere il giudizio finale – e le verifiche di contesto e/o di compatibilita’, che sovente il giudice del merito propone nei ragionamenti piu’ complessi, allo scopo di ulteriore sostegno alla ipotesi ricostruttiva gia’ adottata.
La distinzione e’ di rilievo in quanto le mere “verifiche di compatibilita’” della ricostruzione prescelta possono essere espresse – in sentenza – anche in termini meramente probabilistici, a differenza della argomentazione probatoria in senso proprio.
Specie in presenza di dati indizianti puo’ risultare – come si e’ detto – necessario l’apprezzamento di ulteriori circostanze fattuali, posto che il giudicante deve porsi, in tal caso, il problema della compatibilita’ di tali risultanze con l’ipotesi di accusa, a pena di incompletezza della argomentazione complessiva.
E’ evidente, infatti che l’emersione di dati idonei a minare detta compatibilita’ determina una frattura logica, mente i dati compatibili con l’ipotesi formulata, pur avendo una portata conoscitiva non decisiva, finiscono con il concorrere al raggiungimento del risultato dimostrativo nell’ambito della verifica ulteriore dell’ipotesi ricostruttiva, al fine di escludere l’emersione di dati antagonisti.
In tal senso ed in tali limiti, sono da tollerarsi – in sede di verifica di legittimita’ – le espressioni probabilistiche, posto che in sede di motivazione la prospettazione di ipotesi deve ritenersi vietata quando il giudice intenda trarre da esse, e non da fatti obiettivamente accertati, la prova della colpevolezza; un tale divieto pero’ non sussiste e non potrebbe logicamente sussistere quando, in presenza di altri elementi non ipotetici ed idonei a dimostrare la colpevolezza, il giudice debba affrontare l’esame delle risultanze che si assumano come potenzialmente idonee a vanificare la loro valenza. In tal caso, infatti, il giudice altro non potra’ ne’ dovra’ fare se non verificare, ricorrendo necessariamente a delle ipotesi, se le dette risultanze siano in effetti compatibili o meno con la ricostruzione dei fatti in chiave accusatoria, la quale, peraltro, anche in caso di esito positivo di detta verifica, rimarra’ comunque basata sulle prove acquisite e non sulle ipotesi formulate in funzione della verifica stessa (cosi’ Sez. 1, n. 3754 del 13.3.1992, rv 189724).
Nel caso in esame tale aspetto verra’ ripreso in sede di esame delle doglianze difensive relative alla avvenuta “incursione” della Corte di secondo grado nelle modalita’ di consumazione del fatto di reato (ipotizzata la soppressione mediante strangolamento), aspetto che – come puo’ anticiparsi sin da ora, per le considerazioni che precedono – non puo’ rappresentare un vizio della decisione.
1.8 Da ultimo, sempre in via generale, va ribadito che la prova indiziaria consente l’affermazione di penale responsabilita’ per il delitto di omicidio anche nelle ipotesi – come quella che ci occupa – di mancato rinvenimento del cadavere.
E’ ricorrente, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ l’affermazione per cui la affermazione di responsabilita’ per il delitto di omicidio puo’ avvenire anche in simile caso, li’ dove la verifica degli indizi emersi sul punto conduca al logico convincimento della morte della persona scomparsa (tra le altre Sez. 1 n. 3624 del 12.1.1995, rv 201935; Sez. 1 n. 2070 del 3.9.1996, rv 206452; Sez. 1 n. 4494 del 13.12.2007, rv 239326).
Cio’ risponde ad un criterio logico ed etico, posto che a tacer d’altro, la tesi della inconciliabilita’ tra una statuizione di condanna per omicidio ed il mancato rinvenimento del cadavere finirebbe con alimentare il ricorso a pratiche illecite di definitiva soppressione dei resti umani, in totale spregio delle regole etiche in tema di pietas e di rispetto dei defunti.
Ma al di la’ di tale aspetto, tale statuizione e’ figlia dell’assenza di limiti legali al principio del libero convincimento del giudice penale, plasticamente espressa – tra l’altro – dall’articolo 193 c.p.p. (assenza dei limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, se non per cio’ che riguarda lo stato di famiglia e la cittadinanza).
Cio’ che rileva e’ – ovviamente – il rispetto delle regole di formazione dei materiali cognitivi utilizzati e dei parametri logici che consentono di ritenere “dimostrato” l’evento in questione attraverso elementi di conoscenza diversi dalla ordinaria constatazione diretta.
Dunque il controllo operato da questa Corte su simili accertamenti si realizza – in via ordinaria – attraverso la verifica del corretto sviluppo delle argomentazioni poste a sostegno, necessariamente di tipo indiziario.
2. Vanno dunque valutati, sulla base delle premesse sinora esposte, i singoli motivi di ricorso.
2.1 Il primo motivo e’ infondato, per le ragioni che seguono.
Va evidenziato in primis che la difesa, nel riproporre le doglianze relative a dinieghi istruttori (qui l’audizione di consulenti) non si confronta in modo adeguato con la propria – condotta processuale tenuta nel giudizio di primo grado.
Risulta, infatti (v. pag. 15 della sentenza di primo grado, nella parte dedicata allo svolgimento del processo) che durante il processo di primo grado la difesa “ha rinunziato alla escussione di tutti i testi originariamente indicati”.
Tale condotta processuale, per la verita’, tenderebbe a determinare una qualificazione in termini di inammissibilita’ della successiva doglianza per il mancato ingresso della singola fonte di prova, avendo la stessa difesa rinunziato in modo espresso alla audizione in giudizio dei testi “originariamente indicati”, limitando la propria azione alla confutazione dialettica della valenza dimostrativa degli elementi introdotti dalla pubblica accusa e dalla parte civile.
Tuttavia, per completezza, va anche affermato che nessun rilievo in diritto puo’ imputarsi alla decisione emessa, sul punto, dalla Corte di Assise di Appello (che non ha ritenuto di qualificare la doglianza in termini di inammissibilita’, respingendola nel merito). La introduzione di una prova di tipo tecnico, infatti, a fini di rispetto del contraddittorio, deve essere preceduta dal deposito di un – sia pur essenziale – elaborato scritto che consenta alle altre parti di comprendere l’oggetto della futura deposizione.
Cio’ pacificamente non e’ avvenuto, nel caso in esame, e ha contribuito alla rilevazione del difetto di specificita’ della circostanza apposta ai sensi dell’articolo 468 c.p.p. (accertamenti logico-tecnico-scientifici), gia’ rilevato in primo grado e ribadito in secondo grado.
Nel caso di un testimone esperto, invero, la circostanza su cui deve vertere l’esame funge da parametro di valutazione della stessa ammissibilita’ della prova, atteso che il teste tecnico – per definizione – e’ portatore non gia’ di una conoscenza generica sui fatti oggetto del giudizio (il che determina la tolleranza giurisprudenziale verso appostazioni delle circostanze in termini aspecifici), quanto di un potenziale contributo finalizzato ad una critica di elaborazioni tecnico-scientifiche ricadenti sulla ricostruzione dei fatti. La necessita’ di discovery e’ dunque – indubbiamente – piu’ accentuata rispetto a quella del teste comune ed il diniego espresso in sede di merito si mantiene in termini di piena ragionevolezza.
Peraltro, trattandosi in tesi, anche per come specificato nei motivi aggiunti (che rievocano il verbale di udienza del 18 dicembre 2015) di una deposizione di tipo tecnico, tesa a confutare la valenza dell’indizio tratto dalla “comunanza di celle” impegnate dall’apparecchio dell’imputato e da quello della donna scomparsa, in nessun caso il diniego di ammissione puo’ rifluire – in sede di legittimita’ – come mancata ammissione di prova decisiva (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) data la tendenziale neutralita’ dell’apporto tecnico-scientifico in generale (Sez. Un., n. 39746 del 23.3.2017, rv 27093601).
Sul punto, la difesa tende a confondere la particolare rilevanza istruttoria dell’esito dell’accertamento (nel senso che, effettivamente, la comunanza di impegno delle celle e’ un dato oggettivamente indiziante, come si precisera’ in seguito) con la fonte tecnica che ha introdotto il dato, rappresentato da una rilevazione topografica della ubicazione dei ripetitori (le cd. stazioni radio-base che irradiano il segnale) la cui valenza e’ oggettiva e non potrebbe essere efficacemente contraddetta da una contrapposizione esclusivamente dialettica.
Cio’ posto, va anche precisato che la critica difensiva puo’ assumere esclusivamente i connotati di una doglianza relativa alla omessa rinnovazione istruttoria in secondo grado, posto che il giudice di appello qualora si fosse verificata – in ipotesi – una nullita’ per mancata ammissione della prova avrebbe avuto il potere di raccogliere in via diretta l’elemento dimostrativo (ai sensi dell’articolo 604 c.p.p., comma 5; v. tra le altre Sez. 5 n. 202 del 2006), sempre in presenza di una valutazione – quantomeno – di utilita’ dell’elemento in questione a fini decisori.
Ma circa tale aspetto la Corte di Assise motiva in modo specifico con andamento immune da vizi logici, essendo stata affermata la completezza – in se’ – della rilevazione, con valutazione del tutto congrua dei risultati di prova. Il motivo va, pertanto, respinto.
2.2 Quanto al secondo motivo (mancato esame dei testi escussi in sede di incidente probatorio, inseriti nella lista della difesa) va in premessa ribadita la ragione di inammissibilita’ della doglianza, correlata alla rinunzia espressa, posta in essere dalla difesa durante il giudizio di primo grado (v. il paragrafo che precede).
Anche in tal caso, tuttavia, occorre esprimere una “doppia motivazione” di diniego, posto che la Corte di secondo grado non ha rilevato tale ragione di inammissibilita’ della doglianza e ne ha valutato i contenuti.
Sul punto, peraltro, la motivazione espressa dalla Corte di Assise di Appello va – per le ragioni che seguono – rettificata.
Va premesso che la prova dichiarativa raccolta in sede di incidente probatorio – con anticipazione del contraddittorio – pur se inserita nel fascicolo per il dibattimento (articolo 431, comma 1, lettera e) non e’, per cio’ solo, utilizzabile in sede di successivo giudizio.
Tale effetto di utilizzabilita’ dipende, infatti, dal contegno processuale tenuto dalle parti o dalla esistenza di deroghe “a monte”, alla disciplina ordinaria (v. articolo 190 bis c.p.p.) dipendenti dal fatto di reato per cui si procede.
L’anticipazione del contraddittorio in sede preliminare – davanti al GIP – se da un lato garantisce circa le modalita’ di raccolta delle dichiarazioni (in virtu’ di un pericolo di dispersione o di inquinamento della fonte, come risulta dalle ipotesi di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1), dall’altro rappresenta indubbiamente un vulnus al principio di immediatezza, intesa come assenza di âEuroËœmediazioni’ tra il soggetto giudicante che assiste all’atto con rilievo probatorio e il soggetto chiamato a valutarne la persuasivita’ ai fini del decidere.
Da cio’, come e’ noto, deriva la disciplina di legge di cui all’articolo 511 c.p.p., comma 2, ove si afferma che, pur trattandosi di atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento “la lettura di verbali di dichiarazioni e’ disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo”.
Ora, l’interpretazione letterale della locuzione normativa porta a ritenere che (salve le deroghe di legge) la lettura diventa strumento acquisitivo, con sacrificio della “immediatezza”, solo quando: a) l’esame non ha luogo perche’ diventato impossibile, essendosi concretizzato quel pericolo che aveva giustificato l’anticipazione probatoria; b) l’esame non ha luogo perche’ nessuna delle parti lo richiede, con contegno processuale definibile in termini di accordo, espresso o tacito, alla utilizzabilita’ piena dei verbali raccolti in sede di incidente probatorio.
In tale direzione si vedano Corte Cost. n. 198 del 1994 e, in particolare, Sez. Un. 15.1.1999, Iannasso (sul significato da attribuirei contenuti dell’articolo 511 c.p.p., comma 2, e sez. 6, n. 13844 del 2017, rv 270366-01.
Diversa e’, in chiave derogatoria, la disciplina di legge ove ricorrano le ipotesi – tassative di cui all’articolo 190 bis c.p.p. (si procede per uno dei reati indicati nel corpo dell’articolo 51 comma 3 bis o per una delle ipotesi descritte al comma 1 bis del medesimo articolo 190 bis), norma che facoltizza la lettura dei verbali dichiarativi raccolti in sede di incidente probatorio senza nuova citazione della fonte e prescindendo dall’accordo tra le parti (ferma restando la doverosita’ dell’esame se chiesto su circostanze diverse e la facolta’ del giudice, in ogni caso, di ammetterlo ove ritenuto necessario).
La Corte di secondo grado, per converso, da un lato non tiene conto – come si e’ detto della rinunzia espressa nel corso del dibattimento dalla difesa, e dall’altro ritiene – in ogni caso – che la disciplina di legge non preveda l’esame a richiesta di parte dei soggetti escussi in sede di incidente probatorio ove le circostanze siano le medesime, in cio’ finendo con estendere – come dedotto dalla difesa – a tutte le ipotesi di reato la disciplina âEuroËœspeciale’ di cui all’articolo 190 bis c.p.p..
Nel compiere tale operazione interpretativa si opera riferimento, nella sentenza impugnata, ai contenuti di Sez. 4 n. 1832 del 2015, rv 261771-01.
Tuttavia tale decisione, al di la’ dei contenuti della massima estrapolata (ove si evoca l’assenza, in termini generali, del diritto della parte di procedere a raccolta in dibattimento della prova acquisita in sede di incidente probatorio, con facolta’ discrezionale del giudice di disporre l’esame, senza altra specificazione), si riferisce non gia’ ad un caso di prova dichiarativa in senso stretto ma al caso della perizia, raccolta in sede di incidente probatorio ed in udienza preliminare e – peraltro – oggetto di rinnovazione in secondo grado (nel giudizio di merito che ha dato luogo alla pronunzia di questa Corte).
Pur in presenza di un passaggio di taglio generalista – anche nella motivazione della sentenza emessa dalla sez. 4 di questa Corte, che il Collegio non ignora -, appare evidente che l’analisi delle disposizioni di legge retrostante non si incentra sul testo dell’articolo 511, comma 2 ma su quello dell’articolo 511 c.p.p., comma 3, riguardante l’esame del perito.
E’ da ritenersi fermo ed indiscusso, pertanto, il principio espresso da Sez. Un. Iannasso – nel caso di mutamento della persona fisica del giudice, del tutto analogo a quello della prova raccolta in incidente probatorio – ove si e’ espressamente ritenuto che il caso di cambiamento della composizione del collegio rientra, come l’ipotesi della prova dichiarativa raccolta in incidente probatorio, nell’ambito di applicazione dell’articolo 511 c.p.p., comma 2, con le conseguenze sin qui illustrate: (..).. tali dichiarazioni, in sostanza, sono trattate alla stessa stregua delle dichiarazioni rese nell’incidente probatorio. L’articolo 511, comma 2, ultimo inciso “a meno che l’esame non abbia luogo”, postula infatti che l’esame non si compia o per volonta’ delle parti, espressamente manifestata ovvero implicita nella mancata richiesta di riaudizione del dichiarante, o per sopravvenuta impossibilita’ della riaudizione. E’ invero da escludere (all’infuori dell’ipotesi eccezionale di cui all’articolo 190 bis c.p.p.) che quando l’ammissione della prova sia nuovamente richiesta, il giudice che la ammetta ai sensi degli articoli 190 e 495 c.p.p abbia il potere di disporre la lettura delle dichiarazioni raccolte nel dibattimento precedente, alla quale non consentano entrambe le parti, senza previo riesame del dichiarante (..).
Va pertanto realizzata una rettifica dei contenuti espressi, sul tema, dalla Corte di Assise d’Appello in parte motiva.
Se, infatti, puo’ condividersi la opzione per la irrilevanza, ai fini della potenziale utilizzabilita’ dei verbali dell’incidente probatorio, della diversa qualificazione giuridica nel momento della celebrazione dell’incidente – dei fatti per cui si procede (si veda, in tal senso, quanto affermato da Sez. 6, n. 28845 del 12.4.2002, rv 222744 – 01) la parte delle argomentazioni espresse nella sentenza impugnata sul potere discrezionale del giudice del dibattimento non appare conforme alla interpretazione sin qui illustrata.
In particolare, li’ dove si afferma che la richiesta di esame – proveniente dalla difesa – del testimone escusso in sede di incidente probatorio, ove materialmente possibile, e’ sottoposta – anche in procedimento diverso da quelli presi in considerazione nel testo dell’articolo 190 bis c.p.p. – ad una valutazione discrezionale del giudice procedente, la decisione e’ errata in diritto.
La citazione del teste, ove la parte abbia formulato tale richiesta e l’ascolto risulti possibile – nei procedimenti ordinari – e’ infatti dovuta, ferma restando la possibilita’ di valutazione, una volta avvenuto l’esame, anche delle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio.
Cio’, tuttavia, non determina – come si e’ affermato sopra – l’accoglimento del ricorso. Cio’ in relazione a due circostanze di estremo rilievo.
La prima, come si e’ anticipato, e’ rappresentata dalla intervenuta rinunzia della difesa alla escussione dei testi della propria lista, sopravvenuta nel corso dell’istruttoria di primo grado, aspetto con cui la difesa del ricorrente evita del tutto di confrontarsi e da cui e’ legittimo dedurre la perdita della facolta’ di dolersi della mancata ammissione dei testimoni.
Una volta espressa una volonta’ di rinunzia alla rinnovazione dell’esame, in effetti, non residua alcuna possibilita’ di dolersi della avvenuta utilizzazione dei verbali di incidente probatorio, posto che proprio la rinunzia consente a realizzare la condizione prevista dall’articolo 511 c.p.p., comma 2 esaminata in precedenza.
La seconda – per mera completezza – e’ quella della esistente possibilita’ – nella economia complessiva della ricostruzione, per come risulta nella sentenza di merito – di prescindere dai contenuti narrativi dei testimoni escussi in sede di incidente probatorio, con idonea “prova di resistenza”, cosi’ come richiesto a questa Corte nelle ipotesi di dati inutilizzabili che risultino incidenti solo marginalmente nell’economia della decisione (occorre valutare se gli elementi di prova illegittimamente acquisiti abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, mediante il controllo della struttura della motivazione e della capacita’ dimostrativa delle fonti residue v. Sez. 6, n. 1255 del 28.11.2013, rv 258007; Sez. 4, n. 48515 del 17.9.2013, rv 258093).
Circa tale aspetto, va in ogni caso affermato che la ricostruzione indiziaria operata nelle decisioni di merito si basa essenzialmente su una concatenazione logica di fatti, rappresentata non gia’ dai contenuti delle fonti dichiarative escusse in sede di incidente probatorio, ma dai contenuti di altre e autonome fonti dimostrative.
Puo’, in particolare, prescindersi del tutto – ed in tal senso si procedera’ al vaglio delle argomentazioni probatorie – dai contenuti testimoniali portati dalla teste (OMISSIS) (che riferisce su fatti posteriori alla scomparsa di (OMISSIS)), cosi’ come va detto che ad essere rilevanti non sono le âEuroËœinformazioni’ rese dagli ulteriori testi escussi con tale modalita’ (tra cui padre (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), che non hanno assistito a condotte rilevanti tenute dall’imputato, quanto il dato obiettivo, emergente dai tabulati telefonici acquisiti ritualmente e pienamente utilizzabili, rappresentato dal fatto che alcuni di tali soggetti (in particolare padre (OMISSIS) e (OMISSIS)) in data (OMISSIS) furono destinatari di sms provenienti dal telefono cellulare di (OMISSIS), sms il cui contenuto e’ stato assicurato al processo mediante attivita’ investigativa consistente in fotografie realizzate dalla polizia giudiziaria del relativo testo (ad esclusione di quello recapitato al (OMISSIS), peraltro oggetto di veicolazione tramite testimonianze indirette di altri soggetti escussi ritualmente).
Tali aspetti, pertanto, restano – in ogni caso – utilizzabili, come meglio si dira’ in seguito, pur senza la importazione processuale delle deposizioni. Inoltre, quanto alla testimonianza di (OMISSIS) (padre (OMISSIS)), va affermato che i fatti oggetto di tale deposizione risultano veicolati nel processo anche mediante la captazione di conversazioni e mediante l’esame dello stesso imputato – nella parte in cui si e’ introdotta la versione difensiva relativa alla presunta visita di (OMISSIS) in compagnia di tal ” (OMISSIS)” – e peraltro la valutazione della inverosimiglianza di tale versione, per come emerge dalle decisioni di merito, non dipende dai contenuti della deposizione ma dalle verifiche investigative – negative – circa la reale esistenza di tale soggetto.
Anche sotto tale profilo, pertanto, e’ da escludersi che le mere informazioni fornite in sede di incidente probatorio rappresentino un dato la cui eliminazione dal quadro valutativo possa comportare l’annullamento della sentenza.
Per le suddette ragioni, sinora esposte, il motivo va respinto.
2.3 Il terzo motivo e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
La valutazione delle dichiarazioni rese, nel corso del procedimento, dall’imputato risulta operata in modo immune da vizi in diritto, sia in primo che in secondo grado.
In particolare la Corte di Assise di Appello ha ribadito che le sommarie informazioni testimoniali rese da padre (OMISSIS) nelle date del (OMISSIS) sono state trasfuse nel verbale di interrogatorio di garanzia – previa integrale lettura – del (OMISSIS) del 2015.
Tale circostanza rendeva di certo legittime le contestazioni derivanti dalla difformita’ di versioni tra quanto affermato in sede di indagini (nelle tre occasioni prima ricordate) e quanto dichiarato in sede di esame dibattimentale.
Ora, non risulta che la Corte di merito abbia utilizzato, in concreto, parti di verbali non oggetto di contestazione durante il dibattimento, posto che il dato essenziale per la decisione e’ rappresentato – al di la’ degli elementi di smentita rispetto alla complessiva versione difensiva – dal fatto che in un primo momento padre (OMISSIS) aveva ammesso di aver incontrato (OMISSIS) in data (OMISSIS) poco prima delle 14, salvo cambiare versione in sede dibattimentale (aspetto rievocato alle pagine 23 e 65 della sentenza impugnata).
Tale andamento dichiarativo, alla luce delle complessive acquisizioni probatorie, manifesta la – di certo legittima – volonta’ dell’imputato di tenersi, re melius perpensa, il piu’ “lontano possibile” dal momento di maggiore criticita’ dell’intera istruttoria, ma al contempo offre ai giudici del merito la possibilita’ di trarre argomenti di prova a carico del medesimo dichiarante – dalla complessiva sequenza narrativa, ai sensi dell’articolo 503 c.p.p., comma 5 e comma 6.
Va infatti ricordato che l’acquisizione del verbale utilizzato per le contestazioni – nei confronti dell’imputato – ne rende legittima la valutazione probatoria non soltanto al fine di verifica dell’attendibilita’ (di recente, Sez. 3, n. 50435 del 12.5.2015, rv 265869 – 01) ma anche sul terreno della ricostruzione del fatto. In ogni caso, la decisione impugnata se da un lato valorizza i mutamenti di versione dell’imputato, dall’altro fonda il convincimento su elementi indizianti esterni, il che esclude del tutto la rilevanza del punto di doglianza.
2.4 Il quarto motivo di ricorso e’ infondato.
La difesa del ricorrente incentra, essenzialmente, la doglianza sui contenuti valutativi della decisione di secondo grado nella parte in cui si perviene alla conclusione della avvenuta soppressione fisica di (OMISSIS), da parte dell’imputato, tra le 14 e le 14.30 del (OMISSIS), verosimilmente mediante strangolamento.
Si contesta l’utilizzo delle ammissioni iniziali rese da padre (OMISSIS) circa la verita’ dell’incontro e si ritiene del tutto congetturale la ricostruzione delle modalita’ del fatto.
Il motivo e’ infondato per piu’ ragioni, che si passano ad esporre.
In un processo a base indiziaria ogni segmento valutativo – per come esposto in premessa al cap. 1 della presente sentenza – va letto in modo unitario con le restanti parti del percorso argomentativo, non apparendo corretta l’eccessiva segmentazione della motivazione sul fatto.
Nel caso oggetto di ricostruzione, e’ evidente che le valutazioni “finali” della Corte territoriale vanno apprezzate alla luce dell’intero percorso argomentativo, che ne rappresenta il fondamento logico e storico. Sul punto, la ricostruzione si alimenta di un complesso di dati (e non soltanto delle iniziali ammissioni dell’imputato circa l’incontro del (OMISSIS)) che non possono essere isolati, frammentati o – addirittura dimenticati, ma vanno sempre posti in combinazione tra loro.
Cosi’ il fatto storico dell’incontro tra i due – intorno alle ore 14 del (OMISSIS) – risulta congruamente ricostruito in sede di merito sulla base di argomenti che la difesa accantona del tutto nel costruire la doglianza qui in valutazione.
Come, ad esempio, l’imponente flusso di comunicazioni telefoniche intercorse – al di la’ dei mesi precedenti – proprio nel corso della mattinata del (OMISSIS) (tra le 6.47 e le 13.46 sono censiti ben 15 contatti tra i due, tra conversazioni e scambio di sms, come emerge dalle pagine 14 e 15 della sentenza impugnata),aspetto che logicamente e’ stato posto a base della inferenza probatoria circa la effettivita’ storica dell’incontro, ove si consideri che (OMISSIS) e’ stata notata da piu’ persone mentre si dirigeva intorno a quell’ora, coincidente con l’ultima delle comunicazioni – proprio in direzione della canonica.
Se a cio’ si aggiungono le evidenze relative a quanto accade subito dopo le ore 13.46 del primo di maggio, ossia la scomparsa della donna e i tentativi – attribuiti in modo coerente allo stesso padre (OMISSIS), come si dira’ esaminando altri motivi – di depistaggio, rappresentati dall’invio di messaggi partiti dal cellulare della donna (evidentemente in mani altrui) gia’ intorno alle ore 17.20 del medesimo giorno, ne deriva che l’affermazione per cui (OMISSIS) ha trovato la morte per mano di padre (OMISSIS) – in quello specifico frangente – non puo’ dirsi ne’ illogica ne’ – tantomeno – apodittica, ma rispondente ai canoni di valutazione della prova indiziaria.
Le evidenze a carico, peraltro, oltre ad essere dotate di caratteri di gravita’, precisione e concordanza, data l’univoca lettura dei sgnificati dimostrativi in direzione della responsabilita’ dell’imputato, non risultano smentite da reali dati di contrasto.
Non puo’ dirsi, infatti, scarsamente verosimile la consumazione del delitto all’interno dei locali della canonica in ragione della compresenza di altri soggetti, posto che – sul piano della verifica processuale – tale comprenza, in quel preciso momento, e’ rimasta indimostrata. Analogamente, va ricordato che nella immediatezza del fatto non vi fu alcuna perquisizione o sopralluogo in detti locali, proprio in virtu’ della immediata attivita’ – riferibile all’imputato – di diffusione di notizie tese ad accreditare l’ipotesi della “fuga d’amore” di (OMISSIS) con un persona da poco conosciuta. Cio’ toglie forza alle critiche in punto di assenza di reali elementi di prova generica, posto che e’ del tutto logico ritenere – cosi’ come realizzato in sede di merito – che: a) tale assenza e’ essenzialmente ascrivibile alle condotte depistanti tenute dall’imputato; b) la mancanza di tracce biologiche relative alla donna nei luoghi di pertinenza dell’imputato non assume alcun rilievo a discarico dato che le prime verifiche all’interno della canonica sono state poste in essere a piu’ di quattro mesi di distanza dal giorno della scomparsa.
Altro aspetto e’ – invero – quello delle modalita’ specifiche di realizzazione del fatto.
Come si e’ detto in apertura la prova indiziaria – per la sua intrinseca natura – non offre rappresentazione diretta del fatto da provare, ma ne consente la ricostruzione inferenziale.
Dunque in un processo per omicidio di tipo indiziario, caratterizzato dal mancato rinvenimento del corpo, non puo’ pretendersi il raggiungimento di certezze sulle modalita’ realizzative del fatto ma soltanto sulla esistenza del fatto e sulla sua attribuzione all’azione di un determinato soggetto.
Cio’ posto, le affermazioni contenute nella decisione di secondo grado sul punto specifico delle modalita’ di realizzazione dell’omicidio (ipotesi dello strangolamento) assumono la veste di una verifica di “compatibilita’ complessiva” tra cio’ che risulta provato aliunde (l’eliminazione della donna ad opera della persona con cui si era appena incontrata) e dati di comune esperienza o evincibili dal complesso dell’istruttoria, come il repentino allontamento dalla canonica di padre (OMISSIS), quello stesso pomeriggio intorno alle 14.30 per la celebrazione del funerale, cui arrivo’ peraltro con mezz’ora di ritardo ed accompagnato da (OMISSIS) (marito della (OMISSIS)).
In altre parole, la “incursione” della Corte di Assise d’Appello sul tema delle probabili modalita’ realizzative del delitto, se da un lato non e’ asseverata da specifici dati indizianti (esistenti, invece, sul fatto storico dell’omicidio), dall’altro si pone esclusivamente in termini di verifica di compatibilita’, nei sensi oggetto di illustrazione al paragrafo 1.7 della presente sentenza, ai cui contenuti si opera rinvio.
Va pertanto escluso il denunziato vizio logico, fermo restando che – sull’aspetto delle modalita’ di consumazione del reato – la decisione si esprime in termini meramente probabilistici, come risulta consentito.
2.5 Il quinto motivo e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
Le decisioni di merito hanno congruamente ricostruito le plurime attivita’ di depistaggio poste in essere dall’imputato, tese a ritardare le indagini e ad allontanare dalla propria persona i sospetti.
In particolare, non puo’ omettersi – anche in tal caso – di operare una valutazione congiunta e non parcellizzata dei dati dimostrativi, posto che le affermazioni rese da (OMISSIS) dopo le ore 19.00 del giorno (OMISSIS) (una volta diffuso l’allarme per il mancato rientro a casa di (OMISSIS)) tendono ad accreditare una chiave di lettura dell’assenza della donna (la fuga volontaria con (OMISSIS)) che coincide con i contenuti dei messaggi gia’ inviati (dal cellulare della donna, in luogo corrispondente a quello ove si trovava padre (OMISSIS)) quello stesso giorno alle ore 17.20 a (OMISSIS) ed alle ore 17.26 a padre (OMISSIS).
La versione resa dal teste (OMISSIS) porta – logicamente – a ritenere costui una sorta di “autore mediato” di una falsificazione proveniente da padre (OMISSIS), ne’ assume rilievo il fatto che la conferma della provenienza della ipotesi della fuga volontaria dall’attuale imputato sia stata ulteriormente asseverata dal teste di polizia giudiziaria, maresciallo (OMISSIS). Costui, infatti, era tenuto a riferire sulle attivita’ svolte nelle ore immediatamente successive alla scomparsa della (OMISSIS) e narra di scelte e di accadimenti verificatisi in un momento in cui non vi era alcuna condizione giuridica ne’ formale ne’ sostanziale di indagato in capo a padre (OMISSIS). La sua deposizione e’ pertanto pienamente utilizzabile, posto che si tratta di una narrazione nel cui ambito l’aspetto informativo e’ inscindibile da quello strettamente operativo. Del resto, come emerge dal testo della decisione, vi e’ ulteriore conferma della volonta’ di padre (OMISSIS) – e non di altri – di coinvolgere in modo strumentale nella vicenda della scomparsa della (OMISSIS) l'(OMISSIS), in virtu’ dei contenuti di una conversazione tra i due oggetto di captazione, commentata in sentenza.
Il motivo va dunque respinto.
2.6 Il sesto motivo e’ inammissibile in quanto tendente a provocare una diversa valutazione di elementi di prova logicamente apprezzati nelle due decisioni di merito. Si e’ ritenuto, infatti, che tra (OMISSIS) e l’attuale imputato era intercorsa una relazione sentimentale e sessuale, per un tempo consistente, sulla base di elementi di prova che appaiono realmente indicativi di una particolare intensita’ della relazione. Il numero e la frequenza dei contatti attestati dai tabulati, che nel periodo in cui la donna si trovava in convalescenza a (OMISSIS) coprono l’intero arco della giornata, rappresentano – al di la’ del censimento dei contatti effettivi (comunque in numero molto consistente e fermo restando che anche i tentativi di chiamata non andati a buon fine manifestano la volonta’ del contatto) – una chiara ed univoca indicazione di una inusuale continuita’ comunicativa che si salda agli altri elementi offerti dall’istruttoria. Emerge, in particolare, la necessita’ della (OMISSIS) di confidare il suo sentimento ad alcune amiche, aspetto tipico di una relazione per forza di cose clandestina e irta di ostacoli – data la condizione di entrambi i protagonisti – con una voluta protezione della persona amata (la donna si descrive come non corrisposta), il che – come logicamente ritenuto in sentenza non fa altro che avvalorare la tesi della effettivita’ del rapporto, al di la’ delle parziali ammissioni, oggetto di ritrattazione, provenienti dall’imputato. Emerge altesi’, come evidenziato in sede di merito, l’acuta sofferenza emotiva della donna – in prossimita’ della scomparsa – altro aspetto che avvalora, in chiave indiziaria, la tesi della delusione per un comportamento dell’uomo teso – evidentemente – a non aderire piu’ alle prospettive coltivate dalla (OMISSIS).
Anche tale aspetto risulta logicamente valutato, posto che si cala in un accurato esame delle condizioni di vita e della personalita’ della donna, afflitta da una condizione esistenziale di certo problematica (per le patologi’e di cui era portatore l’unico figlio e la tendenza all’alcolismo del marito), tale da caricare di forti aspettative di cambiamento l’incontro con padre (OMISSIS). La correttezza delle inferenze rende inammissibile la doglianza, tendente ad una mera rivalutazione dei dati.
2.7 Il settimo motivo di ricorso e’ infondato.
La difesa del ricorrente non tiene conto del fatto che l’utilizzo del cellulare di (OMISSIS) nelle date del (OMISSIS) (a partire dalle 17.20), (OMISSIS), con trasmissione degli sms, e’ asseverato da un dato tecnico del tutto indipendente, rappresentato dai tabulati estratti in sede di indagini preliminari.
Non vi e’ necessita’ alcuna, pertanto, di fare ricorso alla prova testimoniale, posto che dal tabulato gia’ emerge il numero telefonico di partenza e quello di arrivo.
Quanto al testo degli sms, lo stesso – per quanto riguarda quelli pervenuti sulla utenza di padre (OMISSIS), su quella della (OMISSIS) e su quella del (OMISSIS) – e’ stato assicurato al processo tramite le fotografie del display degli apparecchi, realizzate dalla autorita’ investigante.
Tale modalita’ di assicurazione realizza una condizione di piena utilizzabilita’ processuale, non risultando indispensabile – come sostenuto dal ricorrente – il sequestro degli apparecchi che contenevano il dato.
Cio’ perche’, non essendo in quel momento in corso alcuna attivita’ di captazione delle comunicazioni, il testo del messaggio ricevuto – con assoluta certezza – dalle utenze in questione ha natura documentale e ben poteva essere assicurato al processo con la modalita’ di riproduzione fotografica, asseverata – nella sua corrispondenza all’originale dalla qualita’ soggettiva di agente di polizia giudiziaria di chi ebbe a effettuare la riproduzione.
La natura documentale, ai sensi dell’articolo 234 c.p.p., deriva, infatti, dalla circostanza per cui la trasmissione del messaggio – equiparabile ad una missiva scritta, da cui differisce per le modalita’ tecniche di fissazione e trasmissione del pensiero – e’ stata, pacificamente, posta in essere da parte di un soggetto estraneo al procedimento e con una finalita’ meramente comunicativa interpersonale (si veda, in termini generali, sez. 5, n. 10654 del 21.9.1992, ric. Bolampetti, che qualifica i documenti, in senso proprio ex articolo 234 c.p.p., in relazione alla essenziale caratteristica di essere strumenti rappresentativi la cui venuta in essere e’ del tutto indipendente dal procedimento penale, non potendosi ritenere tale cio’ che avviene nel processo o per il processo).
Dunque la pretesa difensiva di inutilizzabilita’ per la mancata assicurazione al processo del “contenitore” del documento – ossia dell’apparecchio telefonico – non puo’ trovare tutela alcuna (fermo restando un piano di mera opportunita’, processualmente irrilevante), essendo stata raggiunta la prova dell’avvenuto invio tramite il tabulato, ed essendo stato riprodotto il testo del messaggio fotograficamente da parte di un soggetto la cui attivita’ di reperimento dei dati e’ assistita da una presunzione di imparzialita’ e correttezza, valevole fino a prova contraria. La tesi difensiva di possibili alterazioni del testo e’, pertanto, meramente congetturale e inaccoglibile.
Risulta, peraltro, corretta tanto l’acquisizione che la valutazione di tali dati, per come operata in sede di merito.
Va infatti osservato che ad essere rilevante – a fini indiziari – e’ non soltanto il testo degli sms (ove si rinvengono errori espressivi logicamente rapportabili alla nazionalita’ dell’imputato, evidenziati congruamente in sentenza) ma l’esame dei contenuti, la sequenza, la scelta dei destinatari, i tempi ed i luoghi di trasmissione, cosi’ come apprezzato in sede di merito.
Anche in tale segmento valutativo i dati dimostrativi necessitano – in altre parole – di una valutazione congiunta e non atomistica, che ne scioglie la solo apparente ambiguita’. Non puo’ prescindersi, in particolare, dal fatto che i messaggi inviati in data (OMISSIS) dopo le ore 17 (a padre (OMISSIS) e a (OMISSIS)) non soltanto coincidono – temporalmente con un momento della giornata in cui padre (OMISSIS) aveva terminato le incombenze religiose ma soprattutto vengono inoltrati – dal cellulare della (OMISSIS) – da un luogo diverso da (OMISSIS) e corrisponente a quello in cui (data la localizzazione delle due utenze) si trovava l’imputato (la cella di (OMISSIS)). Ed ancora, non puo’ prescindersi dal fatto obiettivo, per cui la destinazione del messaggio delle 17.26 a persona – padre (OMISSIS) – che la (OMISSIS) nemmeno conosceva – e di cui non aveva il numero, esistente invece sull’apparecchio di padre (OMISSIS) in prossimita’ di quello del suocero della donna e’ un dato dimostrativo di particolare valenza circa l’identita’ in quel frangente del possessore dell’apparecchio (cosi’ come argomentato in sede di merito) non trovando tale circostanza fattuale nessuna spiegazione logica diversa.
Il possesso del cellulare di (OMISSIS), nelle sue rare occasioni di accensione posteriori alle ore 14 del (OMISSIS), nelle mani di padre (OMISSIS) e’ un aspetto non solo logicamente ricostruito in sede di merito ma altamente esplicativo dell’intera ricostruzione probatoria, posto che l’unica chiave di lettura di tale circostanza, ove la si legga unitamente al contenuto dei messaggi (tesi ad accreditare la tesi della sparizione volontaria e, successivamente, a manifestare disappunto per la condotta dubitativa tenuta nei giorni successivi dalla (OMISSIS), di cui l’imputato era venuto a conoscenza) e’ quella esplicitata nelle decisioni di merito.
Dunque non sono soltanto gli errori espressivi a determinare l’attribuzione all’imputato dell’invio degli sms depistanti, ma un complesso di elementi univoci e concordanti, con cui il ricorrente f`n isce con il non confrontarsi in modo adeguato.
2.8 L’ottavo motivo di ricorso e’ inammissibile. Si contesta la valenza di un dato processuale sostanzialmente irrilevante, rappresentato dalla questione relativa alla omessa indicazione, da parte dell’imputato, del numero di telefono di (OMISSIS) agli inquirenti. La decisione impugnata – pur se tale aspetto non fosse stato correttamente ricostruito – si basa solidamente su inferenze correlate ad altri dati indizianti, il che esclude la rilevanza del punto oggetto di doglianza.
2.9 Il nono e il decimo motivo di ricorso sono inammissibili perche tendenti alla mera rivalutazione di aspetti congruamente apprezzati in sede di merito. Il ricorrente, in sostanza, si duole delle valutazioni di inattendibilita’ espresse in sentenza circa la pista dell’allontamento volontario di (OMISSIS) non piu’ con (OMISSIS) (risultato, a seguito di verifiche investigative del tutto estraneo ai fatti) ma con ” (OMISSIS)”, tesi introdotta dallo stesso imputato soltanto nel mese di (OMISSIS). Il punto e’ stato trattato in sede di merito in modo coerente e logico, essendo corrispondente a canoni di comune esperienza la considerazione per cui – se l’incontro posteriore al primo di maggio tra padre (OMISSIS), (OMISSIS) e zio (OMISSIS) fosse realmente accaduto – ci si sarebbe dovuti attendere, in quel momento, da padre (OMISSIS) una condotta del tutto diversa, consistente nell’immediato disvelamento alle forze dell’ordine e ai familiari della donna di quanto accaduto. L’intera piccola comunita’ di (OMISSIS) era in apprensione per la scomparsa di (OMISSIS) e le circostanze di fatto – per come introdotte dallo stesso imputato – escludono in modo logico che da tale incontro potesse determinarsi un vincolo di segretezza di tipo “confessionale”, cosi’ come ritenuto in sede di merito. A cio’ va aggiunto che nelle decisioni di merito sono evidenziati gli ulteriori dati di sostegno alla tesi della inesistenza della figura di zio (OMISSIS), data la assoluta carenza di riscontri positivi alle indicazioni fornite dall’imputato. I motivi propongono temi di rivalutazione,estranei al perimetro del giudizio di legittimita’, peraltro rievocando la deposizione resa da padre (OMISSIS) in sede di incidente probatorio, che la stessa difesa ha chiesto di escludere dal quadro valutativo.
2.10 L’undicesimo motivo e’ infondato.
Si ripropone la tesi della impossibilita’ – sulla base dei dati acquisiti – di attribuire all’imputato il possesso e l’utilizzo del cellulare di (OMISSIS) nelle rare occasioni di utilizzo posteriori alle ore 14 del (OMISSIS), in riferimento alla scarsa affidabilita’ e pregnanza delle verifiche tecniche di geolocalizzazione.
Anche in tal caso, come si e’ osservato al paragrafo 2.7 e’ la difesa del ricorrente a realizzare – in sede critica – una eccessiva parcellizzazione dei dati, logicamente apprezzati in sede di merito.
Va in particolare evidenziato che il dato di maggiore valenza probatoria riguarda l’impegno – per entrambi i cellulari (quello in uso a padre (OMISSIS) e quello di (OMISSIS)) proprio nel pomeriggio del giorno della scomparsa (il (OMISSIS)) della cella ubicata nella zona di (OMISSIS), posto che trattasi di un dato del tutto inequivoco circa il compossesso dei medesimi, essendo quel territorio ubicato ad una distanza consistente (superiore a 15 km) dall’abitato di (OMISSIS).
Se, dunque, puo’ convenirsi sul fatto che l’aggancio di una determinata “cella” non consente una precisa localizzazione dell’apparecchio utilizzato ma esclusivamente una approssimazione logica, correlata alle condizioni del territorio ed al funzionamento del sistema di irradiazione del segnale (che tende a correlare l’apparecchio alla stazione radio base piu’ vicina, salvo che la medesima non sia in particolari condizioni di saturazione), e’ altrettanto evidente che l’aggancio “comune”, in orari prossimi, di una stazione radio-base come quella ubicata in (OMISSIS)) rappresenta il punto di partenza di una inferenza logica inattacabile e tale da reggere l’intero ragionamento dimostrativo. Si tratta, infatti, di una zona distante e non raggiungibile dalle stazioni radio serventi (OMISSIS), il che porta a leggere il dato in termini altamente indizianti, cosi’ come operato in sede di merito, nel senso che padre (OMISSIS) – che per certo si era spostato in quella zona nel pomeriggio del primo maggio – aveva con se’ l’apparecchio cellulare della donna, che viene utilizzato per l’invio dei messaggi delle 17.20 e 17.26 (gia’ illustrati in precedenza). Da qui la legittima e congrua inferenza, anche in rapporto alle occasioni successive di accensione del telefono di (OMISSIS).
Il cellulare dell’imputato, il (OMISSIS), dopo la celebrazione del funerale e della messa, era rientrato in uso agganciando la medesima cella ubicata in (OMISSIS) poco tempo prima, alle ore 16.50 con una lunga conversione (di circa 12 minuti) con (OMISSIS).
Dunque la compresenza degli apparecchi nel territorio servito dalla stazione radio di (OMISSIS) e’ un dato processuale certo, posto che lo scarto temporale e’ correlato ovviamente – all’utilizzo effettivo della rete e non e’ di entita’ consistente.
Non si tratta, dunque, della stazione radio base servente il territorio di (OMISSIS), ed in tale aspetto vi e’ la rilevanza decisiva del dato utilizzato in sede di merito.
L’ipotesi alternativa, infatti, e’ che (OMISSIS) si fosse anch’essa volontariamente recata – non certo con (OMISSIS), che dalle indagini e’ risultato trovarsi in tutt’altro luogo – nella zona di (OMISSIS) subito dopo il suo incontro con padre (OMISSIS), ipotesi sprovvista di alcun sostegno logico e storico, posto che in quel luogo padre (OMISSIS) si era recato per le sue attivita’ di sacerdote, peraltro accompagnato da (OMISSIS), con la vettura in uso alla comunita’ parrochiale, mentre (OMISSIS) (al di la’ della assoluta inutilita’ di recarsi in un luogo cosi’ distante) non aveva possibilita’ di spostarsi se non a piedi. Cosi’ come ritenuto in sede di merito, a spostarsi era soltanto l’apparecchio della donna, rimasto nelle mani dell’imputato.
Non vi e’, pertanto, alcun vizio logico nella ricostruzione indiziaria asseverata in sentenza, ne’ la mancata ammissione dell’audizione del consulente della difesa ha valenza di ridimensionamento della valenza del dato, e cio’ sia per la gia’ evidenziata infondatezza del primo motivo di ricorso (che viene qui sostanzialmente riproposto), sia per la natura dei dati oggetto di valutazione, derivanti dalla ubicazione delle celle e da considerazioni di natura logica.
A cio’ vanno aggiunte le ulteriori considerazioni gia’ esposte al paragrafo 2.7 e relative alla necessaria valutazione congiunta dei dati relativi a contenuto, sequenza, destinatari dei messaggi. Si tratta di aspetti gia’ trattati, cui si rinvia per evitare inutili ripetizioni. Nessuna illogicita’, infine, si rileva nell’attribuzione di valore dimostrativo alla deposizione resa dalla teste (OMISSIS), relativa al cambio di abitudini nelle attivita’ di pulizia della stanza di padre (OMISSIS). E’ evidente, infatti, che il dato assume un rilievo di contorno, non certo decisivo, ma esprime un significativo incremento delle esigenze di âEuroËœriservatezza’ dell’imputato in epoca posteriore alla scomparsa di (OMISSIS) ed in tale dimensione e’ stato congruamente valutato in sede di merito.
2.11 Il dodicesimo motivo e’ infondato.
Va ricondotta a ragionevolezza la diversita’ di approccio delle due decisioni di merito sul tema del movente, apprendo fuorviante la impostazione della critica contenuta nel ricorso, tesa a dedurre la “non conformita’” delle due decisioni su aspetti rilevanti del fatto. La decisione di primo grado, in particolare, ritiene non provato “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” il movente dell’azione omicidiaria, essenzialmente in ragione della correlazione tra tale aspetto processuale e l’aggravante della futilita’ dei motivi, che viene, pertanto, esclusa.
In cio’ viene data opportuna continuita’ a quell’orientamento giurisprudenziale che ritiene necessaria la compiuta dimostrazione – in fatto – dei fondamenti storici di una circostanza aggravante con applicazione piena del canone valutativo di cui all’articolo 533 c.p.p. (v. Sez. 1) n. 14638 del 9.1.2014, rv 261245-01).
Simile approccio valutativo valorizza il senso del limite in un segmento del fatto da cui derivano importanti conseguenze sanzionatorie, fermo restando che la Corte di Assise ricostruisce la vicenda sottostante in termini del tutto analoghi rispetto al percorso seguito nella decisione di secondo grado. La ragione essenziale del delitto viene ravvisata nelle difficolta’ insorte nella relazione sentimentale, aspetto che accomuna le due decisioni ed esclude una rilevante difformita’.
La Corte di Assise di Appello, nel rivalutare tale aspetto, esprime in modo piu’ netto il convincimento in termini di “perdita di controllo” dell’imputato a fronte della insistenza di (OMISSIS) verso una “emersione” del legame, aspetto cui la donna teneva in modo particolare.
Tale considerazione non si presta, peraltro, ad un riesame nella presente sede essendo da un lato frutto delle ordinarie prerogative valutative dei giudici del merito, dall’altro basata su elementi probatori presenti in atti, il che ne esclude la – denunziata – portata congetturale.
E’ indiscutibile, infatti, perche’ asseverata dalla teste (OMISSIS) (e dalla teste (OMISSIS)), l’emersione in tempi prossimi alla scomparsa di una forte sofferenza emotiva in (OMISSIS), correlata – per come narrata dalla teste, destinataria delle confidenze della vittima – ad una condizione di trasporto amoroso verso la persona dell’imputato.
La sofferenza, sul piano logico, si lega – come pure si e’ detto – ad una delusione e, nello sviluppo dell’istruttoria tale sofferenza e’ posteriore ad un periodo in cui (OMISSIS) mostrava – per converso – un umore diverso e maggiore cura verso la propria persona. La lettura incrociata dei dati disponibili (tra cui la particolare intensita’ dei contatti tra i due protagonisti della vicenda sino al giorno della scomparsa) ha portato i giudici del merito a considerare, in modo non irragionevole, la condizione emotiva negativa mostrata da (OMISSIS) alla teste (OMISSIS) come correlata ad ostacoli posti da padre (OMISSIS) alla prosecuzione della relazione nel modo desiderato dalla donna, consapevole – quest’ultima – del fatto che in caso di trasferimento – gia’ programmato – del sacerdote, la stessa possibilita’ di proseguire gli incontri sarebbe svanita.
Non puo’ pertanto imputarsi alla Corte di Assise d’Appello alcuno scivolamento in considerazioni slegate dal contenuto degli atti processuali, ove si ponga mente al quadro complessivo, rappresentato – aspetto non considerato dal ricorrente – non solo da cio’ che risulta avvenuto “prima” del pomeriggio del (OMISSIS) ma anche da cio’ che risulta avvenuto in quella giornata (per come ricostruito in sentenza).
In altre parole, la chiave di lettura adottata rappresenta – sia pure in un quadro necessariamente probabilistico, data l’esclusione gia’ in primo grado della circostanza aggravante – il frutto di canoni valutativi esperienziali calati nella realta’ processuale e aderenti al contenuto delle fonti.
Il motivo va dunque respinto.
2.12 Il dodicesimo motivo e’ inammissibile perche’ non consentito, traducendosi in una impropria richiesta di rivalutazione del contenuto di talune deposizioni testimoniali.
Entrambe le decisioni di merito hanno analizzato e comparato le deposizioni testimoniali oggetto di nuova rappresentazione nel ricorso, arrivando a conclusioni conformi e pienamente logiche circa l’orario in cui (OMISSIS) e’ stata vista dirigersi verso la canonica in data (OMISSIS).
Appartiene, infatti, alla logica comune la considerazione per cui la rievocazione di un evento e’ correlata essenzialmente alla percezione visiva (aver notato la persona x nel luogo y), li’ dove l’apposizione al ricordo di un dato temporale e’ – per forza di cose incerta, a meno che il momento preciso in cui si e’ verificato un dato evento non “faccia parte” dell’evento medesimo (avevo appuntamento con la persona x alle 14 e ricordo di aver atteso il suo arrivo dieci minuti) o sia correlato a fatti accessori (ho visto quella persona alle 16 perche’ a quell’ora esce da scuola mio figlio e lui era appena uscito).
Cio’ posto, in modo del tutto logico, la sentenza impugnata realizza una opportuna correlazione tra il dato probatorio di tipo tecnico (la conversazione intrattenuta alle 13.30 da (OMISSIS) con padre (OMISSIS) per circa un minuto) e la percezione di uno dei testi ( (OMISSIS)), che la vede camminare in direzione della canonica mentre parlava al telefono. Da cio’ si e’ desunto che l’incontro della donna con padre (OMISSIS) sia da collocarsi poco prima delle ore 14 (in tal senso anche i contenuti delle informazioni rese dal teste (OMISSIS) e l’ultimo contatto telefonico tra i due, di soli sette secondi, registrato alle 13.46) e tale circostanza non risulta smentita dalle altre deposizioni, essendo state ampiamente valutate le ragioni di contrasto tra le suddette dichiarazioni e quelle provenienti dai testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (a pag. 63 della decisione impugnata). La riproposizione del tema e’, per quanto sinora detto, essenzialmente rivalutativa e incontra il limite della inammissibilita’.
2.13 Analoga qualificazione va operata per il motivo numero quattordici.
Ove l’avvistamento di (OMISSIS) in (OMISSIS) la mattina del (OMISSIS) da parte della teste (OMISSIS) fosse stato oggetto di conferma, avrebbe avuto indubbiamente – una consistente portata dimostrativa a discarico.
Ma la difesa del ricorrente non si confronta in modo adeguato con l’andamento dichiarativo – ampiamente scrutinato in sede di merito – che ha condotto la stessa teste ad un forte ridimensionamento della ipotesi, cosi’ rendendo del tutto incerta e precaria l’unica fonte. A cio’ vanno aggiunte le ulteriori verifiche investigative, tutte di segno negativo, circa l’ipotizzato accesso di (OMISSIS) nei locali del Comune di (OMISSIS), logicamente valutate in sentenza.
La riproposizione del tema e’, dunque, essenzialmente rivalutativa e incontra il limite della inammissibilita’.
2.14 I motivi numero quindici, sedici e diciassette sono inammissibili perche’ non consentiti in sede di legittimita’, in quanto tendenti alla mera rivalutazione di aspetti congruamente esaminati e valutati nelle due decisioni di merito.
In tale parte il ricorrente ripropone le doglianze in punto di mancata esplorazione investigativa di ipotesi alternative e di vizio motivazionale per la loro ritenuta insussistenza.
Va, su tali aspetti, ricordato che: a) il ritardo nel compimento di atti di indagine sulla ipotesi di omicidio e’ frutto dell’iniziale depistaggio attribuito allo stesso imputato ed in ogni caso non risultano emerse lacune investigative su ipotesi di ascrivibilita’ del gesto delittuoso a soggetti diversi dall’attuale imputato, come ritenuto nella decisione impugnata; b) la tesi dell’allontanamento volontario e’ stata logicamente esclusa non soltanto in virtu’ del legame particolarmente forte esistente tra (OMISSIS) ed il figlio (OMISSIS)) ma anche in ragione della totale assenza di riscontri positivi sui soggetti che, in tesi, avrebbero coadiuvato le intenzioni della donna (come si e’ detto in precedenza) ed a cio’ va aggiunta la valenza fortemente indiziante, a carico dell’imputato, relativa alle modalita’ ed ai luoghi di utilizzo del cellulare della (OMISSIS) gia’ nel pomeriggio del (OMISSIS) (a scopi di depistaggio), del tutto inconciliabile con la tesi dell’allontanamento volontario; c) la tesi del suicidio e’ stata, parimenti ritenuta del tutto priva di cittadinanza processuale in virtu’ di elementi di natura storica e logica.
Appare necessario soffermarsi su tale ultima ipotesi, allo scopo di evidenziare la piena logicita’ degli argomenti utilizzati, in sede di merito, per escludere simile eventualita’. Al di la’ delle ovvie considerazioni in punto di distanza e differenza tra il “manifestare un dolore”, cosa che certamente (OMISSIS) ha fatto, e decidere di togliersi la vita, cio’ che rileva e’ che proprio dalla deposizione della teste (OMISSIS) – citata dal ricorrente emerge il bisogno della (OMISSIS) di condividere, anche in seguito, con l’amica il particolare stato emotivo vissuto in quel momento e cio’ rappresenta un ulteriore indicatore di assenza di volonta’ autosoppressiva. Dopo la manifestazione di scoramento, manifestata nella conversazione del primo maggio (..oggi e’ una giornata che non so cosa farei, se potessi sparirei anche sotto un ponte..) e sempre secondo la narrazione della (OMISSIS), (OMISSIS) invitava l’amica, per uno dei giorni successivi, a “prendere un caffe'” da lei (.. un giorno vieni a prendere un caffe’, che ho bisogno di parlarti..), il che, in una corretta importazione e valutazione del dato dimostrativo, tende a confermare che – cosi’ come ritenuto in sede di merito – la manifestazione di “turbamento” di (OMISSIS) non era indicativa di una reale scelta suicidaria (espressa solo in via figurata) quanto di un tormento interiore correlato proprio al difficile momento vissuto con padre (OMISSIS), persona con cui quella stessa mattina vi furono i numerosi contatti – di cui si e’ detto – e che la (OMISSIS) avrebbe dovuto incontrare di li’ a poche ore.
A cio’ va aggiunto che la tesi del suicidio contrasta in modo evidente sia con le avvenute “accensioni” del telefono della (OMISSIS), l’ultima delle quali si registra a luglio ( (OMISSIS) sarebbe rimasta nascosta per piu’ di due mesi prima di porre fine alla sua esistenza), che con il mancato rinvenimento del corpo nonostante le accurate ricerche.
2.15 Il motivo numero diciotto e’ infondato.
L’andamento di tale doglianza e’ del tutto assertivo ed appare – in larga misura volutamente svincolato dalle obiettive risultanze processuali. Vengono ripercorsi i punti della ricostruzione fattuale operata in sentenza, in modo sostanzialmente ripetitivo delle doglianze gia’ proposte in sede di merito e allegate nei precedenti motivi di ricorso.
Va dunque ribadito, in sintesi ed allo scopo di evitare inutili ripetizioni, che la decisione di merito appare pienamente conforme ai canoni normativi di valutazione della prova indiziaria (richiamati in premessa) e che l’applicazione della regola di giudizio di cui all’articolo 533 c.p.p., per come realizzata nei giudizi di merito, risulta conforme ai contenuti di legge. Si e’ infatti registrata una piena convergenza di elementi indizianti a carico dell’imputato, ritualmente acquisiti e tali da confinare il dubbio circa l’esistenza dell’omicidio e la sua attribuibilita’ all’imputato nell’area della assoluta irragionevolezza. Non vi e’, infatti, spiegazione razionale alternativa – ne’ sono emersi dati di smentita dell’ipotesi di accusa – circa la complessiva sequenza di eventi che sin dalla seconda meta’ dell’anno (OMISSIS) ha coinvolto i due protagonisti della vicenda oggetto del processo, sino a giungere alla data del (OMISSIS). E’ provato in modo certo l’incontro tra i due di quel giorno (testimonianze relative alla direzione in cui si muoveva la donna, incrociate dalle risultanze dei tabulati), incontro da cui (OMISSIS) non fece ritorno. E’ altresi provato (data la convergenza, gravita’ e precisione dei dati indizianti) l’utilizzo strumentale da parte dell’imputato, solo poche ore dopo, del telefono cellulare della donna, circostanza dalla valenza del tutto univoca, in direzione della conferma della tesi di accusa (posto che l’utilizzatore abusivo dell’apparecchio tendeva, in quel momento, a ritardare la scoperta dell’evento e ad allontanare dalla propria persona i sospetti, tutti indici della piena consapevolezza della sorte toccata alla donna), ed e’ rimasta provata l’assoluta inconsistenza delle ipotesi alternative rispetto alla morte violenta di (OMISSIS) per mano dell’attuale imputato, cosi’ come affermato nella decisione impugnata.
Le pretese tesi antagoniste esposte dal ricorrente non si fondano su elementi obiettivi e risultano meramente congetturali, sicche’ va ribadita la considerazione per cui il dubbio, per assumere valenza di limite alla affermazione razionale di responsabilita’, deve manifestarsi come ragionevole e deve trovare un aggancio concreto alla realta’ processuale, idoneo a fargli assumere la necessaria consistenza (tra le altre, Sez. 4, n. 22257 del 25.3.2014, rv 259204, ove si e’ escluso che possa aver rilievo, a fini inibitori della pronunzia di sentenza di condanna, una ipotesi alternativa del tutto congetturale, pur se in astratto plausibile).
2.16 I motivi numero diciannove e venti sono inammissibili per manifesta infondatezza.
La ipotesi dell’omicidio preterintenzionale non puo’ derivare dalla totale assenza di evidenze circa le concrete modalita’ di consumazione del fatto delittuoso, specie ove tale assenza di supporto dimostrativo sia ascrivibile – come nel caso in esame – all’azione soppressiva del cadavere posta in essere dall’autore del fatto, e sul punto il ricorso chiede una rivalutazione di un segmento della decisione che risulta – per converso solidamente ancorato a canoni di comune esperienza, per cui l’attivita’ di nascondimento dei resti umani e di depistaggio appare ricollegabile ad una volonta’ di rendere impossibile la scoperta del fatto di maggiore gravita’.
Analogamente, il diniego delle circostanze attenuanti generiche risulta congruamente motivato, non essendo emerso alcun elemento positivo, sul fatto o sulla personalita’, tale da comportare una necessita’ di attenuazione del trattamento sanzionatorio, cosi’ come si e’ ritenuto in sede di merito, a fronte – peraltro – di una condotta tesa, sin dai momenti immediatamente successivi al fatto, ad una dolosa alterazione della realta’, indicativa di elevata capacita’ a delinquere.
3. Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute nel presente giudizio dalle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo, in ragione del numero e rilievo delle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese del presente grado del giudizio a favore delle parti civili che liquida come segue: nella somma di Euro 2.800,00 a favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), disponendone il pagamento a favore dello Stato; nella somma di Euro 5.600,00 a favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); nella somma di Euro 5.000,00 a favore di (OMISSIS); nella somma di Euro 3.200,00 a favore di (OMISSIS) disponendone il pagamento a favore dello Stato; nella somma di Euro 3.500,00 a favore di (OMISSIS); nella somma di Euro 3.500,00 a favore di (OMISSIS); nella somma di Euro 4.020,00 a favore dell’associazione nazionale (OMISSIS), in persona del presidente pro tempore. Condanna altresi’ il ricorrente al pagamento delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA, come per legge, a favore di ciascuna delle predette parti civili.

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