Qualora il giudice d’appello abbia proceduto alla trattazione nel merito dell’impugnazione, ritenendo di non ravvisare un’ipotesi di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10422.

La massima estrapolata:

Qualora il giudice d’appello abbia proceduto alla trattazione nel merito dell’impugnazione, ritenendo di non ravvisare un’ipotesi di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., la decisione sulla ammissibilità non è ulteriormente sindacabile sia davanti allo stesso giudice dell’appello che al giudice di legittimità nel ricorso per cassazione, anche alla luce del più generale principio secondo cui il vizio di omissa pronuncia non è configurabile su questioni processuali.

Sentenza 15 aprile 2019, n. 10422

Data udienza 6 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 10475-2016 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI LECCO;
– intimata –
Nonche’ da:
AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI LECCO, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso principale;
– controricorrenti all’incidentale –
avverso la sentenza n. 614/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’accoglimento del 4 motivo del ricorso principale, rigetto per il resto; rigetto del ricorso incidentale;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualita’ di esercenti la potesta’ genitoriale sulla figlia (OMISSIS), ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 614/16, del 18 febbraio 2016, della Corte di Appello di Milano, che in accoglimento solo parziale del gravame da essi esperito avverso la sentenza n. 349/14, del 14 marzo 2014, del Tribunale di Lecco – ha riconosciuto il diritto degli stessi a conseguire, dall’Azienda Sociosanitaria Territoriale di Lecco, il risarcimento del danno da lesione del diritto al “consenso informato”, confermando, per il resto, il rigetto della domanda risarcitoria dagli stessi proposta.
2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di avere adito il Tribunale lecchese per conseguire il risarcimento di “tutti danni” subiti, in primo luogo, dalla figlia (OMISSIS), nonche’ da essi stessi – a causa di una grave e irreversibile encefalopatia da “RDS” (“Respiratory Distress Syndrome”) contratta dalla bimba (nata prematura, alla venticinquesima settimana, all’esito di parto cesareo) e che addebitavano ad una cattiva esecuzione della prestazione sanitaria, anche sul piano degli obblighi informativi, fornita in occasione della gestazione.
Costituitasi la predetta Azienda Socio-Sanitaria, che resisteva alla domanda attorea, istruita la causa anche attraverso lo svolgimento di CTU medico-legale, l’adito giudicante rigettava la domanda risarcitoria. A tale esito, osservano i ricorrenti, esso perveniva sul rilievo che – sebbene si dovessero ritenere accertati i fatti denunziati dagli attori, ed in particolare la negligente gestione di una fase della gravidanza, soprattutto in relazione alla mancata somministrazione della profilassi corticosteroidea, a partire dalla ventiquattresima settimana di gestazione – “non fosse stato raggiunto un rilievo eziologico della condotta omissiva dei medici colpevoli”.
Proposto gravame dagli attori soccombenti, la decisione del giudice di prime cure era parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Milano, che riconosceva il risarcimento del danno da violazione del dovere informativo gravante sulla struttura sanitaria.
3. Avverso la sentenza della Corte meneghina hanno proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) ed il (OMISSIS), sulla base – come detto – di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo deduce – in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – nullita’ della sentenza e/o del procedimento, in relazione agli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., nonche’ all’articolo 2697 c.c. e all’articolo 111 Cost., “per omessa disamina e pronuncia in merito ai motivi di appello attinenti sia alla validita’ della consulenza medico-legale ed alla istanza di rinnovazione e integrazione della stessa e sia alle contestazioni alla stessa rivolte dai periti e dal difensore attorei”, oltre che “per l’errata, carente ed insufficiente ed inadeguata motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia”, nonche’ “per errata travisata ed arbitraria valutazione delle risultanze dell’accertamento peritale”.
3.2. Il secondo motivo ipotizza – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), – violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 1223, 1228, 2230, 2236 e 2697 c.c., con riferimento agli articoli 113, 115, 116 e 132 c.p.c., relativamente “all’esclusione del nesso causale tra la condotta dei medici e l’evento pregiudizievole, viziata sia dall’erronea interpretazione e valutazione del criterio del riparto della prova”, sia da una “inappropriata e non pertinente adozione del criterio cd. del “piu’ probabile che non” in ragione di insussistenti fattori naturali concausali”, censurandosi, inoltre, la sentenza impugnata in ragione della “motivazione, insufficiente, illogica ed errata, oltre che difforme dalle evidenze processuali”.
Si assume che la Corte territoriale abbia fatto “malgoverno” dei principi di diritto sulla prova del nesso causale in tema di azioni risarcitorie da responsabilita’ medica, in particolare perche’ essa “mostra di subordinare l’onere probatorio del convenuto alla preventiva dimostrazione del nesso causale da parte dell’attore”.
3.3. Con il terzo motivo viene dedotta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), e in relazione agli articoli 112 e 132 c.p.c., nonche’ agli articoli 1174, 1218, 1223 e 1228 c.c. – “nullita’ della sentenza per omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia”, oltre che “inesistente e/o insufficiente motivazione”, e cio’ “per non avere la Corte pronunziato in alcun modo in merito alla domanda di risarcimento del danno conseguente alla perdita della possibilita’ dei danneggiati di conseguire un risultato piu’ favorevole della gravidanza”, inteso, dunque, come danno da “perdita di chance”.
3.3. Infine, con il quarto motivo, viene dedotta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), – “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., nonche’ dell’articolo 336 c.p.c., comma 1, e degli articoli 91 e 92 c.p.c.”, ovvero “nullita’ della sentenza per non avere la Corte territoriale, dopo aver parzialmente riformata la sentenza del Tribunale di Lecco, provveduto alla nuova regolamentazione delle spese processuali anche del grado di giudizio”.
I ricorrenti censurano la decisione della Corte di Appello di riconoscere loro – peraltro, solo in parte (ed esattamente, nella misura di un terzo) – unicamente le spese del secondo grado di giudizio, compensandole per il resto, cosi’, a loro dire, “frazionando” la soccombenza ai fini del riparto delle spese di lite.
4. Ha resistito all’impugnazione, con controricorso, l’Azienda ospedaliera, proponendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, con cui assume la “novita’” della domanda di risarcimento del danno da lesione del diritto all’informazione, accolta dalla Corte milanese.
In particolare, si censura la sentenza d’appello – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), in relazione agli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. – per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’eccezione, formulata dalla odierna controricorrente, di inammissibilita’ del gravame, a norma dell’articolo 348-bis c.p.c., in relazione alla dedotta novita’ della domanda di risarcimento del danno da lesione del diritto all’informazione, nonche’ per aver accolto tale domanda in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, senza preliminarmente annullare o indicare la parte della sentenza di primo grado nella quale il Tribunale non aveva esaminato la domanda.
Inoltre, la Corte territoriale avrebbe ignorato le risultanze della CTU, laddove evidenziano che anche nel caso in cui la gestante fosse stata informata della possibilita’ di compiere ulteriori accertamenti gli stessi “non avrebbero determinato un diverso esito della vicenda”.
5. La (OMISSIS) e il (OMISSIS) hanno resistito, con controricorso, al ricorso incidentale dell’Azienda ospedaliera.
6. Entrambe le parti hanno presentato memorie, ex articolo 378 c.p.c., insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quelle avversarie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso principale va rigettato.
7.1. Il primo motivo e’ in parte inammissibile e in parte non fondato.
7.1.1. Esso si articola, in realta’, in almeno tre diverse censure, nessuna delle quali, pero’, coglie nel segno.
In particolare, con la prima si lamenta che il giudice di appello avrebbe confermato l’esclusione del nesso causale tra la condotta addebitata alla convenuta e i danni lamentati da parte attrice senza prendere in considerazione i motivi di gravame proposti dagli (allora) appellanti; con la seconda, si denunciano “errori interpretativi e travisamenti delle risultanze dell’accertamento peritale”, lamentando anche la mancata rinnovazione dell’indagine tecnica; con la terza, si denuncia la “insufficienza” della motivazione, sempre in punto di ricostruzione del nesso causale tra condotta inadempiente dei sanitari e danno.
7.1.1.1. Orbene, la prima di tali censure difetta di autosufficienza, giacche’ i ricorrenti avrebbero dovuto riprodurre in modo specifico i “motivi” di gravame sui quali sarebbe stata omessa ogni pronuncia, ottemperando a quanto previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Non osta, del resto a tale esito la constatazione che il motivo si sostanzia – “in parte qua” – nella deduzione di un “error in procedendo” (rispetto ai quali questa Corte e’ anche giudice del “fatto processuale”, con possibilita’ di accesso diretto agli atti del giudizio; da ultimo, Cass. Sez.6- 5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01; ma nello stesso senso gia’ Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01).
Trova, infatti, applicazione il principio – al quale va data, qui, continuita’ – secondo cui la “deduzione con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte e’ anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilita’ del motivo in relazione ai termini in cui e’ stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilita’ diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione puo’ e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (cosi’, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01).
In particolare, e’ stato ritenuto “inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o piu’ motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralita’ nel ricorso, si’ da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. Sez. 2, sent. 20 agosto 2015, n. 17049, Rv. 636133-01).
Si tratta, peraltro, di un’esigenza, questa dell’autosufficienza del ricorso, che – come e’ stato icasticamente osservato – “non e’ giustificata da finalita’ sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attivita’ d’esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge”, ma che “risulta, piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilita’ della redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01).
7.1.1.2. Quanto, poi, al supposto travisamento delle risultanze della CTU, anche tale censura si presenta inammissibile ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Si consideri, difatti, che nel vigore del “novellato” – e vigente testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “la contestazione del vizio motivazionale elevata nei confronti della motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni della CTU non puo’ limitarsi al rilievo di una insufficienza dell’indicazione delle ragioni del detto recepimento”, dovendo il ricorrente indicare – a norma dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), – “il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’””. Evenienza, questa, che deve escludersi qualora (come avvenuto anche nel caso in esame), nella “articolazione delle censure” non venga specificatamente indicato in quale parte la CTU “non si sia fatta carico di esaminare e confutare i rilievi di parte, limitandosi la ricorrente a giustapporre le proprie valutazioni (…) alle conclusioni dei consulenti”, senza che siano “precisati i passaggi della consulenza nella quale siano mancati l’esame e la confutazione dei rilievi di parte” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18391, non massimata).
Ne’, d’altra parte, la censura in esame merita accoglimento, laddove essa lamenta che la Corte territoriale ha deciso, immotivatamente, di non dare corso alla rinnovazione della consulenza, considerato che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non e’ tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicche’ non e’ neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto” (Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2017, n. 22799, Rv. 645507-01).
7.1.1.3. Infine, quanto alla terza censura, essa investe la “sufficienza” dell’apparato motivazionale che sorregge la sentenza impugnata.
Al riguardo, tuttavia, va notato che ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – nel testo “novellato” dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte e’ destinato, ormai, ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonche’, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).
Cio’ esclude, pertanto, che possano essere formulate censure alla sentenza impugnata sotto il profilo del difetto di motivazione, ormai configurabile solo “quando, benche’ graficamente esistente”, essa “non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le piu’ varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01).
Tale evenienza e’, pero’, da escludere nel caso di specie, visto che la Corte milanese – nel recepire le conclusioni della disposta CTU – ha sottolineato “l’assenza di qualsiasi criterio tecnico-scientifico che consenta di individuare il nesso di causalita’ tra i danni lamentati da parte attrice e l’inadempimento dei sanitari”, rimarcando come i consulenti d’ufficio avessero “evidenziato la coesistenza di fattori particolarmente gravi”, idonei a spiegare la “RSD” riscontrata a carico della neonata, quali, segnatamente, “l’iposviluppo intrauterino e la patologia di gestosi da cui era affetta la madre”, non senza soggiungere come “la prematurita’ ed il basso peso alla nascita”, riscontrato nella piccola Veronica, se di regola sono “fattori determinanti delle difficolta’ di sopravvivenza”, debbano “ancora di piu'” considerarsi come evenienza idonea a determinare “gravi danni neurologici”. Su tali basi, pertanto, tutt’altro che imperscrutabili o irriducibilmente contraddittorie, la Corte di Milano, pur riconoscendo che sarebbe stata necessaria da parte dei sanitari la somministrazione del cortisone a partire da una certa fase della gestazione, ha concluso nel senso dell’impossibilita’ di “indicare con precisione in quella neonata, e con un quadro clinico cosi’ complesso, l’effetto che la profilassi avrebbe potuto causare”.
7.2. Anche il secondo motivo e’ in parte inammissibile e in parte non fondato.
7.2.1. Nella parte in cui esso propone censure relative a vizi di “insufficienza” motivazionale valgono le stesse considerazioni appena svolte in relazione al primo motivo.
Quanto, poi, al supposto travisamento delle risultanze istruttorie, dedotto “sub specie” di violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., deve farsi applicazione del principio secondo cui l’eventuale “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), ne’ in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4), da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).
7.1.2.2. Quanto, invece, al supposto “malgoverno” dei principi in sulla prova del nesso causale, in tema di azioni risarcitorie da responsabilita’ medica, la censura si risolve nella critica alla sentenza impugnata perche’ “mostra di subordinare l’onere probatorio del convenuto alla preventiva dimostrazione del nesso causale da parte dell’attore”.
Al riguardo, occorre muovere dalla constatazione che questa Corte ha di recente osservato che nei giudizi risarcitori da responsabilita’ medica si delinea “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilita’ di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilita’ di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalita’ fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18392, Rv. 645164-01).
Ne consegue, dunque, che “la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilita’ di adempiere. Se, al termine dell’istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell’impossibilita’ di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilita’ di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e’ causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, e’ stato determinato da causa non imputabile” (cosi’, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, Rv. 647948-01).
Nel caso di specie, come si e’ detto, l’accertamento del nesso causale si e’ arrestato al primo dei due cicli teste’ delineati, visto che la sentenza impugnata – sulla scorta delle risultanze della consulenza ha ritenuto impossibile stabilire in modo attendibile l’esistenza del nesso tra inadempimento dei sanitari e l’evento dannoso, sicche’ tale situazione di incertezza (sulla scorta dei principi appena illustrati) resta a carico degli attori/danneggiati.
7.3. Pure il terzo motivo, al pari dei precedenti, e’ in parte inammissibile e in parte non fondato.
7.3.1. Difatti, a prescindere dalla constatazione che la censura che investe l’omessa pronuncia su “un punto” decisivo della controversia, ovvero il mancato riconoscimento del danno da “perdita da chance” – e’ proposta anche ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), norma in base alla quale e’, pero’, censurabile solo l’omesso esame di “fatti storici”, e non di “punti” o “questioni” o “deduzioni difensive” (“ex multis”, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01; Cass. Sez. 2, sent. 14 giugno 2017, n. 14802, Rv. 644485-01), dirimente e’ la constatazione che la sentenza impugnata ha affermato “che non era possibile indicare con precisione (…) l’effetto che la profilassi” (omessa dai sanitari) “avrebbe potuto causare”, soggiungendo, in particolare, che la “tempestiva somministrazione del cortisone avrebbe si’ potuto influire positivamente ma in misura molto modesta e non percentualmente quantificabile sulle condizioni sulla neonata”.
Orbene, poiche’ l’accertamento sulla eziologia del danno da perdita da chance, in ambito sanitario, deve essere pur sempre compiuto secondo il criterio del “piu’ probabile che non” (Cass. Sez. 3, sent. 9 marzo 2018, n. 5641, Rv. 648461-01), le considerazioni svolte nella sentenza impugnata, e sopra riportate, sebbene non siano espressamente riferite al danno da perdita di chance, ma sviluppate nell’ambito di una valutazione piu’ generale sull'(in)efficienza eziologica del comportamento omissivo dei sanitari, risultano del tutto idonee ad escludere pure il nesso causale tra condotta imputata ad essi e tale tipo di danno.
Non sussiste, pertanto, il lamentato vizio di omessa pronuncia, e cio’ in applicazione del principio che ne esclude la ricorrenza quando, “nonostante la mancata decisione su un punto specifico, (…) la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 6 dicembre 2017, n. 29191, Rv. 646290-01).
7.4. Infine, il quarto motivo di ricorso non e’ fondato.
7.4.1. La Corte milanese, nell’accogliere parzialmente l’appello degli odierni ricorrenti, ha riconosciuto ad essi le spese del grado nella misura di un terzo, compensando “le ulteriori spese di lite”.
Cosi’ provvedendo essa non e’ incorsa ne’ nella denunciata “omessa pronuncia”, ne’ in alcun “frazionamento” della soccombenza, visto che “la compensazione delle spese processuali di un grado di giudizio”, ex articolo 92 c.p.c., “non collidendo con il principio dell’infrazionabilita’ della soccombenza, puo’ coesistere con la condanna alle spese in favore della parte vittoriosa in relazione ad altri gradi del medesimo giudizio, atteso che la violazione delle disposizioni relative all’onere delle spese processuali e’ configurabile solo quando queste vengano poste, in tutto o in parte, a carico della parte totalmente vittoriosa” (cosi’ Cass. Sez. 6-2, sent. 20 marzo 2017, n. 7146, Rv. 643660-01).
8. Anche il ricorso incidentale va rigettato.
8.1. L’unico motivo in cui esso si articola censura la sentenza della Corte milanese per aver omesso di pronunciare sull’eccezione, formulata dalla odierna controricorrente, di inammissibilita’ dell’appello, a norma dell’articolo 348-bis c.p.c., per novita’ della domanda di risarcimento del danno da lesione del diritto all’informazione, nonche’ per aver accolto tale domanda in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, senza preliminarmente annullare o indicare la parte della sentenza di primo grado nella quale il Tribunale non aveva esaminato la domanda.
8.1.1. Orbene, in relazione alla prima censura, quella di violazione dell’articolo 348-bis c.p.c., si deve osservare – come hanno fatto, puntualmente, i ricorrenti, nel proprio controricorso al ricorso incidentale – che qualora “il giudice d’appello abbia proceduto alla decisione dell’impugnazione, ritenendo di non ravvisare un’ipotesi riconducibile alla norma ora richiamata e, dunque, di non pronunciare la predetta ordinanza, la decisione di ammissibilita’ non e’ piu’ sindacabile. In altri termini, la ritenuta “non inammissibilita’”, che dunque abbia comportato la regolare trattazione nel merito dell’appello, non e’ ulteriormente censurabile, neppure innanzi allo stesso giudice dell’appello: onde, qualora riproposta quale eccezione dalla controparte, essa sarebbe di per se’ inammissibile; parimenti, ove sottoposta al giudice di legittimita’ nel ricorso per cassazione, il motivo si palesa inammissibile” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 21 marzo 2016, n. 5510, non massimata).
D’altra parte, piu’ in generale, deve ribadirsi che il “vizio di omissione di pronuncia non e’ configurabile su questioni processuali” (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 25 gennaio 2018, n. 1876, Rv. 64713201; nello stesso senso, tra le altre, anche Cass. Sez. 3, sent. 23 gennaio 2009, n. 1701, Rv. 606407-01).
8.1.2. L’altra censura, del pari, non e’ fondata, giacche’ non si vede quale motivazione “aggiuntiva” avrebbe dovuto operare la Corte di Appello, nel soddisfare – in accoglimento di uno specifico motivo di gravame, allora proposto dagli odierni ricorrenti – la domanda di risarcimento del danno da violazione del dovere di informazione.
Ne’, infine, ad infirmare la decisione del giudice di appello possono invocarsi – come pure pretende la controricorrente – le risultanze della CTU, laddove evidenziano che anche nel caso in cui la gestante fosse stata informata della possibilita’ di compiere ulteriori accertamenti gli stessi “non avrebbero determinato un diverso esito della vicenda”.
La sentenza impugnata ha attribuito rilievo alla violazione dell’obbligo di informazione in se’, a prescindere dalle sue conseguenze sul piano terapeutico, conformandosi al principio secondo cui l’omissione dell’informazione integra “una privazione della liberta’ di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilita’ di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico” (Cass. Sez. 3, sent. 20 maggio 2016, n. 10414), che e’ quanto e’ stato ritenuto, nel caso di specie, dalla Corte milanese.
Ne’, d’altra parte, coglie nel segno la censura relativa alla “novita’ della questione”, se e’ vero che i ricorrenti, sin dal primo grado, avevano formulato – come riconosce la stessa controricorrente (cfr. pag. 4 del controricorso) – una domanda risarcitoria che si poneva in correlazione con “l’inadempimento e/o inesatto adempimento della convenuta Azienda Ospedaliera nel rapporto ospedaliero contratto con la sig.ra (OMISSIS)”. Tanto basta, difatti, anche in relazione al carattere omnicomprensivo della domanda risarcitoria contenuta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (ove si domandava il risarcimento di “tutti i danni” correlati al dedotto inadempimento), per ritenere che il giudice di appello non sia incorso in alcuna violazione dell’articolo 112 (o meglio, 345) c.p.c.
9. La reciproca soccombenza delle parti comporta l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
10. A carico dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, stante il rigetto dei rispettivi ricorsi, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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