La qualifica di pertinenza urbanistico-edilizia

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 22 luglio 2019, n. 5130.

La massima estrapolata:

La qualifica di pertinenza urbanistico-edilizia va riconosciuta soltanto ad opere di modestissima entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle provvedimenti di diniego del condono edilizioe della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica.

Sentenza 22 luglio 2019, n. 5130

Data udienza 28 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2239 del 2011, proposto dal signor
Co. De. Bo., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ce., con domicilio eletto presso lo studio Da. Va. in Roma, viale (…);
contro
Signor Gi. De. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Em. Ru. e Ma. Lu. Pa., domiciliato à sensi dell’art. 25, comma 1, lett. b) c.p.a. presso la Segreteria di questa Sezione in Roma, piazza (…);
nei confronti
Comune di (omissis) (CH); Mi. De. Bo., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara Sezione Prima n. 01221/2010, resa tra le parti, concernente permesso di costruire
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Gi. De. Bo.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Consigliere Fulvio Rocco e uditi per le parti l’avvocato Gi. Ce. e l’avvocato Vi. Em. Ru.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1.L’attuale appellante, Sig. Co. De. Bo., espone di essere proprietario di un immobile ubicato nel territorio comunale di (omissis) (CH), località (omissis), corrispondente nel Catasto al Foglio (omissis), particella n. (omissis).
Su tale terreno insiste un piccolo manufatto in precedenza destinato a rimessa per attrezzi, in ordine al quale il suo dante causa, Sig. Mi. De. Bo., ha ottenuto dal Comune di (omissis) (CH) il rilascio del permesso di costruire n. 89/08 – pratica edilizia n. 89/2008, avente ad oggetto la realizzazione di lavori di demolizione e di ristrutturazione.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 33/2010 innanzi al T.A.R. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, il Sig. Gi. De. Bo., proprietario di una casa di civile abitazione ubicata nel finitimo terreno censito in Catasto al Foglio (omissis), particelle nn. 316 e 316, ha quindi chiesto l’annullamento di tale titolo edilizio unitamente alla nota del Comune di (omissis) Prot. n. 55265 dd. 11 dicembre 2009 – avente ad oggetto “Pratica edilizia 89/2008. Richiesta chiarimenti del 23/11/2009 – Prot. n. 52392” – e di ogni altro atto presupposto o conseguente.
Il ricorrente ha notificato l’atto introduttivo del giudizio, oltrechè al Comune, anche a colui che dai propri accertamenti risultava controinteressato in quanto intestatario del permesso di costruire, ossia all’anzidetto Sig. Mi. De. Bo..
Il medesimo ricorrente ha rilevato che il titolo edilizio da lui impugnato contemplava la traslazione della volumetria del corpo edificato unitamente alla nuova edificazione di un adiacente e comunicante annesso rustico.
A suo avviso, infatti, la realizzazione del fabbricato in questione – articolato su tre livelli – non risultava consentita dalla disciplina urbanistica vigente, anche con riguardo alla superficie da esso occupata; inoltre, a suo avviso, il fabbricato medesimo non poteva essere considerato pertinenza con riguardo alle sue dimensioni rispetto all’immobile principale, il primo piano non risultava interrato e comunque la vigente strumentazione urbanistica vietava la costruzione di interrati ad un nnnesso rustico.
Nel ricorso venivano pertanto dedotte l’avvenuta violazione dell’art. 126, punto 2, lett. a), delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale del Comune di (omissis), la violazione degli artt. 33 e 49 delle medesime norme, ulteriore violazione di legge, la violazione dei principi generali in materia di pianificazione, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità manifesta, contraddittorietà e difetto di motivazione.
Il medesimo ricorrente ha inoltre chiesto il risarcimento dei danni da lui asseritamente subiti.
1.3. In tale primo grado si è costituito il Comune di (omissis), eccependo in via preliminare l’improcedibilità del ricorso per omessa notificazione del medesimo all’effettivo controinteressato, ossia al Sig. Co. De. Bo., al quale medio tempore era stata volturata la concessione edilizia resa ivi oggetto d’impugnativa.
Il Comune ha peraltro replicato anche nel merito delle censure avversarie, concludendo comunque per la reiezione del ricorso.
1.4. Nel medesimo grado di giudizio si è costituito pure il Sig. Mi. De. Bo., parimenti deducendo la medesima eccezione di improcedibilità del ricorso formulata dal Comune e concludendo comunque per la reiezione del ricorso.
1.5. Con sentenza interlocutoria n. 768 dd. 6 luglio 2010 l’adito T.A.R. ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Sig. Co. De. Bo., avvenuto a cura del ricorrente con atto notificato in data 29 luglio 2010.
1.6. In data 14 14 settembre 2010 si è costituito in giudizio il Sig. Co. De. Bo., allegando la circostanza di essere iscritto a far tempo dal 31 gennaio 2010 nel registro degli imprenditori agricoli a titolo principale.
La medesima parte ha pure dichiarato di aver presentato al Comune di (omissis) in data 19 aprile 2010 la domanda di rilascio di un permesso di costruire in variante rispetto al precedente titolo edilizio e che tale richiesta è stata per l’appunto accolta con il rilascio a suo nome del permesso di costruire n. 91/2010 dd. 26 agosto 2010.
In dipendenza di tale circostanza il Sig. Co. De. Bo. ha pertanto eccepito l’improcedibilità del ricorso ab origine proposto avverso il permesso di costruire 89/2008: e ciò in quanto l’interesse a ricorrere della controparte risultava trasferito su tale nuovo titolo edilizio, peraltro a suo avviso del tutto legittimo.
2. Con sentenza n. 1221 dd. 17 novembre 2010 l’adito T.A.R. ha accolto il ricorso proposto dal Sig. Gi. De. Bo., disponendo l’annullamento sia del permesso di costruire n. 89/2008 ab origine rilasciato al Sig. Mi. De. Bo. e medio tempore volturato al Sig. Co. De. Bo.,, sia la caducazione di tutti gli atti successivi e connessi ad esso, ivi segnatamente compreso il permesso di costruire in variante n. 91/2010 susseguentemente rilasciato al Sig. Co. De. Bo..
L’annullamento è stato disposto con riguardo, soprattutto, alla circostanza che la pertinenzialità del manufatto demolito non sussisteva in fatto, posto che l’asserita pertinenza supera di tre volte la superficie ed il volume dell’edificio residenziale.
La domanda di risarcimento del danno è stata viceversa respinta in quanto “formulata in modo del tutto generico”, nonché in quanto “la tempestività dell’esame del ricorso” escludeva “la possibilità di danni permanenti” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
Il T.A.R. ha integralmente compensato ogni ragione di lite tra il ricorrente e i Signori Mi. e Co. De. Bo., nel mentre ha condannato al pagamento delle spese e degli onorari di tale primo grado di giudizio il Comune di (omissis), liquidandoli nella complessiva misura di Euro 3.000,00.- (tremila/00).
3.1. Con l’appello in epigrafe il Sig. Co. De. Bo. chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità sotto i seguenti profili.
A) Ad avviso dell’appellante il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile per essere stato notificato in data 24 dicembre 2009 nei confronti di una persona diversa dall’effettivo titolare del permesso di costruire n. 89/08 ivi impugnato.
In tal senso l’appellante rileva che il ricorrente in primo grado, e cioè il Sig. Gi. De. Bo., avendo esercitato à sensi dell’art. 22 e ss. della l. 7 agosto 1990 n. 241 e successive modifiche in data 11 dicembre 2009 il proprio diritto d’accesso agli atti del procedimento riguardante l’anzidetto permesso di costruire n. 89/08, ragionevolmente doveva ritenersi edotto anche della circostanza che in data 4 settembre 2009 Co. De. Bo., e non già Mi. De. Bo., aveva comunicato al Comune l’avvenuto inizio dei lavori.
B) Sempre ad avviso dell’appellante, il ricorso proposto dal Sig. Gi. De. Bo. in primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato improcedibile in quanto il titolo edilizio ab origine impugnato, ossia il permesso di costruire n. 89/08, è stato medio tempore superato dal permesso di costruire n. 91/2010 emesso in variante sostanziale del precedente e – nondimeno – non impugnato in corso di causa.
L’appellante contesta segnatamente l’assunto del giudice di primo grado con il quale è stata viceversa motivata la caducazione di tale ulteriore titolo edilizio in conseguenza del contestuale annullamento disposto nei confronti dell’anzidetto permesso di costruire n. 89/08, laddove per l’appunto si legge che “trattandosi di una variante essenziale peraltro soprattutto sotto l’aspetto della modifica della destinazione d’uso, essa segue le sorti del permesso di costruire cui afferisce. Infatti, l’eventuale illegittimità dell’originario permesso di costruire farebbe decadere automaticamente ogni successiva variante presentata dal nuovo proprietario” (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata).
L’appellante rimarca in tal senso che il sostanziale incremento delle opere assentite per effetto della variante risulterebbe confermato anche e soprattutto dalla lettura della relazione tecnica descrittiva del relativo progetto stilata dal geom. Cr. St., laddove – tra l’altro – si legge che la variante medesima interessa la proprietà del committente (iscritto dal 31 gennaio 2010 nel registro degli imprenditori agricoli a titolo principale) identificata in Catasto con Foglio n. (omissis), particelle nn. (omissis) pervenute con atto di donazione a rogito Rep. n. 48414 dd. 25 febbraio 2009 del dott. An. Ba., notaio in (omissis) (CH) e considerata nella voltura del permesso di costruire Prot. n. 20724 dd. 28 aprile 2009, nonché la proprietà del medesimo committente a lui pervenuta per effetto della compravendita a rogito del dott. Pi. Qu., notaio in (omissis), Rep, n. 5424 dd. 2 febbraio 2010 e consistente in Catasto nelle superfici di cui al Foglio n. (omissis), particelle nn. (omissis).
L’appellante rimarca quindi che la proprietà da ultimo interessata dalla variante è passata da un’originaria estensione di mq. 5.455 ad una ben più ragguardevole superficie di mq. 19.135, con la trasformazione del progetto originario in una soluzione finalizzata all’ampliamento abitativo, tale dunque da consentire anche un adeguato alloggio per il nucleo familiare del Sig. Co. De. Bo..
Sempre in tal senso l’appellante rimarca che la stessa amministrazione comunale, prima di rilasciare il nuovo permesso di costruire in variante, ha chiesto al Sig. Co. De. Bo. con nota Prot. n. 21901 dd. 21 maggio 2010 un’integrazione documentale, consistente nel deposito del proprio attestato di imprenditore agricolo professionale: circostanza, questa, che il medesimo appellante riconduce a quell’esigenza di consentire all’amministrazione anzidetta quelle autonome valutazioni idonee a legittimare l’edificazione indipendentemente dal pur avvenuto rilascio del precedente titolo edilizio.
L’appellante afferma quindi che la variante in esame sostanzia il rilascio di un nuovo permesso di costruire che apporta significative variazioni funzionali e strutturali al progetto originario, di fatto sostituendosi ad esso.
C) L’appellante, dopo aver precisato che l’invero assai generico riferimento del giudice di primo grado al cambio di destinazione d’uso (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata, laddove per l’appunto – e come si è già visto innanzi – si afferma che il Sig. Co. De. Bo. ha “presentato al Comune di (omissis) richiesta di permesso di costruire in variante sostanziale al permesso di costruire n. 89/2008; trattandosi di una variante sostanziale, essenzialmente peraltro soprattutto sotto l’aspetto della modifica della destinazione d’uso, essa segue le sorti del permesso a costruire cui afferisce”) risulterebbe di per sé inconferente nell’economia del giudizio in quanto la destinazione abitativa era già stata affermata in sede di rilascio del precedente permesso di costruire, rimarca che le superfici accessorie e non pertinenziali considerate in eccesso nella soluzione progettuale sono ubicate all’interno del costruendo fabbricato e non afferirebbero pertanto – a differenza di quanto erroneamente reputato dal giudice di primo gradoì – ad un fabbricato separato.
Inoltre, ad escludere nella specie il vincolo di pertinenzialità contribuirebbe la circostanza che il fabbricato demolito – e la cui volumetria è stata inizialmente recuperata come residenziale nel primo progetto – era munito di un autonomo valore di mercato, tale anche da consentirne un’altrettanto autonoma e separata utilizzazione rispetto alla preesistente abitazione.
Sempre in tal senso l’appellante rimarca che nel progetto originario il volume del fabbricato anzidetto non sarebbe stato recuperato rendendo il fabbricato medesimo una pertinenza della vicina abitazione, ma riutilizzandone la volumetria in quanto derivante da una costruzione risalente ad epoca anteriore alla l.r. 12 aprile 1983 n. 18, recante norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo.
3.2. In tale ulteriore grado di giudizio non si è costituito il Comune di (omissis).
3.3. Si è viceversa costituito nel presente grado di giudizio l’appellato Gi. De. Bo., replicando puntualmente ai motivi avversari e concludendo per la reiezione dell’appello.
4. Alla pubblica udienza del 28 maggio 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4.1 Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
4.2. Innanzitutto va disatteso il primo ordine di censure dedotto dall’appellante.
La parte appellata, infatti, ha documentato agli atti di causa, sin dal primo grado di giudizio, di aver effettivamente esercitato il proprio diritto d’accesso alla pratica edilizia in questione in data 11 dicembre 2009 e che peraltro l’esito del relativo procedimemto è risultato di fatto infruttuoso, posto che l’amministrazione comunale ha corrisposto solo parzialmente alla relativa richiesta omettendo comunque di rilasciare in tale frangente le copie del permesso di costruire n. 89/08 e del relativo atto di volturazione.
Non a caso, quindi, ma per ben evidente necessità, il ricorrente in primo grado ha fatto testuale riferimento nell’atto introduttivo del relativo giudizio – notificato il 24 dicembre 2009 – all’impugnazione di un “permesso di costruire n. 89/08 (per quanto è dato sapere dalla documentazione sinora estratta dall’Ente Comunale)… rilasciato al Sig. De. Bo. Mi….”.
E’ dunque evidente che il ricorrente non era stato posto a quel momento in grado di individuare nella persona del Sig. Co. De. Bo. l’effettivo controinteressato.
Rileva allora anche per il caso di specie la giurisprudenza secondo cui, ancor prima dell’entrata in vigore dell’art. 41, secondo comma, c.p.a. – ossia, come nel caso di specie, nella vigenza dell’art. 21, primo comma, della l. 6 dicembre 1971 n. 1034 – la qualità di controinteressato all’annullamento di un atto amministrativo si desumeva – e a tutt’oggi si desume – con riguardo al soggetto, individuato nell’atto – ovvero facilmente individuabile in ragione delle indicazioni contenute nell’atto medesimo, secondo semplice e ordinaria diligenza – che risulta titolare di un interesse eguale e contrario a quello del ricorrente, ma pur sempre diretto ed immediato (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2008 n. 74).
Essendo stato nella specie adempiuto da parte del ricorrente, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnativa in primo grado, l’onere contemplato dall’allora vigente art. 21, primo comma, della l. 1034 del 1971 di notificare l’atto introduttivo del giudizio ad almeno un controinteressato, correttamente (rectius, necessariamente) lo stesso giudice di primo grado ha disposto l’integrazione del contraddittori, in forza della disciplina a quel tempo in vigore (cfr. art. 19 della l. 1034 del 1971 e artt. 15 e 16 del r.d. 17 agosto 1907 n. 642) nei confronti dell’attuale appellante, la cui qualità di nuovo titolare del permesso di costruire – e, quindi, di ulteriore soggetto legittimato a contraddire alla pretesa del ricorrente – era emersa soltanto dalle memorie di costituzione in giudizio del Comune e del Sig. Mi. De. Bo., già correttamente evocato in giudizio – come si è detto – quale controinteressato c.d. “formale”.
Si osserva in ogni caso che certamente, tenuto conto delle peculiari circostanze fattuali come sopra descritte,l’originario ricorrente – che in termini univoci aveva espresso la volontà di avversare proprio quel manufatto- a tutto concedere, sarebbe stato certamente ed in ogni caso meritevole della concessione del beneficio del c.d. “errore scusabile”,
4.3.1. Ad avviso del Collegio le questioni di merito introdotte con l’appello in epigrafe vanno affrontate muovendo da quella che in via logico-sistematica si configura come la prima delle questioni, ossia la legittimità – o meno – del primo dei due titoli edilizi rilasciati in ordine di tempo all’attuale appellante, ossia il permesso di costruire n. 89/08.
Il ricorrente in primo grado aveva dedotto al riguardo l’avvenuta violazione dell’art. 33 delle N.T.A. del P.R.G. di (omissis), a tutt’oggi vigente e recante la nozione di “pertinenza edilizia” così come normata dalla disciplina di piano.
Ivi si legge che “si definisce pertinenza edilizia quell’opera che, pur avendo una propria individualità ed autonomia, è posta in durevole rapporto di subordinazione con un’unità immobiliare – di cui fa parte – per renderne più agevole e funzionale l’uso, o anche per scopi ornamentali. La sua superficie utile ha generalmente il carattere di superficie accessoria”.
4.3.2. Giova a questo punto premettere che la nozione di “pertinenza” racchiude in sé una diversità concettuale, posto che la “pertinenza urbanistica o edilizia” è contraddistinta da caratteristiche alquanto diverse dalla definizioni civilistica contenuta nell’art. 817 c.c.
Una giurisprudenza del tutto consolidata evidenzia che l’accezione civilistica di pertinenza è più ampia di quella applicata nella materia urbanistico-edilizia, con la conseguenza che i beni e le opere che in diritto civile assumono natura pertinenziale potrebbero essere assoggettate al medesimo regime nell’ambito edilizio ed urbanistico.
In tal senso va considerato infatti che la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussiste un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce.; a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto “carico urbanistico” proprio in quanto esauriscono la loro finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons.Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615 e Sez. V, 13 giugno 2006, n. 3490).
Giova anche evidenziare che ai fini dell’individuazione del rapporto di proporzione dimensionale tra costruzione principale e pertinenza assume rilievo anche l’art. 3, comma1, lett. e.6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – già vigente all’epoca dei fatti di causa – laddove dispone che sono da considerare “interventi di nuova costruzione”, abbisognevoli pertanto del rilascio del permesso di costruire ovvero di altro titolo edilizio ad esso equiparato gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% di quello dell’edificio principale.
Da ciò dunque si ricava la norma di principio in forza della quale la pertinenza urbanistico-edilizia non può avere un volume superiore del 20% rispetto all’edificio principale.
Comunque sia, una giurisprudenza assolutamente univoca afferma che la qualifica di pertinenza urbanistico-edilizia va riconosciuta soltanto ad opere di modestissima entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615; Sez. V, 21 febbraio 2013, n. 818; Sez. VI, 2 febbraio 2017, n. 694, 4 gennaio 2016, n. 19 e 11 marzo 2014, n. 3952).
4.3.2. Risulta altrettanto evidente che l’anzidetto art. 33 delle N.T.A. del P.R.G. di (omissis) non può che essere interpretato nella vincolante considerazione di quanto testè esposto e che, pertanto – posto che la sua finalità è quella di consentire un funzionale e agevole utilizzo della costruzione pertinenziale rispetto a quella principale – non può per certo consentire che, come per l’appunto nel caso di specie, a fronte di una residenza la cui superficie appariva dall’esame degli elaborati progettuali estesa per soli mq. 62,12 e a mc. 183,36, le superfici pertinenziali si estendano per oltre mq. 200, corrispondenti a loro volta a mc. 183,36.
A ragione pertanto il giudice di primo grado, dopo aver richiamato la nozione di “pertinenza urbanistico-edilizia”, ha disposto l’annullamento del permesso di costruire n. 89/08 in quanto nella specie la superficie ed il volume pertinenziale supera di ben tre volte la superficie ed il volume destinati all’utilizzo residenziale, con ciò all’evidenza obliterando la stessa accessorietà della realità pretesamente pertinenziale.
Risulta dirimente in tal senso il raffronto delle superfici che si ricava dalla lettura della documentazione di causa. Legnaia-caldaia mq. 22,83; disimpegno mq. 6,53; cantina mq. 36,08; garage mq. 78,54; legnaia ulteriore mq. 56,10. Il totale delle pertinenze assomma a mq. 200,13 mq. A fronte dei mq. 62,12.
Risulta pertanto ben evidente il divario tra realità la adibita ad abitazione e la consistenza complessivamente assunta dalle pertinenze.
A fronte di tale inequivoca circostanza in fatto, alcun pregio possono riconoscersi alle deduzioni dell’appellante.
In buona sostanza questi prospetta che le superfici eccedenti la ragionevole proporzionalità che deve sussistere tra l’abitazione e le realità pertinenziali debbano considerarsi “accessorie” e non già riconducibili alla nozione di “pertinenze” in quanto realizzate all’interno del fabbricato.
Il Collegio non può che dissentire da tale assunto, posto che le pertinenze degli edifici – ovvero le realità accessorie o di servizio – correntemente identificano non soltanto le costruzioni indipendenti rispetto all’edificio principale, ma anche i locali adibiti “al servizio o all’ornamento” (così, testualmente, l’art. 817 c.c.) dell’edificio medesimo, quali ad esempio le cantine, le autorimesse, i depositi, le lavanderie ecc.): in tal senso, quindi, la norma civilistica, e la conseguente applicazione che ne è fatto in ambito urbanistico-edilizio, non richiedono che la realità accessoria costituisca un corpo edificato autonomo rispetto a quello del bene principale.
Inconferente è inoltre l’assunto del medesimo appellante secondo cui varrebbe ad escludere nella specie il vincolo di pertinenzialità la circostanza che il fabbricato demolito – e la cui volumetria è stata inizialmente recuperata come residenziale nel primo progetto – era munito di un autonomo valore di mercato, tale anche da consentirne un’altrettanto autonoma e separata utilizzazione rispetto alla preesistente abitazione.
Anche ammettendo tale situazione in origine, non muta la circostanza di fondo che la volumetria ricavata mediante l’abbattimento dell’edificio preesistente sia oggettivamente confluita nella realizzazione di un nuovo edificio contraddistinto da un’implausibile sproporzione tra la consistenza della sua parte destinata ad abitazione e la consistenza complessiva delle pertinenze di quest’ultima; né soccorre per una diversa conclusione la circostanza che nella specie è stata riutilizzata la volumetria derivante da una costruzione risalente ad epoca anteriore all’entrata in vigore della l.r. 12 aprile 1983 n. 18.
4.4. Il secondo ed ultimo aspetto sostanziale della vicenda attiene all’accertamento della natura della variante n. 91/2010, la cui valenza di “variante sostanziale”, formalmente enunciata anche nel medesimo provvedimento, è rimarcata dall’attuale appellante al fine di sottrarla alla statuizionedel giudice di primo grado che, pur in assenza di un’impugnativa proposta al riguardo, ne ha disposto l’annullamento in via consequenziale rispetto all’annullamento contestualmente disposto nei confronti dell’impugnato permesso di costruire n. 89/08, in precdenza rilasciato ed impugnato.
Va qui pertanto verificata la ricorrenza di una delle due ipotesi tra loro contrapposte che possono in astratto determinarsi: quella dell’invalidità ad effetto caducante e quella dell’invalidità ad effetto viziante.
Nel primo caso, infatti, l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto consequenziale anche quando questo non sia stato impugnato, mentre nel secondo caso l’atto consequenziale è affetto solo da illegittimità derivata, e pertanto resta efficace ove non impugnato nel termine di rito; l’effetto caducante ricorre nella sola evenienza in cui l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza ulteriori valutazioni, il che comporta – dunque – la necessità di verificare l’intensità del rapporto di consequenzialità tra l’atto presupposto e l’atto successivo, con riconoscimento dell’effetto caducante soltanto qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 10 aprile 2018, n. 2168).
Venendo ora al caso di specie, il Collegio non ignora la giurisprudenza puntualmente citata dal patrocinio dell’appellante, secondo la quale le varianti in senso proprio sono quelle che si riferiscono a modifiche quantitative e qualitative di limitata consistenza e di scarso rilievo rispetto al progetto originario e si distinguono da quelle che, pur chiamate “varianti” nel linguaggio usuale del termine, tali non possono essere considerate perché richiedono la realizzazione di un quid novi (da valutarsi con riferimento alle evidenze progettuali quali la superficie coperta, il perimetro, il numero dei piani, la volumetria, le distanze dalle proprietà vicine, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali del fabbricato, complessivamente inteso): in questa seconda categoria vanno ricondotte le varianti cosiddette “improprie” o – per l’appunto “essenziali”, che si configurano come nuovi titoli edilizi, che in quanto tali sono provvedimenti autoritativi autonomamente lesivi, suscettibili di autonomia e specifica impugnativa giurisdizionale (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3094 citata dall’appellante; cfr. peraltro nei medesimi termini anche la più recente Cons. Stato, Sez. VI, 30 marzo 2017 n. 1484).
Detto altrimenti, secondo una più che consolidata giurisprudenza, mediante la domanda di rilascio di un permesso di costruire in variante essenziale si intende ottenere un nuovo ed autonomo titolo edilizio in quanto, con le profonde e sostanziali modifiche, si va a realizzare in concreto un’opera diversa nelle sue caratteristiche essenziali da quella in origine assentita; ed in questo si sostanzia – per l’appunto – la variante “essenziale” a differenza delle varianti cc.dd. “ordinarie” e delle varianti cc.dd. “minime”. (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 24 novembre 2017, n. 5484 e 12 maggio 2016 n. 1924).
Sotto uno stretto profilo formale nel caso di specie invero non può obliterarsi la circostanza che con il primo titolo edilizio l’estensione della proprietà del richiedente il rilascio dell’originario titolo edilizio risultava pari a mq. 5.455, nel mentre l’estensione della proprietà del richiedente il titolo edilizio in variante assommava a mq. 19.135, così accresciutasi in dipendenza dell’acquisto da parte dell’attuale appellante di ulteriori terreni, avendo egli nel contempo mutato il progetto originario “in una soluzione volta all’ampliamento abitativo che consentisse un adeguato alloggio per il nucleo familiare” (così a pag. 7 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio).
Nondimeno dietro a quest’ultimo assunto dell’appellante si cela una circostanza che proprio questi, paradossalmente, comprova mediante una propria produzione documentale risalente al primo grado di giudizio.
La documentazione fotografica da lui allegata alla memoria di udienza dell’11 giugno 2010 consente infatti di acclarare senza tema di smentita che, perlomeno a quella data, l’edificazione in variante era stata completamente realizzata nonostante che il medesimo Sig. Co. De. Bo. fosse a quel momento ancora in attesa del relativo, nuovo permesso di costruire quelle stesse opere e che gli è stato infatti rilasciato soltanto successivamente, ossia in data 26 agosto 2010.
Se così è, a ragione la parte appellata afferma che la “variante sostanziale” di cui al permesso di costruire n. 91/2010 costituisce di fatto uno strumento illegittimamente finalizzato a sanare l’abuso in precedenza realizzato mediante il permesso di costruire n. 89/08 a suo tempo rilasciato.
In realtà, infatti, nessuna futura “modifica” è stata nella specie legittimamente realizzata mediante il permesso di costruire n. 91/2010, posto che il progetto che si pretenderebbe “variato” convalida viceversa “a posteriori” l’aggiunta, rispetto alle opere già abusivamente realizzate sulla base del permesso di costruire n. 89/08 (ex se illegittimo per quanto si è già detto al § 4.3.1. e al § 4.3.2. della presente sentenza) di altre opere inizialmente realizzate sine titulo fruendo di una superficie più vasta e che – per l’appunto – soltanto alla conclusione dei lavori si sono intese di fatto sanare ex post in modo da pervenire, in un contesto ben più consistente di superficie e di volumetria complessivamente realizzate, al necessitato riequilibrio proporzionale tra spazi adibiti a residenza e spazi pertinenziali.
In questo contesto il permesso di costruire n. 91/2010 non può pertanto configurarsi quale provvedimento che reca l’assenso alla realizzazione di quella totale riprogettazione dell’esistente che – essa sì – avrebbe giustificato la sussistenza di un’autentica “variante sostanziale”, ma solo ed esclusivamente uno strumento sviato per determinare un illegittimo effetto sanante di tutto quanto sino a quel momento illegittimamente realizzato.
In tal senso va rimarcato che l’attuale appellante era impossibilitato a presentare una richiesta di rilascio di un titolo edilizio in sanatoria essendo nel frattempo mutata la disciplina di piano relativa a quell’area, con la conseguenza che sarebbe stato pertanto impossibile rispettare la regola fondamentale ed irrinunciabile della c.d. “doppia conformità ” rispetto alla strumentazione urbanistica precedente e quella vigente al momento dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380.
Né – a ben vedere – l’amministrazione comunale ha espletato in ordine al progetto pretesamente “nuovo” quegli accertamenti istruttori che avrebbero consentito di verificare l’abusività di tutte le opere, ma si è limitata a richiedere all’attuale appellante l’adempimento di una mera formalità imposta per effetto dell’art. 1 del d.lgs. 29 marzo 2004 n. 99 e dalle disposizioni attuative emanate al riguardo dalla Regione, ossia la comprova dell’avvenuta iscrizione del richiedente al Registro degli imprenditori agricoli professionali.
Nel contesto del permesso di costruire n. 91/2010 l’insieme dei richiami al precedente titolo edilizio n. 89/08 non è dunque meramente formale, posto che gli effetti di tale primigenio titolo edilizio non sono mai stati caducati dal titolo susseguentemente rilasciato, tanto che la medesima amministrazione lo HA consideraTO del tutto valido ed operante ed al quale si sono meramente aggiunte le ulteriori opere pretesamente “sananti” di quanto già realizzato contra legem.
A ragione pertanto il giudice di primo grado ha ricondotto la presente fattispecie del susseguente rilascio del titolo edilizio in variante ad un’ipotesi di provvedimento che è travolto in via consequenziale dall’annullamento di quello precedente in dipendenza di un effetto caducante, posto che mediante un’ulteriore attività edilizia illegittimamente realizzata e pretesamente sanata soltanto ex post non è stata rimossa l’illegittimità pregressa ma – anzi – quest’ultima è stata addirittura assunta a fallace presupposto in fatto e in diritto per inscindibilmente legittimare – in un contesto sostanzialmente unitario – tutte le opere realizzate, sia per effetto del permesso di costruire primigenio, sia in quanto costruite sine titulo in attesa del susseguente provvedimento con cui sono state acriticamente assentite.
5. Il Collegio, pur respingendo l’appello in epigrafe, reputa di compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere

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