Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 2 maggio 2016, n. 18182.

Punibile per indebita induzione l’ispettore del lavoro che, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, induce il titolare di uno studio professionale ad affidare a suo figlio incarichi di consulenza lasciando intendere che in tal modo non avrebbe subito più controlli e che avrebbe potuto chiudere le infrazioni rilevate con pochi soldi.

 

Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 2 maggio 2016, n. 18182

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Giovanni – Presidente

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – rel. Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/04/2015 della CORTE APPELLO di CATANIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA del 15/03/2016, la relazione svolta dal Consigliere EMANUELE DI SALVO;

Udito il Procuratore Generale in persona del ROBERTO ANIELLO che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione previa riqualificazione del fatto ex articolo 319 quater c.p.;

l’avv. (OMISSIS) difensore del ricorrente il quale insiste per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale e’ stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all’articolo 317 cod. pen. perche’, abusando della sua qualita’ di ispettore del lavoro e dei poteri connessi alle sue funzioni di Capo della vigilanza presso l’Ispettorato del lavoro di Ragusa, induceva (OMISSIS) ad affidare al figlio dell’ (OMISSIS), titolare di uno studio professionale,incarichi di consulenza, lasciandogli chiaramente intendere che, in tal modo, non avrebbe piu’ subito controlli da parte dell’Ispettorato del lavoro e che avrebbe potuto chiudere “con pochi soldi” le infrazioni rilevate. In (OMISSIS).

2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiche’ alla fattispecie concreta in disamina e’ da attribuirsi il nomen iuris ex articolo 319-quater cod. pen., trattandosi di concussione per induzione, come correttamente e’ contestato e confermato dalla motivazione della sentenza di primo grado. Ragion per cui il reato era gia’ estinto per prescrizione al momento dell’emissione della sentenza d’appello, essendo trascorsi 10 anni. La difesa ha infatti formulato richiesta in tal senso, senza pero’ ricevere alcuna risposta nella motivazione della pronuncia di secondo grado.

Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La doglianza formulata e’ fondata. Le Sezioni unite, risolvendo un contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza di legittimita’, a seguito della riforma dei reati contro la pubblica amministrazione, da parte della L. n. 190 del 2012, hanno individuato il discrimine fra il delitto di concussione e quello di indebita induzione, ritenendo, in particolare, che il primo reato sussista in presenza di un abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o minaccia, da cui derivi una grave limitazione della liberta’ di autodeterminazione del destinatario, che, senza ricevere alcun vantaggio, venga posto di fronte all’alternativa di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell’utilita’. Nella concussione di cui all’articolo 317 cod. pen., si e’ quindi in presenza di una condotta del pubblico ufficiale che limita radicalmente la liberta’ di autodeterminazione del soggetto passivo. Il discrimen tra il concetto di costrizione e quello di induzione va quindi ricercato nella dicotomia minaccia- non minaccia. La minaccia non deve necessariamente concretizzarsi in espressioni esplicite e brutali ma puo’ anche essere implicita, velata, allusiva, potendo, eventualmente, assumere anche la forma del consiglio, dell’esortazione, della metafora, purche’ tali comportamenti siano connotati da una carica intimidatoria analoga a quella della minaccia esplicita. La nozione di induzione, invece, esplicando una funzione di selettivita’ residuale rispetto al concetto di costrizione, copre gli spazi non riconducibili a quest’ultimo, inerendo a quei comportamenti, pur sempre abusivi, del pubblico agente che non si materializzano nella violenza o nella minaccia di un male ingiusto e non pongono il destinatario di fronte alla scelta obbligata tra due mali parimenti ingiusti. Il delitto di cui all’articolo 319-quater cod. pen. consiste infatti nell’abuso induttivo posto in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, che, con una condotta di persuasione, suggestione, inganno o pressione morale, condizioni in modo piu’ tenue la liberta’ di autodeterminazione del privato, il quale, disponendo di ampi margini decisori, accetta di prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, nella prospettiva di un tornaconto personale. Dunque la fattispecie di induzione indebita, di cui all’articolo 319-quater cod. pen., e’ caratterizzata da una condotta di pressione non irresistibile da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio,che lasci al destinatario un margine significativo di autodeterminazione e si coniughi con il perseguimento di un indebito vantaggio per il privato.

2. Nel caso di specie, risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che l’abuso della qualita’, da parte dell’imputato, e’ consistito nel proporre al privato il vantaggio costituito dall’omissione di controlli nei confronti delle imprese a lui riconducibili, in cambio di incarichi professionali al figlio. Dunque la condotta di pressione esercitata dal pubblico ufficiale lasciava comunque significativi margini di autodeterminazione al privato e si coniugava con il perseguimento di un indebito vantaggio per quest’ultimo, consistente nell’evitare l’accertamento di violazioni da parte dell’Ispettorato del lavoro. Sono pertanto ravvisabili, nella fattispecie concreta in disamina, gli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 319-quater cod. pen., estinto per intervenuta prescrizione.

3. Qualificato, pertanto, il fatto ai sensi dell’articolo 319-quater cod. pen., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perche’ il reato e’ estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il reato, qualificato ai sensi dell’articolo 319-quater cod. pen., e’ estinto per prescrizione.

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