Provvedimento di diniego dell’ammissione alla Cassa integrazione guadagni

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 30 luglio 2019, n. 5398.

La massima estrapolata:

Il sindacato del Giudice Amministrativo sul provvedimento di diniego dell’ammissione alla Cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria, ha dei limiti connessi con l’ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell’Ente previdenziale sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale ai sensi dell’art. 1 della Legge n. 164 del 1975 e, pertanto, le scelte dell’Ente sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti o inattendibili ovvero viziate per palesi travisamenti in fatto.

Sentenza 30 luglio 2019, n. 5398

Data udienza 11 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9614 del 2018, proposto da
Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Vi. St., Ma. Sf., An. Co. e Vi. Tr., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso lo studio Vi. St. in Roma, via (…);
contro
Fa. Ye. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Te. Pa., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso lo studio Fr. Io. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda n. 524/2018, resa tra le parti, il 14 marzo 2018, non notificata e pubblicata il 7 maggio 2018, con cui era accolto il ricorso ed i motivi aggiunti proposti dal Fallimento appellato per l’annullamento:
a) della determinazione di diniego 24 ottobre 2016 (notificata via pec in data 26 ottobre 2016) della Direzione Metropolitana di Torino dell’I.N.P.S. – Ufficio C.I.G., con la quale è stata respinta la domanda di concessione di cassa integrazione guadagni ordinaria per 54 dipendenti ad orario ridotto dell’unità produttiva di Settimo Torinese, per il periodo 13 giugno 2016 – 10 settembre 2016, presentata dal Fa. Ye. s.r.l. in data 26 settembre 2016;
b) della determinazione di accoglimento 24 ottobre 2016 (notificata via pec in data 26 ottobre 2016) della Direzione Metropolitana di Torino dell’I.N.P.S. – Ufficio C.I.G., con la quale – contrariamente al tenore del provvedimento – è stata respinta la domanda di proroga della concessione della cassa integrazione guadagni ordinaria per 54 dipendenti ad orario ridotto dell’unità produttiva di Settimo Torinese, per il periodo 12 settembre 2016 – 10 dicembre 2016, presentata dal Fa. Ye. s.r.l. in data 26 settembre 2016;
c) della determinazione di diniego 1° marzo 2017 (notificata via pec in data 7 marzo 2017) della Direzione Metropolitana di Torino dell’I.N.P.S. – Ufficio C.I.G., con la quale è stata riesaminata (a seguito dell’ordinanza cautelare n. 87/2017) e nuovamente respinta la domanda di concessione di C.I.G. ordinaria per 54 dipendenti ad orario ridotto dell’unità produttiva di Settimo Torinese, per il periodo 13 giugno 2016 – 10 settembre 2016;
d) della determinazione di diniego 1° marzo 2017 (notificata via pec in data 7 marzo 2017) della Direzione Metropolitana di Torino dell’I.N.P.S. – Ufficio C.I.G., con la quale è stata riesaminata (a seguito dell’ordinanza cautelare n. 87/2017) e nuovamente respinta la domanda di concessione di C.I.G. ordinaria per 54 dipendenti ad orario ridotto dell’unità produttiva di Settimo Torinese, per il periodo 12 settembre 2016 – 10 dicembre 2016;
e) della determinazione di diniego 1° marzo 2017 (notificata sempre via pec in data 7 marzo 2017) della Direzione Metropolitana di Torino dell’I.N.P.S. – Ufficio C.I.G., con la quale è stata respinta la domanda di proroga della concessione della C.I.G. ordinaria per 54 dipendenti ad orario ridotto dell’unità produttiva di Settimo Torinese, per il periodo 12 dicembre 2016 – 11 marzo 2017, presentata dal Fa. Ye. s.r.l. in data 22 dicembre 2016;
f) della determinazione di diniego 31 marzo 2017 (notificata sempre via pec in data 2 aprile 2017) della Direzione Metropolitana di Torino dell’I.N.P.S. – Ufficio C.I.G., con la quale è stata respinta l’ulteriore domanda di proroga della concessione della C.I.G. ordinaria, per 54 dipendenti ad orario ridotto dell’unità produttiva di Settimo Torinese, per il periodo 13 marzo 2017 – 10 giugno 2017, presentata dal Fa. Ye. s.r.l. in data 22 marzo 2017;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Fa. Ye. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2019 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati Vi. St. e Fr. Io. su delega dichiarata dell’Avvocato Te. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Oggetto del presente giudizio sono le domande dell’integrazione salariale ordinaria per i dipendenti ed i periodi indicati in epigrafe da parte del Fa. Ye., in considerazione “…del permanere della situazione di carenza di ordini e nuove commesse legata alla congiuntura negativa del mercato di riferimento e del contesto economico produttivo del settore della produzione e della commercializzazione di tabacchi lavorati…”. Tali domande erano respinte dall’I.N.P.S. per carenza dei presupposti.
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte notificato il 23 dicembre 2016, il Fa. Ye. chiedeva l’annullamento del provvedimento di diniego del 24 ottobre 2016 con tre motivi, sostenendo la ritenuta violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, l’asserita violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 148/2015 ed il presunto difetto di istruttoria e di motivazione, nonché l’eccesso di potere sotto plurimi profili.
In data 1° marzo 2017, in esecuzione dell’ordinanza propulsiva del primo giudice, l’I.N.P.S. procedeva al riesame della domande e respingeva nuovamente la richiesta di integrazione salariale ordinaria “… visto il carattere strutturale (non transitorio) della crisi (es art. 11 d.lgs. 148/15)”. Inoltre con la stessa motivazione respingeva anche la domanda relativa al terzo trimestre richiesto. Con provvedimento del 31 marzo 2017, l’I.N.P.S. negava il trattamento di integrazione salariale ordinaria anche per il periodo da 13 marzo al 10 giugno 2017, adducendo la medesima motivazione concernente il carattere strutturale della crisi aziendale rappresentata.
Con atto per motivi aggiunti, notificato il 5 maggio 2017, il Fa. Ye. chiedeva l’annullamento, previa sospensiva, dei citati nuovi provvedimenti di diniego con tre motivi, sostenendo la presunta violazione degli artt. 11 e 21 del d.lgs. n. 148/2015 ed il supposto eccesso di potere.
Con la sentenza n. 524/2018, pubblicata il 7 maggio 2018, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, in accoglimento del ricorso, annullava gli impugnati provvedimenti, condannando altresì l’I.N.P.S. al pagamento delle spese del giudizio.
Avverso siffatta sentenza propone appello l’I.N.P.S. per il seguente articolato motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 16 e 21 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 148, nonché dell’art. 1 del d.m. 15 aprile 2016, n. 95442, con riferimento agli artt. 5 e 104 della legge fallimentare, vizio di motivazione.
In particolare sottolinea che i requisiti che la situazione aziendale deve presentare, per l’ottenimento dell’integrazione ordinaria, sono rigidamente prefissati dal legislatore nella “transitorietà ” e “non imputabilità ” degli eventi che l’hanno determinata, ovvero nella temporaneità delle contingenze di mercato eventualmente influenti.
Lo stato di insolvenza, presupposto oggettivo per l’apertura delle procedure concorsuali dirette alla liquidazione generale e collettiva del patrimonio dell’imprenditore, che interviene quando l’imprenditore medesimo “non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” (art. 5 L. Fall.), è una condizione patologica ed irreversibile. Al riguardo, nessun rilievo può attribuirsi all’esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 104 l. fall., atteso che la continuazione dell’esercizio provvisorio dell’impresa è provvedimento eccezionale che tende pur sempre alla migliore liquidazione del patrimonio del fallito e non alla conservazione dei posti di lavoro o a tentativi di risanamento dell’impresa decotta
Il primo giudice avrebbe frainteso nell’interpretare l’art. 21 del d.lgs. n. 148/2015, ritenendo possibile la richiesta del solo trattamento ordinario di integrazione salariale nel caso in cui l’impresa sia sottoposta a procedura concorsuale con continuazione dell’esercizio dell’impresa. Ed infatti, se è vero che l’articolo 2, comma 70, della legge 28 giugno 2012, n. 92, abrogando l’art. 3 della legge n. 223/1991 con effetto dal 1° gennaio 2016, ha escluso la possibilità di attribuire il trattamento di integrazione salariale straordinaria per il caso di fallimento tout court, sarebbe altrettanto certo che il Legislatore non ha inteso contraddittoriamente estendere la possibilità di autorizzare il trattamento di integrazione salariale ordinario ad ipotesi di crisi per definizione strutturali ed irreversibili, come quella del fallimento con esercizio provvisorio dell’impresa. In detta eventualità, al contrario di quanto opinato dal Tribunale di prime cure, potrà essere richiesta e riconosciuta eventualmente solo l’integrazione salariale straordinaria nel caso in cui sussistano le “altre causali” del medesimo trattamento di integrazione salariale straordinaria di cui al citato art. 21 del d.lgs. n. 148/2015.
La situazione di irreversibilità della crisi poteva trarsi:
a) dalle considerazioni sulla situazione aziendale della Yesmoke s.r.l. da parte della società affittuaria dell’azienda che, con la citata lettera del 6 aprile 2016, sosteneva la necessità di una immediata ristrutturazione e di investimenti per il suo salvataggio;
b) dalla dichiarazione di fallimento del Tribunale di Ivrea del 13 maggio 2016;
c) dalla relazione tecnica dettagliata di cui all’art. 2 del d.m. n. 95442/2016 che evidenziava un costante, verticale, calo del fatturato, consistenti perdite ed un imponente indebitamento verso banche e fornitori (oltre euro 20.000.000,00 milioni negli anni 2016 e 2017), nonché il costante stato delle vendite attestate per tutti i periodi richiesti su una media dei 40.000 Kg mensili, mentre per la corretta gestione sarebbe stato necessario vendere almeno 80.000 kg mensili. In particolare sbaglierebbe il Tribunale di prime cure ad attribuire una significativa valenza ad un dato, indicato nelle menzionate relazioni tecniche, il “… risultato operativo dell’anno 2016 (euro 154.545,00) e di gennaio 2017 (euro 203.628,84)…” (così pag. 10 della sentenza appellata), atteso che tale dato non potrebbe non essere valutato alla luce degli altri dati contabili riportati nelle medesime relazioni al punto “indicatori economici finanziari” (pag. 2 delle relazioni tecniche in atti).
d) dal ricorso ininterrotto (ottenuto o richiesto) agli ammortizzatori sociali per il complessivo periodo dal 7 gennaio 2015 al 10 giugno 2017;
e) dal fatto che non era stato proposto nessun elemento concreto per dimostrare la prevedibile ripresa dell’attività produttiva e della fine della crisi del mercato del tabacco legato, notoriamente, anche alla restrittiva legislazione in tema di fumo di sigarette ed alle campagne sulla difesa della salute e sui danni alla salute provocati dal fumo (attivo e passivo).
Si è costituito il Fallimento per resistere.
Con memoria ha ribadito che i provvedimenti INPS sarebbero fondati su una situazione di crisi aziendale asserita e non comprovata dall’Istituto. In particolare il Fallimento appellato ha precisato che:
a) la necessità di ristrutturazione ribadita nell’ambito delle trattative, poi non concretizzatesi per la cessione dell’azienda, dimostrerebbero una strategia per la riduzione del corrispettivo della vendita;
b) la dichiarazione di fallimento non costituirebbe di per sé elemento idoneo a far ritenere esistente una situazione di crisi strutturale;
c) la relazione tecnica prodotta in sede procedimentale darebbe atto un un’attività produttiva mai cessata e di un miglioramento in corso;
d) il ricorso agli ammortizzatori sociali sarebbe intervenuto solo dal 1° giugno 2016;
e) il miglioramento dei dati economici costituirebbe elemento concreto di una prevedibile ripresa dell’azienda.
Con ordinanza n. 161 del 2019 questa Sezione ha sospeso l’esecutorietà della sentenza gravata.
Va precisato, altresì, che con ulteriore memoria, peraltro, il Fallimento ha eccepito l’inammissibilità dell’appello, avendo l’Istituto svolto attraverso i motivi un’integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti gravati.
Controdeduce l’Istituto che non si verterebbe di integrazione ma di specificazione dei motivi dei provvedimenti di diniego già espressi in atti.
All’udienza dell’11 luglio 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I – L’appello è infondato.
II – Nel caso di specie, il giudice di primo grado ha ritenuto che l’Istituto abbia reso una motivazione “lapidaria” tale da non consentire di “comprendere quali elementi e presupposti di fatto siano stati accertati e presi in considerazione nel corso dell’istruttoria procedimentale, per giungere al (rinnovato) diniego della cassa integrazione ordinaria”.
Inoltre, ha evidenziato che le richieste di intervento sarebbero state presentate dichiarando l’esistenza di una situazione temporanea di crisi del settore, che si evincerebbe dall’indicazione della data da cui sarebbe presumibile una ripresa dell’attività a tempo pieno, una relazione tecnica nella quale erano illustrati i dati economici-finanziari tratti dal bilancio 2015 e 2016 e l’andamento dell’attività produttiva ed un lieve progressivo miglioramento.
Tali circostanze non sarebbero state prese in considerazione dall’Amministrazione previdenziale.
III – E’ ben noto al Collegio che la giurisprudenza ha precisato che “Il sindacato del Giudice Amministrativo sul provvedimento di diniego dell’ammissione alla Cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria, ha dei limiti connessi con l’ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell’Ente previdenziale sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale ai sensi dell’art. 1 della legge n. 164 del 1975 e, pertanto, le scelte dell’Ente sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti o inattendibili ovvero viziate per palesi travisamenti in fatto” (cfr., tra le tante, Cons. Stato Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4084).
Tuttavia, i provvedimenti gravati in primo grado si attestano sull’affermazione della sussistenza di una crisi strutturale dell’Azienda richiedente, senza evidenziare alcun elemento dell’istruttoria e della documentazione, né far ricorso ad alcuna integrazione partecipativa.
Sotto tale profilo la motivazione della sentenza di primo grado appare condivisibile.
Del resto dalla relazione prodotta in atti si evince una, sia pur minima, ripresa dell’Azienda, come anche la non necessaria imputabilità all’imprenditore (che del resto non costituisce motivo di diniego) quanto piuttosto alla condizioni del mercato.
La delicatezza degli interessi (diritti) coinvolti dalla procedimento in esame non può che comportare la necessità di chiarezza nei provvedimenti di rigetto della CIGO, che dia conto degli elementi documentali di fatto presi in considerazione nel corso dell’istruttoria e posti a fondamento del provvedimento adottato, ove necessario adottando anche supplementi istruttori per far fronte ad eventuali carenze documentali.
IV – Va ancora evidenziato che non può essere condivisa la tesi dell’Istituto quanto alla inequivoca inapplicabilità della cassa integrazione ordinaria.
Vale ricordare che la cassa integrazione guadagni straordinaria è l’ammortizzatore sociale che consente l’integrazione di una percentuale della retribuzione a favore del lavoratore subordinato il cui rapporto di lavoro, seppure in vigore, risulti sospeso in caso di gravi crisi di settore prolungate nel tempo ovvero in ipotesi di ristrutturazioni aziendali legate al ridimensionamento produttivo.
La cassa integrazione guadagni ordinaria interviene in caso di sospensioni dell’attività lavorativa di breve durata.
La CIGS conduce alla messa in mobilità dei lavoratori dipendenti, mentre la risoluzione del rapporto di lavoro determina la perdita del diritto a passare alle dipendenze dell’ipotetica impresa subentrante qualora la vendita concorsuale avesse risvolti positivi.
A decorrere dal 1° gennaio 2016, è stato abrogato il comma 1, art. 3 della l. 223/1991 come modificato dal comma 70, art. 2 della l. n. 92/2012, così come modificato dall’articolo 46-bis, d.l. n. 83/2012, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, l. n. 134/2012, che prevedeva l’intervento straordinario della cassa integrazione guadagni nell’ipotesi delle procedure concorsuali (come correttamente ricordato dall’Istituto appellante).
Sembra, dunque, che salvo le limitate ipotesi (ossia i casi di prosecuzione dell’esercizio di impresa durante la procedura concorsuale), i lavoratori dipendenti da un’impresa in procedura concorsuale possono essere immediatamente licenziati.
Ciò porta ad un’attenta valutazione sull’istituto dell’esercizio provvisorio, al quale non può essere riconosciuta unicamente la funzione privatistica come indicato dall’appellante, bensì, in una interpretazione sistemica ed in linea con i principi eurounitari di tutela dei livelli di occupazione e di protezione sociale, anche pubblicistica di utile conservazione dell’impresa e del lavoro.
In questa luce, il provvedimento negativo deve contenere una complessiva valutazione delle possibilità per l’impresa di addivenire ad una cessione che salvaguardi il complesso degli interessi in gioco (continuità dell’impresa, tutela dei creditori e salvaguardia dell’occupazione) di ordine privatistico e d’impatto pubblicistico, senza poter essere fondato su mere clausole di stile.
Tale valutazione deve emergere con chiarezza nell’ambito del procedimento ed essere espressa nel provvedimento con trasparenza e in linea con i principi di leale cooperazione tra pubblica amministrazione e privati.
V – Per tutto quanto sopra ritenuto, l’appello deve essere respinto e per l’effetto deve essere confermata la sentenza n. 524 del 2018.
In considerazione della complessità della fattispecie esaminata sussistono giusti motivi per compensare le spese della presente fase di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza n. 524 del 2018.
Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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