Le prove ai fini disciplinari dell’ordinamento sportivo

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 22 gennaio 2020, n. 534

La massima estrapolata:

I criteri di formazione, utilizzazione e valutazione delle prove ai fini disciplinari dell’ordinamento sportivo sono diversi da quelli del processo penale. Sicché, vista anche la natura degli organi della giustizia sportiva resta escluso che, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari da parte degli stessi, siano da richiamare quei criteri propri del giudizio penale.

Sentenza 22 gennaio 2020, n. 534

Data udienza 12 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1658 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Cl. Sa., con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
contro
Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, lungotevere (…);
ed altri;
nei confronti
Società Au. Pr. Pa. 19. s.r.l. e L’A. Ca. 19. s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, nonché Sa. Gi. e Di Ni. Er., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Roma, Sez. I ter, -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e della Federazione Italiana Giuoco Calcio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Gi., in dichiarata delega di Sa., nonché Ma., Me. e Co. in dichiarata delega di Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Facendo seguito a indagini della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, che peraltro non davano corso a contestazioni giudiziarie – il 30 luglio 2013 la Procura Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) deferiva il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- – allora -OMISSIS– unitamente ai sigg.ri -OMISSIS-, per la violazione dell’art. 7, commi primo e secondo, del Codice di giustizia sportiva, per avere – prima della gara di -OMISSIS- -OMISSIS– in concorso fra loro e con altri soggetti, posto in essere atti diretti ad artificiosamente alterare lo svolgimento ed il risultato della partita.
Con delibera C.U. n. 117/TFN, pubblicata il 20 agosto 2015, il Tribunale Federale Nazionale della FIGC, non ritenendo raggiunta la prova della contestazione avanzata dalla Procura federale, condannava il -OMISSIS- alla sanzione di anni due di inibizione ed euro 25.000 di ammenda, perché responsabile della violazione dell’art. 6 (divieto di scommesse), comma 1, del vigente Codice di Giustizia Sportiva al pari degli altri incolpati -OMISSIS-.
La decisione del Tribunale Federale veniva impugnata alla Corte Federale d’Appello sia dalla Procura federale che dall’Au. Pr. Pa. 19. s.r.l. (società terza interessata), sia dal sig. -OMISSIS-. La Corte Federale d’Appello, con decisione pubblicata sul CU n. 020/CFA del 9 settembre 2015, accoglieva i gravami dell’organo requirente e dell’Aurora Pro Patria, e rigettava il gravame del -OMISSIS-, cui applicava la sanzione dell’inibizione per anni cinque con preclusione, nonché l’ammenda di euro 80.000, ai sensi dell’art. 7, commi 1, 2 e 6 del detto Codice di Giustizia Sportiva.
Questa decisione veniva impugnata dal -OMISSIS- al Collegio di Garanzia dello Sport del CONI, per violazione dei principi sulla valutazione della prova da parte dalla Corte Federale d’Appello ed insufficiente ed omessa motivazione della decisione.
Questo ricorso veniva dichiarato in parte inammissibile, in parte infondato, per essere state prospettate censure non aventi ad oggetto vizi sindacabili nel giudizio di legittimità (violazioni di norme e omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia).
Con ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, depositato il 5 febbraio 2016, il -OMISSIS- impugnava gli atti del detto procedimento disciplinare sportivo concluso dalla pronuncia del Collegio di Garanzia dello Sport, e ne chiedeva l’annullamento con la condanna al risarcimento dei danni cagionati dagli atti impugnati, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del Codice di Giustizia Sportiva del CONI, con contestuale violazione dei principi del giudizio di legittimità ; erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere con decisione fondata su illogicità e genericità della motivazione;
2) violazione degli artt. 24, 97 e 111 della Costituzione; eccesso di potere per errore e difetto di istruttoria, dei presupposti della motivazione; illogicità o ingiustizia manifesta; violazione dell’art. 3 della legge 241/1990;
3) violazione dei principi costituzionali di cui agli art. 3, 15 e 27 Costituzione; eccesso di potere per errore e difetto di istruttoria, dei presupposti, della motivazione, travisamento, illogicità ed ingiustizia manifesta in relazione al principio del contraddittorio e formazione della prova. Violazione dell’art. 3 L. 241/1990;
4) violazione delle norme dei Codice di Giustizia Sportiva della FIGC e del CONI; difetto di motivazione, erronea, ingiusta, illogica e generica, violazione dell’art. 3 L. 241/1990; eccesso di potere nella valutazione dei fatti; violazione dell’art. 6 CEDU;
5) violazione ed erronea applicazione dell’art. 133 c.p., dell’art. 3 L. 241/90 e ss. mm., errore dei presupposti e della motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta, attesa la sproporzione tra l’illecito indimostrato e la sanzione, la cui determinazione in concreto non risulta motivata.
Si costituivano in giudizio il CONI e la FIGC, quest’ultima preliminarmente eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Con sentenza 24 dicembre 2018, n. 12514, il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso perché “ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari da parte degli organi di giustizia sportiva, non può richiedersi quella certezza ed incontrovertibilità della prova richiesta dinanzi al giudice penale”, mentre nella specie “le circostanze accertate hanno consentito al CFA di ritenere, con giudizio non affetto da illogicità o travisamento, che gli accordi intervenuti tra i soggetti deferiti, ivi compreso il ricorrente, avessero come obiettivo quello di modificare il risultato della partita, e tale ipotesi ha trovato riscontro nell’esito della gara, nei contenuti e nella modalità delle comunicazione intercorse tra gli incolpati a ridosso della partita, modalità che non avrebbero trovato altra verosimile spiegazione, e nelle incongruenze delle deposizioni dei soggetti coinvolti”.
Avverso tale decisione il -OMISSIS- ha interposto appello per i seguenti motivi:
1) Error in iudicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e 62 del Codice di giustizia sportiva del CONI, con contestuale violazione dei principi del giudizio di legittimità . Erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere, con decisione fondata su illogicità e genericità della motivazione. Insufficiente motivazione della decisione impugnata.
2) Error in iudicando: violazione degli artt. 24, 97 e 111 della Costituzione. Eccesso di potere sotto il difetto di motivazione e della irragionevolezza, illogicità, incongruità della fase istruttoria. Illogicità e ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 3 l. 241/1990.
3) Error in iudicando: violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 15 e 27 Costituzione. Eccesso di potere per errore e difetto di istruttoria, dei presupposti, della motivazione, travisamento. Illogicità ed ingiustizia manifesta in relazione al principio del contraddittorio e formazione della prova.
4) Error in iudicando: violazione delle norme del Codice di giustizia sportiva della FIGC e del CONI. Difetto di motivazioni, erronea, ingiusta, illogica e generica. Violazione dell’art. 3 l. 241/1990. Eccesso di potere nella valutazione dei fatti. Violazione dell’art. 6 CEDU.
5) Error in iudicando: violazione ed erronea applicazione dell’art. 133 c.p. Violazione dell’art. 3 l. 241/1990 e succ. mod. Errore di presupposti e della motivazione. Illogicità e ingiustizia manifesta.
Si è costituita in giudizio il CONI, chiedendo la reiezione dell’appello.
Anche la FIGC si è costituita, preliminarmente contestando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed eccependo l’infondatezza del gravame.
Le parti ribadivano, con memorie, le rispettive tesi ed all’udienza del 12 dicembre 2019, dopo la discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
Il Collegio ritiene che vada preliminarmente disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, alla luce delle sentenze Corte cost., 7 febbraio 2011, n. 49 e 25 giugno 2019, n. 160, le quali confermano il principio per cui il suddetto giudice può comunque conoscere delle questioni disciplinari che riguardano diritti soggettivi o interessi legittimi, poiché l’esplicita riserva a favore della giustizia sportiva, se esclude il giudizio di annullamento, non intacca tuttavia la facoltà di chi si assume leso nelle sue posizioni soggettive rilevanti per l’ordinamento generale, comprese quelle di interesse legittimo, di agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno.
A tali riguardi infatti non opera la riserva di giustizia sportiva, davanti alla quale del resto la pretesa risarcitoria non potrebbe essere fatta valere.
Per detta giurisprudenza costituzionale questa forma di tutela per equivalente, benché diversa da quella di annullamento, è comunque idonea ad assicurare – come vuole la Costituzione – in sede giurisdizionale la difesa dell’interesse legittimo.
Nel merito, l’appello è infondato.
Con il primo motivo vengono contestati i giudizi formulati dagli organi della giustizia sportiva e dal Tribunale ammnistrativo del Lazio, che avrebbero assunto le decisioni senza esporre un’adeguata motivazione, quando la particolarità del caso avrebbe invece richiesto un ulteriore approfondimento istruttorio.
La sentenza afferma, in particolare, che il -OMISSIS- “[…] attraverso la formale censura della omessa motivazione […] punta a chiedere una diversa valutazione degli elementi di prova acquisiti al procedimento sanzionatorio […]”, lamentando “l’inadeguatezza del quadro probatorio, mirando a offrire della vicenda accertata una diversa lettura […]”. Il -OMISSIS- in pratica solleciterebbe una rinnovata diretta valutazione, da parte del giudice amministrativo, dei fatti e delle prove che sono stati alla base del giudizio degli organi di giustizia sportiva. Il che negherebbe i limiti definiti dall’art. 54 del Codice di giustizia sportiva, che riservano ai soli giudici “di merito” dell’ordinamento federale (Tribunale Federale Nazionale e Corte Federale di Appello) la competenza all’accertamento dei fatti e alla valutazione della responsabilità disciplinare, ed è di pertinenza del Collegio di Garanzia dello Sport la mera verifica di violazioni di norme di diritto e di omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Il motivo non può essere accolto.
Risulta dagli atti che le doglianze del -OMISSIS- sollevate al Collegio di Garanzia dello Sport non attenevano alle violazioni di cui all’art. 54, comma primo, del Codice di giustizia sportiva (“Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”) e si concretavano in realtà in una domanda di rivalutazione nel merito delle risultanze istruttorie emerse nei precedenti gradi di giudizio sportivo; così indebitamente riportando in discussione l’accertamento dei fatti compiuto in quella giusta sede.
Quel ricorso, insomma, appare essere stato orientato a un nuovo sindacato di merito da effettuare sulla base di una rinnovata valutazione nel merito delle acquisizioni istruttorie, non ad invocare, riguardo a quelle decisioni, errori di diritto (che comunque non paiono presenti, venendo in rilievo fondamentalmente il solo art. 7 Codice) o di motivazione insufficiente o illogica (che ricorre se la la motivazione difetti in toto o si manifesti in argomenti inidonei a dar spiegazione della ratio decidendi, o fra loro logicamente inconciliabili o perplessi e incomprensibili), propri del sindacato di legittimità .
Bene dunque la sentenza appellata ha escluso che l’impugnazione fosse coerente con l’art. 54 del Codice di giustizia sportiva, che limita il ricorso al Collegio di garanzia dello sport alla violazione di norme di diritto e all’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in analogia con quanto stabilito dall’art. 360 Cod. proc. civ.. Invero, sotto la censura di omessa motivazione veniva in realtà articolata la domanda di una diversa valutazione degli elementi di prova acquisiti al procedimento sanzionatorio (i quali, per il ricorrente, non sarebbero stati sufficienti a provare il contestato accordo illecito.
Il ricorrente in effetti lamentava “l’inadeguatezza del quadro probatorio, mirando a offrire della vicenda accertata una diversa lettura. Gli incontri con gli altri deferiti, le telefonate ed i messaggi, per il loro contenuto non sempre esplicito, offrono al ricorrente agio di offrire una interpretazione che, tuttavia, la CFA ha respinto giudicandola inverosimile”.
Ma in difetto di elementi capaci di integrare il vizio di manifesta illogicità o travisamento, il Collegio di Garanzia dello Sport non avrebbe avuto titolo per accogliere la domanda di una nuova e diversa valutazione dei fatti, in realtà sostitutiva di quella della Corte Federale di Appello.
Ne offre conferma lo stesso appellante, quando assume che “I motivi promossi davanti al Collegio di Garanzia, essenzialmente, erano 3 e vertevano sulla erronea interpretazione dei fatti del Giudice di secondo grado” (pag. 13 atto d’appello).
Il secondo motivo di gravame lamenta l’insufficienza probatoria ritenuta idonea a dimostrare la responsabilità disciplinare: per l’interessato, gli organi intervenuti nel procedimento avrebbero dovuto sospenderne l’esame in attesa della definizione del procedimento penale.
Neppure questo motivo è fondato.
Anzitutto, l’assunto non è assistito da riscontri normativi, posta la diversità ed autonomia reciproca tra l’ordinamento disciplinare sportivo e l’ordinamento generale (penale).
D’altro canto, i criteri di formazione, utilizzazione e valutazione delle prove ai fini disciplinari dell’ordinamento sportivo sono diversi da quelli del processo penale. Sicché, vista anche la natura degli organi della giustizia sportiva (su cui da ultimo, v. Cons. Stato, V, 22 agosto 2018, n. 5019) resta escluso che, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari da parte degli stessi, siano da richiamare quei criteri propri del giudizio penale.
Né, sotto altro profilo, può si può convenire con quanto assunto dall’appellante sulla base della previsione di chiusura di cui dell’art. 2, sesto comma, del Codice di Giustizia Sportiva, a mente del quale: “Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”.
Invero, da un lato questo rinvio ai “principi e […] norme generali” del processo civile non comporta un rinvio alle singole, dettagliate disposizioni di quel Codice, dall’altro quello stesso ordinamento processuale – in combinazione con il Codice di procedura penale del 1988 – non contempla più la previgente regola della c.d. pregiudiziale penale (con la sola eccezione – che qui però non rileva – delle tassative ipotesi di cui all’art. 75 Cod. proc. pen.).
Ciò premesso in via generale, risulta nello specifico che i diversi organi – sia di giustizia sportiva che della giurisdizione amministrativa – intervenuti nel corso del procedimento hanno tutti ritenuto il quadro probatorio complessivo come adeguato ad attestare la sussistenza di una responsabilità disciplinare dell’odierno appellante, né tale giudizio appare manifestamente affetto da illogicità o travisamento delle circostanze fattuali poste a sua premessa.
Con il terzo motivo di appello viene invece contestata – sempre sotto il profilo dell’asserita inadeguatezza dei riscontri istruttori a fondare la responsabilità del sig. -OMISSIS- – l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche acquisite dagli organi di giustizia sportiva, in ragione, innanzitutto, della loro incompletezza: i relativi atti erano stati infatti chiesti dalla Procura Federale in una fase nella quale erano ancora in corso le indagini penali e la trasmissione non aveva neppure riguardato tutte le intercettazioni, ma solo quelle poi rifluite negli atti del processo penale.
Per contro, rileva l’appellante, se è pacifico che le prove del processo penale possono essere utilizzate anche in quello sportivo, è pur vero che deve logicamente trattarsi di prove complete, acquisibili solo all’esito della chiusura della fase delle indagini, una volta emesso l’avviso ex art. 415-bis Cod. proc. pen.
In caso contrario, sostiene sempre l’appellante, nel procedimento sportivo le difese dei deferiti non avrebbero potere di verificare l’effettiva utilizzabilità legale di tale mezzo di prova, ovvero l’esistenza, a monte, dell’autorizzazione per procedere con le stesse e le eventuali proroghe.
In altri termini, conclude l’appellante, sarebbe stato operato un giudizio sulla base di una “scelta” unilaterale e parziale dei mezzi di prova, con la conseguenza che la Procura Federale avrebbe proposto agli organi giudicanti un’interpretazione dei fatti per così dire “preconfezionata”, in base alla quale sarebbero state scelte le prove conformi ed escluse quelle incompatibili con la tesi accusatoria.
Il morivo non può trovare accoglimento, anche a prescindere dalla preliminare eccezione di inammissibilità di tale censura, in quanto proposta per la prima volta al giudice amministrativo e non già agli organi della giustizia sportiva.
Ritiene il Collegio, infatti, che le intercettazioni di cui trattasi siano state acquisite dagli organi della giustizia sportiva in modo legittimo, conformemente cioè a quanto previsto dall’art. 2, comma 3 della l. n. 401 del 1989, a mente del quale “[…] gli organi della disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell’art. 116 del codice di procedura penale fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all’art. 114 dello stesso codice […]”.
In quanto tali, validamente hanno concorso a formare il convincimento dei detti organi (dovendo trovare applicazione, anche in tale contesto, il generale principio della libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in processi diversi).
Con il quarto motivo di appello si sostiene invece che, in applicazione dei principi di cui all’art. 6 CEDU, la Corte Federale d’Appello, prima di riformare in peius la decisione del giudice sportivo di primo grado, avrebbe dovuto rinnovare l’istruttoria dibattimentale.
Secondo il primo giudice la questione, dedotta per la prima volta innanzi al giudice amministrativo (e pertanto da ritenersi inammissibile), non sarebbe stata comunque fondata, il principio in esame al più potendo valere per il solo processo penale.
Neppure questo motivo è fondato, non potendosi riconoscere natura “giurisdizionale” agli organi della giustizia sportiva ed al relativo procedimento decisorio (ex multis, Cons. Stato, V, 24 agosto 2018, n. 5046), trattandosi di organi amministrativi, per tali estranei all’ambito di applicazione del predetto art. 6.
Con il quinto motivo di appello viene infine contestata la presunta incongruità e sproporzione della sanzione disciplinare irrogata, pari ad anni cinque di inibizione con ammenda di euro 80.000, rispetto all’illecito contestato.
Anche questa censura va respinta.
Nel testo applicabile ratione temporis, infatti, il Codice di giustizia sportiva prevedeva, in relazione agli illeciti di cui all’art. 7 del medesimo Codice, un minimo edittale di tre anni di inibizione ed una ammenda minima di euro 50.000 (cfr. art. 7, comma 5), con la conseguenza che la sanzione irrogata all’odierno appellante rientrava nelle previsioni edittali.
Inoltre, l’appellante neppure precisa quali sarebbero le specifiche ragioni di fatto o diritto fondanti l’auspicata riduzione del carico sanzionatorio, limitandosi genericamente a riferire che “nel ricorso era stato ampiamente specificato quali erano le indicazioni per considerare eccessiva la sanzione rispetto all’illecito eventualmente commesso”, indicazioni però non riproposte nel presente grado di giudizio.
A fronte di quanto sopra, infine, il Collegio non può esimersi dal rilevare come – pur vertendosi nell’ambito di un’azione esclusivamente risarcitoria – la relativa istanza sia stata formulata in termini assolutamente generici e del tutto priva di riscontro quanto al rilevantissimo quantum debeatur preteso, così come sulle voci stesse di danno (latamente indicate in “patrimoniale” e “non patrimoniale”, senza ulteriori precisazioni di genere).
Conclusivamente, alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va respinto.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore del CONI e della FIGC, delle spese di lite del grado di giudizio, che liquida complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00) per ciascuna di esse, oltre Iva e Cpa se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Vista la richiesta dell’interessato -OMISSIS- e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, comma primo, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte interessata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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