Nel processo amministrativo l’appello è inammissibile per violazione del dovere di specificità delle censure

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7142.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo l’appello (non essendo esso un iudicium novum) è inammissibile, per violazione del dovere di specificità delle censure sancito dall’art. 101, comma 1, c.p.a., la mera riproposizione dei motivi dedotti a sostegno del ricorso di primo grado, senza che sia sviluppata, mediante l’articolazione di puntali argomenti critici, alcuna confutazione della statuizione del primo giudice.

Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7142

Data udienza 30 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6488 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Pa., con domicilio eletto in Roma, via (…) presso lo studio dell’avv. Co. Da. Ma.;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente esclusione da scrutinio per avanzamento.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 aprile 2019 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti l’avvocato Fr. Ca. su delega dell’avvocato Vi. Pa. e l’Avvocato dello Stato Al. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, Ispettore della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di -OMISSIS-, a causa della pendenza di un processo penale a suo carico e dell’applicazione nei suoi confronti della misura cautelare della custodia in carcere (con riguardo ai delitti di peculato, detenzione illecita di sostanza stupefacente, falso ideologico), veniva sospeso dal servizio dal settembre 2010 al settembre 2015, per poi esservi reintegrato per decorrenza del quinquennio previsto ex lege come termine massimo di sospensione cautelare.
In primo grado il Tribunale penale di Napoli assolveva il -OMISSIS- con la formula “perché il fatto non sussiste”. La sentenza veniva impugnata e tuttora pende il giudizio d’appello.
Con ricorso ritualmente e tempestivamente notificato impugnava dinanzi al T.a.r. per la Puglia sezione staccata di Lecce: a) il verbale in data 7.9.2017 con cui la Commissione per il personale di ruolo ispettori della Polizia di Stato deliberava la sua esclusione dallo scrutinio per la promozione alla qualifica di ispettore capo per l’anno 2016; b) la nota prot. n. 333.C/27Sez.I^ AV/1877 del 13.10.2017, di comunicazione del predetto verbale.
I predetti atti venivano sospesi dal T.a.r. e l’amministrazione si rideterminava confermando l’esclusione dalla scrutinio con diversa motivazione e, segnatamente, per il persistere della qualità di persona rinviata a giudizio, stante la pendenza del procedimento penale in grado di appello, costituendo tale circostanza causa di inscrutinabilità a norma degli articoli 61 e 68 del d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334
Con atto di motivi aggiunti il ricorrente impugnava:
– la nota prot. n. 333.C/2 Sez.I^ AV/1877 del 19.1.2018, con cui si comunicava che la Commissione per il personale di ruolo ispettori della Polizia di Stato, nella seduta del 18.1.2018, aveva rivalutato la posizione del ricorrente sospendendolo dallo scrutinio per la promozione alla qualifica di ispettore capo per l’anno 2016-2017;
– il verbale in data 18.1.2018 con cui la Commissione per il personale di ruolo ispettori della Polizia di Stato deliberava la sospensione della posizione del ricorrente dallo scrutinio per la promozione alla qualifica di ispettore capo per l’anno 2016 e 2017.
Con sentenza n. -OMISSIS-il T.a.r. per la Puglia sezione staccata di Lecce ha accolto il ricorso introduttivo proposto dal Signor -OMISSIS- ed ha annullato la sua esclusione dallo scrutinio per l’avanzamento alla qualifica di ispettore capo riferito all’anno 2016, disposta ai sensi dell’art. 93, comma 1 del d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, rilevando che il -OMISSIS- non si trovava, al momento dello scrutinio, in stato di sospensione cautelare, essendo spirato il termine massimo di legge; con la medesima pronuncia il T.a.r. ha tuttavia respinto i motivi aggiunti ritenendo invece legittima la conferma dell’originaria esclusione dallo scrutinio deliberata nella seduta del 18 gennaio 2018 persistendo la sua qualità di persona rinviata a giudizio, stante la pendenza presso la Corte d’Appello di Napoli del procedimento penale che lo vede coinvolto per i reati previsti e puniti dagli articoli 110, 314, 479, 48, 61, n. 2 e 81 c.p., nonché per il reato previsto dall’articolo 73 del d.p.r. n. 309/1990 nonostante il giudizio di primo grado si sia concluso con l’assoluzione.
Il Signor -OMISSIS- con appello ritualmente e tempestivamente notificato ha chiesto la riforma della predetta sentenza nella parte in cui ha respinto i motivi aggiunti, lamentando che:
– la sospensione temporanea dallo scrutinio sarebbe stata disposta in forza di una normativa, a suo dire, applicabile solo ai dirigenti ed ai ruoli direttivi della Polizia di Stato, precludendogli ingiustamente la possibilità di partecipare al concorso per la qualifica superiore recentemente indetto;
– stigmatizza il tentativo dell’Amministrazione di eludere il giudicato cautelare anticipando il giudizio relativo all’anno 2017 non ancora programmato e calendarizzato per tutti gli appartenenti alla Polizia di Stato;
– contesta l’attribuzione della qualità di rinviato a giudizio trattandosi di giudizio di appello avverso una sentenza penale di assoluzione;
– quanto al mancato riconoscimento del diritto all’esonero del contributo unificato richiesto a fronte dei motivi aggiunti, la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con l’orientamento manifestato con la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. III, n. 5128 del 10 novembre 2015 con la quale sono stati recepiti i principi sanciti dalla Corte di Giustizia Europea in materia di esenzione del contributo unificato a fronte di motivi aggiunti non ampliativi.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno per resistere all’appello chiedendo la conferma della sentenza appellata.
Alla udienza pubblica del 30 aprile 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è infondato e la sentenza merita integrale conferma.
Con un primo motivo l’appellante lamenta che la sospensione temporanea dallo scrutinio sarebbe stata disposta in forza di una normativa, a suo dire, applicabile solo ai dirigenti ed ai ruoli direttivi della Polizia di Stato.
Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato, in quanto la doglianza è priva di qualsiasi argomentazione critica avverso la statuizione del T.a.r. che, sul punto, è rimasta incontestata.
E’ pacifico l’insegnamento secondo cui nel giudizio amministrativo d’appello (non essendo esso un iudicium novum) è inammissibile, per violazione del dovere di specificità delle censure sancito dall’art. 101, comma 1, c.p.a., la mera riproposizione dei motivi dedotti a sostegno del ricorso di primo grado, senza che sia sviluppata, mediante l’articolazione di puntali argomenti critici, alcuna confutazione della statuizione del primo giudice (così, tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 25 ottobre 2016, n. 4463).
Il T.a.r. sul punto ha osservato che:
“- ai sensi dell’art. 61, comma 1, D.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, “È sospeso dagli scrutini di promozione il personale delle carriere di cui al presente decreto rinviato a giudizio… per i delitti di cui all’articolo 58, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”;
– tra questi delitti rientrano quelli di cui agli artt. 73 d.P.R. n. 309/90 (detenzione illecita di sostanze stupefacenti) e 314 c.p. (Peculato), rispetto ai quali il ricorrente è ancora sub judice davanti alla Corte d’Appello di Napoli;
– ai sensi dell’art. 3-bis D.lgs. 12 maggio 1995, n. 197, come aggiunto dall’art. 68, D.lgs. n. 334/2000 citato, “Le disposizioni relative alla sospensione dalla partecipazione agli scrutini del personale dei ruoli dei direttivi e dei dirigenti della Polizia di Stato si applicano anche al personale non direttivo” e, dunque, anche all’odierno ricorrente;
– legittimamente, dunque, la Commissione per il personale di ruolo ispettori della Polizia di Stato, alla seduta del 18.1.2018, rivalutava la posizione del ricorrente e, applicato l’art. 61 citato, lo sospendeva dallo scrutinio per la promozione alla qualifica di ispettore capo per l’anno 2016-2017″.
A fronte di tale perspicua e puntuale motivazione la parte appellante non ha potuto evidenziare alcun errore in cui sarebbe incorso il T.a.r. nella individuazione della normativa applicabile e delle conseguenze che ne ha fatto discendere.
Peraltro tali motivazioni sono condivise dal Collegio e, in assenza di rilievi da parte dell’appellante, non possono che essere confermate.
Da altra angolazione viene prospettata la contraddittorietà ed illogicità dell’agire del Ministero che, dapprima, ha disposto l’esclusione dallo scrutinio e, successivamente, la sua sospensione in una situazione in cui – pendendo il giudizio dinanzi al T.a.r. – non era neppure possibile, secondo l’appellante, adottare nuovi provvedimenti integrativi e/o modificativi della prima motivazione.
La doglianza è infondata in quanto l’art. 61, comma 1, del d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334 parla espressamente di “sospensione” dagli scrutini e nessuna rilevanza riveste la circostanza per cui dapprima (con il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo) il ricorrente sia stato “escluso” mentre, successivamente, sia stato “sospeso” dalla scrutinio con il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti. La diversa natura del provvedimento adottato si giustifica in ragione della differente base normativa invocata dalla commissione cui non era di certo precluso – dopo la prima pronuncia cautelare favorevole al ricorrente – confermare la non scrutinabilità per motivi diversi da quelli censurati dal T.a.r. la cui motivazione era incentrata sul regime della sospensione cautelare ma non su altre possibili cause di non scrutinabilità che ben possono sussistere in via concorrente e che la commissione aveva il dovere di rilevare in sede di riesercizio del potere.
Con un secondo motivo l’appellante stigmatizza il tentativo della commissione di eludere il giudicato cautelare formatosi sulla pronuncia del T.a.r. anticipando il giudizio relativo all’anno 2017, non ancora programmato e calendarizzato per tutti gli appartenenti alla Polizia di Stato, anticipandolo soltanto per il ricorrente.
Rileva il Collegio che non è chiara la rilevanza di tale allegazione nella economia della impugnazione e soprattutto del bene della vita cui aspira l’appellante che resta precluso dalla condizione di persona rinviata a giudizio, come rilevato dalla commissione e confermato dal T.a.r..
Il riferimento allo scrutinio anche per l’anno 2017 non elide il tema di fondo relativo alla operatività dell’effetto sospensivo dello scrutinio che discende dall’art. 61, comma 1, del d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334 e che resta fermo a prescindere dall’anno oggetto di valutazione.
Con il terzo motivo l’appellante contesta la persistenza della qualità di persona rinviato a giudizio trattandosi, a suo dire, di giudizio di appello avverso una sentenza penale di assoluzione.
Il motivo è infondato in quanto la sentenza penale di assoluzione, in pendenza di appello ritualmente instaurato, non fa venire meno la qualità di persona rinviata a giudizio, essendo la persona imputata tuttora sottoposta all’accertamento della responsabilità penale sebbene in sede di revisione del giudizio espresso dal Tribunale di primo grado.
Con un quarto motivo l’appellante lamenta il mancato riconoscimento del diritto all’esonero del contributo unificato in relazione alla presentazione dei motivi aggiunti; si deduce che la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con l’orientamento manifestato con la pronuncia della III sezione del Consiglio di Stato n. 5128 del 10 novembre 2015 che ha recepito i principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, V, 6 ottobre 2015 in C-61/14, in materia di esenzione del contributo unificato a fronte di motivi aggiunti non ampliativi.
Il motivo è inammissibile.
Il T.a.r. sul punto ha motivatamente disatteso l’istanza formulata dal difensore del -OMISSIS- in udienza pubblica e ciò per due motivi:
1. perché proposta in modo del tutto irrituale, senza essere notificata e dichiarando pertanto il non luogo a provvedere;
2. in ogni caso perché, pur prescindendo dalla mancata notifica, la stessa sarebbe estranea alla giurisdizione del giudice amministrativo, richiamando specifici precedenti in questo senso della giurisprudenza dei T.a.r..
Senonchè nessuna di queste motivazioni è stata sottoposta a revisione critica da parte dell’appellante che si è limitato a richiamare una sentenza della III Sezione del Consiglio di Stato che non ha esaminato né la questione delle forme processuali di presentazione dell’istanza di esonero né la questione della giurisdizione, ritenendo sussistente per implicito quella del giudice amministrativo ma senza argomentare l’insussistenza di quella del giudice tributario affermata invece con la sentenza appellata.
Ne discende che poiché la doglianza è stata articolata in violazione del dovere di specificità delle censure sancito dall’art. 101, comma 1, c.p.a., la stessa va dichiarata inammissibile non avendo la parte argomentato alcunchè né sulla modalità di presentazione dell’istanza né sull’insussistenza della giurisdizione del giudice tributario.
La doglianza è comunque infondata anche nel merito.
Premessa la irrilevanza nel caso di specie della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, V, 6 ottobre 2015 in C-61/14, pronunciata in materia di procedure di ricorso avverso la aggiudicazione degli appalti pubblici nella quale l’Unione europea ha competenza normativa ed i cui principi non possono essere automaticamente trasposti alle procedure di ricorso in materia di impiego pubblico non privatizzato, sottratto agli ambiti di disciplina normativa eurounitaria, osserva il Collegio che in base all’art. 15 del d.P.R. n. 115 del 2002 è il funzionario addetto che verifica la correttezza degli importi dichiarati e versati a titolo di contributo unificato in base al valore della causa e soprattutto reitera le verifiche di legge “ogni volta che viene introdotta nel processo una domanda idonea a modificare il valore della causa” come accade nel caso di presentazione di “motivi aggiunti che introducono domande nuove” ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis1 del d.P.R. cit..
Inoltre in base al combinato disposto degli artt. 208 e 211 del d.P.R. n. 115 del 2002 l’ufficio compente alla quantificazione del contributo unificato e alla gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso cui opera il magistrato il cui provvedimento è passato in giudicato. E’ dunque il funzionario addetto a tale ufficio che “quantifica l’importo dovuto per spese sulla base degli atti, dei registri, delle norme che individuano la somma da recuperare” e “corregge eventuali propri errori, d’ufficio o su istanza di parte” (art. 211, commi 1 e 2 del d.P.R. n. 115 del 2002) ed ancora che notifica al debitore l’invito al pagamento dell’importo dovuto (art. 212 del d.P.R. n. 115 del 2002) procedendo all’iscrizione a ruolo, scaduto inutilmente il termine per l’adempimento (art. 213 del d.P.R. n. 115 del 2002).
Ne discende che ogni istanza relativa alla esatta quantificazione del contributo unificato deve essere rivolta all’ufficio presso cui opera il magistrato che è l’organo preposto alla verifica della esatta quantificazione degli importi dovuti, e le cui determinazioni in caso di contestazione dovranno essere impugnate dinanzi al giudice tributario avendo il contributo unificato natura di tributo erariale (Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2011, n. 9840; Corte cost. n. 73/2005).
Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve, in definitiva, essere respinto con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna l’appellante alla rifusione in favore del Ministero dell’Interno delle spese del grado che si liquidano complessivamente in euro 2000,00 oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Luca Monteferrante – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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