In materia di abusi edilizi il locatore non può essere ritenuto responsabile per il reato commesso dal conduttore

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 2 ottobre 2019, n. 40259.

Massima estrapolata:

In materia di abusi edilizi il locatore non può essere ritenuto responsabile per il reato commesso dal conduttore con la realizzazione dell’opera abusiva.

Sentenza 2 ottobre 2019, n. 40259

Data udienza 23 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvator – Presidente

Dott. NARDIN Mau – rel. Consigliere

Dott. RANALDI Alessand – Consigliere

Dott. BRUNO M. – Consigliere

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) SRL;
avverso la sentenza del 18/12/2017 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dai Consigliere, Dott.ssa MAURA NARDIN;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dott. EPIDENDIO , che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di PRATO in difesa di PARTI CVILI:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che insiste per il rigetto dei ricorsi. Deposita conclusioni e nota spese.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di PARTE CIVILE UNIONE SINDACALE TERRITORIALE CISL (OMISSIS) in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS) dei foro di PRATO, come da nomina a sostituto processuale ex. articolo 102 c.p.p. depositata in udienza, che insiste per il rigetto dei ricorsi. Deposita conclusioni e nota spese.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di PARTE CIVILE ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (INAIL) che conclude per il rigetto dei ricorsi. Deposita conclusioni e nota spese.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) dei foro di PRATO in difesa di PARTE CIVILE COMUNE DI PRATO il quale insiste per il rigetto dei ricorsi. Deposita atto di nomina di difensore e di conferimento di procura speciale nonche’ conclusioni scritte e nota spese.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di PISTOIA in difesa di (OMISSIS) SRL che illustrando i motivi del ricorso insiste per l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) che illustrando i motivi del ricorso insiste per l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 febbraio 2018 la Corte di Appello di Firenze in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Prato ha assolto (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di cui all’articolo 449 c.p. per non avere commesso il fatto, confermando la penale responsabilita’ degli imputati in relazione al reato di cui all’articolo 589 c.p.: per avere colposamente cagionato per negligenza, imprudenza ed imperizia, nelle loro rispettive qualita’ di socio accomandatario e socio accomandante ed amministratore di fatto della (OMISSIS) s.a.s. – societa’ immobiliare, proprietaria e locatrice del capannone di (OMISSIS) – la morte di sette operai impiegati presso l’impresa individuale (OMISSIS), gestita da (OMISSIS), (OMISSIS), ed in particolare di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), deceduti a causa di asfissia acuta da intossicazione da monossido di carbonio e (OMISSIS), deceduto a causa dell’effetto sinergico dell’inalazione di cianuri e dell’intossicazione da monossido di carbonio. La condotta ascritta agli imputati (per (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e per (OMISSIS), socio della (OMISSIS) s.a.s. si e’ proceduto separatamente) e’ consistita nell’avere concesso in locazione alla (OMISSIS) il capannone, a partire dal (OMISSIS), nella consapevolezza che al suo interno erano stati realizzati abusivamente dei locali dormitorio con legno e cartongesso, cosi’ consentendo un uso promiscuo abitativo ed industriale dell’immobile, in assenza dei requisiti di abitabilita’, aumentando il rischio incendio, gia’ presente per la natura tessile delle lavorazioni ivi praticate, omettendo di interrompere il rapporto contrattuale pur avendo rilevato siffatto utilizzo illecito e pericoloso, essendo consapevoli della situazione ed essendosi l’evento morte verificatosi, causalmente connesso con tale violazione, prevedibile ed evitabile.
2. Il fatto, come risultante dalle sentenze di merito, puo’ essere brevemente descritto nel modo che segue: in data (OMISSIS), a seguito della chiamata ricevuta alle ore 6:53, – i Vigiii del Fuoco si recavano presso il capannone sito in (OMISSIS), ivi potevano osservare che era divampato un incendio, che interessava la parte tergale dell’immobile, a causa dei quale una parte del tetto era gia’ collassata. Malgrado l’intervento l’incendio si propagava ulteriormente, fino ad interessare l’intero capannone, e veniva definitivamente spento alle ore 19:00 del medesimo giorno. Ai momento dell’arrivo sui luoghi la prima squadra intervenuta trovava il portone carraio del capannone aperto ed all’esterno alcune persone scampate all’incendio, poi identificate in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed il figlio di questi ultimi.
All’interno, successivamente, venivano rinvenuti in diverse zone del capannone i corpi degli operai deceduti, di cui sei carbonizzati, poi identificati a mezzo di esami odontologici e genetici. In particolare (OMISSIS), unico non carbonizzato, veniva trovato in uno dei vani costruiti sopra la struttura in muratura, nei vano prospiciente la strada pubblica; (OMISSIS) nella zona posteriore dell’immobile a circa 3/4 della lunghezza del capannone, all’esterno dell’area gia’ occupata dai manufatto in legno e cartongesso; (OMISSIS), all’interno dell’area medesima, ma a diretto contatto con il suolo, senza detriti sottostanti il corpo, il che veniva considerato indicativo della perdita di coscienza, nei momento in cui egli si trovava ai piano terra; (OMISSIS), all’interno della stessa area, in prossimita’ della scala, in cima ad una significativa quantita’ di materiale combusto, il che e’ stato considerato indice della sua collocazione al piano superiore al momento della perdita di conoscenza; (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano rinvenuti nelle immediate vicinanze della scala, al di sopra dei detriti, il che era ritenuto indice della loro collocazione al piano superiore ai momento della perdita di conoscenza.
3. La decisione della Corte di appello, ribadita la ricostruzione della vicenda, ha ritenuto accertato che la costruzione del manufatto fosse intervenuta nel (OMISSIS) per opera di (OMISSIS), la quale aveva mantenuto la disponibilita’ del locale, dal gennaio di quell’anno sino alla data dell’evento mortale, a seguito dapprima della formale cessione dell’originario contratto di locazione originariamente concluso fra (OMISSIS) s.a.s e la (OMISSIS), ad imprese diversamente nominate, ma a lei facenti capo, e successivamente attraverso la stipulazione ci nuovo contratto fra la medesima immobiliare e la (OMISSIS) da lei gestita con altri. In occasione di siffatto ultimo contratto intervenuto il (OMISSIS), cionondimeno, la societa’ avrebbe dovuto consegnare un bene idoneo all’uso convenuto. Tale non era, invece, il locale oggetto del nuovo contratto, posto che al sua interno insisteva uni opera abusiva, ancorche’ realizzata da altri ( (OMISSIS)), adibita a dormitorio, che ne rendeva promiscuo l’uso. Il Collegio, esaminando il dato fattuale della posizione nella quale sono state trovate le vittime ha chiarito che l’utilizzo del soppalco aveva costretto gli occupanti delle piccole stanze a percorrere 30 metri in direzione opposta a quella in cui s’ trovava l’unica via di fuga, costituita dal portone di ingresso, e poi ulteriori 30 metri in direzione di quell’uscita, essendo le scale per scendere dai soppalco collocate a tergo dei capannone. Su questa base la Corte territoriale ha ritenuto che l’utilizzo dei soppalco come dormitorio avesse contribuito a cagionare il decesso dei lavoratori, ostacolandone la fuga, cosicche’, salva la responsabilita’ del datore di lavoro e comunque di coloro che gestivano l’attivita’ lavorativa, l’avere consentito o il non avere impedito da parte dei locatori l’uso della struttura soppalcata, in un locale gia’ privo di adeguate uscite di sicurezza, deve reputarsi integrante una condotta colposa causalmente connessa con l’evento. La posizione di garanzia degli imputati, nelle loro rispettive qualita’, deriverebbe dagli obblighi scaturenti dal contratto di locazione, ai sensi dell’articolo 1575 c.c. che impone al locatore di tenere indenne il conduttore dai danni causati dalla cosa locata, mentre non soccorrerebbe nel ritenere interrotto il nesso di causalita’ ne’ il gravissimo comportamento del datore di lavoro, ne’ la modalita’ repentina di propagazione dell’incendio e di produzione dei fumi tossici, agevolata dalla quantita’ di materiale tessile accatastato in prossimita’ della scala che consentiva l’accesso al soppalco. E cio’ perche’, in forza degli esiti dell’accertamento, era stato provato in giudizio che la presenza del soppalco ed il suo utilizzo quale dormitorio avevano avuto un ruolo decisivo nella causazione dei decessi, dato che coloro che alloggiavano nelle stanze – non abusivamente costruite – al piano terra, avevano potuto fuggire dal portone di ingresso, mentre gli operai che dormivano sul soppalco non erano riusciti a raggiungere la salvezza, da un lato, perche’ costretti ad un lungo percorso per raggiungere l’uscita e dall’altro, perche’ addormentati allorquando l’incendio si produsse. La condizione di pericolosita’ degli ambienti al momento della consegna nel (OMISSIS), ulteriormente aggravata dalla presenza del soppalco adibito a dormitorio, dunque, dimostra secondo la Corte territoriale la prevedibilita’ dell’evento, e la sua evitabilita’. Prima di affrontare le azioni civili esercitate nel processo penale, ivi compresa l’azione di regresso proposta dall’Inail, la sentenza rigetta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulato dalla (OMISSIS) s.a.s., in quanto gia’ sottoposta ad altro procedimento penale quale imputata dell’illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 25 septies, sottolineando la diversita’ fra la domanda di risarcimento del danno proposta nei suoi confronti come responsabile di fatto altrui ed il coinvolgimento in qualita’ di imputata nel procedimento nel quale sono state elevate a suo carico imputazioni, inerenti condotte che le sono proprie e chiarendo, altresi’, che l’impossibilta’ per le persone offese di costituirsi parti civili in siffatto ultimo procedimento eliminerebbe ogni possibilita’ di duplicazione del risarcimento. La decisione, riconosciuto il diritto al risarcimento proposto dai familiari dei deceduti non soddisfatti transattivamente, ha chiarito che, nonostante l’esclusione, da parte dei primo giudice, dell’aggravante della violazione delle norme di prevenzione antinfortunistica, che aveva condotto alla declaratoria di improcedibilita’ dell’azione penale per il reato di cui all’articolo 390 c.p. non avendo (OMISSIS) proposto querela, siffatta aggravante sussiste, operando oggettivamente e non soggettivamente. Ed invero, secondo la Corte territoriale, in assenza dell’impugnazione del pubblico ministero della medesima di essa deve tenersi conto, sebbene solo ai fini civilistici, con la conseguenza dell’ammissibilita’ e fondatezza del gravame proposto da (OMISSIS), costituitosi parte civile, ancorche’ non querelante.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono impugnazione, con un unico atto, a mezzo del loro difensore, gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’, con separato ricorso, il responsabile civile soc. (OMISSIS) s.a.s., a mezzo di diverso difensore.
5. (OMISSIS) e (OMISSIS) formulano otto motivi di impugnazione.
6. Con il primo fanno valere ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la violazione della legge processuale ed il vizio di motivazione in ordine ai difetto dei presupposti di legge per l’emissione del decreto di giudizio immediato, come previsti dall’articolo 453 c.p.p., commi 1 bis e 1 ter.. Sottolineano che la disposizione subordina la richiesta di giudizio immediato all’attualita’ della custodia cautelare applicata all’indagato ed alla definizione dei procedimento di riesame dell’ordinanza che abbia disposto la misura, con cio’ dovendosi intendere l’intervenuto deposito della motivazione e non la mera pronuncia del dispositivo. Nel caso di specie, peraltro, al momento della richiesta dei rito immediato gli imputati non si trovavano piu’ legittimamente assoggettati alla misura cautelare, essendo stato previsto dai che essa perdesse efficacia allo scadere del termine di un mese dalla sua esecuzione “e comunque all’esito dell’escussione dei soggetti ivi indicati”. Essendo stati costoro escussi il 14 aprile 2014, alla data del 19 aprile 2014, quando ancora (OMISSIS) e (OMISSIS) erano agli arresti domiciliari, benche’ la misura avesse perso efficacia, il pubblico ministero formulava richiesta di rito abbreviato. Dunque, la richiesta era intervenuta, in assenza dei presupposto dell’attualita’ della misura, non potendosi ritenere tale una misura la cui protrazione sia illegittima, per essere divenuta inefficace. Sostengono che la condivisione da parte della sentenza degli orientamenti di legittimita’ omette di dare risposta agli interrogativi posti circa l’interpretazione antiletterale della disposizione di cui all’articolo 453 c.p.p., come adottata e non supera la critica inerente alla violazione dei diritti della difesa.
7. Con il secondo motivo si dolgono, ex articolo 606, comma 1, lettera c) ed e) della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione con riferimento all’inosservanza delle norme in materia di competenza collegiale, di cui all’articolo 33 bis c.p.p.. Richiamano le difese svolte con l’atto di appello, anche in relazione alla questione di costituzionalita’ sollecitata con il gravame.
8. Con la terza doglianza i ricorrenti fanno valere, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza giunge all’affermazione di responsabilita’ degli imputati, attraverso un ragionamento formulato sulla base di pregiudizi, trasformando il procedimento in uno strumento di “lotta per il futuro contro la piaga dello sfruttamento dei lavoratori stranieri”. Sostengono che i principi da prendere in considerazione, per risolvere i quesiti posti dalla vicenda, si trovano espressi nella sentenza pronunciata dalla Suprema Corte nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) in qualita’ di datore di lavoro, che attribuisce alla figura di quest’ultimo la posizione di garante dei rischi sul luogo di lavoro, specificando che egli non e’ esente dall’obbligo di assicurare la sicurezza dell’ambiente di lavoro condotto in locazione, anche se i locali presentino sin dall’origine rischi in materia antinfortunistica. Assumono che al di la’ delle modifiche contrattuali formali, e’ stato provato in Giudizio che sin dal (OMISSIS) il capannone fu affittato a (OMISSIS), quale titolare dell’impresa, pur denominata sotto ditte apparentemente diverse, la quale, come e’ parimenti emerso e non contestato, ha costruito in quello stesso anno soppalco. Il contratto concluso il (OMISSIS), considerato dalla Corte territoriale “nuovo e diverso” – e come tale comportante la consegna dei fiscali in buono stato locativo, ai sensi dell’articolo 1575 c.c. – nondimeno, non e’ affatto tale, in quanto le condizioni contrattuali, nulla innovano ne’ in relazione all’effettivo conduttore, ne’ in relazione all’attivita’ da svolgere nel capannone, che era sempre la stessa sin dal (OMISSIS). Rilevano che l’identita’ della situazione concreta prima e dopo il contratto del (OMISSIS), e’ riconosciuta anche dal giudice di appello, secondo il Quale formalmente con l’intervento dell’ultimo contratto si sarebbe dovuti pervenire alla restituzione alla societa’ proprietaria, con successiva consegna dell’immobile al nuovo conduttore. Una simile affermazione, nondimeno, si scontra contro il dato fattuale – continuita’ concreta del contratto – unico dato rilevante sotto il profilo penalistico. Invero, il richiamo delle norme regolatrici il contratto di locazione e gli obblighi del locatore (articoli 1575 c.c. e segg.) appare fuorviante, posto che la situazione oggettiva dei locali e’ rimasta immutata dall’effettiva consegna del locale nel (OMISSIS) e le cause dell’incendio sono da ricondursi a tre circostanze di fatto dipendenti clan datore di lavoro: malfunzionamento dell’impianto elettrico, o di componenti di connessione o di un utilizzatore, prossimita’ della scala di accesso al soppalco-dormitorio, ove al momento del fatto si trovava depositata una grande quantita’ di tessuto, altamente infiammabile. Sottolineano che la sentenza impugnata afferma che i ricorrenti avessero conoscenza dell’esistenza della struttura, ma nulla dice intorno alla consapevolezza dei medesimi sull’uso cui il soppalco era adibito. Invero, la presenza dell’installazione non costituiva di per se’ pericolo, questo essendo derivato dall’impiego come dormitorio, tanto che tutti coloro che dormivano al piano terra si erano salvati, mentre la presenza di due operai deceduti al piano terra, senza detriti sotto il corpo, se poteva testimoniare che i due alloggiassero al piano terra, poteva anche voler dire che essi erano riusciti a raggiungere il piano sottostante. Al contrario, la Corte ritiene in modo apodittico che mancasse una via ai fuga per chi alloggiava sul soppalco, salvo poi aggiungere che nella parte finale del capannone vi era una scala che conduceva al piano terra e mancando, in ogni caso, di dare importanza all’ammasso di tessuti, altamente infiammabili, posti ai piedi della scala. Cosicche’ in modo dei tutto congetturale ed illogico la Corte territoriale giunge ad affermare che la colpa degli imputati e’ consistita nell’avere consentito o comunque non impedito l’utilizzo del soppalco, benche’ riconosca che incombeva sul datore di lavoro provvedere al rispetto delle norme antinfortunistiche. Nondimeno, non incombe sul proprietario dell’immobile locato l’obbligo di verificare in modo pressoche’ giornaliero, come sembra intendere la sentenza di appello, se il conduttore rispetti i doveri che gli sono proprii. Rilevano che la sentenza utilizza argomenti congetturai al fine di ribadire la sussistenza di una condotta rimproverabile dei proprietari, facendo riferimento al fatto che l’ipotetico verificarsi dell’incendio in orario lavorativo, per la situazione dei luoghi, non avrebbe comunque consentito a coloro che si trovavano nella parte soppalcata di mettersi in salvo. Cosi’ illogicamente giungendo alla conclusione che la mancanza di adeguate vie di fuga e’ concausa dell’evento e che le macroscopiche violazioni de; autore di lavoro non interrompono il nesso causale. E cio’, senza compiere il doveroso giudizio controfattuale al fine di valutare se in assenza di materiale infiammabile ai piedi della scala, di un utilizzo del soppalco diverso da quello di dormitorio degli opera e dei malfunzionamento dell’impianto elettrico, cause tutte ascrivibili al datore di lavoro, l’evento morte si sarebbe prodotto egualmente. Sostengono che ulteriore elemento di contraddittorieta’ della decisione, che assolve gli imputati dal reato di cui all’articolo 449 c.p., in quanto non accertata la causa di innesco del fuoco (circostanza che non consente di escluderne la natura dolosa), emerge laddove la Corte afferma che non vi e’ certezza sull’esistenza del nesso di causalita’ fra la presenza del soppalco e lo svilupparsi dell’incendio, ma poi conclude in modo diametralmente opposto allorquando valuta nesso di causalita’ fra la condotta ascritta agli imputati, consistita nella consegna di un immobile pericoloso e inidoneo all’uso e l’evento morte. Invero, siffatta condotta non puo’ avere efficacia causale in ordine alla morte di un soggetto e nessuna efficacia causale in relazione alla condizione (incendio) che ha determinato quella morte. Ne’, senza aprire le porte alla responsabilita’ oggettiva, e’ possibile negare l’influenza sotto il profilo della prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento, della mancanza di conoscenza in capo agli imputati dell’ammasso di materiali infiammabili, sostenendo, come fa la Corte, che le condizioni strutturali del capannone, anche in assenza della struttura soppalcata, fossero tali da far ritenere prevedibili le conseguenze nell’ipotesi di necessita’ di rapido allontanamento. Rilevano la mancanza di logicita’ della motivazione nella parte in cui dopo avere richiamato le dichiarazioni di (OMISSIS) secondo cui fu lei stessa a far autonomamente costruire il soppalco nel (OMISSIS), nondimeno, afferma che i ricorrenti dettero l’assenso alla sua costruzione, per poi sostenere che i medesimi lo visionarono approvandolo e continuarono a vederlo nelle loro rare visite. In ogni caso, nessuno degli argomenti utilizzati dalla Corte consente di considerare provata la conoscenza dell’uso del soppalco da parte di (OMISSIS), vasto che, secondo la stessa sentenza, egli fece una sola visita al capannone nel (OMISSIS). Infine, nessun valore probatorio puo’ essere riconosciuto al contenuto nella pen drive sequestrata a (OMISSIS), proprio avuto riguardo a quanto riconosciuto dalla Corte di appello e cioe’ che esso rappresentava la linea difensiva che i due fratelli intendevano adottare.
Con il quarto motivo si dolgono della violazione della legge penale e del vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza, a fini civili, nell’aggravante di cui all’articolo 539 c.p., comma 2, sulla base della considerazione della sua natura oggettiva. Osservano che non essendo stata contestata la cooperazione colposa, ma il concorso di cause indipendenti non puo’ estendersi oggettivamente l’aggravante ad un soggetto diverso da quello che assuma la specifica posizione di garanzia in relazione al rispetto della normativa antinfortunistica. Con ogni conseguenza anche in relazione alla procedibilita’ dell’azione civile nel processo penale proposta da (OMISSIS), a fronte della mancanza di querela.
10. Con quinto motivo fanno valere la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione, sotto il profilo della illogicita’ e della carenza, in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Rilevano che la sentenza richiamando, in sede di determinazione della pena, l’incidenza nella valutazione della gravita’ del fatto dell’aggravante di cui all’articolo 589 c.p., comma 2 e articolo 590 c.p., comma 3, pur ritenuta applicabile solo in sede civile, viola il principio di legalita’, non essendovi stato appello del pubblico ministero sul punto e non potendo, dunque, l’aggravante essere presa in considerazione ne’ per formulare la pena rase, ne’ per negare le circostanze attenuanti generiche.
Deducono la grave erroneita’ della motivazione nella parte in cui, affrontando il grado della colpa, sotto il profilo sanzionatorio, fa riferimento al fatto che abusi come quello accertato nel caso di specie “erano stati riscontrati in altri immobili locati ad imprenditori cinesi senza che gli interventi dell’autorita’ giudiziaria” inducessero gli imputati a rispettare la legge. Sottolineano che il ricorso al “fatto notorio” deve seguire criteri precisi, quali la conoscenza certa e generalizzata, mentre la Corte si riferisce a mere ipotesi riferite a terzi e non agli imputati. Lamentano la duplicazione degli effetti delle circostanze considerate sia in relazione all’individuazione della pena, che rispetto alla negativa valutazione di meritevolezza dell’attenuante di cui all’articolo 62 bis c.p..
11. Con il sesto motivo fanno valere la violazione della legge processuale ed il vizio di motivazione per travisamento della prova, in relazione al valore della procura rilasciata in favore di (OMISSIS) da (OMISSIS), (OMISSIS), rispettivamente moglie e madre di (OMISSIS), al fine di transigere con tutti i possibili responsabili della morte di quest’ultimo, rinunciando a perseguirli penalmente e civilmente, alla luce del risarcimento ricevuto. La procura, infatti, nonostante il diverso avviso della Corte territoriale che ha accolto la richiesta di risarcimento di (OMISSIS), respinta in primo grado, conferisce a (OMISSIS) il potere di rinunciare in proprio ed in nome dei rappresentati.
12. Con il settimo motivo censurano, in quanto immotivata, la decisione della Corte territoriale con cui e’ stato riconosciuto il diritto al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva, sulla base del tempo decorso dal fatto, non potendo rinvenirsi la giustificazione di una simile statuizione nel fatto che le parti civili non avessero ancora ottenuto li risarcimento del danno.
13. Con l’ottavo motivo si dolgono della violazione della legge civile e penale e del vizio di motivazione in relazone all’accoglimento dell’azione di regresso esercitata dall’INAIL, nonche’ delle domande di risarcimento del danno formulate dal Comune di (OMISSIS) e dalle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL. Osservano che rigettando l’appello in ordine alla domanda dell’INAIL, ancora una volta la sentenza fa riferimento all’aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche, i correndo in un grave vizio motivazionale. Sottolineano l’insussistenza di rapporti di garanzia fra i proprietari del bene locato ed i lavoratori, anche in relazione alla mancanza della prova della consapevolezza dei primi dell’uso promiscuo della struttura. Sostengono l’illogicita’ della motivazione posta a fondamento del rigetto dell’appello sulle domande proposte dalle organizzazioni sindacali, proprio per l’assenza di rapporti contrattuali di altra natura con i lavoratori deceduti ed in ragione del fatto che l’incendio e le morti non sono intervenute nel corso dell’orario dl lavoro. Ed infine rileva, con riferimento al riconoscimento del risarcimento a favore del Comune di (OMISSIS), l’erroneita’ della sentenza nella parte in cui afferma che l’opera di vigilanza del Comune sul territorio e sul radicato fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori stranieri ed irregolari sarebbe stata ostacolata dagli imprenditori e dai proprietarii degli immobili locati, che avrebbero consentito all’uso delle strutture come dormitorii, non essendo detta ultima circostanza provata nel caso di specie.
14. (OMISSIS) e (OMISSIS) concludono per l’annullamento, della sentenza impugnata, anche in relazione alle statuizioni civili, con rinvio per nuovo esame.
15. Il responsabile civile (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS) formula sette motivi di ricorso, tutti articolati in piu’ profili.
16. Con il primo fa valere la violazione della legge penale per erronea applicazione dell’articolo 43 c.p., della legge civile, in relazione al disposto dell’articolo 1575 c.c. ed il vizio di motivazione. Rileva che la Corte territoriale nell’argomentare le ragioni della condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili, parte dell’errata considerazione che l’articolo 1575 c.c. introduca una regola cautelare in favore del conduttore del bene immobile locato, che costituisce il locatore come titolare di una posizione di garanzia. Sostiene che il disposto dell’articolo 1575 c.c. ha rilievo meramente civilistico e che, in ogni caso, la responsabilita’ del locatore in ordine alla conformita’ del bene alla destinazione d’uso va esclusa quando la non conformita’ sia nota ed accettata dalla controparte contrattuale, essendo la norma rivolta al mantenimento dell’equilibrio contrattuale. Richiama la giurisprudenza di legittimita’ delle sezioni civili in ordine all’insussistenza di oneri risarcitori a carico del locatore per danni derivanti a terzi, allorquando le modificazioni dell’immobile locato, da cui e’ derivato il danno, siano dipese da abusi del conduttore, nonche’ le pronunce relative agli oneri gravanti sul conduttore per il rilascio delle autorizzazioni amministrative per lo svolgimento negli immobili locati delle attivita’ che il medesimo intende esercitare, con esclusione di ogni obbligo per il locatore. Assume che l’articolo 1575 c. c. non pone in capo al locatore un obbligo di regolarita’ amministrativo sotto il profilo edilizio, salvo che cio’ non sia espressamente previsto dal contratto, ne’ impone obblighi di prevenzione circa l’attivita’ che si svolga nell’immobile e tanto meno obblighi di prevenzione dei rischi inerenti alla sicurezza sul lavoro, che prescindono sempre da eventuali difetti strutturali dell’immobile. Rileva che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, ai fini dell’individuazione della regola cautelare alla stregua della quale valutare la condotta dell’agente non e’ sufficiente fare riferimento a norme che distribuiscano compiti, senza impartire prescrizioni modali, impartite per evitare il verificarsi dell’evento e sottolinea che l’articolo 1575 c.c. non ha siffatto contenuto. Occorre, peraltro, tenere conto delle diverse aree di rischio governate dal proprietario dell’immobile e dal datore di lavoro, non potendo i rischi dell’attivita’ del secondo gravare sul primo, ne’ rientrare nella sfera di governo del primo l’utilizzo improprio del luogo di lavoro da parte del secondo. Deduce l’improprio richiamo da parte della Corte territoriale della disposizione di cui all’articolo 1580 c.c. relativo ai rischi derivanti alla salute dai vizi della cosa locata, che assicura a conduttore la facolta’ di risolvere il contratto, ancorche’ ne abbia avuto conoscenza od abbia rinunciato a rilevarne la sussistenza, posto che la norma opera solo nell’ipotesi di utilizzo del bene conforme alla destinazione d’uso, accompagnato rispetto degli obblighi anche normativi posti a carico del conduttore. Assume, avuto riguardo all’utilizzo del soppalco, che a Corte di appello afferma che la presenza della struttura non ebbe rilevanza quale causa dell’incendio, ma ne riconosce il ruolo causale rispetto al decesso dei lavoratori, in ragione dell’utilizzazione quale dormitorio, ritenendo che, se gli operai non fossero stati addormentati, con probabilita’ che sfiora la certezza, sarebbero riusciti a fuggire. Contraddittoriamente, tuttavia, la Corte in un passo successivo attribuisce rilevanza causale anche alla mancanza di idonee vie di fuga, nonostante quanto ritenuto in precedenza. Sostiene che nessun rimprovero puo’ essere mosso al locatore per l’uso dei soppalco a fini abitativi e che la violazione del disposto dell’allegato IV punto 1.14 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, relativo alle caratteristiche dei dormitori per i lavoratori, originariamente contestata non e’ stata riconosciuta neppure in primo grado e che, comunque, solo il datore di lavoro puo’ essere responsabile della conformita’ dei dormitori alla normativa prevista, in quanto le ipotesi in cui la responsabilita’ inerente alla sicurezza dei lavoratori viene estesa ad altri soggetti sono espressamente previste dal legislatore del Testo Unico sulla sicurezza dei luoghi di lavoro.
17. Con il secondo motivo si duole della violazione della legge penale con riferimento agli articoli 41, 43 e 589 c.p., nonche’ del vizio di motivazione. Ribadendo che sul proprietario dell’immobile non grava alcuna posizione di garanzia in ordine al suo utilizzo da parte del conduttore, lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di configurare nelle gravissime violazioni della disciplina antinfortunistica e di sicurezza dei luoghi di lavoro – anche in relazione alla normativa antincendio, accertate dalla sentenza irrevocabile a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS) – una causa interruttiva del nesso causale fra l’asserita condotta colposa e l’evento. Si tratta, infatti, di cause concorrenti successive ex articolo 41 c.p. a quella imputata a (OMISSIS) e (OMISSIS) – consistente nella contestata locazione di un immobile non conforme all’uso – che rappresentano una causa sopravvenuta interruttiva del nesso causale, in quanto eccentrica all’area di rischio governata dai proprietarii, ma anche una circostanza eccezionale ed abnorme, non essendo prevedibile per gli imputati la condotta posta in essere dall’imprenditore e datore di lavoro nel processo produttivo e nella definizione delle condizioni lavorative ed abitative dei lavoratori.
18. Con il terzo motivo lamenta la violazione della legge penale in relazione agli articoli 43 e 589 c.p. ed il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale fondato giudizio di colpevolezza degli imputati e quindi il relativo obbligo risarcitorio del responsabile civile sulla scorta del principio di precauzione e non sulla prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’evento concreto, cosi’ finendo per fondare l’elemento soggettivo sul mero disvalore dell’azione, anziche’ verificare se fosse prevedibile che dalla consegna di un immobile non idoneo all’uso potesse derivare un fatto lesivo del genere di quello prodottosi. Cioe’ se i proprietari dell’immobile potessero rappresentarsi che, in conseguenza dell’ammasso di materiale infiammabile, dell’utilizzo di impianti elettrici non a norma, dell’uso del soppalco come dormitorio e di tutte le violazioni antinfortunistiche poste in essere dal datore di lavoro, l’immobile avrebbe potuto costituire un impedimento fisico invalicabile per chi intendesse fuggire da un incendio.
19. Con il quarto motivo censura la sentenza impugnata per avere erroneamente applicato l’articolo 83 c.p.p.. Rileva che la societa’ (OMISSIS) s.a.s. (all’epoca) si trova parallelamente coinvolta nel procedimento penale con cui le e’ stato contestato l’illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 1, 5, 6 e 25 septies, in qualita’ di societa’ – benche’ priva di personalita’ giuridica- proprietaria del capannone industriale, in quanto responsabile del reato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione della disciplina antinfortunistica. La pendenza di procedimento penale per autonomo titolo di responsabilita’ comporta i difetto di legittimazione passiva nel presente procedimento, non potendo la societa’ cui e’ ascritta responsabilita’ per fatto proprio, rispondere per responsabilita’ altrui.
20. Con il quinto motivo di ricorso si duole della violazione di legge in relazione all’articolo 59 c.p. ed al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articoli 10 e 11, nonche’ dell’articolo 185 c.p.. Rileva come la sentenza del giudice di appello senza porre la distinzione tra la cooperazione colposa e concorso di condotte colpose indipendenti nella causazione dell’evento, giunge ad estendere – sebbene solo ai fini civilistici – l’aggravante della violazione della normativa antinfortunistica anche ai proprietarii dell’immobile sulla base della natura oggettiva della medesima e della ritenuta “unicita’ del fatto”. E cio’ pur dopo avere ritenuto che l’evento “unico” fu determinato da condotte indipendenti concorrenti nella sua causazione. Assume che nell’ipotesi di concorso di cause indipendenti, non essendovi la consapevolezza dell’altrui partecipazione, connotante invece la cooperazione colposa, manca ogni legame sotto il profilo soggettivo, sicche’ le condotte debbono essere autonomamente valutate, ancorche’ l’evento sia unico (secondo la disciplina dell’articolo 41 c.p.). Come gia’ ritenuto dal primo giudice, dunque, nonostante la natura oggettiva dell’aggravante, la sua estensione e’ impedita dall’assenza della cooperazione colposa, che determina l’inapplicabilita’ dell’articolo 59 c.p., comma 2. Sostiene che da simili premesse debba trarsi l’improcedibilita’ dell’azione penale per il reato di cui all’articolo 590 c.p. posto in essere in danno di (OMISSIS), per difetto di querela, non essendo il medesimo procedibile d’ufficio in assenza dell’aggravante, con il conseguente venir meno della condanna al risarcimento del danno in favore del medesimo. Afferma che l’esclusione dell’aggravante della violazione della normativa antinfortunistica comporta altresi’ l’infondatezza della domanda di regresso introdotta dall’INAIL. Siffatta azione, invero, puo’ essere esercitata solo nei confronti del datore di lavoro o di soggetti che siano legati al lavoratore assicurato nell’ambito de rapporto di lavoro Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, ex articolo 10, comma 2, (altri dipendenti, preposti ecc.), dovendosi, per converso esercitare nei confronti di terzi eventuali responsabili l’azione surrogatoria d cui all’articolo 1916 c.c.. Avendo l’INAIL formulato la costituzione di parte civile nel processo penale in forza dell’esercizio dell’azione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articoli 10 e 11 e cioe’ di una pretesa non configurabile nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), soggetti diversi dal datore di lavoro, estranei alla violazione della normativa antinfortunistica, la condanna non poteva essere pronunciata. Osserva che priva di fondamento, sulla base della non estensibilita’ dell’aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, ritenuta la condanna al risarcimento del danno in favore delle OO.SS., posto che l’eventuale perdita di credibilita’ dell’azione di tutela delle condizioni di lavoro non e’ causalmente connessa con l’azione dei proprietarii dell’immobile.
21. Con il sesto motivo lamenta l’inosservanza della legge penale e della legge processuale penale, con riferimento rispettivamente all’articolo 185 c.p. ed all’articolo 74 c.p.p.. Ricorda che il Comune di (OMISSIS) ha formulato l’azione civile nel processo penale fondando a richiesta di risarcimento sul progetto (OMISSIS), relativo, secondo la documentazione prodotta, all’attivita’ di contrasto alla criminalita’ economica a mezzo di controlli intesi a combattere o sfruttamento della manodopera irregolare, con iniziative di contrasto dei fenomeni di sfruttamento dell’impiego irregolare. Osserva che la Corte territoriale, nel respingere l’appello sul punto, ha ritenuto che il fenomeno dello sfruttamento e’ sostenuto anche da proprietarii dei capannoni che non si fanno scrupolo di locare e consegnare ad imprenditori-sfruttatori immobili inidonei ad ospitare attivita’ produttive, in un’ottica di puro guadagno. Sottolinea che, nondimeno, l’assenza di violazioni di normative sul lavoro ed antinfortunistiche impedisce di riferire ai proprietari degli immobili condizioni di sfruttamento dei lavoratori, con il conseguente venir meno del presupposto della condanna al risarcimento del danno in favore del Comune di (OMISSIS).
22. Con il settimo motivo censura la sentenza impugnata per avere condannato il responsabile civile a pagamento di provvisionaii senza fare riferimento al parametro indicato dall’articolo 539 c.p.p., comma 2, relativo al raggiungimento della prova del danno e del suo ammontare, limitandosi a richiamare la certezza di un sanno rilevante ed il tempo trascorso, criteri estranei alla disposizione che autorizza la condanna. Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
23. Con memoria depositata in cancelleria l’INAIL formula osservazioni relativamente a ciascuna delle doglianze proposte dai ricorrenti, rilevando in particolare che l’immobile era privo dei requisiti di sicurezza, non essendo dotato di idonee vie di fuga e di un sistema antincendio con porte tagliafuoco omologate e valido sistema di tiraggio dell’aria, mentre all’interno dell’immobile era presente un solo idrante utilizzabile, il cui raggio di portata non copriva l’estensione del capannone. L’ente rileva che gli imputati, esperti immobiliaristi, hanno violato le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, locando ad uso artigianale un immobile privo di agibilita’ e senza requisiti minimi imposti per la sicurezza antincendio, contribuendo a creare i presupposti per il verificarsi dell’evento. Osserva che l’azione di regresso puo’ essere esercitata nei confronti degli imputati (e del responsabile civile) gravando sui medesimi un obbligo di sicurezza. Conclude per la reiezione dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi devono trovare accoglimento.
2. Il primo motivo formulato dagli imputati e’ manifestamente infondato.
2.1. E’ sufficiente richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite con cui si e’ chiarito che “La decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non puo’ essere oggetto di ulteriore sindacato. (In motivazione, la Corte ha osservato che il provvedimento adottato dal GiP chiude una fase di carattere endoprocessuale priva di conseguenze rilevanti sui diritti di difesa dell’imputato, salva l’ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi che la richiesta dei rito non e’ stata preceduta da un valido interrogatorio o dall’invito a presentarsi, integrandosi in tal caso la violazione di una norma procedimentale concernente l’intervento dell’imputato, sanzionata di nullita’ a norma dell’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 180 c.p.p.)” (Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, Rv. 260018).
3. Anche il secondo motivo formulato da (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ manifestamente infondato.
3.1. I ricorrenti assumono la violazione delle norme sulla competenza del Tribunale in composizione collegiale e si dolgono del mancato accoglimento dell’eccezione di legittimita’ costituzionale formulata con l’atto di appello che richiamano.
Ora, la doglianza proposta appare priva dei requisiti di specificita’ necessari per procedere al suo vaglio. Mal si comprende, infatti, se essa sia riferita alla mancata condivisione da parte del giudice di seconda cura dell’invocata interpretazione estensiva dell’articolo 33 bis c.p.p., al fine di farvi rientrare anche il reato di cui all’articolo 437 c.p., comma 2, o alla mancata qualificazione dell’articolo 589 c.p., comma 4, come reato autonomo, con conseguente superamento del limite di pena stabilito dall’articolo 33 bis c.p., comma 2, che segna lo scrimine fra la competenza monocratica e quella collegiale, o ad entrambe le censure formulate con il gravame in appello, con separati motivi.
In ogni caso, vale qui ricordare che la determinazione della riserva di collegialita’ e scelta legislativa, operata sulla base di una pluralita’ di criteri (maggiore o minore gravita’ dei reati, individuata in via generale attraverso un criterio quantitativo che tiene conto dell’entita’ della pena” e in via specifica attraverso un’elencazione nominativa di singole fattispecie), non suscettibile di analogia, ne’ censurabile sotto il profilo costituzionale in assenza di un vulnus delle garanzie processuali, neppure efficacemente prospettato in questa sede.
Condivisibile, dunque, appare la motivazione della Corte di appello che, da un lato, rammenta la pacifica qualificazione dell’articolo 589 c.p., comma 4, quale ipotesi di concorso formale di reati, unificati quod poenam, restando escluso che l’ipotesi costituisca fattispecie autonoma (cfr. Sez. 4, n. 20340 del 07/03/2017 – dep. 28/04/2017, Monnet, Rv. 27016701; Sez, 4, n. 36024 del 03/06/2015, P.C. e altro, Del Papa e altro,. Ru. 264408; Sez., n. 35305 del 13/06/2011, Sinuelli, Rv. 251106; Sez. 4, n. 15551 del 24/09/2007 – dep. 15/04/2008, Cuccaro e altri, Rv. 239529), dall’altro, ribadisce che la competenza collegiale e’ stata espressamente riservata a figure particolari di disastro, fra le quali non rientra quella di cui all’articolo 437 c.p., comma 2.
Rilevato che i due reati di cui all’articolo 589 c.p. e articolo 437 c.p., comma 2, non sono espressamente richiamati dall’articolo 33 bis c.p.p., va riaffermato che siffatta disposizione e’ insuscettibile di interpretazione estensiva, in quanto frutto dell’insindacabile discrezionalita’ legislativa in ordine alla determinazione delle attribuzioni dei tribunale in composizione collegiale, che per la loro natura specificamente derogatoria, assumono valore tassativo, impedendo di prefigurare per via esegetica ulteriori riserve di collegialita’ rispetto ad ipotesi di reato non specificamente previste.
4. Non resta, dunque, che respingere l’eccezione.
Esaurita la trattazione dei motivi di carattere processuale, possono essere affrontati le ulteriori censure formulate sia da (OMISSIS) e (OMISSIS), che dal responsabile civile (OMISSIS) s.r.l. (in persona del legale rappresentante (OMISSIS)). I temi introdotti dai ricorrenti si snodano trasversalmente in una pluralita’ di doglianze e vanno pertanto, affrontati per questioni al fine di evitare ripetizioni e sovrapposizioni argomentative.
6. La prima, in ordine logico, riguarda la sussistenza di una posizione di garanzia in capo agli imputati (terzo motivo del ricorso introdotto da (OMISSIS) e (OMISSIS); primo e secondo motivo dell’impugnazione proposta dal responsabile civile), la cui fonte e’ stata rinvenuta dai giudici del merito negli obblighi giuridici scaturenti dal contratto di locazione concluso fra la (OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS) (giudicata separatamente) titolare della (OMISSIS), avente ad oggetto il capannone con destinazione d’uso industriale sito in (OMISSIS).
6.1. Le argomentazioni svolte dalle sentenze, sia di primo che di secondo grado, si articolano su piu’ piani.
La comune premessa del ragionamento riguarda la natura del negozio concluso in data (OMISSIS). Si assume, infatti, che l’accordo in vigore al momento del disastro si sia sostituito a quello stipulato il (OMISSIS) fra la (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.a.s. (attualmente s.r.l.), risolto il (OMISSIS), avendo le parti, previo scioglimento del precedente patto, concluso un nuovo contratto, con cui veniva modificato, riducendolo, il canone di locazione.
Sulla base di questo assunto, la Corte territoriale ha ritenuto che a seguito della risoluzione de primo contratto sia intervenuta “almeno formalmente” la restituzione del bene da parte del conduttore, con conseguente assunzione dell’onere in capo al locatore, in occasione della stipula del nuovo contratto, di “consegnare la cosa in buono stato di manutenzione” e di “mantenerla in stato da servire all’uso convenuto” ex articolo 1575 c.c..
Secondo le sentenze e’ proprio da quest’ultima disposizione che scaturisce la posizione di garanzia del locatore (e quindi degli imputati), trattandosi di norma che, insieme con l’articolo 1578 c.c. e con l’articolo 1580 c.c., definisce il quadro degli obblighi del locatore, consistenti non solo nel consentire il pacifico uso della cosa locata, nel consegnarla e mantenerla in buono stato di manutenzione, ma nell’assicurare che la medesima non sia affetta da vizi tali da attentare alla salute o da diminuirne apprezzabilmente il godimento. Sicche’ l’avere formalmente ri-consegnato, in occasione della conclusione del contratto datato (OMISSIS), un bene inidoneo all’uso convenuto, in quanto contenente l’opera abusiva realizzata dal conduttore e costituita da un soppalco che rendeva promiscuo l’uso del capannone, che per la sua conformazione creava una situazione di pericolo per i lavoratori, implica la violazione dei doveri conseguenti ex lege alla conclusione del contratto, che delineano l’ambito di responsabilita’ del locatore nei confronti del conduttore e da cui origina la posizione di garanzia del locatore.
6.2. Dunque, secondo la decisione impugnata, da un lato, e’ nella disciplina del contratto di locazione che va ricercato l’obbligo violato – consegna della cosa in buono stato locativo – dall’altro, la sussistenza della violazione puo’ affermarsi in quanto, pur essendo l’opera abusiva stata costruita durante la vigenza del precedente contratto ((OMISSIS)), la sua risoluzione avrebbe comportato, quantomeno formalmente, la restituzione del bene e la riconsegna in occasione del nuovo accordo, con assunzione dell’onere in capo al locatore di adempiere al disposto di cui agli articoli 1575 e 1580 c.c.., in relazione alla conformita’ della cosa all’uso consentito ed alla sua non pericolosita’ per la salute.
7. Ora, per affrontare la delicata questione della costituzione in capo al locatore di oneri di sicurezza nei confronti di soggetti utilizzatori della cosa locata deve necessariamente mutuarsi l’aspetto descrittivo delle obbligazioni facenti capo al medesimo dalla normativa codicistica, che distingue fra gli obblighi ed i rimedi contrattuali. I primi, per quanto concerne il locatore, sono stabiliti dall’articolo 1575 c.c. e, fatto salvo il dovere di assicurare il pacifico godimento della cosa, consistono nel dovere di consegnarla e di mantenerla in modo da servire all’uso convenuto. E’ ovvio che nell’obbligo di consegnare la cosa locata in buono stato manutentivo, in modo da servire all’uso convenuto, e’ compreso l’obbligo di garantire che la cosa sia esente da vizi che la rendano inidonea all’uso o che ne diminuiscano il godimento ed ancor prima quello di assicurare che la cosa non sia affetta di vizi tali da renderla pericolosa per la salute.
7. Senza addentrarsi ulteriormente nella materia, affrontando la disponibilita’ delle parti in ordine all’accettazione di vizi od alla limitazione dei rimedi contrattuali per i vizi conosciuti o conoscibili (l’articolo 1578 c.c. consente la risoluzione o la riduzione del corrispettivo solo per il caso di vizi non conosciuti o non facilmente riconoscibili, mentre l’articolo 1579 stabilisce sulle ipotesi di inefficacia del patto di limitazione della responsabilita’ del locatore), e’ sufficiente ricordare che la disciplina che regola l’equilibrio contrattuale consente lo scioglimento del sinallagma anche per vizi noti – e sinanco accettati ed oggetto di specifica pattuizione – qualora essi espongano il conduttore (i familiari) o i dipendenti a rischio per la salute (articolo 1580 c.c.).
8. Questo preambolo e’ indispensabile per introdurre ulteriori precisazioni sulla ripartizione degli oneri fra le parti in ordine alla corrispondenza fra le caratteristiche del bene e l’uso pattuito, anche avuto riguardo alla regolarita’ amministrativa, nonche’ in relazione all’eventuale sussistenza della responsabilita’ dei locatore per le addizioni alla cosa locata, eseguite dal conduttore.
La giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte ha, in plurime occasioni, chiarito che “Nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo” grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attivita’ che egli intende esercitarvi, nonche’ al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative; ne consegue che, ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non e’ configurabile alcuna responsabilita’ per inadempimento a carico del locatore, e cio’ anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche proprie del bene locato. La destinazione particolare dell’immobile, tale da richiedere che lo stesso sia dotato di precise caratteristiche e che attenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento dell’idoneita’ dell’immobile da parte del conduttore” (Cass. Civ.: Sez. 3, Ordinanza n. 14731 del 07/06/2018, Rv. 649048; ed ancora ex multis Sez. 3, Sentenza n. 6123 dei 14/03/2018, Rv. 648416; Sez. 3, Sentenza n. 17985 del 14/08/2014, Rv. 632684, Sez, 5, Sez. 3, Sentenza n. 1735 del 25/01/2011, Rv. 616335; Sentenza n. 13587 del 04/06/2010, Rv. 613335).
Se e’ vero che le conseguenze contrattuali del mancato ottenimento o della mancata richiesta di titoli amministrativi o abilitativi necessarii allo svolgimento nell’immobile locato dell’attivita’ imprenditoriale gravano sul conduttore, dando luogo alla responsabilita’ del locatore solo allorquando sia pattiziamente stabilito, cio’ deve affermarsi anche per la verifica della sussistenza di determinate caratteristiche tecniche dei locali in relazione all’attivita’ da svolgere al loro interno. Infatti, in tal caso, e’ onere della parte conduttrice, consapevole del tipo di attivita’ da esercitare nei locali accertare preventivamente che quell’attivita’ sia compatibile con le strutture dell’edificio e conforme a quanto tecnicamente necessario, ovvero pretendere in contratto specifiche garanzie in proposito dal locatore (cfr. ancora Cass. civ.: Sez. 3, Ordinanza n. 14731 del 07/06/2018, Rv. 649048; Sez, 3, Sentenza n. 13841 del 09/06/2010, Rv. 613270 Sez. 3, Sentenza n, 9019 del 30/04/2005, Rv. 581431).
10. Ora, sebbene la previsione di doveri connessi al contratto derivanti dalla legge o dalla volonta’ delle parti non ne implichi di per se’ la natura cautelare, nondimeno, laddove la prescrizione dell’obbligo contenga una regola comportamentale rivolta all’elisione di un rischio dovra’ ritenersi che il suo contenuto assuma la natura di regola cautelare.
La regolamentazione legale e contrattuale del rapporto negoziale delinea, quindi, la sfera di responsabilita’ del locatore nei confronti della controparte contrattuale e dei soggetti che utilizzano il bene, in ragione dell’uso pattiziamente previsto, e genera in quell’ambito la posizione di garanzia del locatore, potendosi rimettere al medesimo esclusivamente i governo del rischio generato dalla cosa locata, nei limiti nei quali egli deve assicurarne l’utilizzo convenuto, restando esclusi i rischi derivanti dall’attivita’ svolta dai conduttore e permanendo, invece, in capo al locatore il rischio derivante dalla struttura in se’, indipendentemente dal suo utilizzo.
11. A siffatto quadro interpretativo non si sottraggono le addizioni all’immobile effettuate dai conduttore incombendo sempre su quest’ultimo non solo la richiesta dei titoli amministrativi eventualmente necessaria, ma anche le responsabilita’ derivanti dai loro utilizzo o dalla modificazione dell’immobile locato.
12. Tirando le fila del discorso finora svolto va affermato che non possono essere ex lege (ma solo ex contractu) addebitate al locatore le conseguenze dell’inidoneita’ funzionale o della modifica dell’immobile incombendo sul medesimo solo quelle discendenti dal contratto o dalle deficienze strutturali del bene (a mero titolo di esempio: a vetusta’ del tetto, o vizi dei plinti dell’immobile, inidoneita’ di parapetti ecc,) o comunque quelle che costituiscano vizi proprii della cosa tali da porre in pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti (articolo 1580 c.c.) purche’ essi non siano originate dall’attivita’ del conduttore o dalle modificazioni dell’immobile da questi realizzate in corso di contratto.
13. Non sembrano, per verita’, discostarsi dalla ricostruzione sviluppata le premesse del ragionamento della sentenza impugnata. Anche la Corte territoriale, infatti, muove e proprie considerazioni dalla sovrapponibilita’ fra gli obblighi scaturenti dalla locazione, come descritti dagli articoli 1575 c.c. e ss. (siano essi ex lege o ex contractu) e gli obblighi cautelari incombenti sul locatore, che ne definiscono la posizione di garanzia.
13. Ne’ contraddicono siffatta impostazione le sentenze richiamate dalla Corte territoriale che hanno affrontato il tema dell’estensione della posizione di garanzia dei locatore, affermando che gli “obblighi che regolano il rapporto contrattuale, al contempo, delineano l’ambito della responsabilita’ del locatore nei confronti del conduttore” (Sez. 4, n. 4622 del 15/12/2017 – dep. 31/01/2018, Gorini, in motivazione), o che “il proprietario dell’immobile e’ titolare di una posizione di Garanzia derivante dall’articolo 1575 c.c. nella parte in cui prevede l’obbligo di consegnare e mantenere in buono stato di manutenzione la cosa locata” (Sez. 4, n. 35296 del 16/05/2013 dep. 21/08/2013, Ciaffone, Rv. 256341, fattispecie relativa alla caduta da un balcone non protetto da parapetto).
14. Ora, nel caso di specie, e’ pacifico in giudizio che la costruzione del soppalco, adattato a dormitorio dei lavoratori, che ha reso promiscuo l’uso del capannone, vada ascritta a conduttore, che vi ha provveduto sin dal (OMISSIS), cioe’ poco dopo la conclusione dell’originario contratto di locazione.
Parimenti e’ pacifico – e sul punto si trattiene a lungo la prima sentenza, che viene sinteticamente ripresa dalla Corte di appello – che il conduttore-datore di lavoro non sia mai mutato nel corso del tempo. A questo proposito, invero, il giudice di prima cura fa cenno all’intestazione fittizia di “tutte le ditte individuali cinesi succedutesi nel contratto dal mese di gennaio 2008 fino al giorno dell’evento, ognuna delle quali in realta’ riferibile alla stessa amministratrice di fatto, nella persona di (OMISSIS).
Senza meglio approfondire se si sia realizzata una successione di diversi conduttori nel contratto ci locazione, o piu’ propriamente il solo mutamento di denominazione dell’impresa conduttrice, cio’ che importa in questa sede e’ che il contraente ( (OMISSIS)) e’ rimasto il medesimo e che ha proseguito l’attivita’ d’impresa, all’interno del capannone locato, dal (OMISSIS) sino alla data dell’evento, ininterrottamente, modificandone sin da subito la struttura interna.
15. Si tratta di una circostanza rilevante, posto che la decisione qui impugnata fa derivare responsabilita’ degli imputati (in quanto locatori) dal mancato adempimento all’obbligo di consegna del bene in buono stato di manutenzione (pag. 24 della sentenza della Corte di appello), riferendosi ad una restituzione del bene alla societa’ proprietaria intervenuta “almeno formalmente” ed alla “almeno formale consegna del capannone alla societa’ conduttrice”, in occasione della stipulazione del contratto del (OMISSIS).
E’ proprio da questa restituzione-riconsegna fittizia che i giudici del merito, desumono la violazione degli obblighi di cui agli articoli 1575 e 1580 c.c., per avere dato in locazione un bene affetto da un vizio che lo rendeva inidoneo all’uso pattuito e pericoloso per la salute, essendo il soppalco struttura che non consentiva adeguata via di fuga.
16. Ora, anche volendo prescindere da quanto supra ricordato circa l’onere gravante sui scio conduttore dell’immobile destinato ad uso non abitativo di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attivita’. vi e’ che solo l’effettiva restituzione del bene ai sensi dell’articolo 1590 c.c. – conseguente la scadenza naturale del rapporto o il suo scioglimento – avrebbe eventualmente consentito al locatore di adempiere all’obbligo di consegnare nuovamente medesimo bene privo dei vizi derivanti dalla trasformazione dovuta alle addizioni del conduttore, ed in particolare di vizi che ne rendessero l’utilizzo pericoloso per la salute.
Ma, siffatta restituzione non solo non vi e’ stata, ma e’ stata chiaramente esclusa dalle parti contrattuali posto che al contratto del (OMISSIS) (allegato al ricorso degli imputati) con scadenza al (OMISSIS), formalmente risolto il (OMISSIS), e’ seguito in data (OMISSIS) contratto di identico contenuto, con cui si e’ semplicemente prevista la modificazione dell’importo del canone, senza alcuna soluzione di continuita’ nel godimento dell’immobile da parte dei conduttore, fatto quest’ultimo del tutto incontestato.
Cio’ smentisce quanto sostenuto dalla sentenza impugnata perche’ non puo’ certamente ritenersi l’assenza di “collegamento con i rapporti di locazione precedenti” stante la prosecuzione nel godimento dell’immobile e la mera rinegoziazione del canone. (Circostanza questa che rende del tutto superfluo anche il richiamo del costante orientamento di questa Corte di legittimita’, pur evocata dalle difese, secondo cui, in tema di locazione, non e’ sufficiente ad integrare novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione (rimanendo irrilevante la successione di un soggetto ad un altro nel rapporto), che ricorrano gli elementi dell’animus e della causa novandi, che debbono essere accertati dal giudice di merito, cfr. sul punto Sez. 3, Sentenza n. 14620 del 13/06/2017, Rv. 644645; Sez. 3, Sentenza n. 5573 del 09/03/2010, Rv. 511737; Sez. 3, Sentenza n. 11672 del 21/05/2027, Rv. 595711).
Il rapporto di locazione, dunque, sotto il profilo sostanziale e’ certamente proseguito fra le parti, senza alcuna interruzione, sicche’ ricavare, come fanno i giudici del merito, dalla conclusione del contratto datato (OMISSIS) l’obbligo di consegnare al conduttore un bene, dal medesimo gia’ detenuto e del quale egli ha continuato a godere, appare del tutto fuorviante.
17. Se l’area di rischio governabile dal locatore, rispetto alla quale puo’ affermarsi che egli rivesta una posizione di garanzia, e’ quella delineata dagli obblighi a lui facenti capo ai sensi degli articoli 1575 e 1580 c.c. – e cioe’ consegnare in buono stato di manutenzione, privo di vizi che ne determinino la pericolosita’ per il conduttore ed i terzi che lo utilizzino in forza dei contratto, come affermato sopra- aventi natura cautelare in quanto il loro carattere prescrittivo comporta l’elisione di un rischio, e’ solo con l’effettiva consegna del bene che sorge la posizione di garanzia.
Non e’ infatti con l’assunzione dell’obbligo contrattuale di consegnare – quale prestazione che deve essere adempiuta dal locatore ed il cui mancato adempimento comporta il ricorso agli ordinarli rimedi contrattuali – ma con la consegna materiale dei bene che si delinea in capo al locatore il dovere di sicurezza in relazione all’area di rischio dal medesimo governabile e cioe’ in relazione alle caratteristiche strutturali dell’immobile, nei limiti sopra delineati, restando escluse (salvo diversa pattuizione, da cui puo’ scaturire ulteriore obbligo cautelare) sia la sua conformita’ all’attivita’ da svolgervi, che le trasformazioni o addizioni successive apportate dal conduttore.
17.1 Ne’ puo’ ritenersi, come sembrano seppur meno chiaramente sostenere i giudici di merito, che nell’obbligo mantenere la cosa in stato “da servire all’uso convenuto”, vi sia quello di imporre l’eliminazione di manufatti costruiti dai conduttore nel corso del rapporto. L’obbligo previsto dall’articolo 1575 c.c., n. 2), invero, e’ direttamente connesso con quello previsto a suo carico dall’articolo 1575 c.c., n. 1). Esso tende ad assicurare il buono stato di manutenzione della cosa per la durata dei contratto e consiste nel provvedere a tutte le riparazioni necessarie a conservare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della consegna del bene (..cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12085 del 28/11/1998, Rv. 521192), con cui il locatore adempie al proprio obbligo contrattuale. L’articolo 1575 c.c., n. 2), infatti, introduce un obbligo di fare e non di inibire, rispetto al quale residua in capo al locatore, laddove ravvisi una violazione del contratto o della legge, solo il ricorso alla domanda di esatto adempimento (laddove possibile) o alla risoluzione contrattuale, rimedi entrambi inidonei ad attenere l’immediata rimozione di un manufatto e la cessazione della pericolosita’ creata dai conduttore.
18. Dunque, tirando le fila di questo lungo discorso – ricordato ancora una volta che l’onere di verifica della sussistenza delle necessarie caratteristiche tecniche (e quindi antinfortunistiche) dei locali in relazione all’attivita’ da svolgere incombe sul conduttore (cosi’ come l’onere di richieder titoli amministrativi abilitativi alla modifica), salva diversa previsione contrattuale, che parimenti grava su di lui la responsabilita’ per i rischi derivanti da addizioni e trasformazioni effettuate nel corso del rapporto – deve affermarsi che, in assenza dell’effettiva restituzione del bene al locatore, non essendo stato interrotto il godimento della cosa e non essendo quindi il bene rientrato nella sua effettiva disponibilita’, per la sostanziale prosecuzione del rapporto locativo, nessuna posizione di garanzia puo’ individuarsi in capo al locatore in relazione alla pericolosita’ della situazione creatasi all’interno del capannone, a causa della costruzione da parte dei conduttore del manufatto (soppalco) utilizzato quale dormitorio che non consentiva un rapido accesso alle vie di fuga, non gravando sul primo il governo del relativo rischio.
19. Va ulteriormente aggiunto che del tutto indifferente e’ la circostanza che gli imputati avessero o no conoscenza dell’addizione alla cosa locata costituita dalla struttura costruita dal conduttore, posto che l’eventuale consapevolezza di una violazione antinfortunistica posta in essere dall’imprenditore che conduce in locazione l’immobile non estende al locatore alcuno degli obblighi proprii del datore di lavoro, in assenza dei poteri a lui facenti capo, rimanendo a carico del locatore solo quel derivanti dalla legge o dal contratto in forza del rapporto di locazione, come fin qui delineati.
20. La conseguenza dell’assenza di un onere di sicurezza imposto ai locatore di un immobile ad uso non abitativo in relazione all’attivita’ svolta al suo interno ed alla conformita’ alle norme antinfortunistiche della struttura modificata, nei corso de rapporto, dal conduttore, non puo’ che essere l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche’ il fatto non sussiste.
21. Restano assorbiti tutti gli altri motivi formulati con i ricorsi.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non sussiste.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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