Processo amministrativo ed azione di risarcimento danni

Consiglio di Stato,Sentenza|20 agosto 2021| n. 5963.

Processo amministrativo ed azione di risarcimento danni.

Ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell’Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

Sentenza|20 agosto 2021| n. 5963. Processo amministrativo ed azione di risarcimento danni

Data udienza 8 luglio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Tutela dell’ambiente – Discarica di rifiuti – Autorizzazione unica – Processo amministrativo – Azione di risarcimento danni – Presupposti per l’accoglimento – Illegittimità del provvedimento amministrativo – Non è sufficienza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4388 del 2016, proposto dalla Me. B1 Società consortile a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Mi. Re. D’A., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
la Regione Lazio, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Te. Ch. e St. Ri., con domicilio ex lege in Roma, via (…),
nei confronti
della società Im. Sa. Vi. a r.l., non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio Sezione Prima n. 13052/2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il consigliere Alessandro Verrico e uditi per le parti gli avvocati Mi. Re. D’A. e Te. Ch.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Processo amministrativo ed azione di risarcimento danni

FATTO e DIRITTO

1. Nelle date del 16 maggio e del 19 maggio 2008, la società Me. B1, con riferimento ad un’area sita al km (omissis) della Strada Provinciale (omissis) in località (omissis), otteneva dal Commissario delegato per l’emergenza ambientale del territorio della Regione Lazio le autorizzazioni uniche ex art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i. di cui al decreto n. 20 del 16 maggio 2008, per la realizzazione di una discarica per rifiuti inerti, ed al decreto n. 21 del 19 maggio 2008, per la realizzazione di un recupero ambientale e annesso impianto di messa in riserva. Le autorizzazioni venivano rilasciate sul presupposto della pronuncia di compatibilità ambientale resa dalla Regione Lazio in data 23 novembre 2006 sul progetto relativo all’area della ex cava.
1.1. In virtù di dette autorizzazioni, la società provvedeva a realizzare le strutture e gli impianti necessari per la gestione delle due aree autorizzate (discarica e area di recupero e messa in riserva), che in seguito venivano collaudate dalla Regione Lazio.
1.2. Con nota del 19 maggio 2011 prot. 96692DB/04/13, la Regione Lazio chiedeva alla società Me. B1 la costituzione delle garanzie finanziarie previste per l’avvio delle attività autorizzate dalla legge ed evidenziava come l’area destinata a recupero ambientale di cui alla autorizzazione n. 21/2008 del 19 maggio 2008, alla luce della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. III, n. 3810 del 23 dicembre 2009, avrebbe dovuto ritenersi soggetta alla disciplina di cui all’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117 del 30 maggio 2008, secondo cui: “l’area dovrà conformarsi alle disposizioni del medesimo decreto, diventando anch’esso un sito di discarica”.

 

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1.3. In seguito, con la nota del 20 settembre 2011 prot. 167758DB/04/13, la Regione Lazio richiedeva l’integrazione delle polizze fideiussorie trasmesse dalla società con la nota del 4 agosto 2011 e ribadiva come, ai sensi della citata sentenza del T.a.r. Veneto n. 3810/2009, il recupero ambientale doveva ritenersi soggetto alla disciplina di cui al citato art. 10, comma 3, precisando che “l’area trattandosi di un ex cava dovrà conformarsi alle disposizioni del medesimo decreto, diventando anch’esso un sito di discarica, allo stesso modo dell’area autorizzata con il decreto commissariale n. 20/2008 (operazione D1)”. Pertanto, la Regione Lazio chiedeva la presentazione di un “progetto di adeguamento in discarica (operazione D1) del sito eventualmente adibito a recupero ambientale, ai sensi del d.lgs. n. 36/2003”, affermando che “il decreto commissariale n. 21/2008 è da considerarsi sospeso in attesa dell’adeguamento richiesto”.
1.4. La società Me. B1, con nota del 7 ottobre 2011, inviava alla Regione Lazio le appendici di polizza richieste e, con nota del 22 dicembre 2011, trasmetteva ad essa, come richiesto, un nuovo progetto.
1.5. Tuttavia, con nota del 20 febbraio 2012, la Regione Lazio rilevava che il progetto di adeguamento relativo alla porzione di cava destinata a recupero ambientale, prevedendo due nuovi codici (codice CER 01.05.99 e codice CER 17.01.01) rispetto agli originari tre codici CER (17.01.07, 17.05.04 e 17.09.04), configurava una variante sostanziale al progetto, con ciò determinando la necessità di avviare un nuovo procedimento per nulla osta dell’area VIA, ulteriore rispetto a quello già concluso nel novembre 2006, prima del rilascio del decreto autorizzativo n. 21/2008.
2. Successivamente, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare adottava il parere prot. n. 805 del 2 febbraio 2015, avente ad oggetto “regime applicativo dell’art. 10, comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117”, inviandolo a tutte le Regioni, con cui precisava che: “…i riempimenti dei vuoti di estrazione ai fini del ripristino ambientale effettuati utilizzando dei rifiuti in sostituzione di materie prime, laddove i primi abbiano le caratteristiche idonee a sostituire queste ultime senza che ciò sia causa di un aumento degli impatti sulla salute e sull’ambiente, non costituiscono attività di smaltimento di rifiuti, ma operazioni di recupero, e pertanto non sono sottoposti alle previsioni della direttiva sulle discariche, bensì a quelle delle direttive 2008/98/CE e 2006/21/CE”.
2.1. La struttura competente della Regione Lazio, al fine di adeguarsi al suddetto parere, adottava quindi la nota prot. n. 210836 del 16 aprile 2015, con la quale riteneva che, alla luce dei chiarimenti ministeriali sull’interpretazione dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117/2008, fosse “superato” quanto indicato nella nota prot. n. 96692 del 19 maggio 2011 relativamente all’area di recupero ambientale, di cui al decreto n. 21/2008, ovvero relativamente alla necessità di trasformarlo in discarica ai sensi del d.lgs. n. 36/2003.
2.2. Con successiva nota prot. n. 269385 del 7 luglio 2015, la Regione Lazio confermava pertanto la validità del decreto n. 21/2008, preannunciando l’archiviazione delle suddette domande di variante presentate dalla società .

 

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3. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Lazio, sede di Roma (r.g. n. 3471/2012), la Società consortile a r.l. Me. B1 impugnava:
i) la nota della Regione Lazio, Dipartimento programmazione economica e sociale, Direzione regionale attività produttive e rifiuti, Area 13 – Ciclo integrato dei rifiuti, prot. 31783 DB/04/13 del 20 febbraio 2012, recante “Me. B1 S.c.a.r.l. – Determinazioni n. 20/2008 e 21/2003 e s.m.i. – Impianto di recupero ambientale e annesso impianto di messa a riserva e discarica per inerti siti in S.P. (omissis), località (omissis) – (omissis), comune di Roma. Risposta nota prot n. RUA/ca/48.01/01.01/del 21/12/2011 – Progetto discarica per inerti”;
ii) la nota della Regione Lazio, Dipartimento programmazione economica e sociale, Direzione regionale attività produttive e rifiuti, Area 13 – Ciclo integrato dei rifiuti, prot. 167758 DB/04/13 del 20 settembre 2011, con cui, oltre a richiedere l’integrazione delle polizze presentate, l’Amministrazione regionale richiedeva alla società di “presentare un progetto di adeguamento a discarica (operazione DI) dei sito, attualmente adibito al recupero ambientale, ai sensi del D.Lgs. 36/2003” e considerava, pertanto, il decreto commissariale n. 21/2008 “sospeso in attesa dell’adeguamento richiesto”;
iii) la nota della Regione Lazio, Dipartimento programmazione economica e sociale, Direzione regionale attività produttive e rifiuti, Area 13 – Ciclo integrato dei rifiuti, prot. 96692 DB/04/13 del 19 maggio 2011, con cui, con riferimento alle autorizzazioni in essere e, in particolare, al decreto commissariale n. 21 del 16 maggio 2008 relativo all’area dedicata al recupero ambientale, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117 del 30 maggio 2008, veniva precisato che “il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotte dall’attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione… è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, relativo alle discariche dei rifiuti” e, pertanto, che “l’area dovrà conformarsi alle disposizioni del medesimo decreto, diventando anch’esso un sito di discarica”.

 

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La società ricorrente agiva altresì per la declaratoria dell’illegittimità del comportamento tenuto dall’Amministrazione, in ordine all’adozione del provvedimento impugnato, nonché della piena validità ed efficacia dell’autorizzazione di cui al decreto n. 21/2008, nonché per la condanna dell’Amministrazione regionale al risarcimento del danno subito e subendo dalla ricorrente in relazione al comportamento dalla stessa tenuto e dei provvedimenti illegittimi dalla stessa adottati.
2.1. Nel giudizio di primo grado si è altresì costituita la società Im. Sa. Vi. a r.l., proprietaria delle aree su cui erano state realizzate la discarica ed il piano di recupero ambientale oggetto delle autorizzazioni uniche, in favore della quale venivano volturate (con determinazione della Regione Lazio n. G05097 del 28 aprile 2015 – per l’autorizzazione unica n. 20/2008 – e con determinazione della Regione Lazio n. G05283 del 30 aprile 2015 – per l’autorizzazione unica n. 21/2008) le citate autorizzazioni sospese dalla Regione Lazio.
3. Il T.a.r. Lazio, sede di Roma, Sezione I-ter, con la sentenza n. 13052 del 18 novembre 2015, accoglieva in parte il ricorso e compensava le spese di giudizio tra le parti. Il Tribunale, in particolare:
a) riteneva infondate le preliminari eccezioni di:
a.1) tardività del ricorso rispetto all’impugnazione delle note del 19 maggio 2011 prot. n. 96692 e del 20 settembre 2011 prot. n. 167758, atteso che solo con la nota del 20 febbraio 2012, la società ricorrente aveva avuto piena consapevolezza che le precedenti due note del 2011 avrebbero dovuto essere intese nel senso che l’Amministrazione regionale intendeva imporre (in relazione all’autorizzazione unica precedentemente rilasciata, oggetto del decreto n. 21/2008) l’esecuzione di interventi finalizzati a trasformare l’area di recupero ambientale in una vera e propria discarica, pur mantenendo la destinazione della stessa a recupero ambientale;
a.2) improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere, asseritamente dovuta al fatto che la competente struttura regionale, a seguito della ricezione del parere del Ministero dell’ambiente prot. n. 805 del 2 febbraio 2015 (avente ad oggetto “regime applicativo dell’art. 10, comma 3, del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117”), adottava la nota prot. n. 210836 del 16 aprile 2015, determinando (secondo parte resistente) un nuovo assetto di interessi, considerato che la Regione Lazio non avrebbe formalmente annullato in via di autotutela gli atti impugnati e, comunque, non sarebbe venuto meno l’interesse di parte ricorrente a vedere giudicata la domanda risarcitoria;

 

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b) riteneva fondate le censure mosse da parte ricorrente avverso gli atti impugnati, pertanto da ritenersi annullati, a meno di non volerli ritenere annullati d’ufficio a seguito dell’adozione della nota regionale del 16 aprile 2015 (con cui la Regione riteneva “superata” la nota del 19 maggio 2011), alla luce del parere n. 805 del 2 febbraio 2015 con cui il Ministero dell’ambiente aveva rappresentato l’impossibilita di applicare ai “recuperi” l’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117/2008, avuto riguardo a quanto stabilito dall’art. 3, comma 2, della direttiva 1999/31/CE, il quale esclude dalla sua applicazione “l’uso di rifiuti inerti idonei in lavori di accrescimento/ricostruzione e riempimento o ai fini di costruzione nelle discariche” dalla corretta interpretazione dello stesso articolo 10;
c) riteneva infondata la domanda risarcitoria per carenza dell’elemento soggettivo della colpa, rilevando al riguardo quanto espresso dal Ministero dell’ambiente nel citato parere in ordine all’emersione, con riferimento all’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117/2008, di apprezzabili complessità interpretative, che avevano peraltro comportato un’applicazione disomogenea della norma sul territorio nazionale.
4. La società originaria ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le seguenti censure in tal modo rubricate:
i) “Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 104/2010. Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione del principio di irretroattività delle norme di cui all’art. 7 della CEDU, all’art. 25, comma 2 della Costituzione ed all’art. 11 delle preleggi approvate con RD 16 marzo 1942 n. 262, anche in relazione all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (recante il principio di legalità ) e del principio generale del tempus regit actum. Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del d.legs. n. 117 del 30 maggio 2008. Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dei principi giurisprudenziali sull’errore scusabile”;
ii) “Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del D. Legs. n. 104/2010, dell’art. 10 del D. Legs. n. 117 del 30 maggio 2008 e del D. Legs. n. 36/2003 anche in relazione all’istituto del recupero ambientale così come definito dalla direttiva 2008/98 e dall’art. 183 del D. Legs. n. 152/2008. Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dei principi giurisprudenziali sull’errore scusabile”;

 

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iii) “Erroneità ed inopportunità della sentenza laddove non ha considerato anche in concreto la natura delle strutture realizzate in virtù della autorizzazione illegittimamente sospesa (decreto n. 21 del 19 maggio 2008), da cui deriva la palese assenza di giustificazione tecnica rispetto ai provvedimenti illegittimi, anche in relazione al principio generale di precauzione. Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione dell’art. 10 del D. Legs. n. 117 del 30 maggio 2008, del D. Legs. n. 36/2003 anche in relazione all’istituto del recupero ambientale così come definito dalla direttiva 2008/98 e dall’art. 183 del D. Legs. n. 152/2008”;
iv) “Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del D. Legs. n. 104/2010 in relazione agli artt. 2727 e 2729, comma 1, del codice civile. Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione, dell’art. 1 della legge n. 241/1990 anche in relazione ai principi di buona fede e correttezza e del neminem laedere di cui al codice civile ed all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (diritto ad una buona amministrazione). Erroneità della sentenza laddove non ha considerato come con i provvedimenti impugnati la Regione Lazio non si è limitata a sospendere illegittimamente sine die i titoli autorizzatori già rilasciati, ma ha imposto alla società ricorrente un oneroso facere (consistente nella trasformazione tecnica dell’area di recupero in discarica), in parte già eseguito dalla ricorrente con la esecuzione di una onerosa attività di progettazione. Erroneità ed inopportunità della sentenza per violazione e falsa applicazione dei principi sull’errore scusabile”;
v) “Erroneità ed inopportunità della sentenza per non aver accolto la domanda risarcitoria e condannato la Regione Lazio al risarcimento del danno come di seguito esposto”.
Infine, l’appellante ha chiesto di sollevare le seguenti questioni pregiudiziali di conformità al diritto comunitario e di costituzionalità :
a) “Questione ex art. 267 TUCE con riferimento alla interpretazione degli artt. 5 comma 4 del TUE (principio di proporzionalità ) ed agli artt. 101-102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Regole di concorrenza) ed artt. 13 e 6 della CEDU (diritto ad un ricorso effettivo e diritto ad un processo equo) anche in relazione agli art. 21, 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (recanti, rispettivamente, il principio di non discriminazione, il diritto ad una buona amministrazione ed il diritto ad un ricorso effettivo), nonché, infine, in relazione alla direttiva 2006/123/CE relativa ai Servizi nel mercato interno, con specifico riferimento agli artt. 1 (Oggetto), 16 (Libera prestazione dei servizi) e 20 (Non discriminazione)”;

 

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b) “Questione di legittimità costituzionale della disciplina di cui all’art. 30 comma 3 del D. Legs. n. 104/2010, così come interpretato dal TAR Lazio, rispetto agli artt. 24 e 97 della Costituzione, anche in relazione all’art. 1 del D. Legs. n. 104/2010 ed in relazione agli artt. 13, 6 e 14 della CEDU (recanti rispettivamente il diritto ad un ricorso effettivo, il diritto ad un processo equo ed il divieto di discriminazione), nonché in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (diritto a un ricorso effettivo)”.
4.1. Si è costituita in giudizio la Regione Lazio.
4.2. Con memoria difensiva depositata in data 7 giugno 2021 la società Me. B1 ha ribadito le difese già esposte nell’atto di appello.
4.3. La Regione Lazio, depositando memoria difensiva in data 7 giugno 2021, si è opposta all’appello chiedendone l’integrale rigetto, sulla base delle seguenti deduzioni (relative rispettivamente ai motivi di appello sopra menzionati):
a) tanto la direttiva 2006/21/CE quanto il d.lgs. di recepimento n. 117/2008 hanno previsto che la direttiva 1999/31/CE, recepita in Italia dal d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, sulle discariche di rifiuti, debba continuarsi ad applicare ai rifiuti non derivanti da attività di estrazione utilizzati per riempire i vuoti di miniera;
b) con il parere del 2 febbraio 2015 il Ministero dell’ambiente, nel fornire una interpretazione univoca dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117/2008 (pervenuta in seguito alla convocazione di un tavolo tecnico con tutte le Regioni finalizzato a superare le difficoltà applicative manifestatesi su tutto il territorio nazionale) ha convenuto che, dal tenore letterale della norma, sembrerebbe che ogni attività di riempimento dei vuoti di estrazione, mediante rifiuti diversi da quelli estrattivi, rientri nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 36/2003, ovvero delle disposizioni in materia di discariche, diversamente da quanto invece previsto dal d.lgs. n. 152/2006, che autorizza le attività di riempimento come operazioni di recupero di rifiuti; dimostrazione delle difficoltà interpretative della previsione normative deriverebbero inoltre da quanto espresso dal Ministero dell’ambiente nella nota del maggio 2012 richiamata dall’ente appellato, dal contenuto della d.G.R. della Regione Lazio n. 34 del 26 gennaio 2012 e dalla avvenuta sottoposizione di questione pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato con la ordinanza n. 1382 del 17 marzo 2015 (giudizio definito con la sentenza n. 4690 del 1° settembre 2017) e dalla conseguenziale pronuncia della Corte di Giustizia del 28 luglio 2016;
c) il dettato letterale dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117/2008 ha indotto la Regione a ritenere che l’area, inizialmente autorizzata come recupero ambientale, avrebbe dovuto conformarsi alla disciplina delle discariche, di cui al d.lgs. n. 36/2003, non essendo possibile prevedere deroghe al riguardo, peraltro non rilevando il principio di precauzione, dovendosi conformare, alla luce della interpretazione letterale della norma, al d.lgs. n. 36/2003;

 

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d) in relazione ai due provvedimenti autorizzativi in esame, va considerato che le necessarie garanzie finanziarie per attivare gli impianti pervenivano circa seicento giorni dopo la presa d’atto dei collaudi e che la Regione, relativamente al decreto n. 21, rilevava la necessità di conformarsi al d.lgs. n. 36/2003 alla luce della sentenza del T.a.r. Veneto, Sez. III, n. 3810 del 23 dicembre 2009 sull’argomento, visto anche che nell’area di recupero ambientale non era stato ancora conferito alcun rifiuto e dunque era ancora possibile la trasformazione del sito, realizzando i presidi ambientali relativi ad una discarica.
Con riferimento alla quinta censura, la Regione ha inoltre contestato le singole voci di danno come dedotte e dimostrate dall’appellante.
3.2. Con memoria difensiva depositata il 17 giugno 2021 l’appellante ha replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle censure dedotte, in particolare rilevando:
a) l’inapplicabilità alla fattispecie, sia ratione temporis che ratione materiae, dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 117/2008;
b) che il Ministero dell’ambiente, con il citato parere, non introduceva alcuna nuova interpretazione della normativa vigente, limitandosi a confermare la tesi della ricorrente;
c) l’inconferenza della citazione della sentenza n. 4690 del 2017 del Consiglio di Stato effettuata dalla Regione, avendo essa ad oggetto una autorizzazione richiesta dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 117/2008.
4. All’udienza dell’8 luglio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
6. Con il primo motivo l’appellante sostiene che la pronuncia sarebbe gravemente erronea laddove attribuisce al parere del Ministero il valore di prova dell’errore scusabile in ordine alla interpretazione dell’art. 10 del d.lgs. 30 maggio 2008, n. 117, senza considerare che tale norma, pubblicata sulla G.U. n. 152 del 7 luglio 2008 ed entrata in vigore quindici giorni dopo, non era applicabile ad una autorizzazione rilasciata due mesi prima.
6.1. Con la seconda censura l’appellante lamenta l’erroneità dell’impugnata pronuncia nell’aver ritenuto sussistente l’errore scusabile della Regione Lazio esclusivamente sulla base del contenuto del citato parere del Ministero dell’ambiente, in assenza di prova da parte dell’Amministrazione e a fronte di un quadro normativo del tutto chiaro. A tale ultimo riguardo e al fine di chiarire la peculiarità del recupero ambientale rispetto alla nozione di discarica, l’appellante richiama le previsioni della direttiva 2008/98 e del relativo allegato II, dell’art. 183, comma 1, lett. t), del d.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 5 del d.m. 5 febbraio 1998, alla stregua delle quali risulterebbe irragionevole e confliggente con il principio di proporzionalità un’interpretazione normativa dell’art. 10 del d.lgs. n. 157/2008 che sottoponesse il recupero ambientale alla stringente disciplina normativa e tecnica prevista per le discariche. Inoltre, ad avviso della società non sarebbero neanche configurabili “contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma” idonei a dimostrare l’errore scusabile dell’Amministrazione, atteso che il precedente citato dalla Regione Lazio negli atti impugnati, ossia la sentenza del T.a.r. Veneto n. 3810 del 23 dicembre 2009, costituirebbe solo un isolato precedente giurisprudenziale avente ad oggetto una fattispecie completamente diversa da quella in esame.

 

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6.2. Con il terzo motivo di appello si evidenzia che il primo giudice non avrebbe correttamente valutato, per un verso, la natura della autorizzazione unica illegittimamente sospesa, relativa ad un piano di recupero ambientale, realizzato nel rigoroso rispetto di tutte le norme tecniche e giuridiche vigenti, anche in relazione al principio di precauzione, per altro verso, la palese sproporzionalità delle misure che i provvedimenti impugnati hanno inteso imporre proprio rispetto alla natura ed alle caratteristiche del piano di recupero ambientale autorizzato.
6.3. Con una quarta censura l’appellante sostiene che la sentenza impugnata sarebbe erronea per non aver rilevato come la riconosciuta illegittimità dei provvedimenti impugnati, per la gravità sostanziale delle norme violate, costituiva senza dubbio presunzione e prova della colpa dell’apparato amministrativo e per non aver considerato la grave scorrettezza del comportamento tenuto dall’Amministrazione regionale comportatasi in modo palesemente confliggente con la disciplina normativa di riferimento ed i principi generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1366 e 1375 del codice civile. Peraltro, il favore dimostrato dal legislatore per lo smaltimento dei materiali derivanti dallo scavo realizzato dalle imprese di costruzioni ai fini della realizzazione dell’opera pubblica ovvero di rilevanza pubblica (cfr. artt. 186, comma 7-ter, e 266, comma 7, del d.lgs. n. 152/2006; artt. 1, lett. b), e 4 del d.m. Ministero dell’ambiente del 10 agosto 2012, n. 161; art. 41-bis della l. 9 agosto 2013, n. 98) attesterebbe ulteriormente l’illogicità e la sproporzionalità dei provvedimenti impugnati, tesi ad imporre ad un recupero ambientale già autorizzato l’applicazione di una disciplina tecnica riferita alle discariche, senza in alcun modo considerare la natura dei materiali di scavo oggetto del recupero e la loro provenienza specifica.
6.4. Con il quinto motivo di appello la società Me. B1 ha infine riproposto la propria domanda al risarcimento dei danni derivanti dal comportamento illegittimo della Regione Lazio, a suo avviso, da individuare, in primo luogo, nel danno consistente nella spesa inutilmente sostenuta per la realizzazione degli impianti e delle strutture che non sono stati mai utilizzati per l’attività oggetto dello scopo sociale della ricorrente e che non potranno dalla stessa essere più utilizzati alla luce della intervenuta ultimazione dei lavori (pari ad euro 1.796.541,06) e, in secondo luogo, nel danno consistente negli oneri che la società ricorrente è stata costretta a sostenere per svolgere una progettazione non necessaria imposta illegittimamente dalla Regione, per mantenere le opere e conservare l’investimento, nonché per pagare nel tempo le polizze previste dalla legge, pur non potendo utilizzare le strutture realizzate (pari ad euro 174.460,32).
6.5. Come accennato sopra, l’appellante ha infine chiesto di sollevare questione di pregiudizialità comunitaria dinanzi alla Corte di Giustizia ovvero questione di legittimità costituzionale, con riferimento all’art. 30 del d.lgs. n. 104 del 2010 siccome interpretato dal primo giudice con la sentenza impugnata quindi nel senso di imporre al privato danneggiato dalla attività provvedimentale illegittima della pubblica amministrazione la prova definita “diabolica” della configurabilità di una colpa in capo alla stessa pubblica amministrazione, in quanto:
a) per un verso, risulterebbe in contrasto con le norme ed i principi della comunità europea in ordine alla effettività della tutela giurisdizionale ed al divieto di discriminazione rispetto agli altri stati dell’Unione Europea, comportando infatti l’effetto di rendere sostanzialmente sempre impossibile il conseguimento del diritto al risarcimento del danno per la estrema difficoltà di provare la configurabilità di una colpa in capo all’amministrazione che ha adottato i provvedimenti illegittimi;

 

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b) per altro verso, risulterebbe contrastante con il principio generale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 24 della Costituzione ed all’art. 1 del d.lgs. n. 104/2010.
7. Le censure, che in quanto strettamente connesse possono essere esaminate congiuntamente, non sono meritevoli di accoglimento.
Non essendo stati impugnati, devono ritenersi passati in cosa giudicata i capi della sentenza di primo grado attinenti alle eccezioni preliminari di tardività e improcedibilità del ricorso, dal T.a.r. ritenute infondate, ed alla illegittimità degli atti impugnati, dovendosi conseguentemente concentrare l’oggetto del presente giudizio di appello sulla pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria per carenza dell’elemento soggettivo della colpa.
8. A tale ultimo riguardo, il Collegio ritiene del tutto condivisibile l’avviso del primo giudice, il quale, pur annullando gli atti impugnati in primo grado, ha escluso il presupposto della colpa della pubblica amministrazione necessario per l’accoglimento della domanda risarcitoria.
Risulta infatti innegabile che con l’entrata in vigore dell’articolo 10 del d.lgs. 30 maggio 2008, n. 112, si era venuta a creare una situazione di incertezza normativa in relazione agli impianti di messa in riserva autorizzati in siti ex cave ai sensi delle norme del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, al punto da necessitare – oltre che di chiarimenti interpretativi da parte delle stesse istituzioni europee, trattandosi di norme attuative della direttiva 2006/21/UE – dapprima dell’intervento interpretativo del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, espressamente indirizzato a tutte le Regioni e preceduto da intense consultazioni con le stesse al fine di chiarire in via generale il rapporto tra la nuova disposizione sopravvenuta e le norme del d.lgs. n. 152/2006, e quindi di ulteriori interventi chiarificatori della giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2017, n. 4690, che ha superato l’iniziale interpretazione del T.a.r. del Veneto su cui si basavano i provvedimenti impugnati).
8.1. In particolare, il dibattito sviluppatosi sull’intero territorio nazionale in ordine alla corretta applicazione del citato art. 10, comma 3, è ampiamente dimostrativo dell’incertezza interpretativa che ha interessato le amministrazioni fino alla adozione del citato parere del Ministero dell’ambiente, in tal modo potendo ritenersi integrato l’errore scusabile, tale da far escludere l’elemento soggettivo dell’illecito.
Invero, alla luce degli atti del giudizio e dell’analisi del dibattito giurisprudenziale relativo alla questione, in questo senso depongono una serie di elementi, ravvisabili:
a) in primo luogo sul piano nazionale, nella richiesta di interpretazione formulata dalla Regione Marche, in qualità di capofila della Commissione interregionale “Attività produttive”, nella conseguente nota del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del maggio 2012 a tale Regione indirizzata (nella quale puntualmente il Ministero indicava “una disomogeneità nell’applicazione di tale articolo” e “l’incertezza interpretativa” quale causa del “blocco da parte della maggioranza delle Regioni delle autorizzazioni già rilasciate alle operazioni di recupero ambientale, del rilascio di nuove autorizzazioni ed all’invio di numerosi quesiti relativi alla corretta interpretazione del suddetto articolo in relazione alle procedure del DM febbraio 98”) e nella convocazione di un tavolo tecnico con tutte le Regioni (AE/03/2011 – “Tavolo tecnico per le problematiche derivanti dall’applicazione del decreto legislativo n. 117/2008” istituito dal Ministero dell’ambiente congiuntamente al Ministero dello sviluppo economico);

 

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b) in sede eurounitaria nell’interpello avanzato dal Ministero dell’ambiente nei confronti dell’apposito helpdesk istituito presso la Commissione europea per l’implementazione della legislazione europea ed in particolare del regolamento sulle spedizione di rifiuti (CE 1013/2006) ed in un quesito posto sulla medesima materia da un soggetto privato alla Commissione Europea, la quale forniva successiva risposta in data 12 febbraio 2013;
c) nella giurisprudenza nazionale, dal momento che il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 1382 del 17 marzo 2015, sollevava la questione pregiudiziale del seguente tenore: “Se l’art. 10, par. 2, della direttiva comunitaria 2006/21/CE si debba interpretare nel senso che l’attività di riempimento della cava – qualora sia posta in essere mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione – debba sempre soggiacere alla normativa in materia di rifiuti contenuta nella direttiva 1999/31/CE anche nel caso in cui non si tratti di operazioni di smaltimento rifiuti, ma di recupero”. Ad essa faceva seguito la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 28 luglio 2016, con cui veniva affermato che: “L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2006/21/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE deve essere interpretato nel senso che esso non produce l’effetto di assoggettare alla prescrizioni della direttiva 1999/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti, l’operazione di riempimento di una cava mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione nel caso in cui tale operazione costituisca un recupero di tali rifiuti, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare”. Pertanto, come richiamato dallo stesso Consiglio di Stato (Sez. V, 10 ottobre 2017, n. 4690), la Corte di Giustizia statuiva che l’attività di riempimento di una cava non è sottoposta alla normativa prevista per le discariche di cui alla direttiva 1999/31/CE ed alla relativa legge italiana di attuazione di cui al d.lgs. n. 36/2003 (oggi art. 208, d.lgs. n. 152/2006) ove sia preordinata al mero recupero ambientale e condotta con i materiali previsti per il recupero stesso, circostanze che il giudice del rinvio è chiamato a verificare.
8.2. In conclusione, risulta quindi oggettivamente impossibile ravvisare gli estremi della colpa nella condotta dell’Amministrazione regionale a fronte di un quadro normativo così poco chiaro da necessitare di siffatti interventi interpretativi. Né, d’altro canto, per i medesimi motivi risulta irragionevole l’interpretazione normativa dell’art. 10 del d.lgs. n. 157/2008 fornita, in un momento anteriore alla descritta evoluzione, dalla Regione Lazio, nel senso di sottoporre anche il recupero ambientale alla disciplina prevista per le discariche, così come, facendosi applicazione di tale ipotesi ermeneutica, non possono essere ritenute sproporzionate le misure imposte dall’Amministrazione con i provvedimenti impugnati.
Invero, per costante e univoca giurisprudenza di questo Consiglio (ex multis, Sez. II, 26 aprile 2021, n. 3334; Sez. III, 18 giugno 2020, n. 3903; sez. IV, 4 febbraio 2020, n. 909; Sez. IV, 7 novembre 2019, n. 7602), “ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni, l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non può fare riscontrare la colpevolezza-rimproverabilità dell’Amministrazione, rilevando invece altri elementi, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione; con specifico riferimento all’elemento psicologico la colpa della pubblica amministrazione viene individuata non nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma quando vi siano state inescusabili gravi negligenze od omissioni, oppure gravi errori interpretativi di norme, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione; pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto”.
8.3. Del resto, i profili della colpa, come si assume nel primo motivo di impugnazione, non potrebbero nemmeno ricavarsi da una pretesa applicazione “retroattiva” della norma a due autorizzazioni rilasciate anteriormente alla sua entrata in vigore. Invero, non è sostenibile che da tale anteriorità temporale discenda che le attività autorizzate con i provvedimenti de quibus dovessero restare per sempre insensibili alla nuova disciplina di derivazione eurounitaria, atteso che, per converso, è l’attività (e non l’autorizzazione retrostante) a doversi conformare a questa, come confermato dalle disposizioni transitorie contenute nell’articolo 23 del medesimo d.lgs. n. 117/2008.

 

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8.4. Peraltro, sulla scorta delle condivisibili deduzioni della Regione, emerge che nella specie, oltre all’elemento soggettivo dell’illecito, difetta anche il nesso causale fra i provvedimenti regionali impugnati (e annullati) in prime cure e i danni dei quali l’odierna appellante chiede il ristoro. Invero, dall’analisi dello svolgimento dei fatti come sopra rappresentati, risulta che la necessità di avviare un nuovo procedimento con l’obiettivo di munirsi ex novo della VIA sia dipesa non direttamente dai provvedimenti impugnati in primo grado, ma dalla scelta della società, in sede di adeguamento del progetto alle nuove disposizioni come inizialmente richiesto dalla Regione, di prevedere due nuovi codici CER rispetto a quelli per i quali era stato già autorizzato il recupero ambientale nel sito de quo, in tal modo realizzando una modifica sostanziale del progetto originario. D’altro canto, in considerazione del ritardo con cui venivano prestate le garanzie richieste dall’Amministrazione l’attività degli impianti non avrebbe in ogni caso potuto avere inizio, da ciò conseguendo che, neanche sotto tale profilo, la società possa lamentare un danno causato dal mancato avvio dell’attività per effetto dei provvedimenti impugnati in primo grado.
8.5. Tali ultime considerazioni, che peraltro non trovano convincenti repliche da parte dell’appellante, costituiscono anche valido motivo per respingere le richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea e alla Corte costituzionale, per pretesa illegittimità delle norme interne nella parte in cui richiedono quale elemento essenziale per il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo la colpa della pubblica amministrazione, dal momento che la domanda risarcitoria per cui è causa sarebbe comunque da respingere ad altro riguardo, ossia quello attinente alla carenza di nesso causale.
Ad ogni modo, le questioni di pregiudizialità e di legittimità costituzionale prospettate dall’appellante risultano manifestamente infondate anche alla luce dell’applicazione data nel caso di specie dell’art. 30 c.p.a., atteso che, come visto, la prova dell’errore scusabile emerge da una pluralità di atti ed elementi, la cui interpretazione congiunta conduce univocamente ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.
9. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
10. La particolarità delle questioni affrontate giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello r.g.n. 4388/2016, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2021 svoltasi ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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