Domanda di accertamento per l’ottenimento di un titolo abilitativo

Consiglio di Stato, Sentenza|20 agosto 2021| n. 5965.

Domanda di accertamento per l’ottenimento di un titolo abilitativo.

La domanda giudiziale di accertamento del diritto all’ottenimento di un titolo abilitativo edilizio è inammissibile, a nulla rilevando la portata esclusiva della giurisdizione del giudice amministrativo.

Sentenza|20 agosto 2021| n. 5965. Domanda di accertamento per l’ottenimento di un titolo abilitativo

Data udienza 8 luglio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Titolo edilizio – Diritto all’ottenimento – Domanda giudiziale di accertamento – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 826 del 2016, proposto dal signor Lu. Ar., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Pa., con domicilio eletto presso lo studio del dottor Al. Pl. in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio,
nei confronti
dei signori An. Fe. e Fi. Fe., non costituitisi in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 875 del 15 giugno 2015.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020 – il consigliere Silvia Martino;
Udito l’avvocato Ma. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Domanda di accertamento per l’ottenimento di un titolo abilitativo

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Puglia, l’odierno appellante agiva contro il Comune di (omissis) per l’annullamento della nota prot. 28282 del 25 ottobre 2012.
Con atto successivamente notificato chiedeva altresì il risarcimento del danno che lamentava di aver subito dal procedimento di autotutela avviato e concluso con l’atto impugnato con l’azione di annullamento.
1.1. L’oggetto del contendere riguarda interventi realizzati dall’odierno appellante relativamente ad un immobile, sito in via (omissis), nel Comune di (omissis), identificato al catasto fabbricati al foglio n. (omissis), particella n. (omissis), sub (omissis).
Il ricorrente esponeva che, in qualità di proprietario del suddetto immobile, aveva presentato una D.I.A. in data 26 gennaio 2011 per la realizzazione di un intervento di manutenzione straordinaria mediante la realizzazione di murature di separazione tra gli spazi aperti ad uso condominiale e quelli aperti ad uso esclusivo del porticato esistente, che dopo richieste istruttorie, era stato espressamente ritenuto “ammissibile” con nota dell’11 luglio 2011 dal Dirigente dell’UTC, ing. La. del Comune.
Nel corso dei lavori, avviati in data 14 dicembre 2011, era stato effettuato un sopralluogo da parte dei Vigili Urbani che, a suo dire, avevano riconosciuto la regolarità dei lavori in corso.
In data 16 gennaio 2012 il ricorrente aveva stipulato un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto l’immobile oggetto degli interventi di manutenzione straordinaria.

 

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Con nota del 5 aprile 2012, il Dirigente dell’UTC, su segnalazione di altri proprietari di unità immobiliari site nell’edificio condominiale di via (omissis), aveva tuttavia avviato un procedimento di autotutela relativo alla pratica edilizia n. 12/2011, oggetto di D.I.A., per aver riscontrato a seguito di apposito sopralluogo la “realizzazione di maggiore volumetria non consentita”, essendo la pratica edilizia riferita ad opere di manutenzione straordinaria.
Il ricorrente aveva quindi tempestivamente inviato osservazioni volte ad escludere l’illegittimità dell’intervento realizzato e aveva successivamente diffidato il Comune in data 4 ottobre 2012 alla definizione del procedimento.
Con nota prot. 28282/3295 del 25 ottobre 2012, un diverso Dirigente dell’UTC del Comune aveva confermato la D.I.A. assentita, in accoglimento delle controdeduzioni del ricorrente, ad eccezione dei pannelli in plexiglass posti sul lato che si affaccia su via (omissis) e sul lato adiacente la rampa di accesso al piano interrato, in quanto “potrebbe individuarsi un volume non consentito”.
1.2. Il ricorso introduttivo di primo grado era affidato ai seguenti motivi:
1) Violazione della L. 241/1990, in particolare, degli artt. 1, 3, 7, 8, 10 e 21; eccesso di potere per sviamento ed ingiustizia manifesta; violazione dei principi in materia di buon andamento della P.A. e di affidamento del privato.
Il ricorrente rivendicava la conformità delle opere realizzate al progetto in precedenza assentito e lamentava la mancata considerazione da parte del Comune delle osservazioni inviate sul punto.
Egli contestava, in particolare, i termini meramente dubitativi con cui era stato stabilito l’aumento di volumetria e l’affidamento ingenerato dal Comune che, solo dopo aver regolarmente assentito il progetto e aver lasciato decorrere i tempi nel corso del quale i lavori erano stati quasi ultimati, era intervenuto con il gravato provvedimento;
2) Violazione dell’art. 5 nn. 9 e 13 delle NTA del PRG vigente, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, sviamento ed ingiustizia manifesta.
Il ricorrente contestava, altresì, la mancata indicazione delle norme delle NTA del vigente PRG che sarebbero state violate.

 

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In ogni caso escludeva che tali norme fossero ostative all’intervento. Evidenziava in proposito che l’art. 5, nn. 9 e 13, delle NTA (norma che era stata richiamata dalla perizia dei condomini che avevano sollecitato la verifica delle opere realizzate e in fase di realizzazione) non fosse applicabile alla fattispecie.
L’ambiente sul quale erano stati posizionati i pannelli contestati sarebbe stato chiuso solo da due lati. I pannelli in questione erano stati posti su due preesistenti pareti in grigliato cementizio, risalenti all’originaria costruzione dell’edificio e non sarebbero stati idonei a chiudere perimetralmente l’area. Si trattava infatti di pannelli a soffietto e non fissi, in quanto tali non idonei ad aumentare la volumetria.
1.3. Con ordinanza n. 59 del 24 gennaio 2013 il TAR accoglieva l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento gravato.
1.4. Il ricorrente chiedeva anche il risarcimento dei danni subiti per effetto del procedimento di autotutela concluso con il gravato provvedimento con riferimento, in particolare, al mancato perfezionamento del contratto di compravendita dell’immobile in questione.
Egli esponeva che al contratto preliminare di compravendita stipulato in data 16 gennaio 2012 non era seguita la stipula del definitivo, prevista entro il giorno 1 giugno 2012, proprio a causa della pendenza del procedimento di autotutela, avviato in data 5 aprile 2012, che avrebbe precluso l’ultimazione dei lavori in conformità al progetto di ristrutturazione, conformemente a quanto pattuito all’atto della stipula del preliminare.
Ne era conseguita la restituzione del ricorrente della somma di Euro 30.000,00 versata a titolo di caparra confirmatoria dal promissario acquirente.

 

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Il ricorrente era stato poi costretto a versare ulteriori Euro 20.000,00 per la risoluzione del contratto richiesta dal promissario acquirente a seguito della situazione verificatasi sull’immobile e dell’impossibilità di rispettare gli accordi intercorsi da parte del ricorrente.
Tale somma sarebbe stata versata in seguito ad un accordo transattivo raggiunto con il promissario acquirente, in luogo degli Euro 30.000,00 dovuti ai sensi dell’art. 1385 c.c..
Il ricorrente sosteneva che l’illegittimità dell’atto gravato in via principale sarebbe stata ascrivibile a colpa dell’Amministrazione, che non solo aveva avviato un procedimento di autotutela relativo a lavori precedentemente assentiti, ma aveva prolungato il procedimento oltre i tempi utili agli accertamenti del caso, concluso con un provvedimento ritenuto illegittimo per le motivazioni indicate nel ricorso principale.
L’atto, inoltre, non conteneva alcun riferimento alla prevalenza degli interessi pubblici che avrebbero indotto l’Amministrazione ad agire dopo aver assentito gli interventi progettati.
A titolo di risarcimento per lucro cessante, il ricorrente domandava la somma di Euro 86.352,00, oltre interessi, derivante dal prezzo di vendita fissata nel relativo contratto preliminare nella misura di Euro 120.000,00, decurtata della somma corrispondente al prezzo di acquisto del medesimo immobile, pari ad Euro 33.648,00, avvenuto in data 30 gennaio 2008.
A titolo di danno emergente il ricorrente chiedeva altresì la condanna del Comune al pagamento della somma pari ad Euro 20.000,00 versata a titolo di caparra confirmatoria all’esito dell’accordo transattivo.
Egli soggiungeva di essere stato costretto a pagare al condominio Euro 5.089,00 per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria, deliberati in data 24 marzo 2011, il cui onere sarebbe gravato sull’acquirente se fossero stati rispettati gli accordi e i tempi previsti per la stipula del contratto definitivo di compravendita, prevista entro il giorno 1° giugno 2012.
Tra le voci del danno subito indicava anche l’importo di Euro 1.006,72, versato complessivamente a titolo di compenso ai tecnici incaricati di dimostrare l’insussistenza dei rilievi mossi dall’UTC dell’Amministrazione e la somma di Euro 12.650,00, corrispondente alle spese sostenute per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione conformi al progetto assentito e poi oggetto di procedimento in autotutela.
Tali spese, a dire del ricorrente, sarebbero state evitate da una tempestiva, legittima e lineare azione amministrativa del Comune.

 

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La somma complessiva richiesta a titolo risarcitorio ammontava quindi ad Euro 112.447,72, oltre rivalutazione ed interessi.
Il ricorrente chiedeva infine, nell’ipotesi in cui il provvedimento gravato in via principale fosse stato ritenuto legittimo, la condanna dell’Amministrazione intimata al pagamento di euro 12.650,00, per le ragioni sopra indicate, oltre rivalutazione ed interessi.
1.5. La civica Amministrazione non si costituiva in giudizio.
2. Il TAR accoglieva la domanda impugnatoria e annullava la nota prot. n. 28282/3295 del 25 ottobre 2012, “nei termini di cui in motivazione”; respingeva, invece la domanda di risarcimento del danno.
3. La sentenza è stata impugnata dal signor Ariemma, nei termini che seguono:
A. Sulla domanda di annullamento.
Violazione degli articoli 5, comma 9 e 13 delle NTA del PRG. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Eccesso di potere per sviamento ed ingiustizia manifesta.
Il TAR ha accolto le sole censure incentrate sul difetto di motivazione del provvedimento impugnato e non anche il motivo secondo cui l’intervento realizzato, alla luce delle vigenti NTA, non comporta aumento di superfici o volumetria.
L’assorbimento operato in prime cure non sarebbe in linea con le indicazioni nomofilattiche fornite dalla sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, n. 5 del 27 aprile 2015.
L’appellante ha evidenziato al riguardo che, secondo l’art. 5 nn. 9 e 13, delle NTA, un ambiente esprime volumetria solo se chiuso perimetralmente.
Al contrario, nel caso di specie, l’ambiente interessato dai pannelli rimarrà parzialmente aperto su due lati e segnatamente, il lato su cui scorre una bassa inferriata metallica, con un varco di circa 5 ml; l’altro lato con un varco di circa 1,6 ml di accesso ad un balcone esterno.
I pannelli (a soffietto) in contestazione verrebbero collocati, senza opere murarie, a ridosso delle due preesistenti pareti in grigliato cementizio, risalenti all’originaria costruzione dell’edificio;
B. Sulla domanda risarcitoria
Violazione dell’art. 2043 c.c. Violazione dei principi in materia di risarcimento danni. Violazione dei principi in materia di c.d. “danno da ritardo”. Travisamento dei fatti.
L’appellante ha sottolineato che, confermando solo parzialmente la D.I.A, l’Amministrazione ha impedito definitivamente la posa delle lamelle in plexiglass, rendendo inutilizzabile il porticato per molti mesi dell’anno.
Il danno da ritardo sarebbe concreto e grave.

 

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Senza le lamelle in plexiglass a protezione delle intemperie, e potendosi quindi utilizzare il porticato solo nei mesi estivi, la superficie fruibile per l’attività di bar si è ridotta di circa 2/3.
Il ricorrente ha quindi cercato di limitare i danni addivenendo ad una transazione con il promissario acquirente e alla risoluzione del contratto.
Quest’ultima sarebbe conseguenza immediata e diretta dell’illegittima attività amministrativa.
Egli ha riproposto, pertanto, la domanda di risarcimento del danno, così come articolata in primo grado.
4. Né l’Amministrazione né gli intimati di cui in epigrafe, si sono costituiti in giudizio.
5. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza dell’8 luglio 2021.
6. L’appello è infondato.
7. Quanto alla riproposizione del secondo motivo di ricorso articolato in primo grado si osserva che il TAR non ha violato i principi delineati dalla decisione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, n. 5 del 2015.
L’omesso esame risulta dovuto a motivi di carattere logico.
E’ infatti proprio la rilevata carenza di motivazione del provvedimento di autotutela a rendere il secondo motivo del ricorso di primo grado non solo meramente ipotetico ma soprattutto tale da alterare il contenuto della domanda impugnatoria articolata.
L’esame del secondo motivo richiede infatti l’accertamento della conformità dell’intervento realizzato mediante D.I.A. agli articoli 5, comma 9 e 13 delle NTA del PRG.
Tali disposizioni sono state tuttavia indicate nell’esposto dei condomini ma non già dall’Amministrazione che si è limitata ad ipotizzare la creazione di un volume non consentito, senza fornire alcuna “indicazione circa gli specifici elementi e le valutazioni effettuate che hanno indotto l’assunzione di determinazioni contrastanti sulla medesima pratica edilizia, all’esito della pur doverosa attività di vigilanza espletata”.
Pertanto, l’esame nel merito del secondo motivo avrebbe trasformato il sindacato di legittimità in un’azione di accertamento, con la conseguente espressione da parte del giudice amministrativo di valutazioni che spettano esclusivamente, in prima battuta, all’Autorità amministrativa.
Si tratta peraltro di valutazioni che, in quanto involgono profili di discrezionalità tecnica, comportano comunque un certo margine di opinabilità e non già una mera attività di accertamento.

 

Domanda di accertamento per l’ottenimento di un titolo abilitativo

In tal senso si richiama la pacifica giurisprudenza amministrativa la quale ha messo in luce che la domanda giudiziale di accertamento del diritto all’ottenimento di un titolo abilitativo edilizio è inammissibile, a nulla rilevando la portata esclusiva della giurisdizione del giudice amministrativo (così, ad esempio, TAR Lombardia, sez. II, 9 maggio 2012, n. 136).
8. Anche le critiche rivolte alla reiezione della domanda risarcitoria sono infondate.
L’annullamento fondato su profili formali non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita.
Né tale accertamento spetta al giudice, anche solo in via di prognosi, se vi è ancora uno spazio di intervento dell’Amministrazione.
L’annullamento per difetto di motivazione non elimina né riduce il potere di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell’atto annullato e lascia ampio potere in merito all’Amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità, sicché non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale (Cons. St., sez. V, 21 aprile 2020, n. 2534; id., 22 novembre 2019, n. 7977; id., sez. III, 17 giugno 2019, n. 4097; V, 14 dicembre 2018, n. 7054).
8.1. Nella fattispecie, risultano peraltro condivisibili le puntuali osservazioni del TAR circa la mancanza di un nesso di causalità diretta e immediata tra i danni richiesti e l’illegittimità dell’azione amministrativa.
Dalla documentazione in atti relativa alla vicenda del contratto preliminare di vendita è possibile evincere che, sebbene in esso fosse effettivamente richiamata la D.I.A. a suo tempo presentata dal promissario alienante, i cui lavori erano in itinere, l’esecuzione di questi ultimi non costituisse per il promissario acquirente una condizione essenziale il cui mancato inveramento avrebbe potuto effettivamente determinare la mancata stipulazione del contratto definitivo.
Più precisamente, la risoluzione chiesta dal promissario acquirente è stata da questi ricollegata alle “difficoltà ” ingenerate dal provvedimento comunale, che hanno determinato un ritardo nella consegna dell’immobile da parte del promissario alienante.
Tuttavia, l’appellante avrebbe potuto insistere ai fini della sottoscrizione del contratto di vendita, e finanche agire, nel caso, ai sensi dell’articolo 2932 c.c..
Il TAR ha poi richiamato “il consolidato orientamento secondo cui, in presenza di difformità non sostanziali e non incidenti sull’effettiva negoziabilità del bene, ma soltanto sul suo effettivo valore, il promissario acquirente non resta soggetto alla sola alternativa tra la risoluzione del contratto e la accettazione senza riserve della cosa viziata o difforme, ma è abilitato ad esperire l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo a norma dell’art. 2932 c.c. chiedendo, cumulativamente e contestualmente, l’eliminazione delle accertate difformità o la riduzione del prezzo”.
In tale ottica “la decisione delle parti di stipulare l’accordo transattivo avente ad oggetto la risoluzione del contratto preliminare di compravendita sottoscritta, non può essere in alcun modo imputata alle conseguenze derivanti dall’azione amministrativa, pur risultando la medesima inficiata nei termini sopra evidenziati”.
La soluzione transattiva alla fine adottata dalle parti è quindi frutto di una loro autonoma scelta finalizzata a evitare un futuro contenzioso in ordine all’esecuzione del preliminare (nel quale non è affatto detto che l’odierno appellante sarebbe risultato necessariamente soccombente).
9. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello deve essere respinto.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese in mancanza di costituzione dell’Amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, n. 826 del 2016, di cui in premessa, lo respinge.
Nulla per le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2021 – tenutasi in videoconferenza da remoto – con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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