Processo amministrativo di appello è inammissibile la mera riproposizione dei motivi di primo grado

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 21 marzo 2019, n. 1873.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo di appello, innanzi al Consiglio di Stato, è inammissibile la mera riproposizione dei motivi di primo grado senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice, atteso che l’effetto devolutivo dell’appello non esclude l’obbligo dell’appellante di indicare nell’atto di appello le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado.

Sentenza 21 marzo 2019, n. 1873

Data udienza 31 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1731 del 2011, proposto dal “Condominio di Via (omissis)”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Sa. Della Co., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Al. Ba., in Roma, alla via (…),
contro
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ta., An. Pu., An. An. e Fa. Ma. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…),
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, Sezione IV, n. 9610 del 28 dicembre 2009, resa inter partes, concernente diniego di permesso di costruire.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2019 il consigliere Giovanni Sabbato e udito, per l’appellato, l’avv. Ga. Pa. su delega dell’avv. An. An.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per la Campania – Napoli, il “Condominio di Via (omissis)” (di seguito il condominio) ha chiesto l’annullamento della Disposizione Dirigenziale n. 639, notificata il 6 marzo 2009, con la quale il Comune di Napoli ha respinto la sua domanda di permesso di costruire per la realizzazione di n. 36 depositi – cantinole condominiali da ricavare nell’ambito della superficie porticata esistente al piano terra del fabbricato.
2. A sostegno della proposta impugnativa, il condominio ha sollevato i seguenti rilievi:
i) conformità del progetto con la disciplina urbanistica (art. 33 delle N.T.A. della variante generale al P.R.G. alla luce dell’art. 3 del regolamento edilizio), in quanto sia le cantinole che i porticati configurano eguale superficie non residenziale;
ii) insussistenza di alcun incremento volumetrico rispetto a quanto autorizzato con la licenza edilizia n. 33/75;
iii) assentibilità dell’intervento anche rispetto alla disciplina generale (art. 3, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001) laddove attribuisce rilevanza volumetrica ai manufatti pertinenziali soltanto ove superino il 20 % del volume dell’edificio principale;
iv) difetto motivazionale per non avere l’Amministrazione mostrato di essersi soffermata sulla fattispecie concreta;
v) violazione del principio di partecipazione procedimentale, non avendo l’Amministrazione argomentato alla luce delle deduzioni articolate dall’istante a seguito del preavviso di diniego.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale, il Tribunale ha così deciso il gravame al suo esame:
– ha rigettato il ricorso reputando infondate tutte le censure articolate;
– ha condannato parte ricorrente al rimborso delle spese di lite (Euro 1.000,00).
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– infondate sono le censure con le quali si denuncia il vizio di eccesso di potere essendo inconfigurabile rispetto ad un atto vincolato quale il diniego di domanda edificatoria;
– sia la disciplina edilizia che urbanistica (art. 7 norme tecniche di attuazione al P.R.G. del Comune di Napoli) prevedono la riduzione al 60 % del calcolo volumetrico per i porticati ma non anche per le cantinole;
– “i criteri per la quantificazione dei parametri edilizi e urbanistici, rientrano nella potestà regolamentare del Comune”;
– “la licenza originaria non contemplava le cantinole ma i portici” e pertanto la realizzazione delle prime non può ritenersi assentita da tale titolo edilizio;
– la natura vincolata del provvedimento impugnato non richiede alcuna motivazione in punto di interesse pubblico;
“il Comune ha tenuto conto delle deduzioni del ricorrente, tanto da richiedere un nuovo parere alla Commissione Edilizia”.
5. Avverso tale pronuncia il condominio ha interposto appello, notificato l’11-15 febbraio 2011 e depositato il 7 marzo 2011, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 6- 21), quanto di seguito sintetizzato:
– contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, il coefficiente riduttivo del 60 % sarebbe utilizzabile per tutte le superfici non residenziali (Snr) cosicché alcuna variazione volumetrica potrebbe derivare dalla trasformazione del porticato in cantinole, secondo quanto stabilito dal Regolamento edilizio del Comune di Napoli;
– il Tribunale non avrebbe considerato che la licenza edilizia originaria è stata rilasciata prima del D.M. LL.PP., che ha introdotto per primo le definizioni parametriche in ordine a Su, Snr e Sa ai fini della loro diversa incidenza sul calcolo volumetrico, di tal che la volumetria assentita ricomprende il piano terra (porticato) per la sua intera consistenza;
– non ricorrerebbe alcun incremento volumetrico perché non superiore al 20% del volume dell’edificio principale all’esterno della sagoma assentita;
– non sarebbe stata assicurata un’effettiva partecipazione procedimentale;
– ingiusta sarebbe pertanto la condanna alle spese del condominio ricorrente.
6. Il Comune si è costituito con memoria, al fine di resistere.
7. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 15 marzo 2018, non merita accoglimento.
9. Va liminarmente disattesa l’eccezione di tardività del gravame sollevata dalla difesa comunale. Come eccepito da parte resistente con la memoria del 31 dicembre 2018 il ricorso in appello risulterebbe tardivo perché spedito l’11 febbraio 2011 a fronte di una sentenza del 28 dicembre 2009 allorché era già entrata in vigore, in virtù del disposto di cui alla legge n. 69/2009, la riduzione del termine di impugnazione da un anno a sei mesi (Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2013, n. 4055; Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2011, n. 6842). Al riguardo, la difesa dell’Ente comunale evidenzia che l’art. 2 dell’allegato 3 del c.p.a. – che detta una norma transitoria secondo cui, per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, continuano ad operare le norme previgenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 21 dicembre 2012, n. 6646) – non può trovare applicazione ai casi in cui il mutamento del termine (nella specie, il termine lungo per proporre appello) sia già entrato in vigore anteriormente al deposito della sentenza appellata.
Per vero, questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2011, n. 6842) ha ritenuto che, prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, approvato con D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, le disposizioni del c.p.c. si applicavano, in quanto compatibili e salvo che non fosse diversamente previsto, al giudizio amministrativo. Tra dette norme, ritenute pacificamente applicabili, vi era anche l’art. 327 c.p.c., che successivamente all’entrata in vigore dell’art. 46, comma 17, l. 18 giugno 2009, n. 69, ha ridotto da un anno a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza il termine lungo previsto per la proposizione dell’appello. L’appellato ritiene quindi che, poiché alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, era già stata modificata la norma che prevede il termine lungo, non più di un anno bensì di sei mesi, per appellare la sentenza di primo grado, nella specie pubblicata in data 28 dicembre 2009, non troverebbe applicazione l’art. 2 dell’allegato 3 del c.p.a., con la conseguenza che il presente appello sarebbe da ritenersi tardivo e, quindi, irricevibile (siccome notificato l’11-15 febbraio 2011 e quindi oltre sei mesi dalla pubblicazione della sentenza).
L’eccezione è infondata, in quanto, la novella di mesi sei, introdotta con l’art. 46 della legge n. 69 del 2009, non è applicabile nella presente controversia, giusta il disposto dell’art. 58 della stessa, secondo cui l’entrata in vigore di tale disposizione coincideva col 4 luglio 2009, senza possibilità di efficacia retroattiva ai procedimenti già pendenti, o per i quali erano state contestate le sanzioni. Invero, secondo costante giurisprudenza, “in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio” (Cfr. ord. C. Cass. 21 giugno 2013, n. 15741; sent. C. Cass. 5 ottobre 2012, n. 17060).
10. Transitando quindi al merito delle censure sollevate, se ne deve rilevare l’infondatezza.
10.1. L’appellante, con un primo fascio di critiche, nel reiterare i primi due motivi del ricorso di primo grado, lamenta che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il progettato intervento non è conforme alla disciplina edilizia localmente vigente evidenziando, da un lato, la riduzione del coefficiente al 60 %, siccome indistintamente prevista per tutte le superfici non residenziali (Snr), e, dall’altro, la mancata enucleazione delle tabelle parametriche in ordine a Su, Snr e Sa ai fini della loro diversa incidenza sul calcolo volumetrico all’epoca cui risale il titolo edilizio per la edificazione del fabbricato. Secondo l’appellante, quindi, il porticato condominiale, da trasformare in 36 cantinole (pari al numero delle unità immobiliari) sempre di proprietà condominiale, sarebbe da computare secondo il coefficiente riduttivo del 60 % in quanto superficie comunque non residenziale. Il rilievo non può essere condiviso, in quanto trascura l’espressa previsione contenuta nel regolamento edilizio del Comune di Napoli (art. 3) nonché l’art. 7 delle norme tecniche di attuazione al P.R.G. di Napoli, così come correttamente valorizzate dal Tribunale nel loro tratto testuale, laddove distingue tra porticati e cantinole, prevedendo il coefficiente riduttivo al 60 % soltanto nel primo caso. Né può essere utilmente evidenziato il cosiddetto Documento di indirizzo, recante le “Modalità di calcolo dei contributi di concessione”, nell’ambito di una censura reputata dal Tribunale inammissibile siccome articolata soltanto in memoria. Invero, a prescindere dalla fondatezza o meno di quanto dedotto dall’appellante nel contestare la predetta statuizione in rito, che comunque non ha impedito al T.a.r. di esaminare la censura nel merito, vi è che tale atto – riconducibile, peraltro ad un diverso contesto applicativo, correlato alla quantificazione dei contributi concessori – non può valere a superare le contrapposte previsioni regolamentare e pianificatoria che, come detto, distinguono tra porticati e cantinole a fini volumetrici.
10.2. Nemmeno è suscettibile di favorevole considerazione il secondo profilo delle critiche in esame, in quanto la configurazione dell’assentito, in termini sia volumetrici che tipologici, non può prescindere dalle esatte e specifiche indicazioni contenute nel titolo stesso, che assegnava alla parte del manufatto interessata dal progetto destinazione a porticato. La realizzazione dell’intervento richiede, quindi, la modifica della destinazione d’uso a cantinole, quali volumi chiusi posti materialmente a servizio di ciascuna unità immobiliare, con la conseguente necessità di un apposito titolo di assentimento edilizio. Di ciò ha mostrato di avere consapevolezza lo stesso condominio, che si peritava di chiedere all’Amministrazione comunale il rilascio della concessione edilizia e per la quale occorre verificare la conformità delle opere con l’assetto urbanistico/edilizio vigente al momento del suo rilascio, contemplando l’intervento la chiusura perimetrale dell’area porticato al piano terra dell’edificio, per una estensione di mq. 460 rispetto ai 603 mq. totali. Nelle sue deduzioni parte appellante valorizza il fatto che l’area, ancorché destinata a depositi/cantinole, è e rimane in proprietà ed uso condominiale, circostanza questa che conformerebbe, in thesi, la medesima considerazione dell’area interessata dai lavori ai fini volumetrici. Per vero, dalla documentazione tecnica depositata in allegato al ricorso introduttivo della lite risulta che le 36 cantinole in progetto corrispondono al numero delle unità immobiliari, appunto 36, insistenti nell’edificio disposto su 9 livelli (due per piano su ciascuna delle due scale) e che, pur rimanendo in proprietà comune indivisa, ne sarà “garantito l’utilizzo esclusivo, mediante assegnazione temporanea a scadenza, secondo un principio di rotazione, giusto regolamento d’uso che sarà definito ad hoc”. L’intervento in progetto prevede pertanto il frazionamento, sia pure di fatto, dell’area comune, previa la sua chiusura perimetrale, così che ciascuno dei locali derivanti dall’intervento sarà a servizio delle singole unità immobiliari. Tale trasformazione dell’immobile non può non avere una specifica incidenza in termini sia edilizi che funzionali rispetto al preesistente, così giustificando una diversa considerazione dei manufatti risultanti dall’intervento a fini volumetrici.
10.3. Infondato è anche il terzo profilo della critica in esame, col quale si reitera il terzo motivo del ricorso di primo grado così come sopra sintetizzato (§ 2.iii), atteso che la censura postula il mancato incremento del volume preesistente quando invece, per le ragioni anzidette, esso è destinato a determinare un significativo incremento di tale indice costruttivo.
10.4. Con il quarto profilo del motivo sollevato dall’appellante, si reiterano il quarto e quinto motivo del ricorso originario, coi quali si è dedotto che il provvedimento gravato non sarebbe suffragato da adeguata motivazione e non preceduto da effettiva partecipazione procedimentale. A fronte delle ampie e diffuse argomentazioni – peraltro condivisibili – rese dal Tribunale a sostegno della reiezione di tali censure (cfr. pagine 9 – 10 della sentenza impugnata), l’appellante si è limitato a reiterare tali deduzioni senza formulare alcun rilievo critico atto al superamento dei passaggi argomentati articolati dal giudice di prime cure a sostegno della sua decisione. Secondo costante orientamento della Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2018, n. 7234; sez. V, 16 novembre 2018, n. 6464; sez. V, 13 settembre 2018, n. 5369) nel processo amministrativo di appello, innanzi al Consiglio di Stato, è difatti inammissibile la mera riproposizione dei motivi di primo grado senza che sia sviluppata alcuna confutazione della statuizione del primo giudice, atteso che l’effetto devolutivo dell’appello non esclude l’obbligo dell’appellante di indicare nell’atto di appello le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili, non potendo il ricorso in appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado.
11. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
12. Le spese di giudizio, regolamentate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate nella misura stabilita in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 1731/2011), lo respinge.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Napoli, delle spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore

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