Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 18 gennaio 2019, n. 1303.
La massima estrapolata:
Sul contribuente che intenda accedere alla procedura di variazione dell’imponibile prevista dall’art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 grava l’onere di provare la corrispondenza tra l’operazione originaria e quella sopravvenuta, mediante l’indicazione di quei dati che risultino idonei a collegarle, ovvero dimostrando l’identità tra l’oggetto della fattura e delle registrazioni originarie e l’oggetto della registrazione della variazione, ferma la possibilità, qualora la corrispondenza tra detti documenti contabili non emerga inequivocabilmente, di ricorrere ad altri mezzi di prova, nel rispetto dei principi generali in materia.
Sentenza 18 gennaio 2019, n. 1303
Data udienza 11 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere
Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8905/2012 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso con ricorso incidentale, dall’avv. Alessandro Bertolini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Mario Scialla, in Roma, Largo Trionfale, n. 7;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 88/1/11 della Commissione Tributaria regionale della Toscana depositata il 17 febbraio 2011.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11/12/2018 dal Consigliere Dott. Condello Pasqualina Anna Piera;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale e la inammissibilita’ del ricorso incidentale;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
La societa’ (OMISSIS) s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, in relazione all’anno d’imposta 2003, ai fini I.V.A., Irpeg e Irap, rilevava:
a) maggiori ricavi non dichiarati per Euro 103.291,28 derivanti dalla vendita di un immobile;
b) I.V.A. indebitamente detratta per Euro 392.899,00 relativa alla compravendita di due immobili;
c) maggiore I.V.A. a debito per Euro 34.000,00.
La Commissione provinciale accoglieva il ricorso ad eccezione della ripresa, ai fini I.V.A., dell’importo di Euro 34.000,00, derivante da nota di credito della societa’ (OMISSIS) s.r.l. con cui si annullavano due fatture emesse nell’anno 2002.
Interposto appello principale dalla Agenzia delle Entrate ed appello incidentale dalla contribuente, la Commissione regionale respingeva il primo ed accoglieva il secondo.
Disattesa la eccezione di inammissibilita’ dell’appello principale, i giudici di secondo grado ritenevano, con riferimento al primo rilievo contenuto nell’atto impositivo impugnato, che l’operato dell’Ufficio era ” viziato dal presupposto che, in caso di indizio o di sospetto di non redditivita’ della azienda, si dovesse immediatamente, con ulteriori presunzioni, elevare il reddito in base a parametri piu’ o meno statistici ” e che in caso di sospetta vendita sottofatturata era necessario rinvenire in contabilita’ prove della presunta evasione, solo in presenza delle quali poteva presumersi che il bene fosse stato venduto ” nell’ambito delle forbici di valore di mercato “; relativamente alla indebita detrazione dell’I.V.A. per Euro 382.899,00, affermavano che la ripresa non era suffragata da valida motivazione, poiche’ non teneva conto del fatto che l’I.V.A. era a carico del consumatore finale e che il prezzo era quello fatturato, salvo che l’Ufficio non dimostrasse che era stata corrisposta una somma piu’ bassa.
Aggiungevano che dagli atti risultava che l’Amministrazione non aveva preso come elemento di raffronto valori di immobili situati nella medesima localita’, ne’ aveva offerto prova documentale che la societa’ alienante ( (OMISSIS)) avesse dichiarato, ai fini I.V.A., un volume di affari inferiore all’imponibile delle due compravendite immobiliari.
Riformavano la sentenza di primo grado relativamente al terzo rilievo contestato con l’avviso d’accertamento, osservando che ” secondo la (OMISSIS) s.r.l. la ripresa aveva come presupposto la nota di credito presentata dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l. ” e che ” l’anomalia riscontrata dall’Ufficio era stata giustificata, dalla (OMISSIS), con il fatto che nell’anno 2002 tutte le fatture erano state pagate e, quindi, nessun rapporto reciproco di dare/avere poteva emergere in sede di bilancio “.
Avverso la decisione di secondo grado ricorre per la cassazione l’Agenzia delle Entrate, con cinque motivi.
La contribuente resiste mediante deposito di controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente esaminato l’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale la controricorrente – deducendo violazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 53, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta che la Commissione regionale ha rigettato l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello proposto dall’Ufficio, da essa sollevata, sebbene l’atto non contenesse alcun rilievo critico alla sentenza di primo grado, essendosi l’Agenzia delle Entrate limitata a dolersi del mancato accoglimento delle difese svolte in primo grado ed a richiamare per relationem l’avviso di accertamento, omettendo di specificare le ragioni per cui il percorso argomentativo dei giudici di primo grado fosse erroneo o insufficiente.
L’esame del ricorso incidentale risulta pregiudiziale in quanto il suo eventuale accoglimento precluderebbe l’esame dei motivi dedotti con il ricorso principale.
1.1. Il motivo va rigettato.
1.2. Anche prescindendo dalla considerazione che la ricorrente ha erroneamente rubricato il vizio di legittimita’ come “error in iudicando”, anziche’ come vizio di nullita’ afferente l’attivita’ svolta nel processo ascrivibile al paradigma dell'”error in procedendo” ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la censura risulta comunque infondata, in quanto dalla stessa esposizione delle argomentazioni poste a base dell’appello proposto dall’Ufficio, richiamate, seppure sinteticamente, nel controricorso con ricorso incidentale, si evince che l’Agenzia delle Entrate ha adeguatamente contestato le singole statuizioni della sentenza della Commissione provinciale, pure riassunte nel controricorso.
1.3. Secondo il costante orientamento di questa Corte, ” nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimita’ del proprio operato, come gia’ dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimita’ dell’avviso di accertamento annullato, e’ da ritenersi assolto l’onere di impugnazione specifica previsto dal Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 53, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non gia’ “i nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che e’ un mezzo d’impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito ” (Cass. n. 7369 del 22/3/2017; Cass. n. 3064 del 29/2/2012; Cass. n. 1200 del 22/1/2016).
1.4. E’ pur vero che si e’ anche affermato che in tema di contenzioso tributario e’ inammissibile, per difetto di specificita’ dei motivi, l’appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui e’ chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata (Cass. n. 1461 del 20/1/2017).
1.5. Nella specie, tuttavia, come emerge dallo stesso controricorso, l’Agenzia delle Entrate con l’atto di appello non ha soltanto ribadito la fondatezza dell’accertamento operato, ma ha anche puntualmente aggredito le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, contestando il percorso logico-giuridico posto dalla Commissione provinciale a fondamento del proprio convincimento, assolvendo in tal modo l’onere di specificita’ richiesto dal cit. Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 53.
2. Con il primo motivo del ricorso principale, la difesa erariale deduce, in ordine alla ripresa relativa al recupero di maggiori ricavi non dichiarati per Euro 103.291,28, rilevante ai fini Irpeg, Irap ed I.V.A., motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine ad un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Riportando uno stralcio dell’avviso di accertamento, evidenzia che da una analisi delle fatture emesse dalla contribuente e’ stato rilevato che la (OMISSIS) s.r.l. aveva ceduto la proprieta’ di un fabbricato, ricostruito ex novo a seguito di abbattimento di quello originario, alla societa’ (OMISSIS) s.p.a. per un importo di Euro 516.457,00, dopo avere annotato, fra le rimanenze iniziali del bilancio 2003, i lavori eseguiti nel cantiere, quantificandoli in Euro 619.748,28.
A seguito di risposta al questionario – con la quale la (OMISSIS) s.r.l. si era limitata ad evidenziare che la societa’ acquirente (OMISSIS) s.p.a., a seguito di valutazione dei propri periti, aveva ritenuto congruo il prezzo di vendita dell’immobile richiesto e che la vendita dell’immobile era ricompresa in un piu’ ampio progetto immobiliare che prevedeva tra le parti acquisti e vendite di diversi beni – e’ stato emesso l’atto impositivo sul presupposto che la cessione dell’immobile ad un prezzo inferiore rispetto a quello stimato dalla stessa societa’ contribuente in sede di giacenza iniziale costituisse comportamento antieconomico.
Ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata e’ viziata in quanto non tiene conto del fatto che il reddito dichiarato e’ stato elevato “non in base ai parametri piu’ o meno statistici”, ma tenendo conto del valore del bene come contabilizzato dalla stessa contribuente nelle giacenze iniziali per l’anno 2003, e che la risposta fornita dalla contribuente in sede di questionario si riferiva esclusivamente alla ritenuta convenienza economica dell’affare per la acquirente (OMISSIS), ma non indicava le ragioni di convenienza economica per la contribuente.
2.1. Il motivo e’ fondato e va accolto.
2.2. I giudici di appello hanno annullato la ripresa a tassazione in esame ritenendo che: ” l’operato dell’Ufficio e’ viziato dal presupposto che, in caso di indizio e di sospetto di non redditivita’ dell’azienda, si debba immediatamente, con ulteriori presunzioni, elevare il reddito in base ai parametri piu’ o meno statistici”; ” in caso di sospetta vendita con sotto fatturazione, ai fini del reddito e’ necessario rinvenire tra la contabilita’ e gli altri documenti….., prove di evasione”; ” solo con una qualche, pur minima, prova di evasione era legittimo presumere che il bene era stato venduto nell’ambito delle forbici di valore di mercato…”; ” non risulta che l’Agenzia abbia fatto indagine circa la veridicita’ dei fatti addotti a giustificazione del minor prezzo. In particolare, l’Ufficio aveva il dovere, avendolo tra i suoi documenti, di verificare l’esistenza dell’affitto, tra la (OMISSIS) e la societa’ poi fallita, prima di emettere accertamento…”.
2.3. Cosi’ argomentando, la Commissione regionale non ha correttamente considerato il quadro presuntivo legittimante il ricorso all’accertamento induttivo operato dall’Amministrazione ed ha adottato una motivazione che si rivela generica ed affetta da vizi logici, in quanto, a fronte dei diversi elementi posti a base dell’accertamento, lo ha ritenuto viziato senza fornire argomenti validi a supporto del proprio convincimento.
2.4. Va, in proposito, sottolineato che l’atto impositivo oggetto di impugnazione, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di secondo grado, non e’ stato emesso facendo ricorso ” a parametri piu’ o meno statistici” e neppure si fonda sulla incongruita’ del prezzo rispetto ai valori di mercato dell’immobile, ma poggia piuttosto sulla incongruita’ del prezzo dell’immobile dichiarato nell’atto di compravendita rispetto ai valori esposti nella contabilita’ della stessa (OMISSIS) s.r.l. ed e’, pertanto, finalizzato ad evidenziare un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, in ordine al quale il contribuente non e’ riuscito a fornire una adeguata spiegazione.
2.5. Infatti, in presenza di un comportamento antieconomico, che il contribuente non giustifichi in alcun modo, e’ del tutto legittimo l’accertamento sulla base presuntiva ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicita’ del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass. 10802 del 24/7/2002; Cass. 14428 del 8/7/2005; Cass. 20422 del 21/10/2005; Cass. n. 9084 del 7/4/2017).
Nel caso di specie, i giudici di appello, non tenendo conto degli elementi presuntivi posti a fondamento dell’atto impositivo e delle giustificazioni addotte dalla contribuente nella “risposta al questionario”, hanno valorizzato la circostanza del preesistente contratto di affitto che la contribuente aveva stipulato con una societa’ poi dichiarata fallita, non spiegando le ragioni per cui l’esistenza di detto contratto possa essere ritenuta decisiva al fine di determinare la congruita’ del prezzo di vendita dell’immobile, e non hanno considerato che si trattava di cespite interamente ricostruito dalla stessa contribuente e che il ricavo dichiarato risultava insufficiente a coprire l’ammontare dei costi dalla stessa sostenuti per l’abbattimento e la ricostruzione ex novo dell’immobile.
2.6. In sostanza giudici di secondo grado hanno omesso di valutare il rapporto logico tra i dati fattuali dai quali emergeva la obiettiva antieconomicita’ dell’operazione e l’onere della prova.
Infatti, una volta contestata l’antiecononnicita’ di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere dello stesso contribuente dimostrare la liceita’ fiscale di detta operazione, senza che si possa invocare l’apparente regolarita’ contrattuale e contabile, ed il giudice tributario non puo’ limitarsi a constatarne la regolarita’ cartacea (Cass. n. 11599 del 18/5/2007).
3. Con il secondo motivo, la Agenzia delle Entrate, in ordine al secondo rilievo concernente il recupero di detrazione I.V.A per Euro 392.899,00 in relazione a due compravendite immobiliari, deduce violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 19 e 54.
Premettendo che da una analisi della documentazione contabile e extracontabile era emerso che la societa’ vantava un credito I.V.A. nel 2003 per un ammontare di Euro 357.430,00, che scaturiva da due acquisti immobiliari relativi a terreni siti nel Comune di Magliano in Toscana, la ricorrente evidenzia che:
a) per il primo immobile sito in localita’ (OMISSIS), era stato stipulato in data 23/6/2003 rogito notarile, con il quale la contribuente aveva acquistato dalla (OMISSIS) s.r.l., a cui era legata da una interessenza societaria pari al 98%, un immobile al prezzo di Euro 730.000,00, da pagarsi a saldo entro il 30.6.2004, senza interessi sulla somma; detta proprieta’ era stata acquistata nell’ottobre 2002 dalla (OMISSIS) s.r.l. al minor prezzo di Euro 70.000,00;
b) per il secondo immobile, sito in localita’ (OMISSIS), in data 28/6/2003 era stato stipulato rogito notarile, con il quale la (OMISSIS) s.r.l. aveva acquistato dalla (OMISSIS) al prezzo di Euro 1.239.496,00, gia’ pagato con rilascio di quietanza a saldo, non assistita da documentazione di pagamento; detta proprieta’ era stata acquistata, circa tre anni prima, dalla (OMISSIS) s.r.l. al prezzo di Euro 387.343,00;
c) quanto alle modalita’ di pagamento, la (OMISSIS) s.r.l., come evidenziato nell’avviso di accertamento ritrascritto nel ricorso per cassazione, in data 31/7/2003 aveva registrato nel libro giornale le due fatture di acquisto (nn. 43 e 44 del 2003), rilevando, rispettivamente, per l’immobile sito in localita’ (OMISSIS), un debito nei confronti del socio (OMISSIS) s.r.l. pari ad Euro 876.000,00 (Euro 730.000,00, oltre I.V.A.) ed I.V.A. a credito pari ad Euro 146.000,00 e, per l’immobile sito in localita’ (OMISSIS), un debito verso il socio (OMISSIS) s.r.l. pari ad Euro 1.487.395,20 (Euro 1.239.496,00, oltre I.V.A.) ed I.V.A. a credito pari ad Euro 247.899,20;
d) in data anteriore, e precisamente il 7/7/2003, la contribuente aveva tuttavia aperto il “conto funzionamento passivo (272101)”, intestato alla (OMISSIS) s.r.l., iscrivendo nella sezione “Dare” un importo corrispondente al valore totale delle compravendite e movimentando come contropartita il conto di finanziamento passivo 271504 “Finanziamento socio (OMISSIS)”.
La ricorrente, dopo avere sottolineato che nella situazione fattuale sopra delineata ha ravvisato una operazione parzialmente fittizia creata allo scopo di far sorgere in capo alla contribuente costi inesistenti da portare in detrazione, considerato che il prezzo dei due immobili non e’ stato mai pagato, in quanto la controllante (OMISSIS) s.r.l. ha concesso alla (OMISSIS) s.r.l. un finanziamento – documentato solo mediante una annotazione contabile – di pari importo che include anche la somma chiesta a rimborso I.V.A., e che la alienante (OMISSIS) s.r.l. ha dichiarato nell’anno 2003, ai fini I.V.A., un volume di affare pari ad Euro 1.031.163, importo di gran lunga inferiore all’imponibile complessivo derivante dalle due sole compravendite concluse con la (OMISSIS) s.r.l., lamenta che la sentenza impugnata ha annullato la ripresa a tassazione sul presupposto che l’I.V.A. e’ una imposta neutra, per cui alla maggiore imposta che l’acquirente (OMISSIS) s.r.l. ha detratto corrisponde la maggiore I.V.A. che la venditrice (OMISSIS) s.r.l. dovra’ versare, e che il recupero dell’I.V.A. indebitamente detratta dal cessionario impone la prova dell’evasione da parte del cedente.
4. Con il terzo motivo, riguardante il medesimo recupero a tassazione, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 19 e 54 e degli articoli 2698 e 2729 c.c., nella parte in cui la Commissione regionale ha affermato che “il prezzo e’ quello fatturato salvo che l’Ufficio non dimostri che e’ stata pagata un’imposta piu’ bassa….” e che “manca la prova documentale che confermi la circostanza che la (OMISSIS) aveva dichiarato ai fini IVA un volume di affari inferiore all’imponibile nella compravendita con (OMISSIS)”.
Sostiene che tale motivazione contrasta con il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude l’esistenza, a carico del fisco, dell’onere della prova della inesistenza della operazione, ponendo a suo carico solo l’onere di fornire riscontri indiziari, in presenza dei quali scatta a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’effettivita’ delle operazioni.
5. Con il quarto motivo (erroneamente indicato in ricorso con il numero 3), la ricorrente, sempre con riguardo alla ripresa relativa al recupero della detrazione I.V.A., censura la sentenza per motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine ad un fatto decisivo e controverso del giudizio.
In particolare, si duole del fatto che la C.T.R. non tiene conto:
a) che la societa’ venditrice degli immobili era anche la controllante della (OMISSIS) s.r.l. (di cui possedeva il 98% delle quote);
b) i valori di mercato degli immobili nel Comune di Orbetello non costituivano la base logica dell’accertamento, la quale era invece data dalla considerazione che gli immobili acquistati dalla (OMISSIS) s.r.l. erano stati da questa rivenduti poco tempo dopo ad un prezzo notevolmente aumentato;
c) nell’avviso di accertamento era stato indicato che la alienante aveva dichiarato nell’anno 2003 ai fini I.V.A. un volume d’affari di gran lunga inferiore all’imponibile complessivo derivante dalle sole compravendite;
d) il prezzo di vendita non era stato mai pagato e cio’ in virtu’ di un presunto finanziamento che la venditrice (OMISSIS) avrebbe erogato alla cessionaria controllata (OMISSIS) s.r.l.
6. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo che possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione logica, sono infondati.
7. Nelle ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione e’ effettiva, ma spetta all’Amministrazione, che adduce l’esistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realta’ non e’ mai stata posta in essere. Tale prova e’ raggiunta se l’amministrazione fornisca validi elementi – alla stregua del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 54, comma 2, – che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente fittizie), ovvero che – ai sensi del medesimo decreto, articolo 54, comma 3, dimostrino “in modo certo e diretto” la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione; in tal caso verra’ a gravare sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. n. 2847 del 7/2/2008; Cass. 17977 del 24/7/2013; Cass. 18111 del 14/9/2016; Cass. n. 11873 del 15/5/2018).
Pertanto, il giudice tributario e’ tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione e, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravita’, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne e’ onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. c.c. e 2697 c.c. (Cass. n. 9784 del 23.4.2010).
8. Tanto premesso in via generale, la sentenza impugnata, all’esito dell’esame dei presupposti fattuali, e’ pervenuta alla valutazione conclusiva della mancanza di “presunzioni gravi, precisi e concordanti” desumibili dagli elementi offerti dall’Amministrazione.
I giudici di merito hanno, infatti, rilevato che l’Agenzia delle Entrate non ha dimostrato che il prezzo pattuito nei rogiti notarili non fosse quello effettivo e reale, atteso che la presunta fittizieta’ delle operazioni non poteva ricavarsi dai valori degli immobili del Comune di Orbetello, che l’Ufficio aveva preso come elemento di raffronto, trattandosi di immobili situati in localita’ diversa da quella in cui si trovavano i cespiti acquistati dalla contribuente; hanno, inoltre, posto in rilievo che il maggior prezzo pattuito dalle parti teneva conto della concessione edilizia gia’ rilasciata, della progettazione esecutiva, del contratto di appalto e degli oneri accessori gia’ assolti dalla venditrice, nonche’ del fatto che i beni immobili, prima dell’acquisto da parte della (OMISSIS), avevano caratteristiche completamente diverse rispetto al momento in cui erano stati venduti alla (OMISSIS) s.r.l.
Hanno, quindi, ritenuto che la circostanza, pure dedotta dall’Ufficio, che la (OMISSIS) aveva dichiarato, ai fini I.V.A., un volume d’affari inferiore all’imponibile delle due compravendite concluse con la (OMISSIS) s.r.l. non fosse supportata da idoneo riscontro documentale e che le questioni attinenti al pagamento del prezzo pattuito ed al finanziamento effettuato dal socio (OMISSIS) erano state riproposte in sede di appello senza apportare elementi specifici ed ulteriori rispetto a quelli gia’ sottoposti ai giudici di primo grado e da questi gia’ esaminati e valutati.
La Commissione regionale ha dunque svolto una completa valutazione di ciascun indizio offerto dall’Agenzia delle Entrate, ponendolo in collegamento con gli altri secondo lo schema legale della presunzione semplice, ed ha fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione in materia di onere probatorio, addivenendo, con apprezzamento di fatto, che, essendo adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimita’, ad un accertamento che esclude la sussistenza della indebita detrazione di I.V.A.
Non sono, pertanto, configurabili le denunciate violazioni di legge, ne’ il prospettato vizio di motivazione.
9. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 26, ed assume, relativamente al rilievo che riguarda una nota di credito asseritamente emessa in carenza dei presupposti di legge, che la Commissione regionale ha violato la disposizione normativa richiamata, perche’ la nota di variazione non faceva alcun riferimento alla fattura di vendita modificata.
Richiamando la motivazione dell’avviso di accertamento, ritrascritto in ricorso, l’Agenzia delle Entrate sottolinea che l’esame delle scritture contabili ha consentito di accertare l’esistenza di due acconti dell’importo di Euro 30.000,00 ricevuti dalla (OMISSIS) s.r.l. e fatturati con causale “acquisto di un fondo commerciale sito in via Sauro”, registrati in data 2/1/2003 e 1/2/2003, nonche’ l’annotazione, in data 1/4/2003, di “anticipi da clienti” per Euro 34.000,00, relativi ad una nota di credito emessa nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. con causale “storno per errata fatturazione” senza alcun riferimento alla fattura precedente.
10. Il motivo e’ fondato.
10.1. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 26, consente al cedente di portare in detrazione l’I.V.A. in ogni caso in cui ” un’operazione per la quale sia stata emessa fattura…. viene meno in tutto od in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile “.
L’applicabilita’ di tale disposizione presuppone: a) la realizzazione di un’operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, che sia vera e reale (Cass. n. 5979 del 14/3/2014 e n. 24231 del 18/11/2011); b) il sopravvenire di una causa di scioglimento del contratto (Cass. n. 15059 del 2/7/2014), non occorrendo uno specifico accertamento negoziale o giudiziale dell’intervenuta risoluzione; c) la sussistenza di un titolo idoneo a realizzare gli effetti solutori del precedente contratto, con il rispetto delle eventuali forme prescritte ad substantiam o ad probationem; d) l’identita’ delle parti dell’accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale; e) il regolare adempimento degli obblighi di registrazione previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; f) un lasso di tempo infrannuale, entro il quale deve verificarsi la vicenda risolutiva, qualora essa trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso (Cass. n. 20445 del 6/10/2011; Cass. n. 13250 del 2015).
10.2. Dal tenore della norma si evince chiaramente che cio’ che rileva non e’ la modalita’ con cui si manifesta la causa di variazione dell’imponibile I.V.A., ma piuttosto il fatto che sia della variazione che della sua causa sia stata effettuata la dovuta registrazione, conformemente a quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 23, 24 e 25. Poiche’ lo scopo perseguito dalla legge e’ quello di evitare forme di elusione degli obblighi del contribuente, attraverso l’introduzione del principio di immodificabilita’ delle registrazioni obbligatorie, con la sola eccezione di successive variazioni dell’imponibile o dell’imposta, ai sensi del citato articolo 26, ne discende che il contribuente e’ tenuto a fornire la prova della corrispondenza tra le due operazioni (originaria e sopravvenuta) mediante la specifica indicazione di quei dati che risultino idonee a collegarle, ossia dimostrando l’identita’ tra l’oggetto della fattura e della registrazione originarie e l’oggetto della registrazione della variazione, in modo da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili (Cass. n. 9188 del 6/7/2001). Qualora tale corrispondenza non emerga dal contenuto di tali atti, il contribuente puo’ ricorrere anche ad altri mezzi probatori, purche’ rispetti i principi generali in materia di prova (Cass. n. 8535 del 2014; n. 13250 del 2015).
10.3. Nel caso in esame, il giudice d’appello si e’ discostato dai principi sopra indicati, in quanto, affermando che “secondo la (OMISSIS) s.r.l. la ripresa aveva come presupposto la nota di credito presentata dalla societa’ (OMISSIS) s.r.l.” e che “l’anomalia riscontrata dall’Ufficio era stata giustificata, dalla (OMISSIS), con il fatto che nell’anno 2002 tutte le fatture erano state pagate, e, quindi, nessun rapporto reciproco di dare/avere poteva emergere in sede di bilancio”, ha annullato l’accertamento senza verificare se la societa’ contribuente avesse fornito un “documentata giustificazione” della emissione della nota di accredito in questione.
11. In conclusione, va rigettato il ricorso incidentale proposto dalla contribuente e, in accoglimento del primo e del quinto motivo del ricorso principale, rigettati i restanti motivi, la sentenza va cassata, con rinvio della causa, per nuovo esame della fattispecie ed adeguata motivazione sui rilievi sopra enunciati sub. § 2.2., 2.3., 2.4., 2.5., 2.6. e 10.1, 10.2. e 10.3., alla Commissione tributaria regionale della Toscana, che, in diversa composizione, liquidera’ anche le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il primo ed il quinto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri motivi del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.
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