Procedimenti disciplinari nei confronti di appartenenti ad organi di pubblica sicurezza

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 25 febbraio 2020, n. 1397.

La massima estrapolata:

In materia di procedimenti disciplinari nei confronti di appartenenti ad organi di pubblica sicurezza l’accertamento della proporzionalità della sanzione all’illecito disciplinare contestato e la graduazione della sanzione stessa, si risolvono in giudizi di merito da parte dell’Amministrazione che sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si riveli una loro manifesta illogicità o la contraddittorietà.

Sentenza 25 febbraio 2020, n. 1397

Data udienza 23 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3669 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Me. e Fr. Ve., con domicilio eletto presso l’avvocato Ca. Mo. in Roma, via (…);
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Valle d’Aosta, n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati Gi. Me. e Fr. Ve., nonché l’avvocato dello Stato Gi. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il T.a.r. per la Valle d’Aosta, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso proposto dall’appellante per l’annullamento del decreto di destituzione emanato dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno in data 22 febbraio 2017.
L’interessato ha interposto appello avverso detta sentenza, articolando i seguenti motivi di impugnativa:
– i fatti contestati sarebbero infondati e, comunque, si tratterebbe di episodi isolata occorsi fuori dal servizio, sicché il provvedimento di destituzione sarebbe illogico e privo di adeguata motivazione;
– la gravissima sanzione inflitta non sarebbe in linea con il canone della necessaria proporzionalità, né risulterebbe applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all’art. 7, n. 6, del d.P.R. n. 737 del 1981;
– il provvedimento impugnato farebbe riferimento a sanzioni disciplinari inflitte dal Direttore della Scuola Al. Ag. di Al., allorquando l’appellante era allievo e non ancora immesso in ruolo, per cui non si sarebbe potuto tenere conto di tali condotte e, comunque, le stesse non sarebbero tali da poter configurare una “persistente condotta riprovevole”;
– il riferimento ad atti che rilevano mancanza del senso dell’onore e del senso morale ex art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 violerebbe il principio di tassatività e determinatezza;
– le dichiarazioni difensive rese dall’incolpato non sarebbero state considerate e, soprattutto, sarebbero state ignorate le dichiarazioni testimoniali, favorevoli all’incolpato, rese dalle persone presenti in loco ed informate dei fatti;
– la complessiva valutazione discrezionale negativa dell’Amministrazione sarebbe viziata, dal momento che si sarebbe formata su presupposti errati o non provati con assoluta certezza;
– il provvedimento di destituzione, quindi, sarebbe viziato per eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e sarebbero evidenti il travisamento dei fatti e l’erroneità dei presupposti;
– le “anomalie comportamentali in sospetto abuso di sostanze alcoliche” sarebbero state smentite dagli esiti degli oggettivi esami strumentali cui l’interessato si è sottoposto dal 30 agosto 2016 a tutto febbraio 2017, tanto da aver ricevuto un giudizio di piena idoneità ai servizi d’Istituto;
– la sanzione massima sarebbe stata inflitta senza la ponderazione, da parte dell’Amministrazione, di ulteriori e significative circostanze oggettive quali la giovane età dell’incolpato e le gravi condizioni di salute del padre e, inoltre, l’incolpato avrebbe avuto in servizio un comportamento esemplare;
– nel provvedimento impugnato non vi sarebbe traccia di un pregiudizio concreto subito dall’Amministrazione o dal servizio a causa delle infrazioni addebitate, per cui sussisterebbe una abnorme sproporzione tra la destituzione irrogata e le infrazioni contestate, per fatti accaduti fuori servizio, non costituenti nemmeno reato;
– gli atti impugnati sarebbero illegittimi per la mancata preventiva e puntuale contestazione della trasgressione posta a base della sanzione disciplinare irrogata;
– la previsione di una molteplicità di infrazioni per la medesima sanzione esigerebbe che il contraddittorio tra le parti si sia realizzato sulla specifica infrazione che, tra le altre astrattamente individuate dalla norma, l’Amministrazione procedente riterrebbe di dovere in concreto applicare;
– il Consiglio provinciale di disciplina avrebbe proceduto ugualmente ai lavori nonostante l’interessato fosse affetto da “lombosciatalgia” e la notevole distanza intercorrente per giungere ad Aosta, per cui vi sarebbe stata compromissione del diritto di difesa costituzionalmente garantito;
– la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta tardivamente;
– in violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 731 del 1981, secondo cui il rapporto non deve contenere alcuna proposta relativa alla specie e all’entità della sanzione, il superiore avrebbe prospettato una sanzione superiore alla deplorazione;
– la convocazione del Consiglio di disciplina sarebbe avvenuta oltre il termine fissato dall’art. 20, comma 1, del dPR n. 737 del 1981.
L’Amministrazione ha contestato la fondatezza delle censure dedotte, concludendo per il rigetto del gravame.
L’ordinanza di questa Sezione n. -OMISSIS-, ha respinto l’istanza cautelare con la seguente motivazione:
“Considerato che, ad una prima delibazione, l’appello cautelare non sembra assistito da adeguato fumus boni iuris in quanto – tenuto anche conto che i fatti si sono svolti durante il periodo di prova, vale a dire nella delicatissima fase di prima formazione dell’agente, e che l’interessato è stato destinatario in un brevissimo arco temporale di ulteriori sanzioni disciplinari – la valutazione compiuta dall’amministrazione e la conseguente scelta non appaiono manifestamente irragionevoli”.
All’udienza pubblica del 23 gennaio 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. L’appello è infondato e va di conseguenza respinto.
2.1. Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, con provvedimento in data 22 febbraio 2017, ha decretato che l’appellante – quale agente in prova della Polizia di Stato – è stato destituito dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, a decorrere dalla data di notifica del provvedimento, ai sensi dell’art. 7, nn. 1 e 6, del d.P.R. n. 737 del 1981, per le ragioni esposte nell’unita deliberazione del 21 dicembre 2016, che si intendono integralmente riportate.
Il provvedimento è stato adottato sulla base delle seguenti ragioni:
– rilevato che, nella serata del 5 agosto 2016, presso un bar di -OMISSIS-, l’incolpato ha fatto uso di sostanze alcoliche in quantità tale da assumere un evidente stato di alterazione psicofisica ed ha importunato altri avventori sia all’interno che all’esterno del locale, qualificandosi, altresì, come appartenente alla Polizia di Stato;
– considerato, inoltre, che l’incolpato, nella tarda serata del -OMISSIS-, in occasione di una festa comunale, ha nuovamente abusato di bevande alcoliche, entrando in lite con più persone e cercando deliberatamente lo scontro fisico con chi tentava di calmarlo, come emerge dalle relazioni di servizio di personale della Polizia di Stato intervenuto in loco e da numerosi testimoni presenti al momento dei fatti;
– tenuto conto che la situazione non è degenerata solo grazie all’intervento di personale intervenuto sul posto che ha scongiurato una colluttazione fisica, ormai quasi imminente;
– rilevato che il dipendente è stato deferito al Consiglio Provinciale di Disciplina, istituito presso la Questura di Aosta, per i fatti sopra descritti;
– vista l’allegata delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina di Aosta del 21 dicembre 2016, che si intende integralmente trascritta, con la quale, nei confronti dell’incolpato, è stata proposta l’applicazione della sanzione disciplinare della destituzione;
– considerato che, secondo le norme generali di condotta, ai sensi dell’art. 13 del dPR n. 782 del 1985, il personale della Polizia di Stato, “anche fuori servizio, deve mantenere una condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni”;
– valutate le giustificazioni addotte dall’interessato a sua discolpa, nonché letto l’art. 13 del d.P.R. n. 737 del 1981, e ritenuto che le circostanze valutabili a suo favore ivi enunciate, dopo attenta disamina di ciascuna di esse, non siano sufficienti a sminuire la gravità della condotta addebitata al soggetto, che ha evidenziato un totale distacco dai principi deontologici condivisi dall’Amministrazione, così come conclamata anche dalla recidiva delle condotte di rilevanza disciplinare poste in essere nel corso del rapporto di servizio con la stessa;
– tenuto conto che l’incolpato, in un arco temporale brevissimo, è stato destinatario di sanzioni disciplinari quali un richiamo scritto, una pena pecuniaria nella misura di 1/30 ed una deplorazione, quest’ultima per comportamenti analoghi a quelli oggetto del presente procedimento;
– considerato, pertanto, che detti precedenti disciplinari denotano nell’incolpato un comportamento proclive alla reiterazione degli illeciti e volto a infrangere i canoni di correttezza deontologica e professionale cui devono attenersi gli appartenenti alla Polizia di Stato;
– tenuto conto che l’incolpato è stato riconosciuto, prima dall’Ufficiale Sanitario della Questura di Torino e, successivamente, dalla C.M.O. di Milano, temporaneamente non idoneo al servizio per complessivi 182 giorni, per “riferite anomalie comportamentali in sospetto abuso di sostanze alcoliche”, già durante la frequenza del corso e, comunque, abbia continuato a perseverare nella sua deprecabile condotta, incurante dei risvolti negativi e dell’indubbio danno d’immagine arrecato all’Amministrazione di appartenenza;
– rilevato altresì che, nonostante le numerose mancanze disciplinari perpetrate e le possibilità di ravvedimento concesse dall’Amministrazione di appartenenza, con l’inflizione di sanzioni minori, l’interessato ha perseverato in atteggiamenti esecrabili, dimostrando una costante predisposizione a violare disposizioni, regolamenti ed ordini e di essere totalmente irrecuperabile sotto il profilo deontologico, mostrando una latente resistenza al rispetto delle regole che non può garantire l’aderenza a quei principi di correttezza, dignità e serietà che devono connotare la condotta di vita di un appartenente alla Polizia di Stato, anche al di fuori del servizio;
– ritenuto, pertanto, che la grave e negligente condotta posta in essere dall’incolpato, valutata soprattutto alla luce del quadro complessivo dei precedenti disciplinari di servizio, peraltro commessi con progressiva gravità, sia sintomatica di una sua insofferenza soprattutto verso l’adempimento dei doveri connessi al suo status di appartenente all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, tale da non poter più giustificare la sua permanenza in servizio;
– ritenuto, quindi, che non sussistano motivi per discostarsi dal deliberato del predetto Consiglio;
– visti gli artt. 7, 19, 20 e 21 del dPR n. 737 del 1981.
Le ragioni a base della destituzione sono state ancora più analiticamente rappresentate nella delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina della Questura di Aosta, in data 21 dicembre 2016, integralmente riportata nel decreto, con cui l’organo istituzionalmente competente, all’unanimità, ha proposto che venga inflitta al deferito la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio prevista dall’art. 7, comma 2, punti numero 1 e numero 6 del d.P.R. n. 737 del 1981.
2.2. Le censure articolate dall’appellante sono sia di carattere sostanziale sia di carattere procedimentale.
2.2.1. Le doglianze sostanziali si basano essenzialmente sul mancato accertamento dei fatti e, quindi, sul loro travisamento e sulla sproporzione tra i fatti addebitati e la sanzione irrogata, nonché sui connessi vizi di carenza di istruttoria e di difetto di motivazione.
2.2.1.1. L’art. 7, comma 2, del d.P.R. n. 737 del 1981 – sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti – prevede, tra le varie ipotesi, che la destituzione è inflitta “per atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale” (n. 1) e “per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari” (n. 6).
La fonte normativa del potere esercitato dall’Amministrazione, quindi, è chiara, con la specificazione che è stato fatto riferimento a due ipotesi, ciascuna delle quali di per sé astrattamente idonea a giustificare l’esercizio del potere.
Con riferimento alla ipotesi di cui al n. 1), per quanto riguarda i caratteri di tassatività e determinatezza della fattispecie illecita, occorre rilevare che la giurisprudenza ha costantemente escluso la possibilità di applicare agli illeciti disciplinari, sic et simpliciter, i risultati interpretativi conseguiti dalla dottrina e dalla giurisprudenza (da ultimo Cassazione Civile, Sezioni Unite, 26 ottobre 2017, n. 25457), ferma restando l’esigenza di verificare quali siano i termini in cui il principio di legalità (e, con esso, di tassatività e determinatezza della fattispecie “incriminatrice”) debba essere inteso nel settore oggetto di indagine.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, già con sentenza n. 27996 del 16 dicembre 2013, affrontando la tematica in relazione alla materia disciplinare, sia pure forense, ha posto in rilievo che, alla luce della costante giurisprudenza delle Sezioni Unite (v., in particolare, sent. nn. 19042002, 10601/2005, 37/2007, 23020/2011), il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare (in quel caso forense), nell’ambito della quale non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti illeciti non conformi, ma solo quella dei doveri fondamentali.
La stessa giurisprudenza amministrativa ha ritenuto ormai acquisito il principio secondo cui i corollari della determinatezza e della tassatività afferenti alla legalità riguardino esclusivamente le sanzioni penali, ma non le sanzioni disciplinari, salvi i vizi che possono tipicamente inficiare i provvedimenti adottati (cfr., in sede consultiva, Cons. Stato, II, 2 dicembre 2010, n. 5283).
D’altra parte, l’illecito disciplinare di cui al n. 1 è tipizzato, mentre la formulazione ampia di “atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale”, in presenza di una casistica in teoria vastissima, tanto da non poter consentire una più specifica determinazione, attribuisce ragionevolmente all’Autorità amministrativa il compito di inquadrare la fattispecie concreta in quella astratta, salvo il sindacato giurisdizionale amministrativo ove l’esercizio della funzione si riveli viziato da una delle figure sintomatiche di eccesso di potere.
Con riferimento all’ipotesi di cui al n. 6), sicuramente applicabile alla fattispecie in ragione della articolata motivazione a sostegno della scelta sanzionatoria, è evidente che l’Amministrazione ha accertato un’ipotesi di “persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari”.
2.2.1.2. L’Amministrazione non è incorsa in alcun travisamento dei fatti accaduti il 5 e -OMISSIS-, i quali, invece, sono stati verificati attraverso una puntuale ed analitica istruttoria.
Pertanto, risulta condivisibile quanto statuito dal giudice di primo grado in ordine alla sostanziale veridicità dei fatti contestati all’incolpato:
– il primo, accaduto nella serata del 5 agosto 2016, presso un bar di -OMISSIS-, è consistito nell’avere fatto uso di sostanze alcoliche in quantità tale da assumere un evidente stato di alterazione psicofisica e nell’avere importunato altri avventori sia all’interno che all’esterno di un locale, qualificandosi altresì come appartenente alla Polizia di Stato;
– il secondo, verificatosi nella tarda serata del -OMISSIS-, in occasione di una festa comunale, è consistito nell’avere nuovamente abusato di bevande alcoliche, entrando in lite con più persone, cercando deliberatamente lo scontro fisico con chi tentava di calmarlo, sino all’intervento di personale di Polizia che ha scongiurato una colluttazione fisica, ormai quasi imminente.
I fatti contestati sono confermati nella stessa sentenza del Tribunale di Aosta n. 437, depositata il 18 dicembre 2019, che pure ha assolto l’imputato dal reato ascrittogli (calunnia) perché il fatto non costituisce reato.
In particolare, è dato leggere nella motivazione della detta sentenza quanto segue:
* in ordine al comportamento tenuto presso il “bar -OMISSIS-” di -OMISSIS-: “in virtù di quanto riferito dalla teste Bua l’imputato avrebbe quindi tenuto comportamenti obiettivamente ‘molestà, inopportuni e invasivi”;
* in ordine ai comportamenti tenuti in entrambi gli episodi: “anche dalle dichiarazioni del teste -OMISSIS- risulta, quindi, che l’imputato avrebbe tenuto in entrambe le occasioni un contegno inopportuno, da persona ubriaca, esagitata e fastidiosa che approccia le ragazze venendo respinto dopo aver tentato il contatto fisico, attirando su di sé le ire dei presenti e ponendosi nella condizione di essere ‘cacciatò in malo modo dagli addetti alla sicurezza”;
* ancora ordine al comportamento tenuto presso il “bar -OMISSIS-” di -OMISSIS-: “ciò non vale evidentemente a connotare positivamente il complessivo comportamento dell’imputato che comunque era risultato fastidioso, insistente nel corteggiamento, tanto da dover essere seccamente e bruscamente frenato dalla -OMISSIS- e da indurre i suoi amici a intervenire in soccorso” e “risulta, quindi, evidente come l’imputato abbia speso la propria qualifica con l’effetto di intimidire la -OMISSIS- e di condizionarne la legittima reazione”;
* in ordine alle relazioni di servizio che hanno generato la vicenda penale: “risulta, quindi, che le relazioni di servizio di -OMISSIS-sono sostanzialmente veritiere, salvo che con riferimento alla presunta violenza sessuale (palpeggiamento del fondo schiena) ai danni della -OMISSIS- riportata nella sola relazione del -OMISSIS-, ma che non trova riscontro nel racconto della -OMISSIS- e neppure nella testimonianza dello stesso -OMISSIS-“;
* in ordine al complessivo comportamento tenuto dall’interessato: “già si è detto che -OMISSIS-, verosimilmente eccitato dall’alcool, ha tenuto un contegno obiettivamente invadente e ‘molestò nei confronti delle ragazze, che con insistenza ha corteggiato e infastidito, ha ostentato la qualifica di poliziotto procurando in altri soggezione, ha causato la legittima reazione dei presenti sfiorando la rissa, si è posto nella condizione di dovere essere allontanato per evitare che la situazione degenerasse”.
Insomma, non sussiste alcun travisamento dei fatti (né alcuna carenza di istruttoria), i quali, al contrario, sono stati riscontrati dalla locale Questura, a seguito di una ampia ed esaustiva istruttoria, in modo analitico ed attento, nel pieno rispetto delle regole di buona amministrazione.
I precedenti disciplinari, inoltre, costituiscono dati obiettivi incontrovertibili.
2.2.1.3. Parimenti infondate sono le doglianze con cui l’appellante ha prospettato la violazione del principio di proporzionalità tra la massima sanzione di stato irrogata ed i fatti contestati, nonché il connesso difetto di motivazione.
Il T.a.r. ha condivisibilmente affermato che:
“Per giurisprudenza costante, l’Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare in via autonoma la rilevanza disciplinare dei fatti, tanto che “l’accertamento della proporzionalità della sanzione all’illecito disciplinare contestato e la graduazione della sanzione stessa, risolvendosi in giudizi di merito da parte dell’Amministrazione, sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si riveli una loro manifesta illogicità o la contraddittorietà ” (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 16/04/2015, n. 1968).
Nel caso di specie, tali vizi non possono ritenersi sussistenti e ciò in considerazione sia della gravità e della ripetitività degli episodi contestati sia della circostanza che, nel corso della sua breve carriera, il ricorrente sia incorso in altre tre sanzioni disciplinari – le quali, pur se inflitte nel periodo in cui non era ancora immesso in ruolo, sono comunque indicative di un atteggiamento scarsamente rispettoso delle norme di condotta e giustificano quindi l’applicazione della previsione di cui all’art. 7, c. 6, d.P.R. n. 7371981 – e, nell’agosto 2016, sia stato riconosciuto dalla Questura di Torino e dalla C.M.O. di Milano temporaneamente non idoneo al servizio, per anomalie comportamentali, presumibilmente dovute all’abuso di sostanze alcoliche.
Non può, inoltre, può attribuirsi rilievo alla circostanza che i fatti in questione siano stati compiuti fuori dal servizio, stante la sussistenza dell’obbligo, in capo al personale di Polizia di Stato, di mantenere una condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni anche al di fuori del servizio (art. 13, d.P.R. n. 752/1985); parimenti, non palesano un vizio di manifesta illogicità la giovane età, le precarie condizioni di salute del padre del ricorrente e gli esiti di esami e visite effettuati in anni precedenti”.
Pertanto, come già evidenziato in sede di ordinanza cautelare, ha cospicuo rilievo che i fatti si sono per di più svolti durante il periodo di prova, e cioè nella delicatissima fase di prima formazione dell’agente, e che l’interessato è stato destinatario in un brevissimo arco temporale di ulteriori sanzioni disciplinari.
In particolare, i comportamenti disciplinarmente rilevanti sono stati compiuti, in numero di 3 (dal 15 febbraio 2016 al 30 aprile 2016, con applicazione delle sanzioni del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione), dall’interessato frequentatore del 195° corso di formazione per Allievi Agenti e, quindi, già legato da un rapporto di servizio con l’Amministrazione, ed i successivi, nelle riferite date del 5 e -OMISSIS-, dall’interessato Agente in prova.
Ne consegue che non è affetta da alcuna illogicità la valutazione compiuta dal Consiglio provinciale di Disciplina, secondo cui non si può non tener conto che in pochissimi mesi “l’incolpato abbia commesso una serie di mancanze che denotano chiaramente incapacità di adattarsi e conformarsi alle regole e ai principi che devono invece ispirare l’operato di un appartenente alla Polizia di Stato, sia quando è in servizio, sia quando non lo è “.
Parimenti ragionevole è la successiva argomentazione secondo cui “nei fatti contestati all’incolpato non si riscontrano i valori… ai quali deve tendere il comportamento di un appartenente alla Polizia di Stato sia in servizio, sia fuori servizio”, laddove, “dalle dichiarazioni assunte dagli altri avventori presenti ai fatti contestati emerge un generalizzato senso di sfiducia nei confronti dell’Istituzione, in netto contrasto con quanto previsto dall’art. 24 della legge 121/81 secondo il quale il comportamento del dipendente deve tendere ad ottenere la stima, la fiducia e la credibilità da parte dei cittadini.
Né in tale contesto, possono avere rilievo circostanze quali la giovane condotta dell’interessato, le gravi condizioni di salute del padre ed i comportamenti di servizio, in quanto, come in modo non illogico indicato nella motivazione dell’atto, esse non sono idonee a sminuire la gravità delle condotte addebitate al soggetto, che ha evidenziato un totale distacco dai principi deontologici condivisi dall’Amministrazione.
In definitiva, l’analitica istruttoria condotta e l’ampia motivazione a sostegno della sanzione irrogata danno conto dell’insussistenza del dedotto vizio di violazione del principio di proporzionalità .
2.2.2. Le censure di carattere procedimentale sono infondate per i seguenti motivi:
– secondo pacifico orientamento della giurisprudenza amministrativa, hanno carattere ordinatorio i termini fissati per la nomina del funzionario istruttore, per il compimento degli incombenti preliminari e per la trasmissione della delibera della Commissione di Disciplina (Adunanza Plenaria 27 giugno 2006, n. 10);
– il termine di 10 giorni per la formulazione della contestazione degli addebiti, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, ha carattere meramente ordinatorio o, più propriamente, sollecitatorio (Cons. Stato, Sez, I, n. 1571/2022 in data 21 aprile 2011);
– le doglianze relative alla tardiva contestazione degli addebiti ed alla tardiva convocazione del Consiglio di disciplina, pertanto, si rivelano infondate;
– la contestazione degli addebiti, in data 7 ottobre 2016, ha fatto puntuale riferimento ai fatti accaduti presso il “Bar -OMISSIS-” in-OMISSIS-e nell’ambito della festa patronale di San Lorenzo;
– la contestazione degli addebiti ha altresì fatto riferimento alle norme da applicare, avendo richiamato, oltre il contrasto con l’art. 13 del d.P.R. n. 782 del 1985, anche il contrasto con l’art. 7, n. 1 e n. 6 del d.P.R. n. 737 del 1981, vale a dire la violazione con le norme che ha poi determinato la sanzione della destituzione, sicché il contraddittorio procedimentale si è correttamente sviluppato;
– gli atti endoprocedimentali danno ampiamente conto del fatto che sia il 19 dicembre 2016, data inizialmente fissata per la seduta conclusiva del Consiglio Provinciale di Disciplina, sia il 21 dicembre 2016, data in cui si è tenuta la seduta conclusiva del Consiglio, l’incolpato è stato sottoposto a visita medica ed è stato riscontrato affetto da lombalgia e giudicato comunque “idoneo a viaggiare”, sicché correttamente non sono stati ravvisati gli estremi del legittimo impedimento a presenziare alla seduta, e ciò a prescindere dalla distanza tra i diversi Comuni, atteso che, altrimenti opinando, anche in presenza di un’idoneità al viaggio, l’attività amministrativa potrebbe essere costantemente differita, con evidente compromissione del suo buon andamento;
– l’art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 737 del 1981 stabilisce che il capo dell’ufficio o il comandante del reparto che abbia avuto notizia di un’infrazione commessa da un dipendente, per la quale sia prevista una sanzione più grave della deplorazione, se il trasgressore appartiene a qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il dipartimento di pubblica sicurezza, ne dà comunicazione all’autorità centrale competente ad infliggere la sanzione, sicché, come condivisibilmente esposto dal giudice di primo grado, il dirigente della Polizia di Frontiera ha dato avvio al procedimento sanzionatorio ai sensi di tale norma, senza per questo violare il disposto dell’art. 12 del d.P.R. n. 737 del 1981;
– in definitiva, nel ritenere che il comportamento dell’Agente in prova configurasse una responsabilità disciplinare punibile con una misura superiore alla deplorazione, il Dirigente ha giustificato la scelta di dare avvio al procedimento per l’irrogazione di una sanzione superiore alla deplorazione, vale a dire la sospensione dal servizio o la destituzione, ma non ha formulato una specifica proposta di sanzione.
3. Per tutto quanto esposto, l’appello è infondato e va respinto.
Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e, complessivamente liquidate in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico dell’appellante ed a favore dell’Amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe (RG n. 3669 del 2018).
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, in favore dell’Amministrazione appellata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato, anche fattuale, idoneo ad identificare la parte appellante nonché qualunque altra persona fisica indicata nella motivazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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