Privato danneggiato da un provvedimento illegittimo

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 30 novembre 2018, n. 2104.

La massima estrapolata:

Al privato che assume di essere stato danneggiato da un provvedimento illegittimo non spetta un particolare impegno per dimostrare la colpa dell’Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto e fare poi riferimento alle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 Cod. civ. per dimostrare l’elemento soggettivo; spetta poi all’Amministrazione dimostrare che si è verificato un errore scusabile configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, ovvero di rilevante complessità del fatto.

Sentenza 30 novembre 2018, n. 2104

Data udienza 6 luglio 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2266 del 2012, proposto da:
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ma., con domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione in Roma, via (…);
contro
So. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fe. Te., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Largo (…);
nei confronti
Arcadis – Agenzia Regionale Campana Difesa Suolo, non costituita in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 4306 del 2012, proposto da:
So. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ri., De. Fe., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ri. in Roma, viale (…);
contro
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato ed altri non costituita in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 2266 del 2012:
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli: Sezione IV, n. 04421/2011, resa tra le parti, concernente dichiarazione di cessazione dell’attività di cava e diniego della istanza di autorizzazione ex art. 27 delle NTA del PRAE;
quanto al ricorso n. 4306 del 2012:
della sentenza del T.A.R. Campania – Napoli: Sezione IV, n. 04421/2011, resa tra le parti, concernente dichiarazione di cessazione dell’attività di cava e diniego dell’istanza di autorizzazione ex art. 27 delle NTA del PRAE.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto gli atti di costituzione in giudizio di So. s.r.l. e della Regione Campania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 luglio 2017 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Ro. Pa., in sostituzione dell’avv. Ma., Fe. Te. e Gi. Ri. e, in sostituzione dell’avv. Bu., Ro. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

A)1.- Con ricorso (iscritto sub n. 2266/2012 del R.G.) la Regione Campania ha interposto appello nei confronti della sentenza 15 settembre 2011, n. 4421 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. IV, con la quale è stato respinto il ricorso (n. 7061/2005 del R.G.) esperito da So. s.r.l. e D’I.& T. s.r.l avverso il provvedimento n. 77 in data 30 agosto 2005, disponente la cessazione dell’attività di cava dalla stessa svolta, ed accolto il ricorso (n. 7274/2010 del R.G.). avverso la conferma in data 12 ottobre 2010 di diniego (risalente al 2 agosto 2007) dell’istanza di prosecuzione dell’attività in questione ai sensi dell’art. 27 delle N.T.A. del P.R.A.E.-piano regionale delle attività estrattive, con condanna della Regione Campania al risarcimento dei danni. L’appello è naturalmente limitato alla statuizione di accoglimento del ricorso n. 7274/2010 del R.G. che vede la Regione soccombente.
Allega l’appellante come sin dal 1999 il Genio Civile di Caserta abbia contestato alla società appellata l’abusiva attività estrattiva (per sconfinamento e difformità rispetto all’originario progetto di coltivazione) nella cava di calcare sita nel Comune di (omissis), località (omissis); nel 2000 è stato approvato il progetto di recupero ambientale del sito di cava, presentato dalla società ; infine con la determina dirigenziale n. 77 del 30 agosto 2005, a seguito di nuovo accertamento tecnico, la Regione ha dichiarato definitivamente abusiva l’attività di cava con trasferimento delle azioni di ricomposizione ambientale nella competenza del Commissario di governo per l’Emergenza Rifiuti e Tutela Acque nella Regione Campania.
2. – La sentenza appellata, riuniti i ricorsi, ha respinto il ricorso n. 7061/2015 del R.G. proposto avverso l’atto regionale di decadenza dall’autorizzazione di cui al decreto dirigenziale n. 77 del 2005, ed accolto il ricorso n. 7272/2010 del R.G., nell’assunto che può ritenersi “cava autorizzata” anche quella, produttiva o meno, in cui si svolge la sola attività di recupero ambientale, costituente il presupposto per l’applicazione dell’art. 27 delle NTA del piano regionale delle attività estrattive, e dunque per l’inclusione della cava tra le aree di crisi, con conseguente condanna della Regione al risarcimento del danno alla stregua dei criteri nella sentenza stabiliti.
3. – L’appello deduce l’erroneità della sentenza nell’assunto che avrebbe dovuto essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso n. 7274/2010 del R.G. per carenza di interesse, essendo pacifico che, una volta confermato il decreto di decadenza, la cava non era più autorizzata neppure al recupero ambientale, ed anzi detta attività doveva ritenersi abusiva, in quanto il decreto dirigenziale n. 77 del 2005 ha fatto venire meno la precedente determina n. 3064 del 2002 con cui era stato consentito il recupero ambientale. La sentenza, ad avviso dell’appellante contraddittoriamente, determina la sostanziale sanatoria di una coltivazione abusiva, in spregio della ratio di conservazione ambientale sottesa all’art. 27 delle NTA del P.R.A.E. che impone nelle aree di crisi il divieto di concessione di nuove autorizzazioni. Viene altresì censurata la statuizione di condanna della Regione al risarcimento del danno nella misura del 20 per cento in ragione del mancato ampliamento rispetto ad un’attività dichiarata abusiva sin dal 1999.
4. – Si è costituita in resistenza la So. s.r.l., chiedendo la reiezione dell’appello.
B) 5. – Con ricorso (iscritto sub n 4306/2012 del R.G.) la So. s.r.l. ha, a sua volta, appellato la sentenza 15 settembre 2011, n. 4421 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sez. IV, relativamente alla statuizione di rigetto del ricorso n. 7061/2005 del R.G. avverso il provvedimento di decadenza dall’autorizzazione estrattiva regionale n. 77 del 2005 e di declaratoria di cessazione dell’attività di cava.
In particolare, l’appello censura la sentenza nell’assunto che non sia maturata la decadenza dall’autorizzazione estrattiva in quanto è mancata la prodroma diffida di cui all’art. 13 della l.r. n. 54 del 1985; in ogni caso il provvedimento impugnato discende dal mero recepimento della consulenza tecnica svolta nell’ambito del procedimento penale, conclusosi peraltro con la sentenza di assoluzione n. 1322 del 2010 perché il fatto non sussiste degli amministratori della So. da parte del G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
6. – Si è costituita in giudizio la Regione Campania senza rassegnare conclusioni.
7. – All’udienza pubblica del 6 luglio 2017 le cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1.-Occorre preliminarmente disporre, ai sensi dell’art. 96 Cod. proc. amm., la riunione dei ricorsi in appello iscritti sub nn. 2266/2012 e 4306/2012 del R.G., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
2. – Occorre principiare, per ragioni di presupposizione logico-giuridica, dalla disamina dell’appello n. 4306/2012 del R.G., con il quale So. s.r.l. ha contestato la statuizione di rigetto del ricorso n. 7061/2005 del R.G. esperito avverso il decreto dirigenziale regionale n. 77 del 2005, disponente la decadenza dell’autorizzazione finalizzata al recupero ambientale risalente al 2002 e la dichiarazione di cessazione dell’attività di cava.
Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 13, comma 1, lett. d), e comma 2, della l.r. Campania 13 dicembre 1985, n. 54, nell’assunto che la decadenza dell’autorizzazione estrattiva sia stata disposta in assenza della prescritta diffida e senza che l’Amministrazione abbia effettuato una verifica volta ad accertare se l’autore dell’attività abusiva abbia posto rimedio alle prescrizioni contenute nella diffida stessa.
La sentenza ha ritenuto che la comunicazione di avvio del procedimento di decadenza ha il valore sostanziale della diffida, sì che la dedotta violazione di legge assumerebbe un valore meramente formale.
L’assunto da cui muove la sentenza non appare condivisibile, e dunque il motivo deve ritenersi fondato.
Nel sistema prefigurato dall’art. 13 della l.r. n. 54 del 1985 (in tema di coltivazione di cave e torbiere) l’autorizzazione si estingue, tra l’altro, “per decadenza nel caso che l’imprenditore della cava, preventivamente diffidato, non osservi le prescrizioni contenute nell’atto di autorizzazione” (comma 1, lett. d); “la diffida ad adempiere, prevista dalla lettera d), deve assegnare un termine non inferiore a giorni novanta e non superiore a giorni centottanta” (comma 2).
La comunicazione di avvio del procedimento di decadenza in data 18 aprile 2005 non ha il contenuto né formale, né sostanziale della diffida; si limita infatti a rilevare il perdurare delle inadempienze della società, ed in particolare uno sconfinamento oltre i limiti stabiliti, nonchè l’assenza di un’attività di ricomposizione ambientale. Aggiunge il provvedimento che non vi è necessità della diffida in quanto l’autorizzazione è stata rilasciata per la sola ricomposizione ambientale e non per la coltivazione della cava, ed inoltre perché il tempo assegnato per detta ricomposizione è già trascorso per una grande parte, e non residua tempo sufficiente in ragione del sequestro penale intervenuto.
Si tratta, all’evidenza, di argomenti che provano troppo; ed infatti la decadenza è disposta per la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nell’atto di autorizzazione (quale che ne sia il contenuto, e dunque anche delle prescrizioni finalizzate a rendere possibile la ricomposizione ambientale autorizzata con decreto dirigenziale n. 3064 del 2002) e, quanto al tempo residuo, non vi è neppure una prognosi che accerti l’irrealizzabilità dell’obiettivo, senza che possa assumere rilievo, in questa prospettiva, la temporanea impossibilità giuridica derivante da un sequestro disposto dall’Autorità giudiziaria per finalità processuali. Peraltro la società interessata ha contestato l’assunto dell’Amministrazione con le controdeduzioni in data 6 maggio 2005.
Ne discende, in un contesto siffatto, che la diffida prevista dall’art. 13, comma 1, lett. d), della l.r. n. 54 del 1985 doveva precedere il provvedimento decadenziale, non potendo ritenersi legittimamente sostituita dalla comunicazione di avvio del procedimento, che ha posto la So. solo in condizione di dedurre e giustificare i propri comportamenti, laddove la diffida le avrebbe consentito di regolarizzare la propria posizione, essendo a ciò finalizzata.
3. – Il motivo è assorbente ai fini del decidere; purtuttavia va rilevato, per completezza, che anche il terzo motivo, con il quale si censura nel merito il provvedimento decadenziale, appare fondato.
La decadenza si basa essenzialmente sugli accertamenti disposti dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, che hanno rilevato una serie di inadempienze, irregolarità, tanto da indurre all’adozione del sequestro dell’attività di cava a fare data dal 3 febbraio 2005; sennonchè tali irregolarità, ed anzitutto lo sconfinamento, sono stati esclusi dalla sentenza di assoluzione (in relazione a tale imputazione) del G.I.P. n. 1322 del 2010, se non nella misura insignificante dei cinque metri incidenti sulla particella n. 5007 (peraltro allo scopo di realizzazione di una strada, e non già a fini estrattivi).
4. – Ne discende che il ricorso in appello n. 4306/2012 del R.G. deve essere accolto, con conseguente riforma, in parte qua, della sentenza appellata, ed accoglimento del ricorso di So. avverso il provvedimento di decadenza dall’autorizzazione dell’attività di cava per ricomposizione ambientale.
5. – Procedendo ora alla disamina del ricorso iscritto sub n. 2266/2012 del R.G., questo concerne l’appello proposto dalla Regione Campania avverso la statuizione di accoglimento del ricorso di So. avente ad oggetto il provvedimento di conferma del diniego dell’istanza presentata dalla stessa So. ai sensi dell’art. 27 delle N.T.A. del P.R.A.E., fondata sull’affermazione per cui anche la sola attività di recupero ambientale rileverebbe nel senso di riconoscere la cava come autorizzata.
I primi motivi deducono, con difese articolate, l’erroneità e/o contraddittorietà della sentenza appellata che ha dichiarato legittima la decadenza dell’attività di cava, divenuta quindi abusiva, al contempo però ritenendo illegittimo l’invero conseguenziale provvedimento di diniego dell’istanza di autorizzazione ex art. 27 delle N.T.A. del P.R.A.E., la cui impugnativa avrebbe invece dovuto essere ritenuta inammissibile.
I motivi sono infondati.
Non occorre indugiare sugli argomenti sviluppati dalle parti, in quanto dirimente è l’accoglimento dell’appello di So. al presente riunito (n. 4306/2012 del R.G), con conseguente annullamento del provvedimento dichiarativo della decadenza dell’attività di cava.
6. – E’ invece fondato l’ultimo motivo di appello rivolto avverso la statuizione di condanna dell’Amministrazione regionale al risarcimento del danno (per lucro cessante) in favore di So., conseguente alla rinuncia agli utili che sarebbero derivati dalla coltivazione e recupero della cava.
Ed infatti la vicenda amministrativa si appalesa particolarmente complessa e caratterizzata dal susseguirsi di una pluralità di provvedimenti amministrativi su cui hanno inciso interventi del giudice amministrativo, sì da potersi escludere la ravvisabilità di una colpa dell’apparato amministrativo.
E’ noto come, secondo la più recente giurisprudenza, al privato che assume di essere stato danneggiato da un provvedimento illegittimo non spetta un particolare impegno per dimostrare la colpa dell’Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto e fare poi riferimento alle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 Cod. civ. per dimostrare l’elemento soggettivo; spetta poi all’Amministrazione dimostrare che si è verificato un errore scusabile configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, ovvero di rilevante complessità del fatto (in termini, tra le tante, Cons. Stato, IV, 6 aprile 2017, n. 1607; 13 luglio 2017, n. 3439).
Nella fattispecie controversa l’Amministrazione non risulta però incorsa in una situazione giuridica e fattuale idonea a dimostrare la propria negligenza od imperizia, e cioè una condotta tenuta in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede. Al contrario, emerge un contesto particolarmente complesso, in cui, al cospetto di uno ius superveniens, all’iniziale accertamento del carattere abusivo dell’attività di estrazione hanno fatto seguito provvedimenti che hanno negato tale situazione, consentendo il protrarsi dell’attività dell’impresa anche se solo finalizzata all’attività di ricomposizione ambientale, in quanto dalla cartografia allegata al P.R.A.E. la cava risultava, al meno in parte, inclusa in “zona critica”.
Deve dunque essere accolto anche l’appello della Regione, solamente in relazione alla statuizione recante la sua condanna al risarcimento del danno; in tali termini deve dunque essere riformata la sentenza di prime cure con riguardo al ricorso n. 7274/2010 del R.G., che deve pertanto essere respinto in relazione alla domanda di condanna della Regione Campania al risarcimento del danno.
7. – In definitiva, alla stregua di quanto esposto, il ricorso di So. s.r.l. n. 4306/2012 del R.G. deve essere accolto, come pure, nei limiti di cui supra, il ricorso della regione Campania n. 2266/2012 del R.G.
La complessità della fattispecie costituisce un giusto ed eccezionale motivo per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così decide: a) li riunisce; b) accoglie il ricorso in appello n. 4306/2012 del R.G., e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di So. avverso il provvedimento di decadenza; c) accoglie in parte il ricorso in appello della Regione Campania n. 2266/2012 del R.G., e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, respinge la domanda di risarcimento del danno proposta da So. s.r.l. in relazione al diniego all’esercizio dell’attività di cava ai fini di ricomposizione ambientale.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore

Avv. Renato D’Isa

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