Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|29 settembre 2022| n. 28365.

Principio della cd. “perpetuatio” dell’ufficio di difensore

Per effetto del principio della cd. “perpetuatio” dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata. (Nella specie, la S.C., rilevato che il giudizio di legittimità era stato ritualmente introdotto in base a ricorso recante valida procura, rispetto alla disposizione di cui all’art. 35 bis, comma 13, del d.lgs. n. 25 del 2008, rilasciata all’originario difensore, ha considerato ininfluente la rinuncia al mandato di quest’ultimo e la verifica di conformità alla citata disposizione del mandato poi conferito a diverso difensore).

Ordinanza|29 settembre 2022| n. 28365. Principio della cd. “perpetuatio” dell’ufficio di difensore

Data udienza 9 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: EMIGRAZIONE ED IMMIGRAZIONE – PROFUGHI E RIFUGIATI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. CASO Giuseppe Francesco L. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 6197/2020 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositato il 13.1.2020, R.G. n. 31108/2018;
LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

RILEVATO IN FATTO

Che:
1) con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso con il quale (OMISSIS), proveniente dal Gambia, si era opposto al provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale in tutte le sue forme (principale, sussidiaria e umanitaria).
2) avverso detto provvedimento, il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
3) Il Ministero intimato ha depositato un “atto di costituzione” in cui non ha svolto alcuna difesa.
4) Avendo rinunciato al mandato difensivo l’Avvocato a mezzo del quale era stato proposto il ricorso per cassazione, il ricorrente si e’ costituito con diverso difensore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce: “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento al Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 35, violazione del principio della domanda ed attenuato, ed al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, ‘articolo 14, lettera a) e lettera b), nonche’ all’articolo 2, lettera g), del Decreto Legislativo n. 251 del 2007, per il mancato riconoscimento in favore del ricorrente del rischio di un grave danno alla propria incolumita’ in caso di rimpatrio consistente nella condanna a morte o nell’esecuzione alla pena di morte o nella tortura (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
2. Con il secondo motivo, lo stesso denuncia “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 14, lettera c), per il mancato riconoscimento in favore del ricorrente del rischio di un grave danno alla propria incolumita’ in caso di rimpatrio consistente nella minaccia alla propria vita (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
3. Con il terzo motivo, deduce “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 3, comma 1 e 5, per la mancata applicazione dei principi generali in materia di allegazione e valutazione della prova, della credibilita’ del richiedente e di riscontri di attendibilita’ (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
4. Con il quarto motivo, deduce: “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, per la mancata applicazione dei principi generali in tema di riconoscimento dei seri motivi di carattere umanitario (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
5. Prima di esaminare i cosi’ riassunti motivi, occorre premettere che la procura speciale, presente in calce al ricorso per cassazione, rilasciata a tal fine dall’interessato all’originario difensore, era certamente valida rispetto al disposto di cui al Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 35 bis, comma 13, in quanto quel difensore, oltre ad autenticare la firma dello straniero, aveva altresi’ certificato “che la data del rilascio della procura e’ il 16.01.2020”.
Appare, percio’, ininfluente il dato, sopra riportato, che detto difensore abbia successivamente rinunciato al mandato difensivo, perche’, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, per effetto del principio della cosiddetta perpetuatio dell’ufficio di difensore (di cui e’ espressione l’articolo 85 c.p.c.), nessuna efficacia puo’ dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione gia’ fissata (cosi’, tra le altre, Cass. civ., sez. VI-1, ord. 8.11.2017, n. 26429, e in termini id. n. 16121/2009). Il ricorrente, come pure accennato in narrativa, ha poi conferito mandato a diverso difensore, la cui conformita’ alla specifica previsione del Decreto Legislativo n. 25 del 2008, articolo 35 bis, comma 13, non appare necessario controllare, essendo stato il giudizio di legittimita’ introdotto ritualmente in base a ricorso recante procura certamente valida rilasciata all’originario difensore, e valendo il mandato poi rilasciato all’attuale difensore soltanto al fine di reputare ora costituito a mezzo dello stesso il ricorrente.
6. Venendo quindi a scrutinare i motivi di ricorso, essi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono per quanto di ragione fondati.
7. Giova in tal senso chiarire che, come ben risulta dal testo del provvedimento gravato, il primo giudice in nessun punto della sua decisione ha mostrato di reputare non veritiere o non credibili le dichiarazioni rese dal richiedente asilo innanzi alla Commissione territoriale competente, che peraltro ha testualmente riportato (cfr. pagg. 1-2 del decreto); piuttosto ha concluso che, comunque, anche tenendo conto del suo “racconto”, all’istante non potesse essere accordata alcuna forma di protezione internazionale.
8. A maggior ragione, percio’, appaiono fondati i rilievi del ricorrente, il quale si duole, nell’ambito del secondo motivo, che la norma di cui al Decreto Legislativo n. 251 del 2007, articolo 14 lettera c) “e’ stata mal interpretata, non avrebbe dovuto il Tribunale limitare il proprio vaglio alla situazione generale del paese, che comunque non corrisponde a quella che viene dallo stesso descritta nel provvedimento impugnato ma avrebbe dovuto indirizzare l’indagine alla situazione contingente del ricorrente”, osservando che “il Tribunale sul punto si limita (a) riportare alcuni stralci di pubblicazioni relative al profilo della sicurezza del paese di origine del ricorrente, il Gambia, peraltro valutandole in maniera non corretta, senza tuttavia soffermarsi sulla situazione particolare del sig. Ndjie, cosi’ come e’ stata dallo stesso descritta e che e’ stata totalmente disattesa al Giudice di prime cure”.
9. Ebbene, il Tribunale di Roma, in provvedimento reso il 13.1.2020, si e’ avvalso ai fini della protezione principale e di quella sussidiaria, di fonti d’informazione manifestamente non aggiornate, la piu’ recente delle quali risale all’anno 2018 (cfr. pagg. 2-4 del suo decreto), peraltro riferite quasi sempre in modo da renderle pressoche’ indecifrabili (trattandosi per lo piu’ di richiami a siti web), ed anche sommariamente riportate quanto al contenuto. Per giunta, tali C.O.I. non erano specificamente riferite o riferibili a quanto rappresentato dal ricorrente circa le ragioni del suo allontanamento dal Paese di provenienza, ragioni che pure il Tribunale ha ritenuto credibili. In particolare, egli aveva in sintesi raccontato che, intento a coltivare un campo della famiglia insieme al fratello piu’ piccolo, era stato ritenuto responsabile di un incendio che da detto campo si era esteso ai campi dei vicini, i quali minacciarono di morte lui e il fratello, ma che anche il padre era arrabbiato con lui e che, a seguito di tali minacce, gli disse di andare via dal Paese, manifestando cosi’ il ricorrente la paura, in caso di rientro in Ghana, di cosa potrebbero fargli sia il padre che i vicini. Pertanto, il Tribunale non poteva esimersi almeno da ricercare fonti qualificate riguardanti in particolare i rischi che il migrante potesse correre a riguardo, anche dal punto di vista del trattamento sanzionatorio riservato in Gambia ad un reato quale quello che nel nostro ordinamento e’ l’incendio colposo di beni altrui, e/o di interventi delle autorita’ pubbliche di quel Paese, volti a reprimere o controllare reazioni private delle pretese vittime di incendio nei confronti di chi sia reputato da quelle colpevole di un tal reato.
10. Circa, poi, la protezione umanitaria, si deve sottolineare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno insegnato che: “In base alla normativa del testo unico sull’immigrazione anteriore alle modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 113 del 2018, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella societa’ italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravita’ nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello e’ stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall’articolo 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno)” (cosi’, da ultimo, Cass. civ., Sez. un., 9.9.2021, n. 24413).
11. Ebbene, nella specie, il Tribunale, dopo brevi premesse di ordine giuridico, ha concluso in proposito che: “… nella fattispecie, nessuna specifica ragione di vulnerabilita’ e’ stata allegata dal ricorrente ne’ forma di integrazione riscontrabile dall’arrivo in Italia e fino a tutta la durata della procedura di protezione. In aggiunta, sebbene egli affermi di essere transitato per la Libia nel corso del suo percorso migratorio, non ha dichiarato e documentato di aver avuto postumi traumatici dal punto di vista psichico e fisico” (cosi’ alla pag. 5 dell’impugnato decreto). Conclusione, questa, in contraddizione con emergenze non poste in discussione dallo stesso Tribunale, anche se da approfondire a mezzo di C.O.I. aggiornate e mirate, ed astrattamente idonee ad un corretto giudizio ponderato della situazione del ricorrente nel Paese d’origine e quella raggiunta in Italia. Invero, da un lato, quanto raccontato dal richiedente circa le ragioni del suo allontanamento dal Gambia, ove meglio verificato, poteva integrare quanto meno gli estremi di una condizione sufficiente ad integrare seri motivi di carattere umanitario per accordare la relativa protezione e, dall’altro, secondo quanto riportato dal medesimo Tribunale, egli, giunto in Italia nel dicembre 2016 (quindi oltre tre anni prima dell’emissione del decreto oggetto di ricorso), aveva dichiarato: “vivo in un centro di accoglienza; lavoravo nel centro dove stavo ed ero addetto alla pulizia, adesso sto studiando e non lavoro”, cosi’ rappresentando elementi indicativi di un certo grado d’integrazione nel nostro Paese.
12. Il decreto pertanto deve essere cassato, con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa composizione, affinche’ proceda ad un nuovo esame del caso.
13. Il medesimo giudice di rinvio provvedera’ anche a regolare le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Accoglie per quanto di ragione il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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