Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 aprile 2023| n. 9685.

Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

L’articolo 9, n. 2, del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di metri 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di metri 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno metri 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di metri 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’articolo 875, comma 2, Cc, qualora ne ricorrano i presupposti.

Ordinanza|12 aprile 2023| n. 9685. Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

Data udienza 24 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – DISTANZE LEGALI
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – rel. Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2611/2020 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), dal quale e’ rappresentata e difesa come da procura in calce al ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 536/2019 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 02/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/03/2023 dal Dott. Consigliere PATRIZIA PAPA.

Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 24 giugno 2006, (OMISSIS), comproprietaria di un immobile in Nizza di Sicilia convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Messina, (OMISSIS), proprietaria di un immobile confinante, esponendo che la convenuta aveva intrapreso lavori di costruzione di un fabbricato a tre elevazioni fuori terra, in violazione delle norme del codice civile e del regolamento edilizio comunale in materia di distanze, realizzando nella parete prospiciente il proprio terrazzo, in difformita’ al progetto assentito, una veduta abusiva ed illegittima poiche’ posta a distanza illegale; lamento’ pure, per quel che qui ancora rileva, che la convenuta, nel procedere alla ristrutturazione di altro immobile confinante di vecchia fattura, posto a nord, aveva realizzato un’illegittima ed abusiva costruzione con veduta sulla parete prospiciente il piano di calpestio del terrazzo di copertura del suo fabbricato; chiese, pertanto, la condanna di (OMISSIS) alla riduzione in pristino di quanto illegittimamente realizzato, oltre al risarcimento dei danni e alle spese.
Espletata c.t.u., con sentenza n. 1056 del 2017, il Tribunale di Messina, in parziale accoglimento delle domande formulate, condanno’ (OMISSIS) alla demolizione della scala presente sul prospetto nord del suo fabbricato e a trasformare in luci tutte le aperture praticate in violazione della distanza legale o, se non possibile, alla loro chiusura; condanno’ pure la convenuta risarcimento dei danni in favore di (OMISSIS), liquidandolo in Euro 2000,00.
Con sentenza numero 536/2019, la Corte d’Appello di Messina rigetto’ l’appello di (OMISSIS) e l’appello incidentale di (OMISSIS).
In particolare, la Corte d’appello, premesso che l’intervento edilizio realizzato da (OMISSIS) non era qualificabile in termini di demolizione e ricostruzione per quanto accertato in sede di c.t.u., ritenne che la nuova costruzione era come tale soggetta alla disciplina delle distanze legali vigente al momento della realizzazione; rilevo’ poi la violazione della distanza di metri 10 rispetto alla parete cieca del fabbricato (OMISSIS), come imposta dal Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, richiamato dall’articolo 10.19 delle NTA del piano regolatore del comune di Nizza di Sicilia e confermo’ l’ordine di riduzione a luci delle vedute; preciso’ che la distanza minima di 10 metri tra le costruzioni come stabilita dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, n. 2, trae la sua efficacia precettiva inderogabile dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 quinquies, e deve essere osservata in modo assoluto perche’ la norma non tutela la riservatezza, ma la salubrita’ e la sicurezza; ribadi’, in conformita’ alla giurisprudenza di legittimita’, che la norma deve essere applicata indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle pareti, purche’ sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure soltanto per quel limitato segmento, non rilevando che una delle pareti sia cieca come nella fattispecie; aggiunse, infine, che non giovava all’appellante il riferimento al rilascio della concessione edilizia perche’ la rilevanza giuridica di quest’ultima si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra p.a. e privato senza estendersi ai rapporti interprivati.
La Corte territoriale escluse altresi’ la rilevanza del richiamo al principio della prevenzione perche’ (OMISSIS) aveva edificato la nuova costruzione dopo (OMISSIS); confermo’ la condanna alla demolizione della scala perche’, secondo consolidato principio di giurisprudenza in tema di distanze legali tra edifici, rientrano nella categoria degli sporti non computabili ai fini della distanze soltanto gli elementi con funzioni veramente ornamentali di rifinitura o accessori, come mensole, lisene, cornicioni e canalizzazioni di gronda e simili; costituiscono, invece, corpi di fabbrica computabili ai predetti fini le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come balconi costituiti da solette aggettanti e scale esterne in muratura se, presentando connotati di consistenza e stabilita’, abbiano una natura di opera edilizia; concluse che la scala in questione, per sue caratteristiche, pur non integrando un volume abitativo coperto, non poteva essere percio’ sottratta dal calcolo delle distanze; preciso’, tuttavia, che la scala, non avendo la caratteristica di una parete finestrata, potesse essere posta alla minor distanza dall’immobile della attrice (OMISSIS) di soli cinque metri, ma rilevo’ pure che l’ordine di demolizione comunque restava legittimo perche’ dalla relazione di CTU la distanza tra la parete cieca dell’immobile (OMISSIS) e la suddetta scala risultava inferiore a metri 5.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base di due motivi.
(OMISSIS) non ha svolto difese.

Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, (OMISSIS) ha prospettato la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, comma 1, n. 2, e la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 10, punto 19 del Regolamento edilizio del comune di Nizza di Sicilia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ infine l’insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Di seguito alla rubrica suesposta, cosi’ articolata in tre profili, la ricorrente ha proposto le sue censure senza, tuttavia, contornarle specificamente nelle ipotesi previste dall’articolo 360 c.p.c., prima enunciate.
In particolare, ha sostenuto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto violata la distanza imposta dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, non considerando che la costruzione era stata realizzata a cinque metri e oltre dal confine di (OMISSIS) e che le aperture erano state realizzate soltanto in un bagno e in un ripostiglio, cioe’ in vani non abitabili e che comunque nelle superfici delimitate da strutture in c.a., costituenti chiostrine, sarebbe consentito aprire finestre in vani non abitabili; non avrebbe inoltre considerato che le finestre non fronteggiano direttamente la parete di (OMISSIS) e si trovano ad oltre 5 metri e non vi sarebbe, percio’, nessuna violazione sulle norme in materia di salubrita’ dell’aria; sarebbe esclusa pure la violazione della distanza di 3 mt prescritta dal c.c. perche’ le aperture delle finestre dei vani non abitabili non si proiettano su alcuna superficie della parete cieca; in ogni caso la Corte avrebbe dovuto considerare il principio di prevenzione e la stessa ricorrente sarebbe “preveniente”; la scala a sbalzo – che comunque non costituirebbe costruzione – sarebbe posta a distanza superiore di m. 3 e percio’ non violerebbe le distanze del c.c. e fronteggerebbe pure una parete cieca; infine, la Legge Regionale Siciliana n. 16 del 2016 e la L. n. 55 del 2019, consentirebbero la deroga al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9.

Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

Tutte le censure mosse col primo motivo sono inammissibili ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1, perche’ la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Suprema corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento.
La Corte d’appello ha ritenuto che la costruzione edificata da (OMISSIS) costituisce una nuova costruzione; in conseguenza, le distanze dalla preesistente costruzione di (OMISSIS) sono regolamentate dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9; inoltre, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, ha considerato le caratteristiche della parete di parte attrice (l’essere una parete cieca) e la posizione delle due pareti, confermando la violazione delle distanze prescritte dall’articolo 9, conformandosi alla giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte.
Questa Corte ha piu’ volte statuito che il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, in quanto emanato sulla base della L. n. 1150 del 1942, articolo 41-quinquies (cd. legge urbanistica), aggiunto dalla L. n. 765 del 1967, articolo 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicche’ le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita’, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per “inserzione automatica”, con immediata operativita’ nei rapporti tra privati, in virtu’ della natura integrativa del regolamento rispetto all’articolo 873 c.c. (Cass. Sez. 2, n. 624 del 15/01/2021; Sez. 2, n. 15458 del 26/07/2016). Questa disposizione e’ applicabile anche quando tra le due costruzioni si determini uno spazio chiuso, quale una chiostrina (Cass., Sez. 2, n. 28147 del 27/09/2022), sicche’ non comporta alcuna conseguenza, al fine del rispetto delle distanze prescritte, la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti che determinino uno spazio interno, quantunque chiostrina o cortile o pozzo luce. La finalita’ della norma e’, infatti, quella di salvaguardare l’interesse pubblico sanitario (cfr. Cass. n. 20574/1997) alla salubrita’ dell’affacciarsi di esseri viventi agli spazi intercorrenti fra gli edifici che si fronteggiano, quando almeno uno dei due abbia una parete finestrata (cfr. Cass., Sez. Un., n. 1486/1997), a prescindere dal fatto che quest’ultima sia costruita prima o dopo l’altra parete (cfr. Cass. n. 13547/2011), garantendo la circolazione d’aria e la irradiazione di luce idonee a mantenere la salubrita’ di affaccio.
Non rileva neppure che le finestre si proiettino sulla parete cieca: secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’e’ ragione di discostarsi, “in materia di distanze tra fabbricati, del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, va interpretato nel senso che la distanza minima di dieci metri e’ richiesta anche nel caso in cui una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che e’ indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente, per l’applicazione di detta distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, benche’ solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta, con la conseguenza che il rispetto della distanza minima e’ dovuto pure per i tratti di parete parzialmente privi di finestre (Cass. Sez. 2, n. 11048 del 05/04/2022).
A cio’ si aggiunga che, in quanto ha realizzato una nuova costruzione, (OMISSIS) non e’ preveniente, ma e’ prevenuta. In diritto, infatti, in caso di ricostruzione non opera il criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorita’ temporale correlata al momento della sopraelevazione (Cass. Sez. 2, n. 14705 del 29/05/2019; Sez. 2, n. 74 del 03/01/2011).

Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

In altre parole, la Corte territoriale si e’ conformata al principio per cui “il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, n. 2, non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sara’ tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potra’ imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire (con parete non finestrata) rispettando la meta’ della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’articolo 875 c.c., comma 2, qualora ne ricorrano i presupposti” (Cass. Sez. 2, n. 4848 del 19/02/2019). E’ infatti la ricorrente prevenuta ad aver costruito una parete finestrata, avendo invece unicamente la possibilita’ di costruire in aderenza alla parete gia’ esistente e cieca o di arretrare la sua costruzione alla distanza di legge.
Anche con riferimento alla scala, i giudici di appello, qualificandola come costruzione (sulla base delle sue caratteristiche di consistenza e stabilita’), si sono conformati alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui la nozione di costruzione e’ unica per cui le sporgenze esterne di un fabbricato costituiscono corpo di fabbrica ove siano di apprezzabile profondita’ ed ampiezza, poiche’, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, essendo destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati (Cass. Sez. 2, n. 23189 del 17/12/2012; Sez. 6 – 2, n. 5753 del 12/03/2014; Sez. 2, n. 23845 del 02/10/2018).
Infine, la deroga di cui alla Legge Regionale Siciliana n. 16 del 2016, articolo 18, come invocata, non e’ applicabile alla fattispecie, non costituendo la costruzione dell’immobile per cui e’ giudizio un intervento di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale, di lottizzazioni convenzionate con previsioni planivolumetriche, ovvero di ogni altra trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale e regionale vigente come previsto nel comma 1 dell’articolo.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte, “stante la fondatezza delle domande” da lei proposte e la dichiarazione di inammissibilita’ dell’appello incidentale avrebbe dovuto porre le spese a carico dell’appellata, non sussistendo soccombenza reciproca che giustificasse la compensazione.

Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

Il motivo e’ inammissibile sotto un duplice profilo.
In primo luogo, non coglie la ratio decidendi: la (OMISSIS) e’ stata soccombente in primo grado ed e’ rimasta soccombente nel giudizio di appello, che ha confermato la sentenza del primo giudice.
In secondo luogo, il motivo punta a censurare la mancata compensazione delle spese, che e’ affidata al potere discrezionale del giudice ed e’ incensurabile in sede di legittimita’.
3. In definitiva, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attivita’ difensiva.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. Da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

Prevenzione e la distanza dei dieci mt dalle pareti finestrate

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