Pregresse Segnalazioni certificate d’inizio di attività

Consiglio di Stato, Sentenza|1 marzo 2021| n. 1737.

Pregresse Segnalazioni certificate d’inizio di attività non costituiscono ex se legittima ragione per il diniego della (distinta) attestazione d’idoneità richiesta per l’attività di comunità educativo-assistenziale; spetta infatti al Comune, al riguardo, valutare le vicende e l’attuale situazione delle suindicate precedenti Scia, e far valere eventuali rimedi o strumenti correlati alla segnalazione certificata come tale.

Sentenza|1 marzo 2021| n. 1737

Data udienza 19 novembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Comunità educativo assistenziale – Istanza per l’attestazione di idoneità – Parere alla Regione – Diniego – Non conformità dell’immobile all’utilizzo previsto – Destinazione alberghiera – Pregresse Segnalazioni certificate d’inizio di attività – Art. 100, D.Lgs. n. 117 del 2017 – Valutazione di compatibilità del mutamento di destinazione d’uso – Disposizioni urbanistiche locali

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 136 del 2020, proposto da
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. De Ve. e La. D’O., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Impresa a Rete società cooperativa sociale onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima n. 00218/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Impresa a Rete società cooperativa sociale onlus;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 19 novembre 2020 il Cons. Alberto Urso, nessuno è comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La Impresa a Rete soc. coop. onlus, ente del terzo settore che si occupa di assistenza a disabili e persone in condizioni di svantaggio e vulnerabilità sociale, il 10 aprile 2018 proponeva istanza al Comune di (omissis) per l’attestazione di idoneità al funzionamento di una “comunità educativo assistenziale” per un massimo di 25 minori normodotati e autosufficienti da insediare presso l’hotel “Gr. Pa.”. L’istanza seguiva al provvedimento di aggiudicazione, intervenuto il 6 dicembre 2017, in favore della stessa Impresa a Rete in raggruppamento con altri soggetti di una gara d’appalto per l’attuazione di un sistema di accoglienza, tutela e integrazione socio-educativa di minori stranieri non accompagnati indetta dal Comune di (omissis).
2. Quanto alla detta istanza per l’attestazione di idoneità al funzionamento della comunità, il Comune di (omissis), a seguito d’istruttoria, comprensiva anche di richiesta di parere alla Regione, con provvedimento del 28 agosto 2018 la respingeva per ritenuta non conformità dell’utilizzo previsto con la destinazione dell’edificio individuato: quest’ultimo aveva infatti destinazione alberghiera, mentre l’attività da svolgere era qualificabile come “prevalentemente educativa”; ostava inoltre all’accoglimento dell’istanza la presentazione di due pregresse Segnalazioni certificate d’inizio di attività da parte della Impresa a Rete relative allo svolgimento di attività alberghiera e di somministrazione di alimenti e bevande presso la medesima struttura.
3. Avverso il provvedimento di diniego e gli atti correlati la Impresa a Rete proponeva ricorso straordinario al Capo dello Stato, che veniva trasposto al Tribunale amministrativo per il Friuli Venezia Giulia a seguito di opposizione del Comune.
4. Il Tribunale amministrativo adì to, nella resistenza del Comune, accoglieva il ricorso annullando il provvedimento gravato.
5. Ha proposto appello avverso la sentenza il Comune di (omissis) formulando i seguenti motivi di gravame:
I) erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 74 Cod. proc. amm.;
II) erroneità della impugnata sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 71 d.lgs. n. 117 del 2017 e della normativa regionale applicabile al caso in esame;
III) violazione e/o alla falsa applicazione dell’art. 71 del d.lgs n. 117 del 2017 sotto altro profilo;
IV) violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.m. n. 308 del 2001;
V) erroneità della impugnata sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 del d.P.G.R. n. 83 del 1990 e dell’art. 5, comma, 1 lett. a), d.m. n. 308 del 2001; omessa e/o errata considerazione dei presupposti di fatto quanto alla inidoneità della struttura socio-educativa;
VI) inconfenza e infondatezza delle altre considerazioni contenute nella sentenza impugnata;
VII) omessa e/o comunque erronea valutazione delle circostanze di fatto alla base della sentenza impugnata, in relazione alle due Scia presentate dalla Impresa a Rete.
6. Resiste all’appello la Impresa a Rete, chiedendone la reiezione nonché domandando, in subordine, l’accoglimento dei motivi di ricorso in primo grado rimasti assorbiti e qui riproposti.
7. All’udienza del 19 novembre 2020, tenuta con modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni preliminari – salvo quanto di seguito esposto in relazione ai singoli motivi di gravame – stante l’infondatezza nel merito dell’appello.
2. Col primo motivo l’appellante si duole dell’omessa indicazione delle ragioni poste a fondamento dell’adozione di sentenza in forma semplificata e della ritenuta manifesta fondatezza del ricorso.
2.1. Il motivo è infondato.
2.1.1. La sentenza è stata in specie pronunciata ex art. 60 Cod. proc. amm. quale sentenza in forma semplificata adottata in sede cautelare: non occorreva, dunque, che il collegio indicasse specificamente le ragioni di adozione d’una siffatta sentenza, né occorreva al riguardo la ritenuta manifesta fondatezza del ricorso.
L’art. 60 Cod. proc. amm. prescrive in proposito la mera informativa alle parti sul punto, qui effettivamente resa come risulta dal verbale d’udienza; né l’appellante contesta la sussistenza dei presupposti di cui alla suddetta disposizione, limitandosi a richiamare la diversa, non conferente, previsione di cui all’art. 74 Cod. proc. amm.
In tale contesto, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito del resto che “non è […] censurabile la scelta del giudice di prime cure di decidere la controversia con una sentenza semplificata (neppure in relazione ad una presunta violazione del diritto di azione e di difesa), salvo che non si contesti la sussistenza dei presupposti della completezza istruttoria ed integrità del contraddittorio, fermo restando che eventuali lacune motivazionali possono essere integrate dal giudice d’appello in applicazione del principio devolutivo dell’appello” (Cons. Stato, V, 17 gennaio 2020, n. 430).
3. Col secondo motivo il Comune censura la sentenza nella parte in cui, accogliendo il ricorso di primo grado, ha erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 71 d.lgs. n. 117 del 2017, disposizione che non vale per il Friuli Venezia Giulia in quanto regione a statuto speciale, provvista di una normativa urbanistica sua propria, cui neppure sono sovrapponibili le destinazioni d’uso omogene di cui al d.m. n. 1444 del 1968 richiamate dalla suddetta disposizione.
Nella specie, la normativa applicabile distingue per gli edifici la destinazione alberghiera da quella direzionale (art. 5, comma 1, lett. c) ed e), l.r. n. 19 del 2009) – quest’ultima destinazione pertinente rispetto all’istanza della Impresa a Rete – né è del resto possibile una modifica della destinazione dell’immobile in categoria diversa, ex art. 15 l.r. n. 19 del 2009, in assenza di autorizzazione dell’amministrazione (nella specie peraltro i provvedimenti evidenziavano la non modificabilità della destinazione, stante il vincolo all’uso dell’edificio a fronte degli incrementi volumetrici beneficiati); allo stesso modo, sarebbe riscontrabile nella specie una difformità urbanistica in relazione all’area in cui l’immobile sorge, atteso che la struttura per l’attività invocata dovrebbe trovare collocazione in zona omogenea “I” (i.e., “insediamenti direzionali”) anziché “G” (i.e., “insediamenti turistico ricettivi”) di cui all’art. 33 delle N.t.a. del P.u.r.
3.1. Il motivo non è condivisibile.
3.1.1. Occorre premettere al riguardo che il provvedimento di diniego impugnato in primo grado s’incentrava, per quanto qui di rilievo, sull’incompatibilità dell’attività oggetto dell’istanza – qualificata come avente “carattere prevalentemente educativo” – con la destinazione d’uso dell’edificio, stante la sussistenza sulla struttura di una destinazione alberghiera non modificabile.
La sentenza, nell’accogliere le doglianze proposte col ricorso, ha affermato l’illegittimità del provvedimento in ragione dell’applicabilità in favore della ricorrente della disposizione di cui all’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 117 del 2017, a tenore del quale “Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”.
L’appellante censura tale motivazione deducendo che in realtà la suddetta disposizione non troverebbe applicazione nel caso di specie per i motivi suindicati.
3.1.2. La censura non è fondata, per le ragioni di seguito esposte.
3.1.3. L’art. 100 d.lgs. n. 117 del 2017, richiamato anche dal provvedimento di diniego e dal parere regionale, prevede che “Le disposizioni del [detto] decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”.
Per questo, il regime previsto dal decreto legislativo n. 117 del 2017 – incluso l’art. 71 – è applicabile alle regioni a statuto speciale se e nella misura in cui compatibile con i loro statuti e relative norme attuative.
Nella specie, come posto in risalto dai provvedimenti gravati e dalle corrispondenti difese della Impresa a Rete, l’art. 4 dello Statuto del Friuli Venezia Giulia approvato con legge costituzionale n. 1 del 1963 prevede che rientrano nella potestà legislativa esclusiva della Regione le materie del turismo e industria alberghiera, nonché dell’urbanistica.
Il che non vale tuttavia a rendere inapplicabile il suddetto art. 71, comma 1: come dedotto dalla Impresa a Rete, infatti, esso non coincide con una disposizione urbanistica stricto sensu, non avendo a oggetto il governo o la regolazione del territorio in sé ; si limita piuttosto a prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie soggetti, non già a disciplinare l’uso del territorio in quanto tale.
In tale prospettiva, l’esenzione dal regime ordinario costituisce un’agevolazione soggettiva a beneficio degli Ets e della loro attività, come tale ben rientrante nel quadro delle finalità di sostegno e incentivo perseguite dalla legge a norma degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 117 del 2017; ma non è ascrivibile a tale disposizione una natura urbanistica vera e propria, non investendo essa il governo del territorio come tale (cfr., al riguardo, Cons. Stato, comm. spec., parere 14 giugno 2017, n. 1405, in cui si pone in risalto che l’articolo “detta numerose disposizioni di favore per assicurare agli enti del terzo settore la disponibilità di idonei locali per lo svolgimento delle attività istituzionali. Si tratta di previsione opportuna perché garantisce a tali enti un supporto per il perseguimento dei loro scopi permettendo di utilizzare in modo proficuo beni pubblici che non sempre sono adeguatamente valorizzati”).
Per le stesse ragioni, non vale quale elemento ostativo all’applicazione della disposizione il fatto che il Friuli Venezia Giulia sia dotato di una normativa urbanistica autonoma, proprio perché, come già posto in risalto, l’art. 71, comma 1 non può essere considerato norma urbanistica vera e propria, e dunque trova applicazione – secondo quanto disposto dall’art. 100 d.lgs. n. 117 del 2017, in assenza di profili d’incompatibilità con lo statuto e sua normativa d’attuazione – anche in presenza di un diverso e autonomo regime urbanistico di base regionale.
In tale contesto, priva di rilievo è anche la circostanza che nella regione Friuli Venezia Giulia non trovino applicazione le categorie d’uso di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, vigendo la distinta normativa ad hoc di cui alla l.r. n. 19 del 2009: a ben vedere, l’art. 71, comma 1 afferma infatti la compatibilità con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal suddetto decreto 2 aprile 1968 n. 1444 “e simili”, sicché la sola dedotta inapplicabilità delle destinazioni d’uso di cui al d.m. n. 1444 del 1968 non ha di per sé valore preclusivo ai fini dell’applicazione del regime agevolativo previsto.
Analoghe considerazioni valgono in relazione alla materia del turismo e industria alberghiera, considerato in particolare che qualsivoglia immobile avente le caratteristiche ex art. 71, comma 1 (i.e., “sed[e] degli enti del Terzo settore” o “local[e] in cui si svolgono le relative attività istituzionali”) facente capo agli Ets beneficia del regime agevolativo, ancorché privo di funzione ricettiva; perciò la disposizione, nel suo portato sostanziale, esorbita dal perimetro della suddetta materia avendo tutt’altra natura e collocazione.
Alla luce di ciò, non emergono ragioni ostative all’applicazione dell’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 117 del 2017 alla fattispecie.
Ne consegue che la doglianza formulata risulta infondata, atteso che l’applicazione del regime agevolativo di compatibilità urbanistica generalizzata previsto dall’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 117 del 2017 vale di per sé (a prescindere dalla questione inerente la correttezza della qualificazione dell’attività della Impresa a Rete come educativo-formativa) al superamento dei rilievi sollevati dal Comune in ordine alla inadeguatezza della destinazione alberghiera dell’immobile e alla difformità rispetto alla zona omogenea di collocazione ai sensi dell’art. 33 delle N.d.a. del P.u.r., considerato del resto che il suddetto art. 71, comma 1, non soffre limitazioni applicative in relazione ai profili richiamati dall’amministrazione ai fini del rigetto dell’istanza dell’Impresa a Rete (cfr., al riguardo, anche infra, sub § 4 ss.).
4. Col terzo motivo l’appellante censura la sentenza nella parte in cui, nel ritenere applicabile l’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 117 del 2017, trascura la necessaria valutazione di compatibilità del mutamento di destinazione d’uso con le disposizioni urbanistiche locali che comunque la norma non vale a escludere; d’altra parte, la deroga prevista non trova applicazione per l’attività produttiva degli Ets, quale quella che l’Impresa a Rete qui svolgerebbe nella veste di aggiudicataria di un appalto pubblico.
4.1. Neanche tale motivo è condivisibile.
4.1.1. Quanto al portato e agli effetti dell’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 117 del 2017, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha posto in risalto come la norma (e già l’antecedente di cui all’art. 32, comma 4, l. n. 383 del 2000) “in considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale, consente […] che le relative sedi e i locali adibiti all’attività sociale siano localizzabili in tutte le parti del territorio urbano e in qualunque fabbricato a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente dal titolo abilitativo (Cons. Stato, Sez. V, 15/1/2013, n. 181)” (Cons. Stato, VI, 25 giugno 2020, n. 3803).
In tale contesto, i poteri di controllo e limitazione dell’amministrazione possono riguardare eventualmente profili inerenti l’aggravio del carico urbanistico, ovvero elementi significativi quali la dotazione del titolo edilizio per gli interventi di trasformazione, o i requisiti igienico-sanitari (cfr. Cons. Stato, VI, 28 ottobre 2019, n. 7350): ma in relazione a tali aspetti l’amministrazione non ha nella specie sollevato specifiche contestazioni alla Impresa a Rete, limitandosi a rilevare la diversa destinazione del bene, ritenuta non modificabile a fronte degli incrementi volumetrici beneficiati in passato, nonché la (distinta) presentazione di Scia incompatibili; né i predetti poteri possono tradursi nell’imposizione all’Ets di un regime di piena compatibilità con l’assetto urbanistico locale, determinandosi altrimenti un sostanziale svuotamento del significato e della ratio della norma agevolativa.
Neppure può ravvisarsi nella specie un’attività “di tipo produttivo”, atteso che quella prevista dalla Impresa a Rete presso l’immobile costituisce un’attività – di realizzazione di una comunità educativo assistenziale per minori – che ben rientra nelle finalità istituzionali di sostegno e assistenza sociale proprie della stessa Impresa a Rete quale ente del terzo settore, ed è dunque ben riconducibile alla ratio agevolativa e al perimetro applicativo dell’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 117 del 2017, senza che la natura di tale attività possa ritenersi mutata ed essere qualificata come “produttiva” per il sol fatto che sarebbe eventualmente svolta in esecuzione di un appalto pubblico, rimanendo comunque pur sempre un’attività priva di carattere industriale o produttivo stricto sensu, né risultando peraltro connotata da criteri di stretta corrispettività nel rapporto con l’utenza.
5. Del pari infondato è il quarto motivo, con cui l’appellante censura la sentenza per violazione dell’art. 5 d.m. n. 308 del 2001, che fissa ex art. 9, comma 1, lett. c), l. n. 328 del 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) i requisiti comuni per le “strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale” previste dalla stessa legge, prescrivendo all’uopo “il possesso dei requisiti previsti dalle norme vigenti in materia urbanistica [ed] edilizia […]”.
Nella specie, le difformità concernenti la destinazione d’uso dell’immobile e l’area omogenea in cui esso è collocato costituirebbero ai sensi della suddetta disposizione elementi preclusivi all’insediamento dell’attività presso la struttura.
5.1. In senso contrario, al di là del fatto che la disposizione invocata non è richiamata nel provvedimento e promana da una fonte di rango inferiore rispetto al decreto legislativo n. 117 del 2017, è sufficiente rilevare che detta disposizione, con cui vengono fissati i requisiti per le suddette strutture residenziali ricomprese fra gli interventi e servizi sociali a norma della legge n. 328 del 2000, ha carattere recessivo rispetto all’art. 71, comma 1, d.lgs. 117 del 2017, qualificabile alla stregua di lex specialis ratione subiecti, e cioè prevista per i locali utilizzati per le sedi e le attività istituzionali degli Ets; tanto più che lo stesso art. 5, comma 1, d.m. n. 328 del 2000 costituisce disposizione che si limita a prescrivere in parte qua, in termini generali, il possesso dei requisiti previsti dalle norme urbanistiche ed edilizie vigenti, sicché – anche sul piano oggettivo – va ritenuta prevalente per specialità le previsione del suddetto art. 71, comma 1, che fissa il principio della compatibilità dell’attività degli Ets con tutte le destinazioni d’uso omogenee, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
6. Col quinto motivo il Comune deduce che, in ogni caso, non è stata adeguatamente valutata dalla sentenza – a fronte della prevalenza dell’attività educativo-formativa della comunità da insediare – l’inidoneità per l’attività dei locali designati, da ritenere non rispettosi dei requisiti di distanza, raggiungibilità e adeguato collegamento col territorio secondo quanto prescritto dall’art. 12 d.P.G.R. n. 83 del 1990 e dall’art. 5, comma 1, lett. a), d.m. n. 308 del 2001, nonché privi dei requisiti di capienza, dimensione delle camere, infrastrutture interne, spazi disponibili necessari in relazione all’attività prevista.
6.1. Il motivo è inammissibile, stante la sua novità rispetto ai contenuti provvedimentali così come eccepita dall’appellata.
La doglianza formulata in relazione alla collocazione e inadeguato collegamento della struttura ex art. 12 d.P.G.R. n. 83 del 2009 e art. 5, comma 1, lett. a), d.m. n. 308 del 2001 (risultata rilevante ai fini della soluzione del caso di cui a Cons. Stato, V, 20 febbraio 2020, n. 1290) costituisce infatti una motivazione postuma, non presente nel provvedimento, e dunque non spesa dall’amministrazione a fondamento della determinazione assunta con lo stesso.
Per questo, essa non può valere a giustificare o integrare ex post l’azione dell’amministrazione, risultando dunque inammissibile (inter multis, cfr. Cons. Stato, III, 29 settembre 2020, n. 5719; 28 luglio 2020, n. 4801; 19 gennaio 2018, n. 357; II, 6 maggio 2020, n. 2860; VI, 19 ottobre 2018, n. 5984).
Lo stesso è a dirsi per gli altri profili d’inadeguatezza dei locali invocati dall’appellante, non specificamente valorizzati nel provvedimento di diniego e dagli atti allo stesso collegati; mentre, quanto al dedotto numero eccessivo degli ospiti in rapporto alla ricettività della struttura, il richiamo all’uopo alla nota comunale del 23 luglio 2018 non risulta pertinente, dal momento che questa si riferisce alla capacità ricettiva dichiarata in funzione dell’attività alberghiera a classificazione “3 stelle”, collegata alla Scia già presentata dall’Impresa a Rete, ma non presenta un nesso diretto con l’attività di cui al progetto qui controverso, sicché comunque non vale all’accoglimento della doglianza.
I profili d’inammissibilità per violazione del divieto di motivazione postuma valgono peraltro anche per le altre deduzioni innovative formulate dal Comune – in specie, incentrate sul richiamo al regime sui centri d’accoglienza per migranti – non presenti nei provvedimenti impugnati ed estranee ai motivi di diniego ivi esposti, oltreché comunque basate su normativa posteriore ai provvedimenti stessi.
7. Col sesto motivo il Comune censura la sentenza nella parte in cui richiama in modo inconferente, ai fini della regolazione della fattispecie, l’art. 1, comma 1, lett. a-bis), l.r. n. 19 del 2009, motivando l’illegittimità del provvedimento di diniego in ragione del principio del contenimento del consumo del suolo, anche attraverso recupero del patrimonio edilizio esistente o riuso dello stesso mediante conversione ad usi diversi.
7.1. La censura non è ammissibile in quanto priva di rilievo ai fini del decidere, atteso che la valutazione sull’illegittimità dell’operato dell’amministrazione è autonomamente espressa dalla sentenza (anche) in forza di altra e distinta motivazione, costituita dall’applicabilità nella specie dell’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 117 del 2017, qui non confutata dall’appellante.
Del resto, il vaglio sulla legittimità dell’azione amministrativa va effettivamente eseguito sulla base del suddetto regime derogatorio a fronte delle peculiarità degli Ets, anche a prescindere da considerazioni di altra natura sul riuso e il recupero del patrimonio edilizio.
Deriva da ciò l’assenza d’interesse alla doglianza in capo all’appellante e la sua irrilevanza ai fini del decidere.
8. Con l’ultimo motivo il Comune censura la sentenza per non aver considerato, nel vaglio di legittimità del provvedimento impugnato, l’incompatibilità dell’attività oggetto della richiesta della Impresa a Rete con quella alberghiera e di pubblico esercizio per la somministrazione di alimenti e bevande oggetto di due Scia presentate in precedenza dalla stessa Impresa.
8.1. Neanche tale motivo è condivisibile.
8.1.1. Il provvedimento di diniego richiama all’uopo la Scia del 6 giugno 2018 presentata dall’Impresa a Rete per il subentro nell’attività ricettiva alberghiera presso la struttura, e quella del 7 giugno 2018 per il subentro nell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
Tali precedenti Scia, presentate a fronte del subentro per affitto d’azienda, non costituiscono ex se legittima ragione per il diniego della (distinta) attestazione d’idoneità richiesta per l’attività di comunità educativo-assistenziale oggetto dell’istanza della Impresa a Rete: spetta infatti al Comune, al riguardo, valutare le vicende e l’attuale situazione delle suindicate precedenti Scia, e far valere eventuali rimedi o strumenti correlati alla segnalazione certificata come tale; ma la sola sussistenza delle precedenti Scia non costituisce ex se adeguata ragione ostativa ai fini del diniego sic et simpliciter dell’attestazione d’idoneità al funzionamento della comunità educativo assistenziale richiesta dalla Impresa a Rete.
Per tali ragioni, anche questo motivo è infondato.
9. In conclusione, per le suesposte ragioni l’appello va respinto, con conseguente improcedibilità per carenza d’interesse delle residue doglianze assorbite in primo grado e qui riproposte dall’appellata.
9.1. La particolarità della fattispecie e delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge;
compensa integralmente le spese fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2020, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 25 d.-l. n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere, Estensore
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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