Piano di lottizzazione approvato e convenzionato scaduto

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2843.

La massima estrapolata:

Nel caso in cui il piano di lottizzazione approvato e convenzionato sia scaduto per il decorso del termine di dieci anni, divengono inefficaci le sue previsioni che non abbiano avuto concreta attuazione, non essendo consentita la loro ulteriore esecuzione; non si possono più eseguire neppure gli espropri, preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria”. Ne consegue che anche la convenzione di lottizzazione, scaduta e rimasta inattuata in parte qua, non può vincolare i successivi strumenti urbanistici generali

Sentenza 4 maggio 2020, n. 2843

Data udienza 28 aprile 2020

Tag – parola chiave: Convenzione urbanistica – Progetto di utilizzazione per edificazione residenziale di area agricola – Convenzione di lottizzazione – Attuazione parziale – Inadempimento degli obblighi del Comune – Scadenza della convenzione di lottizzazione – Perdita di efficacia delle prescrizioni – Jus variandi disciplina urbanistica – Diniego risarcimento danni

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2297 del 2011, proposto da
– Immobiliare Co. Sa. Gi. s.a.s. in liquidazione, in persona dei liquidatori;
– ed altri;
rappresentati e difesi, tutti, dagli avv.ti Lo. Za., Mi. Bo., Al. Ro. e Fr. Ga. Sc., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla Via (…)
contro
Comune di Brescia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma. Ba. e Gi. Ra., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Pa. Ra., in Roma, alla Via (…)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione staccata di Brescia n. 3251 del 27 agosto 2010, resa tra le parti, pronunciata sul ricorso N.R.G. 674 del 2000.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Brescia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, il Cons. Roberto Politi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso n. 674 del 2000, proposto innanzi alla Sezione staccata di Brescia del T.A.R. della Lombardia, gli odierni appellanti hanno chiesto la condanna del Comune di Brescia:
– al pagamento di una somma di denaro, quale acconto sul maggior importo dovuto per i danni agli stessi cagionati dall’inadempimento della convenzione 29 luglio 1964, nella misura pari a lire 2.000.000.000, di cui lire 1.000.000.000 alla s.a.s. Co. S. Gi., lire 500.000.000 a Zu. Gi., lire 325.000.000 agli eredi Zu. Vi. e lire 175.000.000 a Ro. Ir.;
– al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento degli obblighi assunti dal Comune con la convenzione urbanistica anzidetta, con rivalutazione monetaria ed interessi legali.
A fondamento delle domande, come sopra articolate, gli odierni appellanti hanno evidenziato che:
– Immobiliare Co. Sa. Gi. aveva presentato al Comune di Brescia domanda volta ad ottenere l’approvazione di un progetto di utilizzazione (per edificazione residenziale) di un’area agricola sita in Brescia, per una superficie pari a mq. 214.000;
– sul progetto, esprimevano parere favorevole la Commissione Edilizia e la Sovrintendenza ai Monumenti;
– il 29 luglio 1964, veniva stipulata tra le parti una convenzione di lottizzazione, in forza della quale il Comune riconosceva la cessione gratuita della suddetta area per la realizzazione di standards di uso pubblico, dietro assunzione degli oneri per le opere di urbanizzazione da parte della Società Immobiliare;
– dopo l’inizio dei lavori, la Società Immobiliare alienava a terzi (tra i quali i sigg.ri Ro. ln., Zu. Gi., Zu. Vi. – dante causa ex mortis di Zu. Gi. – Zu. Pa., Me. Pa.) alcuni lotti di terreno ubicati prevalentemente nella parte bassa della lottizzazione;
– la variante al P.R.G. approvata nel 1969, inseriva la lottizzazione nella zona collinare rada e i lavori proseguivano così come previsto nella convenzione;
– nel 1977, il Comune di Brescia adottava con delibera una variante al P.R.G., inserendo l’area contemplata dalla lottizzazione in una zona di interesse paesistico e naturale incompatibile con l’edificazione;
– i ricorrenti impugnavano la variante avanti la Sezione staccata di Brescia del T.A.R. della Lombardia Brescia; la quale, con sentenza 10 luglio 1990, n. 776, accoglieva il ricorso (sentenza, questa, confermata da questo Consiglio di Stato con sentenza 7 aprile 1998 n. 886);
– il Comune di Brescia non ottemperava agli atti amministrativi esecutivi della convenzione, con riveniente insorgenza di asserito pregiudizio in danno degli odierni appellanti;
– con osservazioni presentate in data 1° aprile 1999 alla variante generale del P.R.G., gli appellanti al Comune di Brescia, cercavano di promuovere una modifica alla variante generale, in conformità con le pronunce giudiziali e l’edificabilità della zona interessata dalla lottizzazione.
Seguiva la sollecitazione del sindacato giurisdizionale presso il locale T.A.R., veicolata dalla presentazione del ricorso N.R.G. 674 del 2000.
2. Il giudice di prime cure, con ordinanza n. 90 del 2003, respingeva l’istanza di CTU formulata dai ricorrenti nell’atto introduttivo del giudizio; e disponeva, con successiva ordinanza n. 145 del 18 giugno 2008, una verificazione.
Si perveniva, quindi, alla pronunzia della sentenza n. 3251 del 2011, con la quale il T.A.R. di Brescia respingeva il ricorso degli odierni appellanti.
3. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– la verificazione disposta nel corso del giudizio avrebbe accertato che lo stato di attuazione delle opere di urbanizzazione alla data del 29 luglio 1974 comprendeva la fognatura, l’acquedotto, il gas, la linea elettrica, mentre era assente l’illuminazione pubblica e la strada di lottizzazione (parte alta) era stata completata parzialmente per m. 1.562 (mancando m. 285, tuttora sterrati e privi di sottoservizi);
– per pacifico orientamento giurisprudenziale, la fattispecie della parziale attuazione di un piano di lottizzazione non risulterebbe espressamente disciplinata dall’art. 28 della legge 1150 del 1942, ma dalla norma dettata dall’art. 17 della stessa legge per i piani particolareggiati: con conseguente applicazione, anche relativamente ai piani di lottizzazione, sia della norma sulla durata decennale, sia di quella sulla decadenza o inefficacia per la parte inattuata;
– le riportate statuizioni giurisprudenziali non contrasterebbero con il giudicato formatosi sulla variante urbanistica del 1977: e ciò in quanto, se pure l’Amministrazione, nel rivedere la propria pianificazione, non potrebbe prescindere totalmente dalle legittime aspettative dei privati sottoscrittori della convenzione, nondimeno l’omesso completamento delle opere di urbanizzazione entro il termine di legge osterebbe al perfezionamento di una pretesa di tipo sostanzialmente automatico;
– nella fattispecie esaminata, l’attitudine edificatoria del suolo nella parte alta della lottizzazione non era consolidata alla scadenza del piano; sul punto soggiungendosi che le stesse disposizioni della convenzione (punti 2 e 8) escluderebbero tale consolidamento (in ragione della presenza di una specifica prescrizione che subordinerebbe l’edificazione all’integrale esecuzione di tutte le opere di urbanizzazione elencate al punto 8);
– la verificazione avrebbe dato conto dell’assenza (al 29 luglio 1974) dell’impianto di illuminazione pubblica e del tratto finale della strada; e, pertanto, l’affidamento maturato in capo ai ricorrenti (ed affermato dalle pronunce passate in giudicato) non potrebbe assumere la consistenza di diritto soggettivo al rilascio di nuovi titoli abilitativi edilizi;
– come per gli interessi legittimi pretensivi, anche con riferimento agli interessi legittimi oppositivi, il pregiudizio dell’interesse individuale conseguente all’illegittimo esercizio del potere amministrativo non comporterebbe automaticamente un danno ingiusto, ove l’interesse al bene non risulti in concreto meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico;
– il vizio valorizzato con riferimento al ricorso N.R.G. 1111/1980 (accolto per difetto di motivazione della nuova zonizzazione contemplata dalla variante, a causa dell’omessa ponderazione dell’interesse pubblico con le legittime aspettative dei privati coinvolti), sarebbe prettamente formale e sarebbe stato sanato con l’adozione delle successive varianti ormai divenute inattaccabili sul piano giuridico, mentre sotto il profilo sostanziale l’interesse degli appellanti non avrebbe raggiunto (per quanto esposto) un livello di intensità tale da qualificarlo come vero e proprio diritto all’edificazione;
– non potrebbe ritenersi integrato, conclusivamente, il presupposto del danno ingiusto, causalmente collegato ai provvedimenti illegittimamente adottati.
4. Avverso tale pronuncia è stato interposto l’appello oggetto di odierno esame, notificato il 16 marzo 2011 e depositato il successivo 25 marzo.
Viene, con tale mezzo, in primo luogo osservato come il giudice di prime cure non abbia riservato la necessaria considerazione alle pronunzie con le quali erano state annullate le delibere di variante 1977-1980 per difetto di motivazione; e ciò :
– sia per “l’assoluta genericità delle considerazioni poste a fondamento della prevista compressione dell’edificabilità nella zona in questione [interessata dalla Convenzione] e, quindi, la mancata giustificazione della nuova destinazione urbanistica”;
– sia in quanto la tutela dei valori paesistici e naturali posti a fondamento della variante impugnata “non costituisce un’esigenza pubblica sopravvenuta, né incompatibile con il mantenimento della lottizzazione”.
Nell’assumere che i privati lottizzanti siano titolari, per effetto della convenzione ed ai fini della concessione del titolo edilizio, di interesse giuridicamente rilevante (preesistente, nel caso in esame, all’esercizio della potestas variandi), gli appellanti sostengono che, per effetto dell’approvazione della convenzione urbanistica, sia insorto, in capo agli stessi, un vero e proprio diritto soggettivo all’edificazione: con la conseguenza che, laddove il Comune (contrariamente agli impegni presi nell’accordo di lottizzazione) utilizzi il potere di pianificazione urbanistica per modificare l’assetto del territorio, come definito nello stesso accordo, viene a verificarsi un’illecita lesione dell’interesse materiale dei contraenti privati (sub specie di diritto soggettivo) alla edificazione, rilevante sul piano della responsabilità risarcitoria.
Conseguentemente, per effetto della convenzione urbanistica concordata con il soggetto pubblico ed in virtù dei principi di buona fede e correttezza, i privati lottizzanti vanterebbero legittime aspettative di affidamento, poiché l’interesse a mantenere intatta la qualità edificatoria dell’area integrerebbe una posizione di vantaggio già acquisita, che impegna il Comune contraente.
Sarebbero, a tale riguardo, manifestamente irrilevanti, diversamente rispetto a quanto statuito dal T.A.R. Brescia con la sentenza appellata, le nuove prescrizioni urbanistiche (a prescindere dal fatto che le relative delibere fossero legittime e non siano state impugnate dagli odierni appellanti).
Nel sottolineare come la giurisprudenza riconosca in termini qualificati l’obbligo del Comune di motivare, esaurientemente e specificamente, la variazione del piano urbanistico non compatibile con il mantenimento in vita della convenzione:
– sia in relazione alla realizzazione di esigenze reali e concrete di sopravvenuto pubblico interesse (o di nuove valutazioni · più rispondenti al perseguimento del pubblico interesse);
– sia in relazione alle situazioni soggettive dei privati contraenti fatte oggetto di sacrificio;
parte appellante evidenzia come la motivazione delle varianti impugnate si fondi sulla considerazione di valori paesistici e ambientali: laddove sia la sentenza di prime cure (n. 776 del 1990), sia la pronuncia di appello (n. 886 del 1998), hanno rilevato che la tutela di tali valori, in applicazione della disciplina di riferimento già vigente al tempo della Convenzione, era già stata presa in considerazione dall’Amministrazione comunale con la stessa lottizzazione.
Inoltre, la Variante del 1980 ha reso inedificabile solo la “parte alta” del Co. S. Gi., di proprietà degli appellanti, e non anche la “parte bassa” (già contemplata nel piano di lottizzazione) medio tempore ceduta dalla appellante Società immobiliare a terzi: sostenendosi, per l’effetto, la contraddittorietà della condotta del Comune di Brescia, il quale, con le nuove previsioni urbanistiche del 1980, pur dichiarando di voler tutelare esigenze paesistico-ambientali, ha nondimeno consentito la edificazione dei lotti siti nella “parte bassa”, rientranti nella stessa area interessata dalla Convenzione.
Sostengono, poi, gli appellanti che – diversamente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado – la scadenza del termine previsto per il piano di lottizzazione non esaurisca automaticamente la funzione di pianificazione, né pregiudichi la tutela delle posizioni consolidate dei lottizzanti di fronte all’esercizio illegittimo della potestas variandi da parte del Comune.
Il T.A.R. ha richiamato le risultanze della verificazione, che hanno accertato che lo stato di attuazione delle opere di urbanizzazione alla data del 29 luglio 1974 comprendeva la fognatura, l’acquedotto, il gas, la linea elettrica, mentre erano assenti l’illuminazione pubblica e la strada di lottizzazione; ed ha, conseguentemente, escluso l’avvenuto consolidamento in capo alla società lottizzante del diritto soggettivo alla edificazione.
Diversamente, le risultanze della condotta verificazione hanno consentito di appurare che:
– la strada di lottizzazione era esistente – alla richiamata data del 29 luglio 1974 “ancorché non ultimata nella parte terminale per una lunghezza m. 285 su un totale di m. 3.131”; in proposito, evidenziandosi che l’art. 8 della convenzione di lottizzazione stabiliva, con specifico riferimento alla strada, che quest’ultima avrebbe dovuto essere completata previa edificazione di “circa il 70% (settanta per cento) degli edifici serviti dalla strada medesima”.
– quanto alla illuminazione pubblica, l’art. 8 della convenzione subordinava l’edificazione dell’area lottizzata alla realizzazione “delle reti di distribuzione gas, acqua potabile e illuminazione elettrica stradale”: tale disposizione riferendosi soltanto alla “rete” di illuminazione elettrica stradale e non anche all’impianto di illuminazione pubblica completato (cioè comprensivo di palo, portalampada e lampada).
Conseguentemente, la completa ed integrale realizzazione delle opere di urbanizzazione determinerebbe, contrariamente a quanto statuito dal giudice di prime cure:
– il consolidamento, alla scadenza del piano, dell’attitudine edificatoria del suolo nella parte alta della lottizzazione;
– il consolidamento, in capo ai ricorrenti, del diritto soggettivo al rilascio dei titoli abilitativi edilizi.
5. Gli appellanti chiedono, quindi, il risarcimento del danno sia con riferimento al mancato guadagno (commisurato al valore economico dell’area oggetto della convenzione), sia con riferimento al danno emergente (commisurato al costo sopportato dai lottizzanti alla data del 29 luglio 1974).
Con riferimento al primo aspetto (mancato guadagno), gli appellanti evidenziano di aver quantificato il danno, nell’ambito del giudizio di primo grado, in misura pari ad Euro 9.915.972,46, come da perizia tecnica depositata in atti.
Quanto al danno emergente, la parte chiede il rimborso dei costi per le opere di urbanizzazione, che integrano la presenza di un arricchimento per il Comune di Brescia; e quantificano il relativo importo con riferimento ai valori accertati dal C.T.U. in sede di verificazione:
– Euro 386.337,00 per l’intero tratto della strada di lottizzazione e relativi sottoservizi (m. 3.131);
– Euro 227.903,00 per il tratto terminale della parte alta della lottizzazione, per la quale è stata mutata la classificazione.
Conclude, pertanto, parte appellante per l’accoglimento del proposto mezzo di tutela; e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
6. In data 29 aprile 2011, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio, dispiegando anche appello incidentale, con il quale viene lamentato che la sentenza di prime cure avrebbe:
– omesso di dichiarare l’insussistenza della legittimazione attiva dei ricorrenti, in ragione della insussistenza di una posizione giuridica tutelabile;
– erroneamente affermato l’esistenza di un giudicato derivante dalle sentenze del T.A.R. di Brescia n. 776 del 1990 e di questo Consiglio, n. 886 del 1998.
– omesso, altresì, di dichiarare l’insussistenza della legittimazione attiva, in capo ai ricorrenti, a fronte dell’omessa impugnazione delle varianti al P.R.G. successive al 1977-1980.
7. In vista della trattazione nel merito del ricorso, l’appellata Amministrazione comunale ha depositato in atti (16 marzo 2020) memoria, con la quale vengono ribadite le difese già articolate in sede di costituzione; conseguentemente, insistendosi per la declaratoria di inammissibilità dell’appello, del quale viene, comunque, riaffermata l’infondatezza nel merito.
8. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 28 aprile 2020.

DIRITTO

1. La delibazione della presente controversia non può prescindere dalla preventiva verifica, in capo agli odierni appellanti, della posizione giuridica dai medesimi dedotta in giudizio al fine della tutela dell’interesse dei quali assumono di essere portatori (risarcimento del danno asseritamente patito a seguito della mutata vocazione urbanistica dell’area, già oggetto di lottizzazione).
2. La pronunzia appellata, come – in parte – già riportato in narrativa, nel respingere la pretesa risarcitoria avanzata dai ricorrenti di prime cure, ha dato conto:
– in punto di fatto, dell’intervenuta scadenza del piano di lottizzazione alla data del 29 luglio 1974, in ragione della validità decennale dello stesso;
– della conseguente inefficacia del piano, pur escludendone la “totale irrilevanza, sotto il profilo della specifica qualificazione dell’aspirazione di colui che sottoscrisse la convenzione a mantenere immutata la destinazione urbanistica data all’area dal piano regolatore e ad ottenere la ponderazione della propria situazione giuridica sostanziale con l’interesse pubblico perseguito dall’Ente locale”; a tanto conseguendo che, seppure l’Amministrazione, “nel rivedere la propria pianificazione, non può prescindere totalmente dalle legittime aspettative dei privati sottoscrittori della convenzione…, ma deve soppesarle con i valori collettivi sottesi alle nuove scelte urbanistiche”, nondimeno “l’omesso completamento delle opere di urbanizzazione entro il termine di legge osta al perfezionamento di una pretesa di tipo sostanzialmente automatico, consistente nel rilascio dei titoli abilitativi correlati alla qualità edificatoria del suolo”.
– della inidoneità della posizione giuridica dei ricorrenti (pur “sufficiente a garantire loro un adeguato giudizio di bilanciamento, che il Comune è tenuto a compiere prima di adottare nuove decisioni sull’assetto urbanistico del territorio coinvolto”) a raggiungere “la consistenza necessaria a far conservare (o affiorare) pretese edificatorie dirette”;
– del mancato consolidamento, nella fattispecie, della “attitudine edificatoria del suolo nella parte alta della lottizzazione… alla scadenza del piano”, in ragione della subordinazione, di cui alla convenzione lottizzatoria, della “edificazione all’integrale esecuzione di tutte le opere di urbanizzazione” rappresentate dall’impianto di illuminazione pubblica e dal tratto finale della strada;
conseguentemente, escludendo che “l’affidamento maturato in capo ai ricorrenti (ed affermato dalle pronunce passate in giudicato)” possa “assumere la consistenza di diritto soggettivo al rilascio di nuovi titoli abilitativi edilizi”.
3. La necessaria completezza del quadro cognitivo in ordine alla sottoposta vicenda contenziosa, impone di procedere ad una succinta ricognizione dei contenuti della sentenza resa dalla Sezione IV di questo Consiglio (26 maggio 1998, n. 886) a fronte dell’originaria impugnazione del P.R.G. di Brescia, relativamente alle previsioni, in esso contenute, riguardanti il Co. Sa. Gi..
Nella pronunzia in rassegna – rammentati i noti principi giurisprudenziali, per effetto dei quali la variante allo strumento urbanistico generale comporta l’ostensione di specifico conforto motivazionale, ove incidente su aspettative rivenienti da piano di lottizzazione debitamente approvato – è stato rilevato come l’impressa destinazione E2 all’area de qua (comportante inedificabilità ) non recasse adeguata esplicitazione circa le “ragioni che avevano indotto a ritenere superato il precedente assetto urbanistico”, con riveniente “genericità delle considerazioni poste a fondamento della prevista compressione della edificabilità nella zona in questione” ed accessiva “mancata giustificazione della nuova destinazione urbanistica”.
4. Non ha, invece, formato oggetto di disamina la questione relativa all’intervenuta decadenza del piano di lottizzazione al momento dell’adozione/approvazione della “prima” variante al P.R.G.: questione, questa, che dimostra accentuata rilevanza con riferimento alla presente vicenda contenziosa, laddove si consideri che:
– non soltanto la decadenza (degli effetti) del piano trova risalente collocazione temporale (1974) rispetto alla variante ulteriormente immutativa della precedente vocazione urbanistica dell’area;
– ma, vieppiù, tale strumento non ha formato oggetto (diversamente rispetto alla suindicata prima variante) di impugnazione in sede giurisdizionale da parte degli odierni appellanti.
5. In disparte il secondo degli indicati profili di interesse, l’indagine ai fini della delibazione delle sottoposte questioni non può non prendere avvio dalla verifica delle conseguenze indotte dalla decadenza del piano di lottizzazione, quanto alla posizione giuridica vantata dai lottizzanti a fronte di successiva attività pianificatoria.
Come recentemente affermato da questa Sezione (cfr. sentenza 2 marzo 2020, n. 1845), i piani di lottizzazione hanno una scadenza di dieci anni; e, ai sensi dell’art. 17 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, la scadenza dei termini di efficacia dei piani attuativi e degli strumenti urbanistici che ne condividono la natura (quali i piani di lottizzazione ed i piani di zona per l’edilizia economica e popolare), benché non comporti la decadenza di ogni disciplina urbanistica dell’area – rimanendo espressamente ferme, a tempo indeterminato, le prescrizioni di zona e quelle relative agli allineamenti – rende tuttavia inattuabili le previsioni del piano medesimo che non abbiano avuto concreta attuazione.
In tal senso è, del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Sez. V, 1° febbraio 2019, n. 809), per la quale “nel caso in cui il piano di lottizzazione approvato e convenzionato sia scaduto per il decorso del termine di dieci anni, divengono inefficaci le sue previsioni che non abbiano avuto concreta attuazione, non essendo consentita la loro ulteriore esecuzione; non si possono più eseguire neppure gli espropri, preordinati alla realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria”. Ne consegue che anche la convenzione di lottizzazione, scaduta e rimasta inattuata in parte qua, non può vincolare i successivi strumenti urbanistici generali (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 31 agosto 2017, n. 4144; VI, 26 agosto 2014, n. 4278; IV, 28 dicembre 2012, n. 6703)”.
Con specifico riferimento alla presente controversia, va ulteriormente segnalato il precedente rappresentato da Cons. Stato, Sez. IV, 30 dicembre 2016, n. 5547: il quale:
– nel dare atto che la scadenza della convenzione di lottizzazione “afferisce all’efficacia del regime urbanistico introdotto dalla convenzione e non anche agli effetti obbligatori che questa produce tra le parti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2015, nr. 5413; id., 20 dicembre 2013, nr. 6160)”;
– nondimeno, precisa che “ciò non significa che l’Amministrazione resti vincolata sine die alle scelte urbanistiche trasfuse nella convenzione, ma soltanto che le parti possono anche oltre il termine di scadenza suindicato esigere l’adempimento degli obblighi (p.es. di corresponsione di somme a titolo di oneri, di realizzazione di opere di urbanizzazione etc.) che la controparte si è assunta con la convenzione stessa”.
Quanto al profilo del regime urbanistico dei suoli interessati dalla convenzione, costituisce jus receptum che la scadenza di essa determini la riespansione della piena potestà pianificatoria del Comune, in modo da escludere che gli originari lottizzanti possano vantare aspettative giuridicamente qualificate (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4278, 28 dicembre 2012, n. 6703, 1° aprile 2011, n. 2071, 15 settembre 2010, n. 6882).
Va, quindi, escluso che le conseguenze giuridicamente rilevanti sopravvissute alla scadenza dello strumento attuativo inducano, automaticamente, il permanere in capo agli originari sottoscrittori privati della convenzione, ovvero ai loro aventi causa, di una posizione di affidamento qualificato nel senso sopra chiarito; anche se è agli stessi consentito di sottoporre a sindacato giurisdizionale eventuali, successivi, interventi pianificatori suscettibili di arrecare sacrificio ad una posizione che trova (perduranti) ragioni di tutela nella conservazione dell’assetto urbanistico impresso all’area dallo strumento attuativo.
6. È evidente che la conclusione precedentemente tratteggiata postula:
– in primo luogo, l’accertata scadenza della convenzione di lottizzazione, con riveniente perdita di efficacia delle prescrizioni in essa contenute;
– secondariamente, la verifica in ordine al corretto esercizio, ad opera della competente Amministrazione, dello jus variandi quanto alla disciplina urbanistica dell’area.
Il secondo degli indicati profili di interesse, quanto alla presente vicenda contenziosa, impone di rilevare che:
– se la prima variante (1977-1980), volta ad imprimere carattere di inedificabilità all’area, ha formato oggetto di annullamento (comunque pressochè unicamente) sotto il profilo della carente ostensione del corredo motivazionale a conforto della scelta urbanistica adottata dal Comune di Brescia (vicenda, questa, coperta da giudicato);
– la seconda variante generale al P.R.G. (adottata dal Comune nel 1994 ed approvata in via definitiva con deliberazione di Giunta regionale in data 31 ottobre 1997) ha confermato la classificazione della “parte alta” del Co. Sa. Gi. come zona E2/A (“Zona collinare di interesse paesistico, naturalistico, colturale, boscata”), sulla base delle risultanze di una nuova istruttoria e delle valutazioni espresse nella relazione alla variante medesima, ma non ha formato oggetto di contestazione in sede giurisdizionale, con riveniente effetto di inoppugnabilità inter partes.
Se, conseguentemente, fuoriesce dal perimetro cognitivo a questo Consiglio rimesso, quanto alla sottoposta vicenda, la verifica della legittimità della variante del 1994-1997 (sia ex se riguardata, sia con riferimento all’effetto conformativo riveniente dalla pronunzia di appello n. 886 del 1998), va escluso che l’azionata pretesa risarcitoria meriti apprezzamento.
La mancata espansione dello jus aedificandi, consentita per effetto della convenzione di lottizzazione, non è, infatti, ascrivibile a fatto proprio dell’Amministrazione appellata: l’omessa attuazione del piano lottizzatorio dovendosi, infatti, ascrivere a condotta unicamente imputabile agli odierni appellanti, i quali, nel termine decennale di validità della convenzione stessa, non hanno neppure completato (circostanza, questa, in punto di fatto incontroversa) le previste opere di urbanizzazione.
Ne consegue che:
– ribadito il consentito esercizio dello jus variandi quanto alla vocazione urbanistica dell’area (già ) interessata da piano di lottizzazione;
– ed esclusa la presenza di accertabili profili di responsabilità, in capo all’appellata Amministrazione comunale, quanto alla mancata realizzazione degli interventi contemplati nel Piano stesso;
la domanda risarcitoria non rivela profili di fondatezza non soltanto quanto al lucro cessante (mancato guadagno conseguente alla modificata vocazione dell’area), ma anche riguardo al danno emergente (riguardante le opere di urbanizzazione oggetto di parziale realizzazione ad opera dei lottizzanti).
Per queste ultime – in disparte ogni considerazione circa l’attuale utilità rivelata dalle opere di urbanizzazione realizzate con riferimento a lotti già edificati, a fronte del rilascio di licenze edilizie nell’ambito del comparto oggetto di lottizzazione, anche in favore dei ricorrenti (come dal Comune sostenuto, da ultimo, con memoria depositata il 16 marzo 2020) – all’eventuale ricorrere dei presupposti di cui all’art. 2014 c.c., la parte interessata potrà esperire azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’Amministrazione comunale.
7. Alla stregua delle svolte considerazioni, l’appello va respinto, con conseguente improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dell’appello incidentale dispiegato dall’Amministrazione comunale di Brescia.
La particolarità della controversia consente di compensare integralmente fra le parti costituite le spese del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così dispone:
– respinge l’appello principale;
– dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’appello incidentale.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 28 aprile 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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