L’ordine di demolizione del manufatto abusivamente realizzato

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2844.

La massima estrapolata:

La circostanza che l’ordine di demolizione del manufatto abusivamente realizzato non contenga l’indicazione dell’effetto acquisitivo e non descriva l’area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso, atteso che l’effetto acquisitivo costituisce una conseguenza fissata direttamente dalla legge, senza necessità dell’esercizio di alcun potere valutativo da parte dell’Autorità eccetto quello del mero accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi; per quanto invece riguarda l’indicazione dell’area da acquisire, il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine fissato, non deve necessariamente contenere l’esatta indicazione dell’area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l’accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate

Sentenza 4 maggio 2020, n. 2844

Data udienza 28 aprile 2020

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Sanzioni – Ordinanza di demolizione – Opere assoggettate a titolo edilizio – Appostamenti fissi di caccia – Autonomia strutturale e funzionale – Esclusa natura pertinenziale – Irrilevanza dell’autorizzazione venatoria a fini edilizi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2523 del 2010, proposto dai Signori Ma. Ca. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. To. e Fr. Br. Ca., con domicilio eletto presso lo studio legale To. & Pa. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ga. Vi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Al. Tu. in Roma, Largo (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 550/2009, resa tra le parti, depositata il 30 marzo 2009.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, ai sensi dell’articolo 84, commi 5 e 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, nell’udienza pubblica telematica del giorno 28 aprile 2020 il Cons. Michele Pizzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso in appello notificato il 12 marzo 2010, gli appellanti indicati in epigrafe, esponendo di essere comproprietari di un complesso immobiliare ubicato nel Comune di (omissis) al foglio n. (omissis), particelle n. (omissis) e (omissis), hanno impugnato la sentenza del Tar Toscana n. 550/2009 indicata in epigrafe, con il quale è stato respinto il loro ricorso avverso l’ordinanza del predetto Comune n. 569 del 27 novembre 2008, di demolizione di manufatti abusivi utilizzati per attività venatoria nei pressi del lago “la Bu.”, consistenti in: a) un manufatto in legno e copertura in fibrocemento utilizzato come appostamento di caccia, oltre a tre tettoie per ricovero in legna; b) due manufatti in legno e copertura in fibrocemento utilizzati come appostamenti di caccia; c) due capanni utilizzati come appostamenti di caccia; d) un manufatto parzialmente interrato con struttura in legno e copertura in fibrocemento utilizzato come appostamento di caccia; e) una baracca in legno ed una torretta di avvistamento.
L’appello è articolato nei seguenti quattro motivi:
– violazione del principio della disponibilità delle prove e del conseguente onere probatorio ai sensi degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., violazione degli articoli 129 e 132 della legge regionale della Toscana n. 1/2005, omessa applicazione dell’art. 11 del regolamento edilizio del Comune di (omissis) e della delibera del Presidente della giunta regionale n. 13/R del 25 febbraio 2004, motivazione insufficiente e contraddittoria, illogicità su punti decisivi della controversia, per aver erroneamente il Tar – nel respingere il secondo motivo del ricorso di primo grado – fatto riferimento all’utilizzo duraturo degli appostamenti da caccia, da ciò desumendo che questi necessiterebbero di un titolo edilizio, in quanto non solo gli appostamenti di caccia de quibus sono stati autorizzati dal competente ufficio provinciale venatorio, ma non sono qualificabili nemmeno come interventi a carattere prettamente edilizio ai sensi dell’articolo 11 del regolamento edilizio del Comune di (omissis);
– carente ed illogica pronuncia su questione determinante, violazione degli articoli 7, 8, 9 e 10 della legge n. 241/1990, motivazione carente ed illogica, per aver erroneamente il Tar – nel respingere il primo motivo del ricorso di primo grado – negato la necessaria partecipazione degli odierni appellanti al procedimento amministrativo (partecipazione compromessa dalla omessa comunicazione di avvio del procedimento), stante la natura di atto dovuto della gravata ordinanza di demolizione;
– violazione del principio della domanda e della rispondenza tra chiesto e pronunciato, omessa pronuncia su punto decisivo della controversia, violazione degli articoli 27 e 31 del d.P.R. n. 380/2001, degli articoli 129 e 132 della legge regionale Toscana n. 1/2005, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, per aver il Tar omesso di esaminare il quarto motivo del ricorso di primo grado, con il quale si era lamentata l’illegittimità della gravata ordinanza di demolizione per non aver indicato l’area di sedime che verrà eventualmente acquisita di diritto al patrimonio comunale in caso di inottemperanza, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, recepito dall’art. 132 della legge regionale Toscana n. 1/2005;
– omessa pronuncia su questione rilevante della controversia, violazione degli articoli 78, comma 1, e 79, commi 1 e 2, della legge regionale Toscana n. 1/2005, violazione dell’articolo 10 del regolamento edilizio del Comune di (omissis), per aver il Tar omesso di pronunciare sul terzo motivo del ricorso di primo grado, con il quale era stata lamentata l’illegittimità della gravata ordinanza di demolizione in quanto, in via subordinata, gli appostamenti di caccia, pur se qualificati come “opere edilizie”, sarebbero soggetti unicamente a d.i.a.e. in quanto opere meramente pertinenziali e complementari al fabbricato edilizio principale già condonato e non oggetto del provvedimento di demolizione.
Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) chiedendo il rigetto dell’appello.
Con successiva memoria depositata il 27 marzo 2020 il suddetto Comune ha rilevato, in punto di fatto, che le particelle catastali n. 651 e 653 non risultano più di proprietà degli odierni appellanti e, in diritto, ha eccepito la tardiva produzione dei documenti dal n. 3 al n. 6 depositati dagli appellanti, nonché l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, essendo stata presentata una domanda di accertamento di conformità in sanatoria in data 27 aprile 2009.
Gli appellanti, con memoria depositata il 27 marzo 2020, hanno precisato, in punto di fatto, che: “Nelle more del giudizio venivano rimosse le quattro tettoie, la baracca in legno ed il manufatto interrato in quanto non licenziati per l’attività venatoria”, insistendo per il resto nell’accoglimento dell’appello.
Con memoria di replica depositata il 6 aprile 2020, gli appellanti hanno confermato “di aver alienato con contratto 10/10/2013 i terreni del lago “la Bu.” alla Ed. Co. s.r.l., garantendone l’evizione. Permane l’interesse al presente gravame in capo agli appellanti, quali destinatari della sanzione reale ed anche quali esecutori delle < opere> loro contestate”, contestando inoltre sia l’eccezione di tardiva produzione documentale sollevata dal Comune appellato, sia l’eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse.
Con memoria di replica del 7 aprile 2020 il Comune di (omissis) ha contestato, in punto di fatto, quanto affermato dagli appellanti con riguardo alla demolizione di alcune opere oggetto della gravata ordinanza, insistendo per il resto per il rigetto dell’appello.
Entrambe le parti, in data 24 aprile 2020, hanno depositato brevi note ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del d.l. n. 18/2020, insistendo ciascuno nelle rispettive difese.
All’udienza pubblica telematica del 28 aprile 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare occorre esaminare le eccezioni sollevate dal Comune di (omissis).
In primo luogo la circostanza che gli odierni appellanti abbiano alienato medio tempore il compendio immobiliare nel quale sono state costruite le opere oggetto della gravata ordinanza di demolizione è irrilevante ai fini del presente giudizio, che prosegue tra le parti originarie ai sensi degli articoli 39 cod. proc. amm. e 111 cod. proc. civ., considerato oltretutto che la sanzione reale continua a gravare sui medesimi soggetti.
Ininfluente è inoltre, ai fini della presente decisione, l’eccezione di tardiva produzione dei documenti dal n. 3 al n. 6 (depositati dagli appellanti in data 11 marzo 2020 e mai prodotti nel giudizio di primo grado, pur essendo di formazione anteriore) in quanto, a prescindere dalla fondatezza di una tale eccezione, i quattro motivi di appello ben possono essere scrutinati e valutati indipendentemente dai predetti documenti.
Infine è infondata l’eccezione di improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse sollevata dal Comune appellato, in quanto l’accertamento “di conformità in sanatoria, avente ad oggetto la realizzazione di appostamenti fissi di caccia in assenza di titolo”, nonostante la relativa domanda sia stata presentata in data 27 aprile 2009, “risulta attualmente ancora pendente e non concluso” (pag. 7 della memoria del Comune di (omissis) del 27 marzo 2020), non potendosi evidentemente far discendere alcun effetto, in punto di permanenza dell’interesse a ricorrere, dalla mera apertura di un procedimento amministrativo, in mancanza di un provvedimento finale che accolga la predetta domanda.
Venendo ora all’esame dell’appello, il Collegio ne dichiara la parziale improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse limitatamente alle opere che sono state medio tempore rimosse, come affermato dagli appellanti nella memoria depositata il 27 marzo 2020 (ovvero “le quattro tettoie, la baracca in legno ed il manufatto interrato in quanto non licenziati per l’attività venatoria”), dovendo pertanto la presente controversia proseguire unicamente con riferimento alle opere che ancora risultano sussistenti (ovvero i cinque manufatti adibiti ad appostamenti di caccia e la torretta di avvistamento); né – a tal riguardo – può essere accolta la contestazione in punto di fatto operata dal Comune – che nella memoria del 7 aprile 2020 ha affermato che non vi è “prova della demolizione delle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione, diverse ed ulteriori dagli appostamenti” – dal momento che tale contestazione – sfornita di supporto probatorio – è generica e non idonea a revocare in dubbio quanto affermato dagli appellanti, avendo l’amministrazione comunale il potere di accertare, in via documentale, l’effettivo stato dei luoghi interessati da una ordinanza di demolizione, anche avvalendosi della polizia municipale.
Di conseguenza l’appello deve essere dichiarato parzialmente improcedibile, nei limiti sopra esposti.
Si possono ora esaminare i motivi di gravame.
Il primo motivo di appello è infondato.
Premesso che l’autorizzazione provinciale venatoria rilasciata per gli appostamenti di caccia, ai sensi dell’art. 68 del d.p.g.r. 25 febbraio 2004 n. 13/r, è del tutto irrilevante ai fini edilizi, il Collegio osserva che quanto affermato dal primo giudice – in ordine alla necessità del titolo edilizio con riguardo alle opere de quibus – è corretto ed immune dalle critiche sollevate con il gravame, dal momento che l’articolo 11 del regolamento edilizio comunale – invocato dagli appellanti per sostenere la tesi secondo cui gli interventi oggetto della gravata ordinanza di demolizione sarebbero “a carattere non prettamente edilizio” – è inapplicabile nel caso di specie, in quanto il predetto articolo 11, rubricato “interventi a carattere non prettamente edilizio”, consente la semplice comunicazione (in luogo del rilascio del titolo edilizio) con riguardo alle mere opere che “non trasformano permanentemente il suolo e sono legate ad eventi od occasioni particolari, nonché quelle opere che si realizzano per migliorare la fruibilità e la qualità urbana, sulla base di specifiche normative dettate dai piani di settore”, facendo espresso riferimento alle opere di “arredo urbano”, alle “strutture precarie per manifestazioni e similari”, alla “trasformazione di alberature” ed alle “opere provvisionali ed urgenti”, con conseguente inapplicabilità della menzionata disposizione regolamentare – e del procedimento semplificato ivi previsto – ai manufatti venatori (appostamenti di caccia) oggetto del presente giudizio.
Il primo motivo deve quindi essere respinto.
Il secondo motivo di appello è infondato.
Con riguardo al provvedimento di demolizione di immobili abusivi e giammai assistiti dal prescritto titolo edilizio, come appunto avvenuto nel caso di specie, l’adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 17 ottobre 2017, n. 9, ha già avuto modo di pronunciare il seguente principio di diritto: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.”.
Di conseguenza, stante la natura “vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto ed in diritto” del provvedimento di demolizione delle opere abusivamente realizzate ab origine, l’omessa comunicazione di avvio del relativo procedimento non comporta l’annullabilità della successiva ordinanza di demolizione, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241/1990, in quanto la stessa natura ontologicamente vincolata – nel caso di specie – del provvedimento di demolizione esclude in radice la possibilità di soluzioni alternative, né comunque gli appellanti hanno dimostrato, al di là di generiche affermazioni, che la loro partecipazione al procedimento amministrativo avrebbe condotto l’amministrazione comunale ad esiti differenti dalla demolizione delle opere in questione.
Il secondo motivo deve quindi essere respinto.
Il terzo motivo di appello, con il quale è stato riproposto il quarto motivo del ricorso di primo grado non esaminato dal Tar, è manifestamente infondato.
Sul punto il Collegio reputa sufficiente richiamare il condivisibile e consolidato orientamento giurisprudenziale in ordine alla non necessità che nell’ordinanza di demolizione sia già chiaramente indicata l’area di sedime che verrà successivamente acquisita al patrimonio comunale, in caso di inottemperanza all’ordine demolitorio, a seguito di un ulteriore e distinto provvedimento di acquisizione: “La circostanza che l’ordine di demolizione del manufatto abusivamente realizzato non contenga l’indicazione dell’effetto acquisitivo e non descriva l’area da acquisire non è causa di illegittimità dello stesso, atteso che l’effetto acquisitivo costituisce una conseguenza fissata direttamente dalla legge, senza necessità dell’esercizio di alcun potere valutativo da parte dell’Autorità eccetto quello del mero accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi; per quanto invece riguarda l’indicazione dell’area da acquisire, il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine fissato, non deve necessariamente contenere l’esatta indicazione dell’area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l’accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate.” (Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 755; similmente ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 11 dicembre 2017, n. 5788; Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2014, n. 3438).
Il terzo motivo deve quindi essere respinto.
Infondato è infine il quarto motivo di appello, con il quale è stato riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado non esaminato dal Tar.
Infatti gli appostamenti fissi di caccia, a differenza di quanto affermato nell’appello, hanno una propria autonomia strutturale e funzionale, idonea a recidere l’asserito legame pertinenziale con il (non meglio identificato) edificio principale già condonato, con conseguente inapplicabilità della normativa regionale in materia di d.i.a.e. invocata dagli appellanti, in quanto concernente le mere opere pertinenziali, insussistenti nel caso di specie.
Pertanto il quarto motivo deve essere respinto.
In definitiva l’appello deve essere parzialmente dichiarato improcedibile – con riguardo ai manufatti già demoliti dalla parte appellante e meglio descritti in premessa – e nella restante parte respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile, nei sensi di cui alla motivazione che precede e nella restante parte lo respinge.
Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione comunale liquidate in Euro 3.000,00 (euro tremila//00), oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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