La persona offesa puo’ chiedere di essere restituita nel termine per la costituzione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 6 maggio 2019, n. 18844.

La massima estrapolata:

La persona offesa, pur non essendo “parte” del processo in senso tecnico, puo’ chiedere ed ottenere, ai sensi dell’articolo 175 c.p.p., di essere restituita nel termine per la costituzione di parte civile

In tema di rinvio del processo per adesione del difensore all’astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza, l’articolo 4, comma primo, lettera a), del Codice di autoregolamentazione deve essere interpretato nel senso che la adesione del difensore non è valida solo se tutti i reati per i quali si procede si prescrivono nel termine previsto dal predetto Codice.

Sentenza 6 maggio 2019, n. 18844

Data udienza 5 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACETO Aldo – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BARI;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
nel procedimento a carico di quest’ultimo:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
inoltre:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
PARTI CIVILI;
avverso la sentenza del 30/11/2017 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SCARCELLA ALESSIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso di (OMISSIS) e per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con riferimento alla posizione del (OMISSIS) con conseguente accoglimento del ricorso del Procuratore Generale;
uditi i difensori: a) Avvocato (OMISSIS) – difensore di (OMISSIS) – che, al termine del proprio intervento, ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dal Proc. Gen., rilevando motivi di inammissibilita’; b) Avvocato (OMISSIS) – difensore di (OMISSIS) – che, al termine del proprio intervento, rilevati i vizi motivazionali della sentenza, si e’ riportato ai motivi del ricorso; c) Avvocato (OMISSIS) – difensore di (OMISSIS) che, soffermandosi sulla natura giuridica del reato, ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta estinzione per prescrizione; d) Avvocato (OMISSIS), che insistito per l’accoglimento del ricorso di (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 30.11.2017, la Corte di Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal tribunale di Bari in data 26.11.2014, assolveva (OMISSIS) per non avere commesso il fatto addebitatogli e confermava, nel resto, la suddetta decisione. In particolare, (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano condannati alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa ciascuno, in quanto ritenuti responsabili, in concorso, del reato di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 1, commi da 1 a 3, per aver, con le rispettive condotte, integrato gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa di frode in competizione sportiva. A carico degli stessi venivano inoltre poste le spese processuali nonche’, sul piano civilistico, il risarcimento del danno a favore delle costituite parti civili.
2. Contro la sentenza ha proposto anzitutto ricorso per cassazione l’imputato (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’albo speciale ex articolo 613 c.p.p., articolando sette motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli articoli 74 e 79 c.p.p., con riferimento alla mancata esclusione dal processo di tutte le parti civili, compresa la FIGC, e correlato vizio di carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul punto.
In sintesi, il ricorrente: a) censura l’ammissione come parte civile della Confconsumatori, in quanto l’associazione in questione non avrebbe tra le proprie funzioni la tutela di eventi del tipo oggetto di imputazione; cosi’ come affermato dal Giudice di legittimita’, perche’ l’Ente esponenziale sia legittimato a far valere una pretesa risarcitoria in sede penale, e’ necessario che l’interesse diffuso perseguito dallo stesso sia volto alla salvaguardia di una situazione localmente e storicamente determinata, la quale deve essere stata fatta propria dall’Ente quale suo specifico scopo e che tale finalita’ emerga dallo Statuto; cio’ non si rinviene relativamente alla Confconsumatori; b) critica anche l’ammissione come parti civili di taluni spettatori i quali, avendo acquistato il biglietto della partita dal (OMISSIS), avrebbero potuto chiedere il risarcimento solo ai calciatori (o eventualmente alla societa’) della squadra di casa, con la quale era intercorso il rapporto contrattuale; il danno richiesto, ad avviso del ricorrente, potrebbe al piu’ rientrare nella categoria della responsabilita’ contrattuale, escludendo che i rappresentanti della (OMISSIS) possano essere chiamati a rispondere per il danno subito dai tifosi del (OMISSIS), essendo terzi rispetto al suddetto rapporto contrattuale; per i tifosi del Lecce si contesta la stessa configurabilita’ di un danno essendo la squadra “tifata” risultata vincitrice della competizione; c) infine, si eccepisce la tardivita’ della costituzione come parte civile della FIGC, con conseguente violazione dell’articolo 79 c.p.p., in quanto la rimessione in termini non era giustificata da una declaratoria di nullita’ del decreto di citazione a giudizio per omessa notifica, la quale non si era verificata. Su tutti i predetti argomenti la decisione sarebbe silente.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione all’articolo 8 c.p.p. e ss. e correlato vizio di carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul punto.
In sintesi, evidenzia il ricorrente l’errore commesso, e ignorato in sede di gravame, dal giudice di primo grado il quale, pur individuando il momento consumativo del reato nell’incontro avvenuto tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) a Lecce, non aveva declinato la propria competenza territoriale; dalla decisione emergerebbe invece la coincidenza della consumazione con la proposta formulata dal (OMISSIS) al calciatore (OMISSIS), al rientro da Lecce, nel pomeriggio del (OMISSIS); una ricostruzione, quest’ultima che, sostiene il ricorrente, non troverebbe riscontro negli atti processuali, essendo pacifico che quel pomeriggio non venne raggiunto alcun accordo tra le parti, non essendo riuscito il (OMISSIS) a convincere i compagni di squadra e rinviando la decisione al giorno successivo; ulteriore circostanza corroborante la tesi dell’incompetenza territoriale del tribunale di Bari sarebbe la chiamata intercorsa tra il (OMISSIS), ancora a Lecce, e il (OMISSIS), in occasione della quale lo stesso organo giudicante non escluderebbe che il calciatore fosse stato messo al corrente dell’avvenuto accordo.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge relativamente agli articoli 495 e 507 c.p.p.nonche’ articolo 234 c.p.p. e correlato vizio di carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul punto.
In sintesi, il ricorrente critica il rigetto della richiesta di inclusione nel fascicolo del dibattimento di documenti (segnatamente, alcuni articoli di giornale riguardanti la conferenza stampa tenuta dal Procuratore di Bari in occasione degli arresti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ i provvedimenti degli organi della giustizia sportiva inerenti il derby (OMISSIS)) rispondenti alla previsione legale di cui all’articolo 234 c.p.p.; il tribunale avrebbe erroneamente disatteso anche la richiesta, formulata nell’interesse del (OMISSIS), circa l’acquisizione dei tabulati telefonici dello stesso relativi agli anni precedenti i fatti contestati, finalizzata a dimostrare la consuetudine esistente tra il ricorrente e il (OMISSIS); cio’ avrebbe impedito alla difesa di prospettare plausibili spiegazioni alternative circa i contatti telefonici tra i medesimi, in aderenza alla posizione recentemente assunta dalla Corte di Cassazione (il richiamo, in ricorso e’ alla sentenza di questa Corte, Sez. 1, 7 agosto 2015, n. 3465) la quale prevede la utilizzabilita’, quale riscontro esterno alle dichiarazioni costituenti chiamata in correita’ de relato, dei tabulati telefonici soltanto in assenza di plausibili spiegazioni alternative delle chiamate intercorse; disattese sarebbero state anche le richieste di acquisizione, utili per una ricostruzione differente ed alternativa del fatto, degli estratti conto bancari di (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre sarebbe stata illogicamente acquisita la documentazione bancaria prodotta dal P.M.; in ordine all’acquisibilita’ dei suddetti documenti era stata anche presentata una memoria in data 30.11.2017 alla Corte d’appello di Bari, in conformita’ all’articolo 234 c.p.p., con cui si evidenziava la loro sicura utilita’ ai fini della decisione alla luce della sentenza di primo grado.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, violazione di legge in relazione all’articolo 192 c.p.p. ed alla L. n. 401 del 1989, articolo 1, commi da 1 a 3, della e correlato vizio di carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul punto.
In sintesi, il ricorrente richiama il contenuto della memoria depositata in data 30.11.2017 ove questi aveva evidenziato la carenza di prova circa l’appartenenza al medesimo del cellulare dal quale sarebbero partite le telefonate al (OMISSIS); la difesa avrebbe prodotto una comunicazione inviata per conto della (OMISSIS) al gestore telefonico e firmata da tale (OMISSIS) in qualita’ di presidente della societa’, ritenuta dal ricorrente una prova documentale di grande valore che avrebbe potuto porre nel nulla le generiche dichiarazioni del teste (OMISSIS); non provata mediante ulteriori fonti di prova, cosi’ come per gli altri imputati, sarebbe stata anche l’appartenenza al ricorrente del telefonino; il giudice di primo grado non avrebbe potuto utilizzare le dichiarazioni del (OMISSIS) in quanto agente di polizia giudiziaria cui e’ fatto divieto assoluto di riferire circostanze apprese da terzi, a maggior ragione su atti che si dichiarano essere provenienti dall’imputato, in quanto non si tratterebbe di un semplice fatto storico come invece sostenuto dalla Corte d’appello; quest’ultima si sarebbe limitata ad affermare, errando, l’utilizzabilita’ di suddette dichiarazioni, senza fornire alcuna spiegazione in merito, dichiarando che la prova documentale offerta dalla difesa sarebbe sfornita di rilevanza perche’ relativa ad un periodo temporale risalente e non affatto coincidente con i fatti di causa.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, violazione di legge in relazione alla L. n. 401 del 1989, articolo 1, commi da 1 a 3, , in riferimento all’articolo 192 c.p.p. e correlato vizio di carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul punto.
Con l’articolato motivo di ricorso, erroneamente indicato come motivo n. 4, successivo a quello supra illustrato, si sostiene che la responsabilita’ penale dell’imputato sarebbe stata pronunciata sebbene non vi fosse in atti prova della sua partecipazione al presunto accordo illecito; 1) viene in particolare criticata l’attendibilita’ degli accusatori ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) i quali avrebbero fornito diverse versioni sulle questioni principali attinenti alle combine e segnatamente: a) l’iniziativa riguardante l’accordo illecito; b) il segno convenzionale; c) l’autogol e la regolarita’ della partita; d) il profitto del reato, le modalita’ di consegna del denaro e la sua ripartizione; e) la condotta di (OMISSIS). Si rileva che il solo (OMISSIS) avrebbe riferito di aver appreso dal coimputato (OMISSIS) del coinvolgimento del ricorrente e che non vi sarebbe inoltre la prova che il (OMISSIS) abbia in qualche modo interferito nella vicenda prima della conclusione dell’accordo, considerando che, quanto avvenuto in seguito costituirebbe un post factum penalmente irrilevante; 2) essendo i suddetti chiamanti in correita’ de relato, le dichiarazioni accusatorie richiedono riscontri esterni che non possono essere altre chiamate in correita’ de relato se non dotate di autonomia genetica (ossia derivanti da fonti di informazione diverse), orientamento questo confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (il riferimento e’ alla sentenza n. 2080/2012); 3) in particolare, si sostiene, sarebbero richiesti inoltre ulteriori elementi, quali: a) la valutazione positiva della credibilita’ soggettiva di ogni singolo dichiarante e dell’attendibilita’ estrinseca di ogni singola dichiarazione (specificita’, coerenza, costanza, spontaneita’); b) l’accertamento dei rapporti personali tra il dichiarante e la fonte diretta, al fine di inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) la convergenza delle chiamate, le quali non devono rivelarsi il frutto di eventuali intese fraudolente; d) l’autonomia genetica del chiamante, come gia’ sopra evidenziato. Orbene, il tribunale non avrebbe tenuto in conto l’unicita’ della fonte delle chiamate in correita’ de relato, donde non sarebbero emersi riscontri individualizzanti con riferimento alla posizione del ricorrente, ne’ potrebbero ritenersi sufficienti i tabulati telefonici o gli agganci alla cella di “(OMISSIS)”, dal momento che quella zona coincide con la residenza del (OMISSIS); 4) sostiene il ricorrente che gli atti processuali individuerebbero in (OMISSIS) l’origine della proposta illecita, cosi’ determinando la non sussumibilita’ del fatto concreto nella fattispecie criminosa contestata; il reato sarebbe infatti a forma vincolata, richiedendo che l’iniziativa parta necessariamente dall’extraneus, essendo la disposizione diretta ad evitare interferenze sulle competizioni sportive;
non sarebbe espressamente prevista la punibilita’ della condotta dell’intraneus proponente, dovendosi affermare il principio lex dixit quam voluit; relativamente al partecipante alla competizione, la L. n. 401 del 1989, articolo 1, comma 2, disporrebbe la sola equiparazione quoad poenam, e cio’ confermerebbe ulteriormente la posizione sopra esposta; 5) il ricorrente evidenzia poi l’anomala ignoranza del (OMISSIS) circa la partecipazione all’accordo del (OMISSIS), cosi’ come questo non risulterebbe avere avuto conoscenza che il calciatore barese fosse uno dei protagonisti dell’accordo; proprio tale ultimo punto, trattandosi di un reato proprio, striderebbe con la necessaria conoscenza da parte del corruttore della identita’ del partecipante alla competizione sportiva il quale si adoperi per il raggiungimento del diverso risultato negoziato; 6) con l’atto di appello, si osserva, era stata inoltre prospettata la possibilita’ di qualificare il (OMISSIS) come intraneus, in quanto presidente della societa’, cio’ che non consentirebbe di ricondurre il caso concreto alla fattispecie di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 1; sulla questione, pero’, la decisione impugnata sarebbe silente; 7) le decisioni di primo e secondo grado, poi, nulla avrebbero detto circa l’assenza in atti di un riscontro alle dichiarazioni del (OMISSIS) riguardanti la presenza del (OMISSIS) a Lecce il sabato prima della partita, circostanza, questa, rilevante, in quanto la condanna viene basata sulla presenza dell’imputato in (OMISSIS) quel pomeriggio; 8) i giudici di merito non si sarebbero occupati altresi’ dell’elemento soggettivo del reato, ne’ del fatto che la squadra di (OMISSIS) aveva perso tutte le partite del campionato ed era in condizioni psico-fisiche pessime; cio’ comporterebbe la scarsa incisivita’ del presunto accordo illecito sul “leale e corretto svolgimento della partita”; 9) si sostiene, inoltre, che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) sarebbero stati vittime di un raggiro del calciatore, il quale avrebbe rappresentato agli stessi una situazione di fatto non veritiera (ossia il consenso di altri calciatori al mutamento del risultato della competizione) al fine di lucrare sulla somma promessa nonostante avesse dovuto operare da solo; se tali elementi fossero stati conosciuti dagli imputati, essi si sarebbero determinati diversamente e, comunque, risulterebbero incompatibili con l’elemento psicologico richiesto per la configurazione del reato, recte il dolo dell’agente, essendo stati condizionati dall’errore generato dal (OMISSIS); anche su tale punto vi sarebbe una evidente carenza di motivazione; 10) il ricorrente, ancora, rammentando la giurisprudenza della Corte EDU (segnatamente, il richiamo e’ alla nota sentenza sul caso Grande Stevens), sostiene di essere stato destinatario di una duplice sanzione per il medesimo fatto, precisamente sia in sede di giustizia sportiva che in quella penale; le sanzioni sportive (inibizione e pena pecuniaria) sarebbero nell’ottica del ricorrente certamente equiparabili a quelle penali; 11) si espone, poi, una diversa ricostruzione dei fatti relativamente al coinvolgimento del (OMISSIS) e alla capacita’ del solo (OMISSIS) di condizionare il risultato finale della competizione, non risultando logica l’assenza di scommesse su una partita per la quale, secondo l’accusa, l’esito era gia’ stato deciso; il (OMISSIS), inoltre, grazie alla confessione sul derby, avrebbe ottenuto la liberta’ in seguito all’applicazione di una misura cautelare personale, tornando a giocare in Serie A; il (OMISSIS) avrebbe riconosciuto il ricorrente solo dopo averlo visto in televisione durante la sua detenzione, circostanza che confermerebbe il fatto che il primo non avrebbe mai visto il secondo; il tribunale non avrebbe considerato che il (OMISSIS) non risulterebbe mai raggiunto da un’accusa diretta, avendo il solo (OMISSIS) riferito di avere appreso dal (OMISSIS) del suo coinvolgimento; 12) si sostiene inoltre una tesi alternativa su un fatto che non sarebbe stato tenuto in conto dall’organo giudicante, ossia che l’accordo potesse essere il frutto dell’iniziativa autonoma del (OMISSIS); 13) il ricorrente censura nuovamente l’attendibilita’ intrinseca delle dichiarazioni del (OMISSIS) il quale si sarebbe determinato a rendere dichiarazioni solo dopo essere stato attinto da una misura cautelare in carcere, fornendo dati tra di essi contrastanti, in modo particolare relativamente al segno convenzionale richiesto, attraverso il (OMISSIS), dal (OMISSIS); cose diverse vengono dallo stesso riferite anche sul prezzo della combine e sulle modalita’ di pagamento; il (OMISSIS) non sarebbe inoltre credibile a fronte delle diverse versioni fornite sull’autogol, nonche’ per il comportamento tenuto successivamente alla partita e per le false dichiarazioni relative alle proposte illecite allo stesso pervenute che affermava non andate a buon fine, risultando invece dalle sentenze passate in giudicato che il calciatore vi aveva partecipato; 14) ad avviso del ricorrente altrettanto inattendibile sarebbe il (OMISSIS), il quale avrebbe ammesso di aver fornito alla pubblica accusa delle risposte funzionali ad accelerare la propria liberazione; lo stesso, inoltre, non indica il (OMISSIS) nell’interrogatorio di garanzia, ma solo successivamente, riferendosi allo stesso anche come “figlio del Presidente del (OMISSIS)”, pur avendo il ricorrente tale qualifica; il dichiarante sarebbe reticente circa la somma percepita arrivando ad affermare di non avere avuto alcun guadagno dall’accordo; egli si sarebbe inoltre inventato la presenza del (OMISSIS) nella piazza di Lecce il sabato pomeriggio prima della partita, pur non avendolo visto (OMISSIS) e (OMISSIS); il (OMISSIS) avrebbe riconosciuto il ricorrente da una foto dopo averlo visto, su sue dichiarazioni, in televisione; da tutto cio’ si evincerebbe come l’unico elemento a carico del ricorrente sia rappresentato dalle dichiarazioni del (OMISSIS) circa la sua presenza in (OMISSIS), la quale risulta essere priva degli ulteriori riscontri necessari; il (OMISSIS) avrebbe inoltre affermato che il (OMISSIS) si trovava li’ per caso ed il (OMISSIS) non ne avrebbe valorizzato la presenza, nonostante partecipe del pactum sceleris;
15) dall’istruttoria dibattimentale sarebbe emerso che il perfezionamento dell’accordo era avvenuto la mattina della partita, alle ore 11:23, cioe’ nel momento in cui (OMISSIS) avrebbe dato al (OMISSIS) la conferma definitiva dell’accordo, stabilendo in quel momento l’importo finale e il segno convenzionale quale prova della partecipazione del (OMISSIS); affinche’ possa esserci un accordo e’ infatti necessario che siano stati stabiliti tutti i termini dello stesso; quella mattina non vi sarebbe stato alcun contatto telefonico tra (OMISSIS) e (OMISSIS), non comprendendosi quindi in che modo il ricorrente potrebbe avere partecipato alla definizione del patto illecito; il (OMISSIS) avrebbe fornito una personale ricostruzione della vicenda, nello specifico circa l’ammontare del denaro indicato nell’assegno nonche’ di quello ricevuto e sulla successiva ripartizione, ed in termini differenti rispetto a quelli dichiarati dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS); ad avviso del dichiarante, inoltre, il derby si sarebbe svolto regolarmente e contraddittorio sarebbe anche il fatto che i dichiaranti non abbiano scommesso sulla partita essendo gia’ predeterminato il risultato; 16) l’organo giudicante avrebbe poi eccessivamente valorizzato le dichiarazioni del teste (OMISSIS), il cui informatore era stato lo stesso (OMISSIS), all’oscuro che dietro il (OMISSIS) ci sarebbe stato il (OMISSIS) fino all’incontro del (OMISSIS), durante il quale, peraltro, nessun riferimento sarebbe stato fatto al ricorrente ma solo alla famiglia; 17) il ricorrente evidenzia inoltre la mancata coincidenza temporale tra i prelievi effettuati dallo stesso e i pagamenti del (OMISSIS); il P.M. si sarebbe opposto all’acquisizione degli estratti conto bancari di (OMISSIS), padre dall’imputato, e del (OMISSIS), dai quali sarebbe emersa la possibilita’ di individuare fonti di finanziamento alternative al ricorrente; 18) travisata sarebbe stata anche la dichiarazione del teste (OMISSIS) circa l’estraneita’ dell’avv. (OMISSIS) alla famiglia (OMISSIS), la quale sarebbe stata confermata anche dal (OMISSIS) le cui parole non potrebbero essere utilizzate solo in chiave accusatoria; 19) a carico del ricorrente sarebbero stati posti i tabulati telefonici comprovanti i contatti tra lo stesso ed il (OMISSIS) senza pero’ che fosse stato possibile dimostrare in dibattimento che tra i due vi siano state delle conversazioni, data l’impossibilita’ di verificare ex post se ad una chiamata sia corrisposta effettivamente una risposta; ne’ la circostanza che il (OMISSIS) parlasse a nome di altra persona puo’ essere utilizzata in termini accusatori nei confronti del ricorrente, visto che il (OMISSIS) soltanto in dibattimento risulta avere parlato del (OMISSIS) per dare un’identita’ a quel soggetto; 29) il ricorrente evidenzia inoltre l’andamento delle precedenti partite disputate dalla squadra barese, con esiti negativi, nonche’ la partecipazione al pactum sceleris di un solo calciatore, elementi questi che sembrerebbero confermare la scarsa incidenza sull’andamento del derby (OMISSIS) del presunto accordo illecito; difetterebbe, quindi, la prova certa dell’alterazione del risultato.
2.6. Deduce, con il sesto motivo, violazione di legge relativamente agli articoli 62-bis e 133 c.p. e correlato vizio di carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul punto.
Si sostiene che l’organo giudicante avrebbe escluso l’applicazione delle attenuanti generiche facendo un generico riferimento alla gravita’ del fatto senza dare una concreta spiegazione circa gli elementi che sostanzierebbero tale gravita’; non sarebbe stata considerata anche l’incensuratezza dell’imputato; la pena applicata sarebbe poi eccessiva, soprattutto in quanto e’ la stessa comminata a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), accusati di reati piu’ gravi; il giudice di secondo grado si sarebbe limitato a ribadire che le attenuanti generiche non avrebbero potuto essere concesse utilizzando forme generiche e senza confutare gli argomenti sottoposti mediante il gravame.
2.7. Deduce, con il settimo motivo, violazione di legge in relazione all’articolo 538 c.p.p. e ss., con riferimento alla condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e al pagamento delle provvisionali e correlato vizio di carenza e manifesta illogicita’ della motivazione sul punto.
Ad avviso del ricorrente l’organo giudicante avrebbe erroneamente quantificato il danno risarcibile, equiparando non soltanto le posizioni delle parti civili le quali avevano tentato di fornire la prova del danno e quelle non ascoltate in udienza, ma anche tra i tifosi delle rispettive squadre, pur avendo taluni di essi beneficiato del risultato; il vulnus infatti andrebbe commisurato all’effettivo pregiudizio patito e non al potenziale pericolo per gli interessi del danneggiato derivante dall’illecito; irragionevole sarebbe anche la liquidazione di una provvisionale a carico dell’imputato nonostante la notevole entita’ del patrimonio accertata; la Corte di appello di Bari si sarebbe limitata a confermare gli argomenti utilizzati dal giudice di prime cure, senza tenere nella giusta considerazione i motivi di impugnazione riportati nel ricorso.
3. Contro la sentenza ha proposto poi ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, articolando un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
3.1. Deduce, con tale unico motivo, la violazione di legge con riferimento all’articolo 110 c.p.relativamente alla pronuncia assolutoria che ha riguardato (OMISSIS).
Con l’articolato motivo di ricorso, si sostiene che la Corte di Appello di Bari avrebbe errato nel qualificare la condotta del (OMISSIS) come mera connivenza non punibile e non, invece, come contributo agevolatore del delitto di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 1, commi da 1 a 3, commesso dai restanti coimputati in concorso; questi infatti avrebbe accompagnato con la propria auto il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) all’incontro con il (OMISSIS) pur non prendendovi parte; nella stessa giornata, dopo aver ricevuto l’assegno dal (OMISSIS) come garanzia del corrispettivo promesso al calciatore (OMISSIS), il (OMISSIS) ed i compagni facevano ritorno a Bari e si dirigevano all’Hotel (OMISSIS), sito in (OMISSIS), ove (OMISSIS) si trovava in ritiro con la squadra prima della partita; l’imputato assolto, anche in questa occasione, rimaneva in auto e non prendeva parte all’incontro tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); durante tale incontro si era perfezionato l’accordo corruttivo; orbene, i giudici di secondo grado avrebbero fatto leva proprio sulla mancata partecipazione del (OMISSIS) ai suddetti incontri, ritenendo inoltre che non fosse stata raggiunta la piena prova che l’imputato fosse a conoscenza del reale motivo del viaggio a Lecce, quantomeno all’andata, mentre non vi era alcun dubbio circa la consapevolezza al momento del ritorno, come ammesso dal (OMISSIS); proprio su tale punto si incentra la tesi accusatoria, in quanto il (OMISSIS), nonostante fosse venuto a conoscenza del motivo del viaggio, avrebbe comunque deciso di accompagnare il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) all’incontro con il (OMISSIS), al fine di perfezionare definitivamente l’accordo corruttivo; come affermato da questa Corte, sarebbe sufficiente, ai fini del concorso nel reato, che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa puo’ indifferentemente manifestarsi mediante previo concerto o intesa istantanea ovvero semplice adesione all’opera di un altro che ne rimane ignaro (si richiama, in ricorso, il decisum delle SS. UU., 22 novembre 2000, Sormani); il contributo, inoltre, acquisterebbe rilevanza anche qualora agevoli o rafforzi il proposito criminoso gia’ esistente nei concorrenti, in modo da aumentare la possibilita’ di commissione del reato; orbene, si sostiene che non sarebbe dunque necessario che il dolo del partecipe esista gia’ al momento della pianificazione del reato, potendo l’adesione al disegno criminoso manifestarsi anche successivamente, in divenire; si evidenzia, inoltre, che il contributo richiesto perche’ possa trovare applicazione l’articolo 110 c.p., non deve essere tale che il difetto dello stesso possa escludere la commissione del reato, risultando sufficiente un apporto c.d. agevolatore, in mancanza del quale il reato sarebbe stato consumato con maggiore incertezza o difficolta’; si censura, poi, la posizione del giudice di secondo grado circa il difetto di efficacia causale del contributo del (OMISSIS) in quanto tale apporto, sebbene di minore importanza, si presterebbe ad essere inquadrato nello schema dell’articolo 110 c.p.tanto sotto il profilo morale, in quanto idoneo a rafforzare il proposito criminoso, quanto sotto quello materiale, dal momento che, avendo lo stesso posto a disposizione la propria auto e avendo accompagnato i compagni, avrebbe contribuito alla causazione dell’evento; inoltre, per il PG ricorrente risulterebbe accertato che il (OMISSIS) avrebbe partecipato alla spartizione della somma di denaro frutto dell’accordo illecito, insieme ai compagni i quali hanno cio’ confermato espressamente e unanimemente; cio’ sarebbe indice inequivocabile del contributo concorsuale dell’imputato; conclusivamente, la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che il dolo richiesto per la sussistenza del concorso di persone debba sussistere gia’ nella fase di ideazione del disegno criminoso, nonche’ nel ritenere che il contributo agevolatore del (OMISSIS) non avrebbe avuto alcuna efficacia causale nella consumazione del reato.
4. All’udienza di discussione originariamente fissata per il 22.11.2018, a seguito dell’adesione all’astensione dei difensori dell’imputato (OMISSIS), proclamata dall’UCPI, il processo veniva rinviato a nuovo ruolo, nulla opponendo il PG di udienza, con conseguente sospensione dei termini di prescrizione da tale data sino all’udienza odierna, rifissata sollecitamente.
5. Con atto del 4.01.2019, la difesa dell’imputato (OMISSIS), non ricorrente in questa sede, ha chiesto, ai sensi dell’articolo 587 c.p.p., comma 1, di poter partecipare al procedimento di impugnazione promosso dal coimputato (OMISSIS), giovandosi dell’impugnazione proposta da quest’ultimo, con richiesta a questa Corte di annullamento dell’impugnata sentenza.
6. Con atto del 18.01.2019, la difesa delle parti civili Confconsumatori, nonche’ di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha comunicato a questa Corte la rinuncia a costituirsi parte civile per l’udienza del 5.02.2019.

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Preliminarmente il Collegio reputa opportuno esplicitare le ragioni per le quali si e’ ritenuto, all’udienza 22.11.2018, di accogliere, nulla opponendo il PG di udienza, l’istanza di rinvio dei difensori dell’imputato (OMISSIS), per adesione all’astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza, nonostante il primo termine di prescrizione del reato (trattandosi di fatto contestato in diversi momenti) maturasse nei novanta giorni successivi.
Orbene, questo Collegio ben conosce quanto dispone l’articolo 4 del Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, approvato dall’O.U.A., che sotto la rubrica “Prestazioni indispensabili in materia penale”, al comma 1, non consente l’astensione nella materia penale in riferimento: “a) all’assistenza (…), ai procedimenti e processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il periodo di astensione, ovvero, (…..) se pendenti nel giudizio di legittimita’, entro novanta giorni; (omissis)”. Detto Codice, come e’ noto, dichiarato idoneo dalla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con deliberazione del 13 dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2008, cosi’ come la previgente Regolamentazione provvisoria dell’astensione collettiva degli avvocati dall’attivita’ giudiziaria, adottata dalla Commissione di garanzia con deliberazione del 4 luglio 2002, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del 23 luglio 2002, costituisce fonte di diritto oggettivo contenente norme aventi forza e valore di normativa secondaria o regolamentare, vincolanti “erga omnes”, ed alle quali anche il giudice e’ soggetto in forza dell’articolo 101 Cost., comma 2, (Sez. U, n. 40187 del 27/03/2014 -dep. 29/09/2014, Lattanzio, Rv. 259926).
E’ altresi’ noto l’orientamento di questa Corte (Sez. 2, n. 21779 del 18/02/2014 -dep. 28/05/2014, Frattura, Rv. 259707; Sez. 6, n. 39248 del 12/07/2013 – dep. 23/09/2013, Cartia, Rv. 256336; Sez. 3, n. 7620 del 28/01/2010 – dep. 25/02/2010, Settecase, Rv. 246197), per il quale non e’ consentita l’astensione dalle udienze penali da parte del difensore in relazione ai procedimenti relativi a reati per i quali la prescrizione e’ destinata a maturare entro i termini previsti dal Codice di Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, adottato il 4 aprile 2007, in quanto il rispetto dei presupposti fissati da questo atto, avente natura regolamentare, costituisce la precondizione per la sussistenza del diritto che si afferma voler esercitare.
8. Il processo in questione presenta, tuttavia, la peculiarita’ per cui solo alcuni reati si sarebbero prescritti prima del termine di 90 giorni, mentre per gli altri la prescrizione maturera’ in epoca sicuramente successiva. Cio’ comportava, quindi, che, per alcuni di essi, la dichiarazione di adesione all’astensione sarebbe stata acco-glibile, per gli altri, quelli la cui prescrizione era ravvicinata (entro i 90 giorni), la stessa avrebbe dovuto essere respinta.
Si pone il problema di valutare, dunque, se, a fronte di un’istanza di rinvio della difesa, astrattamente da rigettarsi perche’ rientrante nelle cause di esclusione dell’astensione di cui all’articolo 4, al giudice, soggetto all’osservanza del predetto Codice, residui – nei casi come quello in esame – un margine di discrezionalita’ al fine di valutare l’esistenza di elementi che consentano di ritenere prevalente l’esigenza difensiva di garantire l’assistenza legale sull’interesse dello Stato alla prosecuzione del giudizio atteso il maturarsi “prossimo” del termine di prescrizione del reato.
9. Al quesito, ritiene il Collegio di dover fornire risposta affermativa, atteso che la vincolativita’ dell’articolo 4 non puo’ ritenersi assoluta, come del emerge dalle Linee-guida in tema di “Astensione dei difensori dalle udienze penali” diffuse dalla Prima Presidenza di questa Corte con nota del 14.07.2017, al fine di soddisfare l’esigenza di stabilire, con riguardo ai principali problemi di natura organizzativa, criteri uniformi, che siano coerenti con i principi di diritto affermati dalle Sezioni unite (S.U., n. 40187 del 27/0312014, Lattanzio, Rv. 259926) e che riproducano in larga parte le prassi finora seguite dalle singole sezioni, consentendo di limitare i pur inevitabili disagi derivanti dal rinvio di numerosi procedimenti.
Sul punto, se da un lato (pag. 2) si ricorda che “C. L’astensione non e’ consentita nei procedimenti concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il periodo di astensione ovvero, “nei giudizi di legittimita’, entro novanta giorni (articolo 4.1. lett.a Codice)”, dall’altro, con prescrizione conclusiva (ultima pagina) si attribuisce al Collegio una valutazione discrezionale in ordine alla accoglibilita’ dell’istanza di rinvio, chiaramente stabilendosi che “Rimane affidata alla prudente valutazione dei singoli collegi ogni altra questione su quanto non espressamente previsto dalle presenti linee-guida, con speciale riguardo al bilanciamento, pure eccezionale, del diritto costituzionalmente protetto del difensore con altri diritti parimenti garantiti”.
10. Si tratta, dunque, nel caso in esame, di situazione non chiaramente regolamentata dall’articolo 4.1, lettera a), del Codice di autoregolamentazione che parla genericamente di processi concernenti reati la cui prescrizione maturi entro 90 giorni dal periodo di astensione, se pendenti nel giudizio di legittimita’, alimentando cosi’ il dubbio sulla reale estensione applicativa della norma e sull’oggetto del termine concernenti, non preceduto dall’avverbio comunque (che, se presente, avrebbe tranciato ogni dubbio interpretativo). Le richiamate linee guida adottate dal Primo Presidente il 14/07/2017 in materia di astensione dei difensori dalle udienze non forniscono, del resto, un criterio interpretativo chiaro sul punto, limitandosi a ripetere la lettera del Codice.
In una situazione di incertezza circa la scelta da assumere (rigetto integrale della richiesta di rinvio; accoglimento parziale per i soli reati che si sarebbero prescritti in epoca successiva, con relativo stralcio; accoglimento integrale della richiesta) il Collegio ha ritenuto – non opponendosi peraltro il P.G. di udienza – di adottare l’interpretazione piu’ “aperta” secondo la quale la adesione del difensore non e’ valida solo se tutti i reati per i quali si procede si prescrivono nel termine previsto dal Codice di autoregolamentazione e cio’ per le seguenti ulteriori ragioni: 1) la peculiarita’ del caso che, consentendo – come anticipato – piu’ interpretazioni della norma, suggeriva (se non imponeva) di adottare la soluzione che garantisse al difensore l’esercizio di una facolta’ costituzionalmente tutelata, essendo presente in aula solo un sostituto processuale dei difensori fiduciari, con evidente, limitato, mandato ad insistere sull’istanza di rinvio; 2) la totale assenza di conseguenze per il processo, considerato che, in ogni caso, il rinvio, in accoglimento della richiesta del difensore che dichiara di astenersi dalle udienze, sterilizza il corso della prescrizione per tutti i reati oggetto della regiudicanda, come del resto riconosciuto da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001 – dep. 11/01/2002, Cremonese, Rv. 220509, che, appunto, in tema di prescrizione del reato, ha stabilito che i rinvii disposti a seguito dell’adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze proclamata dall’associazione di categoria, comportino la sospensione del corso della prescrizione per tutto il periodo complessivo della durata dei rinvii predetti).
Il Collegio ha cosi’ ritenuto di interpretare l’articolo 4 del Codice di autoregolamentazione, nel senso sopra indicato avvalendosi anche della facolta’ prevista, in chiusura, dalle citate linee guida del 14.07.2017.
11. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di rinvio del processo per adesione del difensore all’astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza, l’articolo 4, comma 1, lettera a), del Codice di autoregolamentazione deve essere interpretato nel senso che la adesione del difensore non e’ valida solo se tutti i reati per i quali si procede si prescrivono nel termine previsto dal predetto Codice”.
12. Tanto premesso, seguendo l’ordine suggerito dall’illustrazione delle impugnazioni, si muovera’ dall’esame dei plurimi motivi di ricorso proposti dal ricorrente (OMISSIS), i quali presentano tutti un vizio comune, atteso che gli stessi si presentano non solo generici per aspecificita’ ma anche manifestamente infondati e in parte proposti anche fuori dei casi consentiti dalla legge davanti a questo Giudice di legittimita’.
13. Ed invero, sono anzitutto generici per aspecificita’ in quanto non si confrontano con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata (ed in quella di prime cure, peraltro resa a seguito di dibattimento, le cui motivazioni si saldano reciprocamente, attesa la natura di doppia conforme quanto alla posizione dell’imputato (OMISSIS): v., tra le tante: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 – dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595), la quale confuta le identiche doglianze difensive svolte nei motivi di appello (doglianze che, vengono, per cosi’ dire “replicate” in questa sede di legittimita’ senza alcun apprezzabile elemento di novita’ critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilita’. Ed invero, e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che e’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni gia’ esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
14. Le stesse doglianze inoltre sono da ritenersi manifestamente infondate, avendo sia la Corte d’appello che il tribunale, esaminato gli elementi che consentivano di ritenere provato il coinvolgimento del (OMISSIS) nei fatti contestati di frode in competizione sportiva, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Ed invero, premessa la individuazione del perimetro della cognizione di questa Corte di legittimita’, limitata alle sole censure in diritto ed ai “reali” vizi motivazionali enucleabili dalla lettera e), dell’articolo 606 c.p.p., puo’ quindi procedersi all’esame dei singoli motivi di ricorso.
15. Quanto al primo motivo (OMISSIS) – premesso che la rinuncia (rectius, revoca) a costituirsi parte civile da parte di alcune delle parti civili pervenuta in limine litis, renderebbe di per se’ non piu’ attuale l’interesse del ricorrente ad un giudizio di legittimita’ (posto che l’interesse ad impugnare, previsto in via generale dall’articolo 568 c.p.p., comma 4, non puo’ risolversi in una pretesa, meramente teorica e formale, all’esattezza giuridica della decisione, senza riflessi in punto di utilita’ concreta, dovendo l’impugnazione essere sempre diretta al conseguimento di un risultato favorevole, che sia anche indirettamente utile al proponente: v., da ultimo: Sez. 7, n. 21809 del 18/12/2014 – dep. 25/05/2015, P.M. mil. in proc. Letorri e altro, Rv. 263538) – il motivo di ricorso, che sarebbe comunque da esaminare in relazione alle censure svolte quanto alle parti civili costituite non “rinuncianti”, e’ in ogni caso palesemente inammissibile.
16. Sul punto deve, infatti, essere osservato quanto segue.
La legitimatio ad causam riconosciuta agli enti esponenziali ha trovato cittadinanza nel codice di procedura penale del 1988, precisamente all’articolo 91 c.p.p. ss..
Mediante tale novita’ legislativa interessi comuni alla generalita’ della comunita’ sociale ovvero a gruppi di individui (c.d. interessi diffusi e collettivi) trovano voce in seno al processo penale, ovviando il rischio di eventuali vuoti di giustizia. Cio’ che cattura immediatamente l’attenzione e’ la collocazione sistematica della disciplina, sintomatica della funzione sussidiaria svolta dall’ente al fianco della pubblica accusa, tendendo a realizzare una sorta di contributo all’esercizio dell’azione penale. A tali enti infatti vengono riconosciuti i diritti e le facolta’ spettanti alla persona offesa, dalla quale dovranno ricevere il consenso. Ai fini della legittimazione, il legislatore dispone la necessaria corrispondenza ontologica tra gli interessi tutelati istituzionalmente dall’ente e quelli protetti dalla norma penale violata, requisito la cui sussistenza viene ad essere accertata mediante controllo del contenuto statutario. Sempre ai fini di garantirne l’affidabilita’ oggettiva, si richiede l’assenza dello scopo di lucro e il riconoscimento, mediante legge statale o regionale, delle suddette finalita’ di tutela degli interessi (recte rappresentativita’) il quale dovra’ essere anteriore al fatto di reato, cosi’ evitando aggregazioni estemporanee formatesi ad hoc (sebbene non siano mancate decisioni giurisprudenziali con le quali e’ stata confermata la legittimazione di enti anche non riconosciuti i quali perseguano statutariamente le medesime finalita’ di organizzazioni riconosciute; cfr. ex plurimis: SS.UU., 24 aprile 2014, n. 38343; Sez. III, 4 ottobre 2016, n. 52031). Interesse leso e’ quello collettivo statutario, la cui risarcibilita’ e’ stata affermata dalla giurisprudenza mediante un duplice passaggio: in primis si e’ escluso che l’articolo 185 c.p. potesse essere applicato solo alle ipotesi di danno diretto ed immediato, affermandosi la necessita’ e sufficienza di un nesso eziologico tra il fatto-reato e il pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale; in secundis, si e’ sostenuto che l’interesse collettivo venisse ad identificarsi con lo scopo dell’ente esponenziale-titolare dell’interesse protetto istituzionalmente, la cui lesione avrebbe configurato un’ipotesi di danno aquiliano risarcibile, puo’ constatarsi come elemento dirimente, al fine di affermare o negare la legittimazione dell’ente esponenziale, oltre alla rappresentativita’ dello stesso e al consenso della persona offesa comunicato nelle forme richieste, sia indefettibile la espressa previsione all’interno del proprio statuto dello scopo di tutela di quegli specifici interessi dei quali si lamenta la lesione e si domanda il risarcimento.
17. Orbene, tanto premesso, il motivo di ricorso e’ nel complesso infondato. Dalla lettura dello statuto dell’associazione Confconsumatori testualmente si rinviene infatti che l’ente ha posto tra i propri obbiettivi “difesa del consumatore – utente nei rapporti con le Aziende pubbliche o private produttrici di, distributrici ed erogatrici di beni e servizi, locali e nazionali, per ottenere efficienza, economicita’ e rispetto degli standard di qualita’; difesa dell’interesse individuale e collettivo alla trasparenza, correttezza equita’ dei contratti” (articolo 2, comma 1, lett b). Non e’ dunque possibile escludere dal perimetro cosi’ delineato l’ipotesi in esame in cui il tifoso risulta, di fatto, essere parte di un rapporto contrattuale avente ad oggetto la partecipazione all’evento sportivo a fronte del pagamento del prezzo del biglietto, incidendo il pactum sceleris sulla correttezza del contratto stesso, influenzando l’esito della competizione calcistica.
18. Parimenti inammissibile e’ anche la censura diretta ad affermare la terzieta’ della (OMISSIS) rispetto al pregiudizio sopportato dai tifosi i quali avrebbero perfezionato un contratto con la sola (OMISSIS). Ed invero, nel caso di specie, il ricorrente non sembra avere considerato che il vulnus morale non risulterebbe etiolo-gicamente riconducibile ad un inadempimento contrattuale ma, piuttosto, alla condotta criminosa, con diritto al risarcimento in forza dell’articolo 185 c.p., comma 2, non invece ex articolo 1218 c.c..
19. Deve escludersi, inoltre, che i tifosi della squadra vincente non abbiano subito alcun danno morale (c.d. danno da passione sportiva rovinata) dalla condotta criminosa, considerato anche il fine precipuo perseguito dalla L. n. 401 del 1989, articolo 1, ossia la tutela della genuinita’ del risultato delle competizioni sportive, nel rispetto dell’alea che a queste e’ correlata.
20. Quanto, infine, alla questione relativa alla costituzione di parte civile della FIGC, il motivo e’ infondato.
Ed invero dalla lettura della sentenza di primo grado nonche’ dalla lettura della trascrizione stenotipica del verbale dell’ud. 28.03.2014 (segnatamente alle pagg. 22/27), in cui viene affrontata la relativa eccezione, emerge che: a) all’ud. 28.02.2014, nel procedimento principale a carico del (OMISSIS) e del (OMISSIS), era stata accolta per tardivita’ la richiesta di costituzione di p.c. della FIGC, con rinvio all’ud. 28.03.2014; b) all’ud. 28.03.2014, previa riunione al procedimento a carico del (OMISSIS) e del (OMISSIS) di quello a carico del (OMISSIS) (la cui posizione era stata stralciata e rinviata all’ud. 28.03.2014, stante il giustificato impedimento dei suoi difensori per l’ud. 28.02.2014), era stata disattesa l’eccezione di nullita’ del decreto di citazione a giudizio per omessa notifica del medesimo alla FIGC, quale p.o. dal reato, eccezione proposta nell’interesse dell’Ente; c) nel corso della medesima udienza veniva invece autorizzata la costituzione di p.c. in udienza della FIGC in qualita’ di parte, stante la rinuncia della FIGC al termine a difesa, con accettazione del processo e di tutti gli atti gia’ compiuti; d) all’ud. 28.03.2014 la difesa dei ricorrenti, sia nel processo “riunito” a carico del (OMISSIS), sia nel processo a carico del (OMISSIS) e del (OMISSIS), si erano riportati all’eccezione di tardivita’ della costituzione della parte civile; e) il giudice, nel decidere, aveva preso atto della rinuncia all’eccezione di nullita’ della FIGC, e contestualmente aveva disposto la rimessione in termini per costituirsi parte civile, motivandola (pag. 26) “sulla scorta dell’obiettiva incertezza nella identificazione del titolare del bene giuridico leso dal reato per cui si procede”, ritenendo che (pag. 26) “la FIGC, comunque danneggiata dal reato, confidasse ragionevolmente ed in buona fede, essendosi peraltro tempestivamente all’uopo attivata, di essere considerata persona offesa, come gia’ avvenuto in numerosi procedimenti analoghi, e quindi di ricevere formale e tempestiva notifica del decreto di citazione a giudizio, onde poter esercitare tutte le facolta’ di legge”, concludendo il giudice, nella sua ordinanza di ammissione, che “allo stato per quelli che sono gli atti messi a disposizione….non e’ apprezzabile alcun vizio formale dell’atto di costituzione di parte civile della FIGC” (pag. 27). Alla stregua di quanto sopra, pertanto, del tutto legittimo e’ dunque il provvedimento di rimessione in termini adottato ex articolo 175 c.p.p. dal giudice per consentire alla FIGC di costituirsi parte civile nel presente processo a carico degli imputati, ivi incluso il (OMISSIS), non condividendosi da parte del Collegio il principio, gia’ affermato da altra Sezione di questa Corte, secondo cui la persona offesa, non essendo “parte” del processo in senso tecnico, non potrebbe chiedere ed ottenere, ai sensi dell’articolo 175 c.p.p., di essere restituita nel termine per la costituzione di parte civile (Sez. 5, n. 10111 del 25/11/2014 – dep. 10/03/2015, Pulselli, Rv. 262747). Ed invero, tale approdo esegetico non tiene conto delle variabili circostanze che possono caratterizzare la dinamica processuale, come ad esempio quella in esame, ove la FIGC, persona offesa dal reato, non aveva ricevuto il decreto di citazione a giudizio quale persona offesa dal reato in quanto non indicata come tale nel decreto di citazione a giudizio, con conseguente mancata notifica del medesimo nei termini di legge. Orbene, in consimili ipotesi, ove si precludesse alla persona offesa di chiedere ed ottenere – come correttamente avvenuto nel caso di specie – la restituzione nel termine per potersi costituire parte civile, si lederebbe irrimediabilmente il diritto di un soggetto destinato a diventare “parte” processuale (ossia la persona offesa, costituenda parte civile) a esercitare l’azione civile nel processo penale. Tantopiu’, si osserva, che nel caso di specie, al fine di evitare inutile dispendio di energie processuali, lo stesso giudice – di fronte all’eccezione di nullita’ del decreto di citazione per omessa notifica del decreto di citazione prospettata dalla persona offesa FIGC – anziche’ fare uso dei poteri di cui all’articolo 143 disp. Att. c.p.p. e rinviare di 60 gg. il processo per consentire alla p.o. di costituirsi parte civile esercitando le proprie prerogative difensive, aveva opportunamente rimesso in termini quest’ultima, acconsentendole di depositare l’atto di costituzione di parte civile, cosi’ restando assorbita l’eccezione di nullita’ di omessa notifica del decreto di citazione alla p.o..
A conforto di tale tesi, si noti, si e’ peraltro indirettamente pronunciata questa Sezione (Sez. 3, n. 37507 del 13/07/2011 – dep. 18/10/2011, M., Rv. 251303), affermando il principio per cui le questioni sulla tempestivita’ della costituzione di parte civile, anche se avvenuta a seguito di rimessione in termini ai sensi dell’articolo 175 c.p.p., sono soggette alla decadenza prevista dall’articolo 491 c.p.p., comma 1; cio’ che conferma, dunque, come chiaramente si evince dalla lettura della motivazione, che il disposto dell’articolo 491 citato e’, infatti, applicabile anche nei casi – come quello di specie – in cui la costituzione di parte civile sia avvenuta a seguito di rimessione in termini ex articolo 175 c.p.p. (dunque ritenuta ammissibile da questa Sezione), e cio’ perche’ – si legge in sentenza la rimessione in termini ha l’effetto di riportare la situazione allo status quo ante. Deve, pertanto essere affermato il seguente principio di diritto:
“La persona offesa, pur non essendo “parte” del processo in senso tecnico, puo’ chiedere ed ottenere, ai sensi dell’articolo 175 c.p.p., di essere restituita nel termine per la costituzione di parte civile”.
21. Si rileva, in ogni caso, che dirimente sul punto (e, quindi, assorbente rispetto a qualsiasi altro profilo di doglianza) e’ il rilievo per cui, secondo la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, cui questo Collegio reputa di dover dare continuita’, il provvedimento che ammette la costituzione di parte civile e’ inoppugnabile e preclude ogni contestazione in ordine alla “Iegitimatio ad processum”, restando solo la possibilita’ di esaminare la “legitimatio ad causam” e, in particolare, la configurabilita’ e sussistenza del diritto sostanziale azionato dalla parte civile nel giudizio penale (Sez. 2, n. 17108 del 22/03/2011 – dep. 03/05/2011, Muscariello, Rv. 250326).
Il primo motivo e’ pertanto infondato.
22. Analogamente deve rilevarsi quanto al secondo motivo concernente la questione della competenza per territorio.
Sul punto deve, anzitutto, essere risolta la questione preliminare relativa all’individuazione del momento consumativo del delitto contestato. Orbene, il reato previsto e punito alla L. n. 401 del 1989, articolo 1 si configura come norma a piu’ fattispecie, individuandosi due modalita’ di realizzazione della condotta criminosa, una delle quali, recte quella contemplata dal comma 1, secondo periodo, configura un delitto a forma libera in quanto, quasi a volere includere le molteplici possibilita’ della realta’ concreta, viene fatto riferimento agli “altri atti fraudolenti”, diversi quindi dalla promessa o offerta di denaro o altra utilita’, mediante i quali e’ perseguito lo scopo di realizzare un risultato differente rispetto a quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione sportiva. Sembra opportuno precisare che non sono sufficienti, per il superamento della soglia di rilevanza penale, mere violazioni delle regole di gioco, richiedendosi un quid pluris costituito da un artifizio o raggiro che, modificando fraudolentemente la realta’, sia idoneo ad alterare lo svolgimento della competizione e, quindi, il risultato della stessa (Sez. II, 29 marzo 2007, n. 21324), sebbene l’effettivita’ dell’alterazione non rilevi ai fini della consumazione del delitto. La giurisprudenza, infatti, ha qualificato la fattispecie in esame come reato di attentato di pura condotta, anticipando la consumazione al momento e al luogo in cui si verifica la promessa o l’offerta di un vantaggio indebito o la commissione di ogni altra fraudolenta condotta, non invece a quello dell’accettazione, la quale integra il reato proprio, anch’esso di mero pericolo, di cui all’articolo 1, comma 2 suddetto (Sez. III, 23 marzo 2015, n. 31623; Sez. III, 25 febbraio 2010, n. 12562).
Per la consumazione, pero’, e’ necessario che la promessa/offerta sia portata a conoscenza del destinatario-intraneus e, pertanto, qualora per cause indipendenti dalla volonta’ dell’agente essa non giunga a destinazione, ovvero il partecipante ne venga a conoscenza in ritardo (ad es. dopo che la competizione si sia svolta) il reato non sara’ consumato, bensi’ tentato, ovviamente purche’ sussistano i requisiti della idoneita’ degli atti e della non equivoca direzione degli stessi a corrompere il partecipante.
23. Tanto premesso in diritto, il motivo si appalesa quindi inammissibile in quanto l’incontro tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), nonche’ l’individuazione della condotta richiesta e del corrispettivo promesso, non potrebbe essere considerato idoneo ex se a realizzare un’alterazione del risultato della competizione sportiva, rendendosi invece necessaria la conoscenza della proposta da parte dell’intraneus- (OMISSIS) perche’ il reato di pericolo in questione possa ritenersi consumato. Non e’ richiesto invece l’effettivo raggiungimento dell’accordo ne’ l’alterazione del risultato finale (aspetti che nel ricorso sono riproposti a difesa del ricorrente nel quarto motivo).
Corretta pertanto e’ la soluzione offerta dalla Corte d’appello (pagg. 10/12 della sentenza impugnata) secondo cui i connotati essenziali della proposta corruttiva sarebbero stati raggiunti solo la mattina del (OMISSIS), in territorio leccese, nei momenti precedenti la partita (OMISSIS), allorquando al (OMISSIS) si richiese la prova dell’effettivita’ dell’impegno da realizzarsi attraverso “una pacca sulla spalla a (OMISSIS) per sugellare l’accordo”, essendo stata, invece, la proposta formulata e recepita dall’intraneus gia’ nel corso della giornata precedente. La ricostruzione alternativa, ossia la conoscenza della proposta al momento di una chiamata intercorsa tra il calciatore e (OMISSIS), mentre quest’ultimo si trovava ancora a Lecce, non puo’ peraltro trovare spazio in sede di legittimita’.
24. Non miglior sorte merita il terzo motivo, relativo alle prove documentali.
Sul punto, deve ricordarsi che l’articolo 234 c.p.p., afferente alla prova documentale nel processo penale deve essere oggetto di una interpretazione sistematica, dovendosi cioe’ considerare in generale la disciplina generale in materia di prove contenuta nel codice di rito e, nello specifico, gli articoli 187 e 190 c.p.p..
In particolare, l’articolo 187 c.p.p. individua, come si evince dalla stessa rubrica, l’oggetto della prova, ossia i fatti i quali vengono in rilievo in sede di istruttoria e concernenti l’imputazione, la punibilita’, la determinazione della pena o della misura di sicurezza (cio’ limitatamente al comma 1). Tuttavia, il legislatore pone un limite al diritto alla prova, fissato dall’articolo 190 c.p.p., il quale infatti prevede che le prove sono ammesse a richiesta di parte e il giudice vi provvede con ordinanza, escludendo pero’ le prove vietate dalla legge nonche’ quelle manifestamente superflue o irrilevanti.
Da cio’ ne consegue che le parti non potranno domandare ed ottenere l’ammissione al processo di prove aventi qualsiasi contenuto (articolo 187 c.p.p.) ne’ potranno vantare alcuna pretesa qualora si constati la superfluita’ o sovrabbondanza delle prove richieste. Infine, deve essere considerato anche quanto disposto all’articolo 603 c.p.p., comma 1, secondo cui laddove l’appellante abbia chiesto la rinnovazione di prove gia’ acquisite in appello o l’assunzione di nuove prove, il giudice disporra’ la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale qualora non sia in grado di decidere allo stato degli atti.
25. Tanto premesso, il motivo si palesa inammissibile in quanto nella stessa sentenza della Corte di Appello di Bari risulta chiaramente motivata l’esclusione dell’ammissione delle nuove prove richieste (pag. 17) proprio in ragione della superfluita’ dell’acquisizione di ogni ulteriore elemento di prova.
Raggiunto infatti il livello di certezza processuale necessario al fine di affermare la responsabilita’ penale dell’imputato (principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio ex articolo 533 c.p.p.) l’acquisizione di ogni ulteriore elemento probatorio e’ stata ritenuta superflua ai fini della decisione. Nell’ipotesi contemplata dall’articolo 603 c.p.p., comma 1, infatti la rinnovazione e’ subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell’ambito della propria discrezionalita’, che i dati probatori gia’ acquisiti siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisivita’ (v., tra le tante: Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012 – dep. 31/07/2012, Lo Bianco e altri, Rv. 253526), circostanza, come visto esclusa dalla Corte territoriale.
26. Quanto, infine, alla dedotta inutilizzabilita’ di documenti che il PM avrebbe prodotto nel corso del giudizio di primo grado, senza che gli stessi fossero stati messi a disposizione della difesa con l’avviso di cui all’articolo 415-bis c.p.p. e la cui acquisizione avrebbe comportato una evidente violazione del diritto di difesa, si tratta di censura parimenti priva di pregio. Ed invero, in tema di ricorso per cassazione, e’ onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilita’ di atti processuali indicare, pena l’inammissibilita’ del ricorso per genericita’ del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi’ la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia’ valutato, si’ da potersene inferire la decisivita’ in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009 – dep. 10/06/2009, Fruci, Rv. 243416).
27. Analogo giudizio di inammissibilita’ deve essere espresso a proposito del quarto motivo di ricorso. Ed invero, osserva il Collegio, le limitazioni alla testimonianza indiretta degli appartenenti alla polizia giudiziaria relativamente alle dichiarazioni acquisite mediante modalita’ specificamente indicate nel comma 4 (articolo 195 c.p.p.), trovano giustificazione nel principio di separazione tra la fase prettamente investigativa delle indagini preliminari e quella di merito. Qualora l’agente riportasse quanto ascoltato da testimoni nel corso delle indagini, il confine separatore verrebbe infatti oltrepassato surrettiziamente introducendo in dibattimento elementi vietati. La giurisprudenza di questa Corte ha pero’ indicato casi nei quali non si porrebbe affatto il rischio che l’articolo 195 c.p.p. mira ad ovviare, essendo ad esempio stata ritenuta legittima, in quanto riconducibile agli “altri casi” di cui alla disposizione normativa suddetta, la testimonianza de relato dell’agente di polizia giudiziaria su dichiarazioni aventi contenuto narrativo ricevute dall’imputato (come nel caso in esame) ma al di fuori del procedimento relativo a quest’ultimo, ovvero prima del suo formale inizio. Quanto dichiarato dall’agente, quindi, puo’ essere liberamente valutato dal giudice assumendo la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste (Sez. I, 20 gennaio 2017, n. 15760).
28. Premesso quanto sopra, dunque, il motivo si appalesa inammissibile.
Ed invero, dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che le dichiarazioni dell’agente (OMISSIS) concernono una denuncia presentata dal ricorrente mediante la quale era stata respinta la tesi difensiva, dimostrandosi l’appartenenza dell’utenza telefonica al (OMISSIS) cosi’ come lo stesso aveva dichiarato in occasione della summenzionata denuncia. Il dichiarante ha quindi riferito circa un fatto estraneo al procedimento penale a carico del ricorrente, con conseguente inope-rativita’ del divieto di cui all’articolo 195 c.p.p., comma 4.
29. Resta, infine, da esaminare l’ultimo e maggiormente articolato motivo, che si espone tuttavia ad un giudizio di completa inammissibilita’, costituendo tutti i profili di doglianza proposti una mera rivalutazione in fatto delle argomentazioni sviluppate dai giudici di merito, rispetto alle quali il ricorrente svolge numerose quanto sterili critiche, sostanzialmente invitando questa Corte a svolgere un terzo grado di merito, ossia a sostituire la valutazione, non manifestamente illogica ne’ contraddittoria dei giudici di merito, a quella proposta dalla difesa in quanto piu’ favorevole agli assunti del ricorrente.
Trattasi, come e’ noto, di operazione del tutto vietata, atteso che il controllo di legittimita’ sulla correttezza della motivazione non consente alla Corte di cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito in ordine alla ricostruzione storica delle vicenda ed all’attendibilita’ delle fonti di prova, e tanto meno di accedere agli atti, non specificamente indicati nei motivi di ricorso secondo quanto previsto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) come novellato dalla L. n. 46 del 2006, al fine di verificare la carenza o la illogicita’ della motivazione (tra le tante: Sez. 1, n. 20038 del 09/05/2006 – dep. 13/06/2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783).
30. Tanto premesso, possono comunque essere di seguito affrontate le uniche questioni meritevoli di sindacato in questa sede di legittimita’ e sollevate con tale quinto motivo.
31. La prima di esse e’ quella relativa alla configurabilita’ del reato di frode in competizioni sportive nel caso in cui sia l’intraneus a fare la proposta illecita.
Orbene, dalla lettera della disposizione, laddove viene utilizzata l’espressione “chiunque”, e’ possibile desumere la voluntas legis di attrarre nell’orbita penale non soltanto condotte poste in essere dall’extraneus il quale miri ad alterare il risultato della competizione, ma anche quelle riconducibili all’intraneus, consentendo una estensione della fattispecie al c.d. quivis de populo, sia interno che esterno al mondo sportivo; per tale ragione, commette il reato di frode sportiva anche l’atleta che consapevolmente e volutamente abbia accettato di compiere determinati atti al fine di alterare la genuinita’ del risultato (Sez. III, 29 marzo 2007, n. 21324). Non sono mancate comunque voci in dottrina che evidenziavano la direzione delle condotte criminose verso il partecipante, il quale sarebbe vittima delle stesse, configurando una diversa fattispecie criminosa l’ipotesi in cui l’intraneus avesse accettato la proposta corruttiva. Secondo tale orientamento, quindi, laddove il legislatore aveva voluto estendere l’incriminazione al partecipante, lo aveva espressamente fatto. Tuttavia, altra dottrina aveva sostenuto il carattere omnicomprensivo dell’espressione impiegata (“chiunque”), ricomprendendovi anche il partecipante, apparendo privo di logica considerare penalmente sanzionabili comportamenti posti in essere da estranei alla competizione e negare un’analoga reazione dell’ordinamento rispetto a condotte che, essendo realizzate da soggetti interni, si presentano sicuramente connotate dalla medesima, se non maggiore, pericolosita’ sociale, essendo gli stessi piu’ agevolati nell’influenzare il risultato finale dell’agone sportivo. In applicazione del canone ermeneutico di cui all’articolo 12 preleggi, non puo’ pertanto prescindersi da un’interpretazione letterale, per cui il “chiunque” indicato nel comma 1 deve essere ricondotto sia al caso della corruzione sportiva che a quello della frode sportiva generica. Relativamente all’offerta/promessa, secondo lo schema tipico del reato di corruzione, si rende necessaria un’autonoma incriminazione della condotta dell’intraneus corrotto (destinatario passivo dell’azione e non agente diretto), necessita’ che non sussisterebbe invece per la seconda fattispecie criminosa facente riferimento ad atti fraudolenti e quindi presupponendo l’accertamento di una condotta attiva del reo. Evidenziandosi inoltre la ratio legis ed il dolo specifico richiesto dal legislatore, non sembra poi possibile escludere la punibilita’ di quei soggetti che, in quanto partecipanti alla competizione, avranno sicuramente una possibilita’ maggiore di alterarne il regolare svolgimento mediante artifizi e raggiri.
32. Orbene, tanto premesso, sulla questione sollevata dal ricorrente, il motivo e’ inammissibile in quanto il ricorrente propone una diversa ricostruzione del fatto nel tentativo di escluderne la sussumibilita’ nella fattispecie criminosa contestata, errando inoltre nel definire reato proprio dell’extraneus la fattispecie criminosa. Come sopra esposto, la L. n. 401 del 1989, articolo 1configura una norma a piu’ fattispecie, caratterizzata dall’individuazione di due differenti condotte tra di esse alternative le quali, testualmente, possono essere realizzate da “chiunque” e non dal solo soggetto esterno alla competizione, il cui risultato si mira ad alterare.
Il comma 2 del medesimo articolo non puo’ dunque costituire fondamento della tesi sostenuta dal ricorrente, dovendosi piuttosto in essa individuare una distinta ipotesi di reato.
33. Altra questione afferisce, poi, al tema del ne bis in idem investendo la soluzione del rapporto tra sanzione sportiva e sanzione penale.
Sul punto, meritano di essere svolte le seguenti considerazioni. Ed invero, quanto al divieto di bis in idem, ex articolo 649 c.p.p. ed articolo 4 § 1 Protocollo n. 7 alla Convenzione EDU, e’ utile richiamare l’orientamento della Corte di Strasburgo la quale, al fine di ovviare al rischio che mediante qualificazioni meramente formali il suddetto principio venga violato (in modo particolare si richiamano le note sentenze Engel e altri c. Paesi Bassi e Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, richiamata dallo stesso ricorrente) ha fissato tre criteri, tra di essi alternativi e non cumulativi, mediante i quali stabilire se una misura sanzionatoria possa definirsi o meno sostanzialmente penale: 1) la qualificazione giuridica dell’illecito nell’ordinamento interno; 2) la natura dell’illecito; 3) la natura e il grado di severita’ sanzione applicata.
Diversi dubbi sono sorti circa la configurabilita’ come sostanzialmente penali di talune sanzioni amministrative, in modo particolare in ambito tributario, evidenziandosi di volta in volta i diversi fini perseguiti dai due distinti procedimenti (tributario e penale), intervenendo nuovamente sul punto la Corte EDU con la sentenza A e B c. Norvegia. In tale occasione, i giudici di Strasburgo hanno offerto agli interpreti ulteriori strumenti grazie ai quali potersi orientare nella selva dei duplici procedimenti afferenti il medesimo fatto, cosi’ da accertare se, nel caso concreto, si possa constatare la violazione del principio del ne bis in idem. Non si esclude, innanzitutto, che lo Stato possa in modo legittimo predisporre un sistema di risposta che sanzioni condotte socialmente offensive, il quale si articoli attraverso procedimenti distinti, purche’ le risposte sanzionatorie in tale modo accumulate non comportino un eccessivo sacrificio per l’interessato.
Ne’ dall’articolo 4 Protocollo n. 7 Convenzione EDU sarebbe possibile trarre un divieto assoluto di imporre una sanzione amministrativa per fatti che risultano perseguibili anche penalmente in relazione ad un elemento ulteriore rispetto a quello determinante la risposta sanzionatoria amministrativa (ad es. la natura fraudolenta della condotta). Ne consegue che, nell’ottica di un bilanciamento tra gli interessi del singolo e quelli della comunita’, si imporrebbe un ulteriore metro di giudizio, ossia il test della “sufficiently close connection in substances and time”: non si escluderebbe uno svolgimento parallelo dei due procedimenti purche’ gli stessi risultino connessi in maniera sufficientemente stretta dal punto di vista sia sostanziale che cronologico, salvo inoltre l’esistenza di meccanismi che consentano di assicurare risposte sanzionatore nel loro complesso proporzionate e prevedibili.
34. Con particolare riferimento alla operativita’ di tali principi in relazione alle sanzioni sportive rispetto a quelle penali, la soluzione offerta non puo’ che essere negativa.
Sul punto, infatti, questa stessa Sezione si e’ gia’ pronunciata, ritenendo manifestamente infondata l’eccezione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 649 c.p.p., per violazione degli articoli 24 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione E.D.U., nella parte in cui non prevede l’applicazione del principio del “ne bis in idem” anche quando, dopo un procedimento disciplinare davanti agli organi della giustizia sportiva conclusosi con l’applicazione di una sanzione, faccia seguito per lo stesso fatto l’attivazione di un procedimento penale in senso stretto. In motivazione, la Corte, con argomentazioni condivisibili, cui questo Collegio ritiene di dover dare continuita’, aveva escluso la configurabilita’ della violazione del divieto di “bis in idem”, osservando che la sanzione disciplinare inflitta dagli organi della giustizia sportiva non ha nemmeno natura amministrativa, in quanto non esercita alcuna efficacia al di fuori dell’ordinamento di settore (Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015 – dep. 09/09/2015, Bertini e altri, Rv. 265636).
35. Orbene, alla luce di quanto sopra esposto, il motivo, anche tu tale punto, deve ritenersi inammissibile. Ed invero, la Corte di Appello ha posto in evidenza le finalita’ perseguite dalla sanzione sportiva (definita in tale occasione come misura sanzionatoria amministrativa), ossia riparatoria, ripristinatoria e compensatoria, le quali non consentono di affermarne la natura sostanzialmente penale (con connotazione sanzionatoria e preventiva).
36. Ulteriore profilo di doglianza svolto nel motivo in esame, ancora, concerne la questione dell’attendibilita’ della chiamata in correita’ de relato e il tema dell’individuazione dei riscontri esterni in chiamate del medesimo tenore.
Anche su tale complessa questione, devono essere svolte alcune considerazioni preliminari in diritto, necessarie al fine di risolvere la questione posta dal ricorrente nel caso in esame. Come e’ noto, la chiamata in correita’ si sostanzia nelle dichiarazioni di un coimputato o un imputato connesso o collegato concernenti l’altrui responsabilita’ in merito a fatti che lo stesso non ha appreso direttamente, ma dei quali ha avuto conoscenza per il tramite del racconto di un terzo, ex articoli 210 e 195 c.p.p.. Nell’esame di tale materiale probatorio, il legislatore pone un limite al criterio valutativo generale del libero convincimento del giudice, cio’ al fine di ovviare rischio permanente di affermazioni di responsabilita’ penale interessate e/o poco genuine. L’articolo 192 c.p.p., comma 3, infatti, subordina la capacita’ dimostrativa delle dichiarazioni accusatorie alla sussistenza di elementi esterni corroboranti, costituenti conditio sine qua non per l’impiego delle propalazioni stesse ai fini decisori. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, la valutazione di tali dichiarazioni deve articolarsi in tre fasi distinte: verifica della generale credibilita’ del dichiarante (in relazione ad aspetti quali, ad esempio, la personalita’ dello stesso, i rapporti con i chiamati in correita’, la genesi remota o prossima della sua risoluzione alla dichiarazione), verifica della attendibilita’ intrinseca delle dichiarazioni (ossia l’intrinseca forza persuasiva alla luce dei criteri della precisione, coerenza, costanza, spontaneita’) e infine dell’attendibilita’ estrinseca delle medesime propalazioni. Questa Corte ha peraltro chiarito che ciascun singolo step valutativo non dovra’ essere considerato atomisticamente ma, piuttosto, esserlo unitariamente agli altri, considerata la ineliminabile influenza reciproca (Sez. VI, 13 marzo 2007, n. 11599).
37. In merito, poi, all’esigenza di riscontri esterni e’ bene operare alcune precisazioni. Secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, questi non dovranno necessariamente essere connotati da una autonoma valenza probante (capacita’ rappresentativa del fatto da provare), essendo sufficiente che gli stessi possano fornire la base per un giudizio positivo circa la attendibilita’ del dichiarante in termini logico-deduttivi (Sez. II, 7 maggio 2013, n. 21171; Sez. II, 12 dicembre 2002, n. 15756). Non richiesto e’ anche il carattere della pluralita’ ne’ l’appartenenza ad una determinata categoria di elementi, essendosi anche affermata la possibilita’ della c.d. mutua/ corroboration, ossia l’utilizzabilita’ di dichiarazioni di un secondo collaboratore quale riscontro esterno (Sez. V, 15 giugno 2000, n. 9001; Sez. I, 4 aprile 2012, n. 33398). La ricerca di quest’ultimi e’ funzionalmente diretta a superare il dubbio del mendacio delle affermazioni, potendo anche non ripeterne il contenuto ma connettersi con le stesse su un piano logico (Sez. V, 18 gennaio 2000, n. 4888). In linea con tale indirizzo, si e’ anche sostenuto che il riscontro esterno non dovrebbe necessariamente concernere il thema probandum, ossia il medesimo fatto oggetto della dichiarazione, purche’ sia idoneo a corroborare, sebbene ab extrinseco, l’attendibilita’ della chiamata. Secondo un orientamento piu’ rigoroso, invece, non e’ negabile che il riscontro, perche’ sia individualizzante, verta direttamente sul fatto specifico dell’imputazione, ergo afferisca al thema probandum, con conseguente insufficienza di una mera generica compatibilita’ tra il riscontro e la chiamata (Sez. III, 10 dicembre 2009, n. 3255; Sez. I, 23 novembre 2004, n. 423). Consolidato e’ anche l’orientamento giurisprudenziale che richiede, oltre ad elementi esterni che logicamente consentano di confermare l’attendibilita’ delle propalazioni, anche la presenza di riscontri c.d. “individualizzanti”, ossia riguardanti non soltanto il fatto-reato, ma tali da assumere idoneita’ dimostrativa in ordine alla riferibilita’ dello stesso al soggetto destinatario della dichiarazione accusatoria (SS.UU., 30 maggio 2006, n. 36267; Sez. III, 18 luglio 2014, n. 44882; Sez. I, 4 aprile 2012, n. 33398).
38. In merito alla chiamata in correita’ de relato, poi, sembra possibile individuare due distinte posizioni: l’una esclude che tali dichiarazioni depotenziate dal punto di vista dimostrativo possano trovare un valido riscontro confermativo in dichiarazioni di analogo tenore; l’altra, invece, sostiene che la possibilita’ di individuare una conferma alla propalazione accusante anche in un’ulteriore chiamata de relato, purche’ derivanti da distinte fonti dirette e non siano il frutto di intese fraudolente. Quest’ultima opinione ha trovato accoglimento in una sentenza di questa Corte nella sua composizione piu’ autorevole (SS. UU., 29 novembre 2012, n. 20804), in occasione della quale i Supremi Giudici hanno individuato alcune condizioni da rispettare al fine di poter qualificare come riscontro estrinseco, anche unico, della chiamata in reita’ o correita’ de relato ulteriori chiamate di analogo tenore, qualora risulti impossibile l’esame della fonte diretta: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilita’ soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificita’, della coerenza, della costanza, della spontaneita’; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate (ergo non siano il frutto di eventuali intese fraudolente); e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse.
Soprattutto su tale ultima condizione, si sostiene che il fenomeno della convergenza del molteplice riflette una massima di esperienza secondo la quale e’ improbabile che due persone, senza un previo accordo, riportino il medesimo fatto senza divergenze, imponendosi un’alternativa secca tra la veridicita’ o mendacia delle dichiarazioni. Tale enunciazione di principio, pero’, manterrebbe la propria validita’ nei limiti in cui la fonte diretta di conoscenza non sia comune, cosi’ come avviene qualora ciascun dichiarante riferisca circa quanto appreso dal medesimo soggetto, cosicche’ le dichiarazioni rischierebbero di essere affette dal medesimo “vizio congenito”. Perno sul quale tale tesi risulta essere fondata e’ individuabile non soltanto nella mancanza di una gerarchia tra le prove nel processo penale, ma anche nella lettera dell’articolo 192 c.p.p., comma 2, che, non predeterminando la categoria degli elementi estrinseci idonei a rafforzare l’attendibilita’ delle dichiarazioni in questione, consacrerebbe il principio di “liberta’ dei riscontri”.
Cio’ consente di ricomprendere nella ricerca qualsiasi elemento probatorio idoneo a suffragare una determinata ricostruzione del fatto, in merito facendo leva il Legislatore su un parametro quantitativo piuttosto che qualitativo.
39. Cosi’ riassunte le principali coordinate esegetiche sulla questione proposta, non puo’ non rilevarsi la infondatezza del motivo. Ed infatti, sebbene possa affermarsi che, a monte, la fonte principale delle diverse dichiarazioni considerate sia coincidente con quanto riferito, prima al (OMISSIS) e da questo agli altri, dall’imputato (OMISSIS), la Corte di Appello non fonda la propria decisione soltanto su tali chiamate de relato. Dopo avere sostenuto la credibilita’ e attendibilita’ interna delle propalazioni, i giudici di secondo grado individuano riscontri esterni ulteriori rispetto alle stesse, ed in modo particolare i tabulati telefonici, dai quali si evince uno scambio di informazioni tra il ricorrente e l’intermediario (OMISSIS) in occasione dei diversi incontri, nonche’ i movimenti bancari effettuati in date prossime alle dazioni del denaro-controprestazione del pactum sceleris. Tali ulteriori elementi probatori consentono, secondo la rappresentazione logico – argomentativa dei giudici di merito, una ricostruzione dei fatti in linea con la tesi accusatoria, dovendosi dunque negare l’accesso in sede di legittimita’ ad una alternativa prospettazione degli stessi operata dal ricorrente.
Deve, sul punto, essere ribadito che in tema di ricorso per cassazione, poiche’ esula dal controllo della Suprema Corte la rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, non costituisce vizio comportante controllo di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, piu’ favorevole) valutazione delle emergenze processuali (tra le tante: Sez. 5, n. 7569 del 21/04/1999 – dep. 11/06/1999, Jovino R, Rv. 213638).
Infine, rileva correttamente la stessa Corte di Appello, richiamandosi ad una sentenza di questa Corte (Sez. I, 20 gennaio 2000 n. 2884; cfr., in termini, anche: Sez. I, 10 novembre 2005, n. 1031) che la negazione dell’attendibilita’ di quanto dichiarato dall’accusatore, la quale interessi solo una parte del racconto, non coinvolge anche quelle verificate e, dunque, suffragate da riscontri esterni, sostenendo quindi il principio della “frazionabilita’” delle dichiarazioni stesse.
Anche tale motivo dev’essere ritenuto complessivamente infondato.
40. Passando ad esaminare il quinto motivo, afferente il trattamento sanzionatorio ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non puo’ che ravvisarsene la inammissibilita’.
Ed invero, i giudici di merito hanno puntualmente e logicamente motivato in merito all’esclusione delle invocate attenuanti ponendo l’accento sull’importanza della competizione (derby (OMISSIS)) e dunque valorizzando in chiave ostativa la gravita’ del fatto, prendendo altresi’ in esame l’intensita’ del dolo che aveva animato le condotte, il danno cagionato e l’insussistenza di alcun elemento in suo favore valorizzabile (v. pag. 31 sentenza impugnata). Anche in questo caso, la motivazione della Corte territoriale appare immune dai denunciati vizi, dovendosi a tal proposito ribadire che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’articolo 62-bis c.p. e’ oggetto di un giudizio di fatto e puo’ essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimita’, purche’ non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 – dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419).
41. Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, tenuto conto dei limiti edittali vigenti all’epoca di consumazione dell’illecito (non potendosi ovviamente tener conto dell’inasprimento del trattamento sanzionatorio frutto delle modifiche introdotte all’articolo 1 della legge citata dalla Decreto Legge (OMISSIS) 2014, n. 119, articolo 1, comma 1, lettera a), convertito, con modificazioni, dalla L. 17 ottobre 2014, n. 146), tenuto conto della individuazione della sanzione applicabile in quella dell’articolo 1, comma 3 ratione temporis (reclusione da tre mesi a due anni e multa da Euro 2.582 ad Euro 25.822), deve ritenersi che proprio la valorizzazione della gravita’ del fatto, dell’intensita’ del dolo che aveva animato le condotte e del danno cagionato, giustificavano l’attestarsi della sanzione applicata in misura superiore al minimo edittale, non rilevando la circostanza che quegli stessi elementi siano stati utilizzati per il giudizio negativo in ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Ed infatti, pacifico e’ l’orientamento di questa Corte nel senso che ai fini della determinazione della pena, il giudice puo’ tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato piu’ volte sotto differenti profili per distinti fini e conseguenze (v., tra le tante: Sez. 2, n. 45206 del 09/11/2007 – dep. 04/12/2007, Grasso, Rv. 238511).
42. Quanto, infine, all’ultimo motivo di ricorso, relativo alle statuizioni risarcitorie, non puo’ che ravvisarsene l’inammissibilita’.
Ed invero, secondo l’orientamento giurisprudenziale in tema di liquidazione del danno morale, la relativa valutazione del giudice, in quanto affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce una valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimita’ se sorretta da congrua motivazione (tra le tante: Sez. 3, n. 34209 del 17/06/2010 – dep. 22/09/2010, Ortolan, Rv. 248371).
Tuttavia il giudice di merito deve dare conto in motivazione delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione ed il percorso logico posto seguito ai fini della decisione sul punto, senza comunque che sia necessaria una indicazione analitica dei calcoli in base ai quali il quantum e’ stato determinato (Sez. IV, 1 aprile 2015, n. 18099; Sez. V, 22 giungo 2014, n. 35104; Sez. VI, 28 novembre 2013, n. 48461).
43. Orbene, proprio a pag. 32 i giudici di appello, sul punto, motivano la conferma delle statuizioni civili, osservando, anzitutto, come in relazione al danno azionato dai tifosi, questi ultimi sono stati pregiudicati nel diritto alla fruizione di un evento sportivo con caratteristiche del tutto diverse da quelle che hanno invece condizionato la partita in questione, e, segnatamente, immune da frodi ed ispirato ai valori della lealta’ ed onesta’. Quanto alla Federconsumatori, invece, ribadisce la Corte d’appello come il pregiudizio fosse rappresentato dalla lesione all’interesse statutario di tutela dei consumatori, essendo il fatto-reato innegabilmente lesivo del diritto dei consumatori e degli utenti di assistere ad una competizione sportiva leale e corretta. Del tutto immune dai denunciati vizi, dunque, appare la censura al percorso logico – argomentativo della sentenza d’appello, che ha ben evidenziato le ragioni della liquidazione del danno morale, richiamandosi anche a quanto argomentato dal primo giudice, non potendosi peraltro censurare l’assegnazione della somma a titolo di provvisionale, in quanto non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte (v., tra le tante: Sez. 2, n. 36536 del 20/06/2003 – dep. 23/09/2003, Lucarelli e altri, Rv. 226454).
44. Resta, infine, da esaminare, il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello relativo all’assoluzione dell’imputato (OMISSIS).
Sul punto, ritiene diversamente il Collegio che la censura sia meritevole di accoglimento.
45. Ed invero, la soluzione cui perviene questa Corte impone di risolvere la questione giuridica se, nel concorso di persone, il dolo del concorrente debba sussistere al momento dell’ideazione o possa sorgere anche in un momento successivo, in fase esecutiva.
46. Sul punto, occorre rilevare quanto segue.
In materia di concorso di persone nel reato, ex articolo 110 c.p., la giurisprudenza di questa Corte e’ concorde nel sostenere la non indefettibilita’ di un accordo/intesa precedente la materiale esecuzione del reato (per tutte: SS.UU., 22 novembre 2000, n. 31). Ciascun concorrente, infatti, potra’ non avere coscienza del contributo altrui, mentre necessaria e’ la consapevolezza, ossia la rappresentazione e volonta’, del partecipante di aggiungere il proprio apporto alla realizzazione del reato, non richiedendosi inoltre che quest’ultimo sia configurabile come conditio sine qua non dell’illecito commesso, ritenendosi sufficiente la idoneita’ del contributo ad agevolare l’agente, materialmente o moralmente, quindi rendendone piu’ agevole l’azione o rafforzandone il proposito criminoso. Ne consegue che l’adesione potra’ essere rilevata ex post rispetto all’ideazione, purche’ venga accertato l’elemento oggettivo del contributo agevolatore e il coinvolgimento soggettivo, recte il dolo, del partecipante “aggiunto”, consapevole del reato in esecuzione e dell’apporto apprestato. In merito cosi’ si e’ pronunciata questa Corte affermando (Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013 – dep. 29/04/2013, Ambrosanio e altri, Rv. 255260) che l’attivita’ costitutiva del concorso puo’ essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso, talche’ assume carattere decisivo l’unitarieta’ del “fatto collettivo” realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicche’ e’ sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui.
47. Tanto premesso, dunque, il motivo proposto dalla Procura Generale risulta fondato, in quando il (OMISSIS), pur essendo venuto a conoscenza del pactum sceleris in un momento successivo alla sua ideazione durante l’incontro tenutosi tra i soli (OMISSIS) e (OMISSIS), avrebbe potuto estraniarsi nella fase successiva, scegliendo quindi di non accompagnare gli imputati all’Hotel presso il quale si trovava il calciatore (OMISSIS) e dove quest’ultimo era stato edotto della proposta corruttiva, ergo nel locus commissi delicti.
Difficile sarebbe quindi negare l’idoneita’ agevolatrice della condotta e la consapevolezza dello stesso di apportare un contributo alla commissione della fattispecie criminosa, manifestandosi nell’accompagnamento, successivo alla rappresentazione dell’intento criminoso, solo un’adesione successiva del (OMISSIS), con conseguente concorso nel reato di fronde sportiva. Se a cio’, poi, si aggiunge che (OMISSIS) risulta aver partecipato alla spartizione della somma di denaro frutto dell’accordo illecito, insieme ai compagni i quali hanno cio’ confermato espressamente e unanimemente, cio’ rappresenta indice inequivocabile del contributo con-corsuale dell’imputato.
48. In conclusione, il ricorso dell’imputato (OMISSIS) dev’essere complessivamente rigettato con condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali.
49. Per completezza si rileva che il reato non e’ ancora estinto per prescrizione, tenuto conto delle sospensioni del termine pari a complessivi gg. 163 intervenute nel corso del giudizio di primo e secondo grado (dal 26.02.2014 al 28.03.2014; dal 28.09.2017 al 30.11.2017), nonche’ nel giudizio di legittimita’ (dal 22.11.2018 al 5.02.2019), cio’ che comporta l’individuazione del termine ultimo di prescrizione (piu’ breve, individuato quale dies a quo quello del 12.05.2011, che tenuto conto del combinato disposto degli articoli 157 e 161 c.p., avrebbe comportato il maturarsi del termine di prescrizione il 12.11.2018) alla data del 24.04.2019.
50. L’impugnata sentenza dev’essere, invece, annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Bari per nuovo giudizio, limitatamente alla posizione del (OMISSIS).

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Bari.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.

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