Perdita del rapporto parentale

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 2 gennaio 2020, n. 2.

La massima estrapolata:

La domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del rapporto parentale, proposta “iure proprio” dai congiunti del lavoratore, quali soggetti estranei al rapporto di lavoro, anche se la morte del dipendente sia derivata da inadempimento contrattuale del datore di lavoro verso il dipendente, trova la sua fonte esclusiva nella responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c., sicché non è soggetta al regime probatorio proprio della responsabilità ex art. 2087 c.c., né la circostanza che l’azione aquiliana, oggetto del giudizio, individui il nucleo dell’elemento soggettivo del convenuto in una “porzione” di un’azione contrattuale, soggetta a regole probatorie differenti, sposta il relativo onere ex art. 2697 c.c.

Nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso di ufficio, non sono applicabili le comuni cause interruttive previste dalla legge in generale, sicché la cancellazione dal registro delle imprese della società resistente, in data successiva alla proposizione del ricorso ed alla stessa costituzione in giudizio della società, non determina l’interruzione del processo

Sentenza 2 gennaio 2020, n. 2

Data udienza 9 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. RAINONDI Guido – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 9383/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 579/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/02/2015 R.G.N. 3526/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/07/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 579/15, confermava la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta a titolo di risarcimento del danno extracontrattuale per perdita del rapporto parentale da (OMISSIS), quale madre e unica erede di (OMISSIS), dipendente della societa’ (OMISSIS) in liquidazione dal 12 dicembre 2006, deceduto nell’espletamento del suo lavoro di autista di autotreni la notte del (OMISSIS) a causa di un grave incidente stradale, verificatosi in corrispondenza di una deviazione della carreggiata quando il pesante mezzo a pieno carico urtava contro il guard-rail e dopo altre collisioni subiva il ribaltamento e causava il decesso del conducente.
2. Il Tribunale di Milano aveva respinto la domanda, sulla base dei seguenti argomenti:
– i capitoli della prova testimoniale erano in parte generici e in parte costituiti da valutazioni personali espresse a suo tempo dal (OMISSIS) e dalla persona che di quelle osservazioni era stata la destinataria e avrebbe dovuto deporre de relato;
– in ogni caso, i dati emergenti dal disco cronotachigrafo avevano evidenziato che il viaggio era iniziato oltre tredici ore prima dell’incidente e il conducente aveva tenuto un comportamento imprudente nell’effettuare solo brevi periodi di sosta e procedendo ad una velocita’ superiore (di 30 km orari) al limite di velocita’ imposto sul luogo, cosi’ contravvenendo a norme di comune prudenza da considerarsi patrimonio di ogni conducente, in particolare per i tempi di guida dei conducenti professionisti.
3. La Corte di appello rigettava l’impugnazione, incentrata sulla imputabilita’ alla societa’ appellata di una responsabilita’ colposa per avere costretto il dipendente a guidare in condizione di grave affaticamento e velocita’ non prudenziale. In sintesi, osservava quanto segue:
– dai rilievi del rapporto della polizia stradale era emersa l’eccessiva velocita’ del mezzo in relazione all’orario notturno e allo stato dei luoghi e in relazione al presumibile stato di non perfetta vigilanza del conducente; non vi era prova che tale condotta fosse riconducibile a istruzioni o ordini impartiti circa la necessita’ di consegnare la merce a destinazione entro le ore 5,00 del mattino;
– la mancata ammissione delle istanze istruttorie era giustificata dalla genericita’ dei capitoli della prova testimoniale, in quanto l’unica circostanza specifica era diretta ad accertare che la notte stessa del sinistro, verso le ore 2,00, il (OMISSIS) avesse telefonato ad un’amica comunicandole che era molto stanco e che non poteva fermarsi a riposare perche’ doveva condurre la merce trasportata a destinazione entro le ore 5,00 del mattino; tuttavia, tale circostanza costituiva una circostanza che, quand’anche confermata, sarebbe stata appresa de relato e come tale costituirebbe un mero elemento indiziario da comprovare a mezzo di altri elementi;
– sulla richiesta di ammissione della produzione della “carta del conducente” (documento da cui si sarebbero potuti accertare gli spostamenti e i turni di guida della vittima nei ventotto giorni precedenti il sinistro letale), occorreva considerare che il documento era gia’ nella disponibilita’ dell’attrice fin dal momento in cui ricevette gli oggetti personali del figlio, per cui non era giustificabile il ritardo della sua produzione in giudizio, da cui l’inammissibilita’ della produzione stessa.
4. Per la cassazione di tale sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a tre motivi. A seguito della notifica del ricorso per cassazione, la soc. (OMISSIS) in liquidazione ha notificato ritualmente il proprio controricorso in data 20 aprile 2015.
5. In prossimita’ dell’udienza la ricorrente ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c., corredata da visura camerale, da cui risulta che in data 6 marzo 2017 la societa’ (OMISSIS) s.r.l. e’ stata cancellata dal registro delle imprese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, nel giudizio di cassazione, che e’ dominato dall’impulso di ufficio, non sono applicabili le comuni cause interruttive previste dalla legge in generale, sicche’ la cancellazione dal registro delle imprese della societa’ resistente, in data successiva alla proposizione del ricorso ed alla stessa costituzione in giudizio della societa’, non determina l’interruzione del processo. (ex plurimis, Cass. 3323 del 2014; v. pure Cass. 24635 del 2015). Anche recentemente e’ stato ribadito che l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della societa’, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, debitamente comunicata dal suo difensore, non e’ causa di interruzione del processo (Cass. n. 2625 del 2018).
1.1. Nel caso in esame, la cancellazione e’ avvenuta dopo la notifica del ricorso per cassazione e dopo la notifica del controricorso e precisamente in epoca compresa tra il deposito del controricorso della soc. (OMISSIS) in liquidazione e l’odierna udienza di discussione. Trova applicazione allora la regola dell’ultrattivita’ del mandato alla lite. Per effetto del principio della cosiddetta perpetuatio dell’ufficio di difensore (di cui e’ espressione l’articolo 85 c.p.c.), nessuna efficacia puo’ dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), il sopravvenire del suddetto evento. Per il principio dell'”ultrattivita’ del mandato”, il difensore a suo tempo regolarmente investito del mandato a difendere la societa’ nel giudizio di cassazione continua a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato. Per lo stesso motivo, e’ rituale anche l’avviso di cancelleria relativo alla fissazione dell’udienza odierna comunicato allo stesso difensore.
2. Tanto premesso e venendo all’esame del ricorso, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2724 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3) per essere stato negato l’ingresso alla prova testimoniale pur a fronte di una situazione in cui vi era stata una difficolta’ di ricostruire, per via documentale, l’esatta dinamica del sinistro, cosi’ affidata ai soli elementi raccolti dalla polizia stradale, che si era limitata a rilevare la velocita’ del veicolo, lo stato dei luoghi e la non perfetta vigilanza del conducente (desunta dalla presenza nell’abitacolo di bevande contenenti un alto contenuto di caffeina). A fronte di tale incompleto quadro relativo alla ricostruzione dei fatti, i giudici di merito avrebbero dovuto ammettere la prova testimoniale su circostanze di evidente attinenza ai fatti di causa e tendenti a dimostrare il comportamento che la societa’ pretendeva dal suo dipendente. Del pari, la ritenuta tardivita’ della produzione della “carta del conducente”, dovuta al mancato pronto reperimento del documento tra gli effetti personali della vittima, ometteva di considerare le circostanze di grave turbamento e dolore in cui versava la ricorrente, cosi’ giungendo a trascurare un elemento documentale di grande rilievo per comprovare le modalita’ di espletamento della prestazione lavorativa negli ultimi giorni anteriori al sinistro.
3. Con il secondo motivo si denuncia violazione ed erronea valutazione dell’articolo 230 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte territoriale disatteso anche l’istanza istruttoria formulata in primo grado e reiterata in appello vertente sul formale interrogatorio del legale rappresentante della societa’ convenuta su tutte le circostanze sulle quali si era formulata la richiesta di prova testimoniale. L’interrogatorio, come mezzo tendente alla confessione della parte cui e’ deferito, e’ sempre ammissibile purche’ sia concludente ed influente. Il mancato accoglimento dell’istanza istruttoria ha portato i giudici di merito a ritenere che l’incidente fosse stato determinato da esclusiva colpa del conducente, ma a tale conclusione si era giunti attraverso il rifiuto di qualsiasi indagine che avrebbe potuto fornire una visione diversa dei fatti di causa.
4. Con il terzo motivo si denuncia violazione e mancata applicazione dell’articolo 2087 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3). L’imprenditore e’ da ritenere responsabile di incidenti che possano verificarsi al lavoratore non solo in conseguenza del mancato approntamento di idonee misure protettive, ma anche per il mancato utilizzo di quelle eventualmente gia’ approntate, tenuto conto della possibile condotta il lavoratore (Cass. civ. 7328 del 2004). Anche la cassazione penale ha riconosciuto la penale responsabilita’ degli amministratori di ditta di autotrasporti per avere costretto un conducente, loro dipendente, a turni massacranti tali da provocare un pesante stress da lavoro correlato ad un conseguente crollo fisico (Cass. pen. 2180 del 2010),I giudici di merito sono altresi’ incorsi in una contraddizione logico-giuridica per avere affermato che il (OMISSIS) era in viaggio da dodici ore, cosi’ implicitamente riconoscendo il superamento del limite massimo di guida che, secondo l’articolo 6, n. 1 e 2 del Regolamento CEE 3820/1985 e’ di nove ore giornaliere, limite che non puo’ essere superato piu’ di tre volte in una settimana. Si e’ in presenza di una condotta omissiva del datore di lavoro nella verifica delle condizioni psicofisiche del dipendente, nell’uso di mezzi e della loro efficienza, gia’ di per se’ prevedibile causa di sinistri stradali ed infortuni sul lavoro, e sussiste un nesso di causalita’ adeguata fra una condizione lavorativa stressante e l’infortunio lavorativo. Non e’ stato debitamente considerato che la responsabilita’ del datore di lavoro e’ esente solo quando sono presenti a carico del dipendente i caratteri della abnormita’, inopinabilita’ ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, si’ da costituire causa esclusiva dell’evento (Cass. n. 1159 del 2008).
5. Il ricorso non puo’ trovare accoglimento.
6. In via generale, va osservato che la domanda di risarcimento dei danni proposta “iure proprio”, cioe’, quali soggetti estranei al rapporto di lavoro, dai congiunti del lavoratore deceduto, anche se la morte del dipendente sia derivata da inadempimento contrattuale del datore di lavoro verso il dipendente ex articolo 2087 c.c., trova la sua fonte esclusiva nella responsabilita’ extracontrattuale di cui all’articolo 2043 c.c.. L’attuale ricorrente ha infatti agito per il ristoro dei danni da perdita del rapporto parentale, individuando i profili di colpa della societa’ datrice di lavoro nella violazione dell’articolo 2087 c.c., nei confronti del figlio. Il ricorso al catalogo della colpa di cui all’articolo 2087 c.c., tuttavia, non esclude che la regola dell’onere probatorio inerente all’azione avviata dalla stessa (OMISSIS) (iure proprio) in questo giudizio debba comunque seguire il proprio ambito, a nulla rilevando che l’azione ex articolo 2087 c.c., ha natura contrattuale ed e’ soggetta alla presunzione di colpa della parte datrice, cui spetta l’onere di dimostrare l’assenza di rimproverabilita’ soggettiva: in altre parole, la circostanza che l’azione aquiliana, oggetto di questo giudizio, individui il nucleo dell’elemento soggettivo del convenuto in una “porzione” di un’azione contrattuale, soggetta a regole probatorie differenti, non sposta il relativo onere, ex articolo 2697 c.c. (cfr. Cass. n. 10578 del 2018, in motivazione).
7. La questione centrale del presente giudizio e’ costituita dalla mancata ammissione della prova testimoniale da parte del giudice di primo grado, con statuizione confermata in appello. La ricorrente ha addotto le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, individuando i punti salienti che con essa intendeva dimostrare e la decisivita’ degli stessi. Assume infatti che la prova era intesa a dimostrare le modalita’ di organizzazione del lavoro imposte dalla parte datoriale al proprio dipendente, con i suoi riflessi sulle modalita’ di espletamento della prestazione lavorativa, di “autista di autotreni”, svolta dal congiunto. Ci si riferiva alla intensificazione dei ritmi di lavoro nel periodo precedente il sinistro, alla inosservanza di adeguati tempi di riposo in relazione all’orario di lavoro imposto dalle lunghe percorrenze, alle direttive da rispettare circa gli obblighi di consegna delle merci, alla condizione di stress lavorativo rappresentata dal (OMISSIS). Si sostiene che da tali circostanze, ove provate, i giudici di merito ben avrebbero potuto desumere la colpa datoriale, di ordine omissivo o commissivo, per violazione delle tutele di cui all’articolo 2087 c.c..
8. La censura, benche’ ammissibile, non puo’ trovare accoglimento.
8.1. Nel caso specifico, la Corte di appello, ancorche’ con sintetica motivazione, ha condiviso il giudizio gia’ espresso dal primo giudice circa il carattere generico delle circostanze oggetto dei capitoli di prova, mentre l’unico fatto compiutamente collocato nel tempo e nello spazio riguardava il capitolo vertente sulla audizione di una teste che avrebbe dovuto deporre circa l’avere appreso de relato dallo stesso (OMISSIS), telefonicamente, poche ore prima del sinistro, del suo stato di affaticamento e della necessita’ di consegnare la merce entro le ore 5 del mattino.
8.2. Circa il primo passaggio motivazionale, va ribadito il principio per cui le prove per interrogatorio formale e per testi, secondo quanto richiesto negli articoli 230 e 244 c.p.c., devono essere dedotte per articoli separati e specifici (Cass. n. 12292 del 2011). La richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa (cfr., Cass. n. 9547 del 2009, n. 20997 del 2011, Cass. n. 1808 del 2015). Inoltre, il giudice puo’ sempre rilevare d’ufficio l’inammissibilita’ della prova che verta su apprezzamenti e valutazioni del teste, piuttosto che su fatti specifici a conoscenza dello stesso, in quanto la prova sarebbe comunque inutilizzabile dal giudice, che non puo’ legare il suo convincimento ai giudizi dei testimoni (Cass. n. 8620 del 1996).
8.3. In punto di diritto, non puo’ ritenersi viziata la sentenza che nel rigettare l’istanza di ammissione della prova testimoniale fondi la stessa sul giudizio di genericita’ dei capitoli, in quanto privi dei requisiti circostanziali che ne avrebbero consentito una precisa collocazione nel tempo e nello spazio.
8.4. Quanto alla mancata ammissione della deposizione testimoniale de relato, come e’ noto, in tema di prova testimoniale, i testimoni de relato in genere (diversamente dai testimoni de relato actoris sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, cosi’ che la rilevanza del loro assunto e’ sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell’accertamento, fondamento storico della pretesa) depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni, pur attenuata perche’ indiretta, e’ idonea ad assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilita’ (Cass. n. 569 del 2015). La Corte di appello non ha violato alcuna regola giuridica laddove ha ritenuto che la testimonianza de relato non potesse costituire, da sola, prova sufficiente a fondare la dimostrazione della colpa datoriale per le condizioni di stress lavorativo in cui il (OMISSIS) sarebbe stato costretto a lavorare nei tempi immediatamente precedenti il triste evento.
8.5. Circa la mancata ammissione di documento “carta del conducente”, la sentenza di appello ne ha ritenuto la tardivita’ in quanto produzione soggetta alle preclusioni istruttorie poste dall’articolo 183 c.p.c., comma 6. La censura sul punto e’ del tutto generica e non investe la regola processuale di cui la sentenza impugnata ha fatto applicazione.
9. Quanto al terzo motivo, esso involge la questione dell’assegnazione dei carichi di lavoro con riferimento agli effetti lesivi della integrita’ fisica e morale dei lavoratori che possano derivare dalla inadeguatezza del modello organizzativo adottato dall’imprenditore con le proprie direttive e disposizioni interne.
9.1. L’esame della questione resta assorbito nel presente giudizio di cassazione, in quanto precluso dalle ragioni di ordine processuale (per le regole di ammissione delle prove) e sostanziali (in ordine al riparto degli oneri probatori ex articolo 2697 c.c., in relazione all’azione proposta ex articolo 2043 c.c.) che precedono, di carattere pregiudiziale ed assorbente.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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