Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 21 gennaio 2020, n. 1167.

La massima estrapolata:

Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato

Ordinanza 21 gennaio 2020, n. 1167

Data udienza 23 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 15196/2018 proposto da:
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), (OMISSIS) SPA, in persona del procuratore (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), in persona del procuratore FEDERICA POGGIOLI nella qualita’ di Presidente esecutivo, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4716/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. Le societa’ (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 4716/17, del 13 novembre 2017, della Corte di Appello di Milano, che – respingendo il gravame esperito dalle odierne ricorrenti contro la sentenza n. 213/15, del 9 gennaio 2015, del Tribunale di Milano – ha rigettato la domanda, avanzata dalle stesse societa’, di condanna della societa’ (OMISSIS) S.p.a. al risarcimento del danno da perdita di chance conseguito al mancato adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto del 4 gennaio 2008, nonche’ quello derivato, ex articoli 1337 e/o 1338 c.c., da recesso ingiustificato dalle trattative contrattuali volto alla stipulazione di un acc3rdo di comarketing.
2. Riferiscono, in punto di fatto, le odierne ricorrenti di aver convenuto in giudizio la societa’ (OMISSIS) per far valere, innanzitutto, l’inadempimento della stessa rispetto alle obbligazioni alternative nascenti da scrittura privata del 4 gennaio 2008. Deducevano, infatti, che la scrittura privata suddetta aveva previsto, in capo alla predetta societa’, l’obbligo di assumere ogni opportuna iniziativa finalizzata al subentro della societa’ (OMISSIS) nel godimento di alcuni locali commerciali, siti nella (OMISSIS), o mediante concessione diretta fra tale societa’ ed il Comune di Milano, previa rinuncia di (OMISSIS) ai propri diritti, oppure attraverso un subcontratto, da stipularsi da parte di (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) (ovviamente, previo assenso del Comune), ferma restando, in questo caso, la persistente titolarita’ della concessione da parte di (OMISSIS). Per parte propria, la societa’ (OMISSIS) si obbligava, entro il termine del 30 settembre 2008, a perfezionare il subentro, subordinatamente all’ottenimento di ogni necessario assenso da parte del Comune, nonche’ a versare a (OMISSIS), quale corrispettivo, la somma di Euro 7.000.000,00.
Deducevano, inoltre, le odierne ricorrenti di aver subito anche un ulteriore danno, derivato dalla rottura ingiustificata delle trattative finalizzate alla conclusione di un accordo di comarketing.
Le domande attoree venivano, tuttavia, rigettate dal Tribunale di Milano, con decisione confermata dalla Corte di Appello meneghina, che respingeva il gravame proposto dalle odierne ricorrenti.
3. Avverso la sentenza della Corte milanese ricorrono per cassazione le predette societa’ (OMISSIS) – e (OMISSIS), sulla base come detto – di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e 1256 c.c..
Si censura la sentenza impugnata laddove ha affermato – non senza previamente rammentare come nelle premesse della scrittura privata del 4 gennaio 2008 le parti avessero dato atto dell’impossibilita’, gia’ alla stregua della concessione vigente tra Comune e (OMISSIS) fino al 31 dicembre 2007, della cessione a terzi dei diritti ad essa (OMISSIS) spettanti – che il Comune di Milano, con due delibere anteriori alla conclusione della scrittura privata suddetta, esattamente risalenti al 16 novembre al 28 dicembre del 2007, avesse previsto la cedibilita’, solo in casi eccezionali, di concessioni riguardanti gli esercizi commerciali nella (OMISSIS), su tali basi, pertanto, concludendo che nessun inadempimento risultava addebitabile a (OMISSIS).
In questo modo, tuttavia, secondo le ricorrenti, la Corte milanese avrebbe fatto erronea applicazione dell’articolo 1256 c.c., da leggersi in combinato disposto con il precedente articolo 1218, poiche’ non avrebbe tenuto in considerazione che l’impossibilita’ della prestazione libera l’obbligato solo quando sia assoluta ed oggettiva, ed inoltre non imputabile a fatto colpevole del debitore.
Per contro, nel caso in esame, risulterebbe “per tabulas” la non rispondenza al cd. “id quod plerumque accidit” che le citate delibere del Comune di Milano impedissero “a chiunque e con qualunque mezzo lecito” di ottenere il subentro nella concessione stessa, previa deroga alle linee di principio dettate nelle medesime delibere. Ne costituirebbe conferma il fatto, documentato in corso di causa, che diversi subentri ebbero, invece, a verificarsi nella detenzione di locali siti nella galleria milanese, sicche’ il giudice di appello avrebbe errato nel non valutare tale documentazione.
D’altra parte, poi, nel caso di specie, dovrebbe pure escludersi che l’impossibilita’ della prestazione possa ritenersi non imputabile a (OMISSIS), giacche’ essa non si sarebbe dovuta limitare ad eccepire che la prestazione non poteva eseguirsi per fatto del terzo, ma avrebbe dovuto dimostrare la propria assenza di colpa, ovvero di aver spiegato adeguata diligenza per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri – il Comune – all’esatto adempimento. Nel caso in esame, per contro, risulterebbe che (OMISSIS) non solo non ebbe a fare nulla per ottenere l’assenso del Comune all’adempimento delle obbligazioni su di essa gravanti, ma avrebbe posto in essere, addirittura, comportamenti che ostacolarono l’ottenimento di tale “placet”. In particolare, essa avrebbe dato notizia alla societa’ (OMISSIS) delle nuove condizioni proposte dal Comune, in occasione del rinnovo della concessione, soltanto in data 12 maggio 2008, limitandosi all’invio di un fax contenente la proposta di rinnovo, per poi sottrarsi all’incontro, richiesto dalle odierne ricorrenti, al fine di valutare la possibilita’ di ottenere il consenso del Comune al loro subentro nella disponibilita’ dei locali.
3.2. Il secondo motivo deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’articolo 1288 c.c..
In questo caso, la sentenza impugnata e’ censurata laddove ha concluso che, sussistendo due prestazioni alternative tra loro, una volta divenuta impossibile una di esse, residuasse una scelta in capo al debitore, e che pertanto non fosse necessario alcun accertamento sulla possibilita’ per (OMISSIS) di adempiere l’obbligazione consistente nella rinuncia alla convenzione.
Per contro, divenuta impossibile la esecuzione di una delle obbligazioni alternative (nella specie, la stipulazione del subcontratto, idoneo a legittimare la societa’ (OMISSIS) a subentrare nella disponibilita’ dell’immobile), il debitore sarebbe stato tenuto, per legge, ad adempiere – sostengono le ricorrenti – l’obbligazione ancora possibile, ovvero la rinuncia alla convenzione con il Comune, donde la necessita’ di compiere ogni accertamento in ordine al suo mancato adempimento, nella specie, invece, non compiuto.
3.3. Il terzo motivo deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1337 c.c..
Le ricorrenti censurano la sentenza impugnata, in questo caso, laddove ha ritenuto non poter “affermarsi in modo ragionevolmente certo” che le trattative fossero giunte, nel momento della loro interruzione, “nell’imminenza di una loro definizione”. Analogamente, la sentenza e’ censurata laddove avrebbe dato rilievo alla comunicazione del 7 agosto 2009, nella quale (OMISSIS) attribuiva lo stallo nelle trattative alla “oggettiva impossibilita’ di superare le notevoli difficolta’ emerse”, e non a “mutamenti di linea commerciale”, al quale (OMISSIS) avrebbe fatto per la prima volta riferimento solo nella comunicazione del 15 luglio 2010.
Orbene, la cattiva applicazione delle norme suddette deriverebbe dal fatto che la “culpa in contrahendo” non presuppone affatto alcuna “ragionevole certezza” in ordine alla imminente definizione delle trattative contrattuali, essendo sufficiente che esse siano giunte ad uno stadio tale da ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilita’, solo un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
D’altra parte, del tutto illogicamente, la sentenza impugnata, nel valutare il motivo della cessazione delle trattative, avrebbe fatto riferimento, non alla comunicazione del luglio 2010 (nella quale si dava atto della irrinunciabilita’ per (OMISSIS) del negozio sito a (OMISSIS)), comunicazione all’esito della quale le stesse furono definitivamente interrotte, bensi’ ad una comunicazione “intermedia”, quale quella dell’agosto 2009.
3.4. Il quarto motivo deduce – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – nullita’ della sentenza e violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), articoli 24 e 111 Cost., nonche’ dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Si sostiene che alcuni passaggi motivazionali della sentenza impugnata conterrebbero una motivazione apparente – vizio cui attribuisce rilievo anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo – o, quantomeno, connotata da manifesta illogicita’.
In particolare, la Corte milanese non avrebbe spiegato in alcun modo il motivo per cui (OMISSIS) non potesse rinunciare alla convenzione, ovvero non potesse chiedere al Comune di autorizzare il subentro della societa’ (OMISSIS) nella detenzione dell’immobile, prima di un rinnovo formale della convenzione, ne’ tantomeno perche’ tale rinnovo dovesse concludersi “in fretta e furia”, da parte di (OMISSIS), prima di interloquire con il Comune e le odierne ricorrenti.
Inoltre, del tutto incomprensibile sarebbe la ragione per cui, nel valutare il carattere giustificato o meno dal recesso delle trattative per la conclusione dell’accordo di comarketing, la sentenza impugnata ha preferito dare rilevanza ad una comunicazione intermedia, piuttosto che a quella pervenuta in occasione della rottura delle trattative.
Si censura, infine, come meramente tautologico il rilievo secondo cui, svolgendosi ogni trattativa tramite lo scambio di proposte e controproposte, il solo alternarsi delle stesse, nel caso di specie, abbia fatto si’ che non potesse ingenerarsi alcun ragionevole affidamento, in capo agli odierni ricorrenti, in ordine alla conclusione dell’accordo di comarketing.
4. Ha proposto controricorso la societa’ (OMISSIS), per resistere all’avversaria impugnazione.
Viene dedotta, in primo luogo, l’inammissibilita’ del ricorso, sia perche’ recante censure di merito, sia per violazione dell’articolo 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1), per essersi la Corte territoriale attenuta ai principi enunciati, in materia, dalla giurisprudenza di legittimita’.
In ogni caso, si assume la non fondatezza del primo motivo di ricorso, avendo entrambi i giudici di merito chiaramente evidenziato secondo la controricorrente – le ragioni per cui l’impossibilita’ di entrambe le prestazioni fosse assoluta ed oggettiva, oltre che non imputabile ad essa (OMISSIS). Non si manca, inoltre, di rilevare come nella sentenza del Tribunale di Milano si fosse dato atto della circostanza che le parti, nella bozza dell’accordo di comarketing scambiata il 23 novembre 2008, avessero dichiarato di avere risolto consensualmente gli accordi intervenuti con la scrittura in data 4 gennaio 2008. Quanto, poi, al fatto che soggetti diversi dalle odierne parti in causa risultino subentrati nella disponibilita’ di altri locali siti nella (OMISSIS), cio’ sembrerebbe dipeso – osserva al riguardo la controricorrente – dalla circostanza che il Comune ha adottato una nuova deliberazione, nell’anno 2012, con la quale ha approvato “nuove linee di indirizzo per regolamentare il fenomeno della cessione dei rami di azienda in Galleria”.
Nega, infine, la controricorrente che sussista, nella specie, l’ipotesi del recesso ingiustificato dalle trattive, contestando che quella della Corte milanese possa considerarsi una motivazione apparente o illogica.
5. Le ricorrenti hanno depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando ai rilievi avversari.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso va rigettato.
6.1. Il primo motivo di ricorso non e’ fondato.
6.1.1. Se e’ certamente vero che la “liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilita’ della prestazione puo’ verificarsi, secondo la previsione degli articoli 1218 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilita’ di eseguire la prestazione medesima, in se’ considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 8 giugno 2018, n. 14915, Rv. 64905401), deve rilevarsi che, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha escluso che a (OMISSIS) potesse ritenersi “addebitabile” – vale a dire, imputabile – il mancato adempimento delle obbligazioni assunte, alternativamente, con la scrittura del 4 gennaio 2008, o di far subentrare (OMISSIS) nella convenzione con il Comune di Milano (rinunciando ai propri diritti), ovvero di stipulare, ma sempre previo assenso del Comune, un subcontratto, con cui metterle a disposizione i locali siti nella (OMISSIS).
Cio’ detto, e nel rammentare che “l’apprezzamento del giudice di merito sull’imputabilita’ dell’inadempimento contrattuale costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimita’ se congruamente e correttamente motivato” (Cass. Sez. Lav., sent. 10 gennaio 2000, n. 170, Rv. 532758-01), deve rilevarsi che la motivazione della Corte territoriale – tema oggetto, specificamente, anche del quarto motivo di ricorso – e’ da ritenere senz’altro esente da critiche, alla luce della possibilita’, ormai, di sindacarla solo per violazione del “minimo costituzionale” (si ritornera’, piu’ avanti, sul punto).
Il giudice di appello, infatti, ha osservato come “il Comune di Milano, ancor prima della stipula del succitato negozio”, ovvero la scrittura dell’8 gennaio 2008 (le cui premesse, peraltro, davano atto sottolinea sempre la Corte milanese – “dell’impossibilita’ gia’ alla stregua della concessione vigente sino al 31 dicembre 2007 di cedere a terzi i diritti che da essa derivassero”), avesse “adottato due delibere, in particolare il 16 novembre 2007 e il 28 dicembre 2007, concernenti le concessioni riguardanti gli esercizi commerciali” siti in Galleria, “delibere nel complesso caratterizzate (…) da un ancor piu’ stringente e rigorosa disciplina concernente la cedibilita’ a terzi dei diritti nascenti dalle concessioni in argomento, con la previsione di detta cedibilita’ solo in casi eccezionali”. Su tali basi, pertanto, la Corte meneghina ha ritenuto che ricorresse, addirittura, una situazione suscettibile di apprezzamento sul piano della “nullita’ di tale contratto per impossibilita’ dell’oggetto”. Di conseguenza, in presenza proprio di tale ultima affermazione (a prescindere da ogni valutazione sulla sua correttezza, ai fini ed agli effetti di cui all’articolo 1418 c.c., comma 2 e articolo 1346 c.c.), non puo’ certo sostenersi – come ipotizzano, invece, le ricorrenti – che la sentenza impugnata abbia inteso prescindere dal carattere “assoluto ed oggettivo” dell’impossibilita’ di adempiere, che ha, invece, inteso rimarcare.
Quanto, poi, alla non “imputabilita’” di tale impossibilita’ di adempiere le proprie obbligazioni (entrambe, sul punto si ritornera’ nell’illustrazione del secondo motivo di ricorso), adeguata, nel senso di priva di profili di “irriducibile contraddittorieta’” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01) appare l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui (OMISSIS) non “dovesse, a titolo di adempimento di detto negozio giuridico, intercedere, a quel punto in modo particolarmente determinato visto l’indirizzo amministrativo venutosi a creare, presso il Comune di Milano, al fine di provocare un mutamento di tale indirizzo”, ne’ individuare, in quella in cui versava la societa’ (OMISSIS), “una delle situazioni eccezionali che avrebbero legittimato una delle altrettanto eccezionali deroghe all’indirizzo stesso”. Affermazione, questa, priva di aporie logiche, sol che si consideri che – come riconoscono le stesse ricorrenti – nelle premesse della scrittura privata del 4 gennaio 2008, (OMISSIS) si impegnava “a fare quanto in suo ragionevole potere” (e nulla di piu’) “per addivenire al subentro della societa’”, ovvero (OMISSIS), nella disponibilita’ dei locali.
Ne’, d’altra parte, puo’ assumersi, quale “metro” di valutazione di tale “ragionevole potere”, quanto sarebbe accaduto in relazione ad analoghe convenzioni che hanno riguardato altri locali della Galleria milanese.
Difatti, ed a prescindere dal rilievo – avanzato dalla controricorrente – che tali vicende ricadrebbero sotto l’applicazione di una nuova (e piu’ permissiva) deliberazione assunta, nel 2012, dall’amministrazione municipale, deve osservarsi come un simile apprezzamento risulti del tutto estraneo al dedotto vizio ex articolo 360 c.p.c., comma 3. Infatti, “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che e’ quanto si lamenta nel caso di specie, dal momento che ci si duole del mancato apprezzamento del “fatto notorio” costituito dalle vicende che hanno (avrebbero) riguardato tali diversi locali della (OMISSIS) – “e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimita’” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03, nonche’ Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).
6.2. Il secondo motivo e’, invece, inammissibile.
6.2.1. La censura non si correla alla “ratio decidendi”, giacche’ come detto – la sentenza impugnata ha ritenuto che il mancato adempimento di entrambe le obbligazioni (per le ragioni illustrate) non fosse “addebitabile” a (OMISSIS).
Di conseguenza, la questione della (sopravvenuta) perdita “ex lege” della facolta’ di scelta delle obbligazioni alternative resta estranea al “perimetro” della pronuncia della Corte milanese, sicche’ deve farsi applicazione del principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata e’ assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’articolo 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilita’ del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, Rv. 645744-01).
6.3. Il terzo motivo non e’ fondato, sebbene la motivazione della sentenza impugnata, sul punto, vada corretta, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c..
6.3.1. Al riguardo, occorre muovere dal rilievo che “per ritenere integrata la responsabilita’ precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilita’, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilita’; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilita’, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto”, restando, inoltre, inteso che la “verifica della ricorrenza di tutti tali elementi si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’ ove adeguatamente motivato” (da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 15 aprile 2016, n. 7545, Rv. 639456-01).
Da quanto precede, dunque, emerge che, se l’obbligo di comportarsi secondo buona fede nella formazione del contratto e’ certamente diretto a salvaguardare la mera “liberta’ negoziale” (Cass. Sez. 3, sent. 17 settembre 2013, n. 21255, Rv. 628701-01), tanto che “il pregiudizio risarcibile e’ circoscritto al solo interesse negativo” (tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 3 dicembre 2015, n. 24625, Rv. 637951-01), cio’ che esclude che occorra una ragionevole certezza in ordine alla futura conclusione del contratto, bastando il solo “ragionevole affidamento”, resta, nondimeno, inteso che il giudice “in tale valutazione non puo’ prescindere dal comportamento tenuto dalla stessa parte adempiente”, o piu’ esattamente – come nella specie – non inadempiente (Cass. Sez. 3, ord. 12 luglio 2019, n. 18748, Rv. 654454-01).
Nel caso che occupa, sono le stesse ricorrenti a riferire che i termini della programmata operazione negoziale – come da bozza intercorsa tra i paciscenti ed inviata il 19 novembre 2008 prevedevano “documento di accordo Co-Mkt (ovvero, comarketing) per esposizione prodotti brandizzati (OMISSIS) nel (OMISSIS)”, ma pur sempre “previa autorizzazione del Comune”, contemplando, altresi’, uno “specifico impegno di entrambe le parti a promuovere nei tempi previsti il subentro di (OMISSIS) (fra 3 anni) disciplinando – l’opzione di subentro prevista per il pdv (punto di vendita) di Milano”. Orbene, in presenza di queste condizioni, essendo note le rigide determinazioni del Comune di Milano in ordine alla possibilita’ di subentro nella disponibilita’ dei locali siti nella (OMISSIS), e’ da escludere – come, in definitiva, ha ritenuto la Corte milanese, al di la’ dell’improprio riferimento all’assenza di una “ragionevole certezza” nella conclusione dell’affare – l’esistenza di “un ragionevole affidamento”, in capo alle odierne ricorrenti, in ordine ad un aspetto cosi’ cruciale della programmata operazione negoziale (tanto che nell’agosto del 2009 (OMISSIS) evidenziava una “oggettiva difficolta’ di superare le notevoli difficolta’ emerse”), e cio’ ben prima che nel luglio dell’anno successivo la medesima (OMISSIS) dichiarasse la “irrinunciabilita’”, per essa, “del negozio sito a (OMISSIS)”.
In altri termini, la sentenza impugnata finisce – nella sostanza col dare atto che l’insistenza delle odierne ricorrenti in merito alla (pressoche’ impossibile) acquisizione del locale in Galleria costituisce riprova che nessun ragionevole affidamento le odierne ricorrenti potessero nutrire in relazione alla conclusione di un accordo di comarketing che, dal loro punto di vista, vedeva in quella disponibilita’ un elemento essenziale.
6.4. Il quarto motivo, infine, non e’ fondato.
6.4.1. Sul punto, infatti, va ribadito che, a i sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte e’ destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonche’, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).
Lo scrutinio di questa Corte e’, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonche’, piu’ di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-0), o perche’ affetta da “irriducibile contraddittorieta’” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).
Ma nello scrutinare il primo e terzo motivo di ricorso si e’ visto come il minimo costituzionale possa ritenersi soddisfatto.
7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
8. A carico delle ricorrenti sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando le societa’ (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. a rifondere alla societa’ (OMISSIS) S.p.a. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 30.000,00, piu’ Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, la Corte da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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