Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 febbraio 2024| n. 5242.
Per quanto attiene il mantenimento e la mancata ricerca o accettazione di occupazioni lavorative da parte del coniuge beneficiario
Per quanto attiene il mantenimento del coniuge in separazione non può essere posto a carico del coniuge, che sarebbe obbligato al mantenimento, la mancata ricerca o accettazione di occupazioni lavorative da parte del coniuge beneficiario che pur potendo non si adoperi.
Ordinanza|28 febbraio 2024| n. 5242. Per quanto attiene il mantenimento e la mancata ricerca o accettazione di occupazioni lavorative da parte del coniuge beneficiario
Data udienza 15 febbraio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Separazione – Mantenimento dei figli – Rilevanza dei redditi e di ogni altra situazione economica ex art. 316 bis cc – Vizio di motivazione
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. MELONI Marina – Consigliere
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6470/2023 R.G. proposto da:
Ca.Ba., elettivamente domiciliata in Padova, (…), presso lo studio dell’Avvocato Fr. Or., che la rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato De. Gi., giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
SA.AR., elettivamente domiciliato in Padova, (…), presso lo studio dell’Avvocato Fr. Mo., che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2095/2022 depositata il 30/9/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/2/2024 dal Consigliere Alberto Pazzi.
Per quanto attiene il mantenimento e la mancata ricerca o accettazione di occupazioni lavorative da parte del coniuge beneficiario
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 1542/2021: dichiarava la separazione dei coniugi Ca.Ba. e Sa.Ar.,
assegnava la casa coniugale alla Ca.Ba. affinché ci vivesse con i figli; disattendeva la richiesta di quest’ultima di riconoscimento di un assegno di separazione; poneva a carico del Sa.Ar. l’obbligo di corrispondere al coniuge separato, a titolo di concorso al mantenimento dei figli Ri. e Se., la somma di Euro 400 per ciascuno rivalutabile annualmente.
2. La Corte d’appello di Venezia, a seguito dell’impugnazione principale presentata dalla Ca.Ba. e dell’impugnazione incidentale del Sa.Ar., osservava che se vi era stato uno squilibrio fra le posizioni economiche delle parti, questo era venuto meno da quando la Ca.Ba. aveva ottenuto l’assegnazione della casa familiare come genitore collocatario della prole e il Sa.Ar. aveva dovuto prendere in locazione un immobile ad uso abitativo. Escludeva che l’appellante principale avesse diritto a un assegno di mantenimento a suo vantaggio, tenuto conto che la stessa aveva ormai la possibilità, stante l’età dei figli, di incrementare con orario pieno il proprio stipendio e di poter cogliere occasioni di avanzamento/conversione professionale destinate a migliorare il suo reddito, mettendo a frutto la laurea conseguita in costanza di matrimonio.
Ricordava, inoltre, che il richiedente l’assegno di mantenimento non può porre a carico dell’altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale quando emerga che egli, pur potendo, non si sia doverosamente adoperato per reperire o migliorare un’occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini/capacità.
Confermava la misura del contributo dovuta dal padre per il mantenimento dei figli Ri. e Se., tenuto conto, da una parte, del presumibile incremento dei suoi guadagni, dall’altra dell’aumento delle esigenze dei discendenti e dei relativi oneri economici.
3. Ca.Ba. ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 30 settembre 2022, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Sa.Ar..
Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Per quanto attiene il mantenimento e la mancata ricerca o accettazione di occupazioni lavorative da parte del coniuge beneficiario
Considerato che:
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., anche in relazione agli artt. 111 Cost., 115 e 116 cod. proc. civ.: la Corte distrettuale ha rigettato il terzo motivo di appello, con cui era stato richiesto un incremento dell’assegno per il mantenimento dei figli Ri. e Se., con una motivazione che, essendo coincidente con quella del rigetto dell’appello incidentale svolto da Sa.Ar. (che, invece, aveva domandato di ridurre la misura dell’assegno) e focalizzata solo su quest’ultima pretesa, non consentiva di percepire le ragioni poste a suo fondamento.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 316-bis e 337-ter cod. civ., anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame delle risorse patrimoniali conseguite dal Sa.Ar. a seguito della morte del genitore ai fini della quantificazione dell’assegno in favore dei figli: la Corte territoriale, pur dando atto del decesso del padre del Sa.Ar., non ha valutato l’ingente patrimonio immobiliare ricevuto in eredità dall’appellato, nel considerare le sue condizioni patrimoniali. 5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente perché entrambi relativi al contributo dovuto dal padre per il mantenimento dei figli, risultano ambedue fondati.
5.1 L’art. 316-bis, comma 1, cod. civ. (al pari del precedente art. 148 cod. civ.), nel prescrivere che entrambi i coniugi devono adempiere all’obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non detta un criterio automatico per la determinazione dell’ammontare dei rispettivi contributi, fornito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti (che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole), ma prevede un sistema più completo ed elastico di valutazione, che tenga conto non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica e delle capacità di svolgere un’attività professionale o domestica, e che si esprima sulla base di un’indagine comparativa delle condizioni – in tal senso intese – dei due obbligati (Cass. 10901/1991).
Ne discende che, nella determinazione di tale contributo, non è affatto indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei genitori, poiché a queste va direttamente ragguagliata l’entità del mantenimento, così da assicurare ai figli, per quanto possibile, anche in regime di separazione, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia.
Per quanto attiene il mantenimento e la mancata ricerca o accettazione di occupazioni lavorative da parte del coniuge beneficiario
5.2 La Corte d’appello, avendo registrato che Sa.Ar. non risultava proprietario di alcun immobile e coadiuvava il padre (proprietario, invece, di numerosi fabbricati e terreni utilizzati per la propria impresa agricola) nella sua attività, era dunque tenuta ad accertare (compiendo le indagini e gli accertamenti relativi anche d’ufficio: cfr. Cass. 10268/1996) il variare delle condizioni patrimoniali (ed eventualmente reddituali) dell’obbligato, conseguenti al decesso del genitore, al fine di parametrare il contributo di mantenimento riguardo a queste nuove condizioni. Accertamento che, invece, non è stato effettuato in termini puntuali, poiché la Corte distrettuale, dopo aver dato atto del recente decesso di Ga.Sa., si è limitata a considerare che ora la gestione dell’azienda agricola era presumibilmente stata affidata all’appellato e al fratello, con un aumento dei guadagni rispetto al passato.
5.3 La motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., costituisce la rappresentazione dell’iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell’apparenza ove sia intrinsecamente inidonea ad assolvere una simile funzione. La motivazione perciò assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016). La Corte distrettuale, nel prendere in esame congiuntamente le domande di decremento (nel senso richiesto dal padre) o incremento (come voluto, invece, dalla madre) del contributo al mantenimento dei figli, ha spiegato compiutamente perché non era possibile procedere a una diminuzione dell’assegno, ma non ha fatto cenno ad alcuna ragione idonea a motivare il rigetto della contrapposta pretesa.
Il rigetto del motivo di appello presentato sul punto dalla Ca.Ba. risulta così non giustificato, perché la lettura della decisione impugnata rende percepibili le ragioni di diniego dell’incremento, ma non consente di capire i motivi per cui i giudici distrettuali hanno ritenuto di non riconoscere l’aumento sollecitato dalla madre. Una simile anomalia argomentativa comporta una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza di una motivazione, nel suo contenuto minimo e indispensabile, capace di rendere percepibili le ragioni su cui la statuizione assunta si fonda. Rimane perciò viziata, anche per difetto di motivazione, la valutazione compiuta dalla Corte di merito a proposito della possibilità di riconoscere un incremento dell’assegno di mantenimento per i figli.
6. Il terzo motivo di ricorso assume, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 156 cod. civ., anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa valutazione delle risorse patrimoniali conseguite dal Sa.Ar. a seguito della morte del genitore ai fini del riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore della moglie: la Corte d’appello non ha in alcun modo motivato l’omessa valutazione, al fine del riconoscimento dell’assegno in questione, della rilevante capacità patrimoniale del coniuge obbligato, conseguita a seguito del decesso del padre, e dell’apporto dato dalla moglie alla formazione dello stesso e alla vita della famiglia, accudendo i figli, in via esclusiva, e il coniuge e curando l’abitazione domestica.
7. Il motivo è inammissibile.
7.1 Esso, infatti, pretende di applicare i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di divorzio (evocando espressamente la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018) all’ambito dell’assegno di mantenimento previsto dall’art. 156 cod. civ..
Il che è non solo un’evidente fuor d’opera, posto che la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato la differenza dei due istituti (chiarendo che l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, mentre tale parametro non rileva in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve, invece, essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati all’art. 5, comma 6, l. 898/1970, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi; Cass. 17098/2019), ma anche un’affermazione che si pone in netto contrasto con le asserzioni della Corte distrettuale (la quale ha correttamente riconosciuto come il reddito adeguato a cui va rapportato l’assegno di mantenimento a favore del coniuge sia quello necessario a conservare tendenzialmente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; pag. 9 della decisione impugnata) senza formulare alcuna precisa critica che consenta di comprendere perché, nella materia dell’assegno di separazione regolata dall’art. 156 cod. civ., debbano trovare ingresso i criteri previsti dall’art. 5, comma 6, l. 898/1970 per l’assegno di divorzio.
7.2 Il profilo appena evidenziato non risulta l’unico vizio di non riferibilità della censura in esame alla decisione impugnata. La Corte d’appello ha spiegato, a giustificazione della propria decisione, che il richiedente l’assegno di mantenimento è gravato dall’onere di dimostrare che la situazione in cui versa non sia ascrivibile a sua colpa, in modo che rimanga escluso che egli, pur potendo, non si sia doverosamente adoperato per reperire o migliorare la propria occupazione lavorativa retribuita in maniera confacente alle sue attitudini/capacità.
I giudici distrettuali hanno ritenuto che la Ca.Ba. si trovasse proprio in queste condizioni di colpa, perché si avvaleva ancora di un orario lavorativo parziale con stipendio ridotto, pur avendo conseguito la laurea in scienze politiche nel 2012 e malgrado i tre figli fossero oramai divenuti maggiorenni, e già durante il matrimonio non si era maggiormente proiettata nella realtà lavorativa; per questo motivo la Corte di merito ha negato l’esistenza di una penalizzazione professionale da riequilibrare e che l’appellante potesse porre a carico dell’altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale.
A fronte di questi argomenti la doglianza in esame non considera in alcun modo, ancora una volta, le argomentazioni in diritto poste a fondamento della decisione e tenta di accreditare l’esistenza di una necessità di perequazione che la Corte distrettuale ha espressamente escluso (con un accertamento di fatto che, peraltro, non può essere rivisto in questa sede di legittimità).
7.3 Il motivo di ricorso in esame si sottrae così, nel suo complesso, alla necessità di rapportarsi al contenuto della decisione impugnata e contestare specificamente la ratio decidendi posta a suo fondamento; ciò malgrado l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale possa considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata e queste ultime, per essere enunciate come tali, debbano concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possano prescindere. 8. Il provvedimento impugnato, dunque, deve essere cassato nei limiti indicati, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, la quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Per quanto attiene il mantenimento e la mancata ricerca o accettazione di occupazioni lavorative da parte del coniuge beneficiario
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma in data 15 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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