Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 28 aprile 2016, n. 8463
Considerato in fatto
C.A.M., A.F.M. ed A.C., tutti quali eredi dell’Avv. G.A.G. adivano nel 1999 il Tribunale di Palermo citando la Società Cooperativa Stella Polare per ottenerne la condanna al pagamento della somma di £. 180milioni quale saldo per l’attività professionale svolta dal defunto legale.
L’intimata cooperativa resisteva all’avversa pretesa, deducendone l’assoluta infondatezza.
Con sentenza n. 2759/2005 l’adito Tribunale di prima istanza rigettava la proposta domanda e compensava per intero le spese di lite.
Avverso la suddetta decisione, di cui chiedevano la riforma, interponevano appello le originarie parti attrici. Resisteva al gravame, di cui chiedeva il rigetto, la parte appellata. Con sentenza n. 1352/2010 la Corte di Appello di Palermo confermava la decisione di primo grado, rigettando l’impugnazione, e compensava integralmente le spese del giudizio.
Per la cassazione della suddetta decisione della Corte distrettuale ricorrono le medesime parti già appellanti con atto affidato a due Reste con controricorso la cooperativa intimata. Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la C. e gli altri ricorrenti, nonché la parte contro ricorrente.
Ritenuto in diritto
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di carenza di motivazione e violazione degli artt. 1362 ss. e 2730 c.c. per aver la Corte distrettuale omesso di ritenere il valore ricognitivo del debito insito in scritto proveniente dalla controparte. [l. motivo non può essere accolto.
Innanzitutto va evidenziato che la decisione (confermativa della appellata sentenza di primo grado) ed innanzi a questa Corte gravata si fonda su una duplice ratio decidendi. La Corte territoriale ha effettivamente negato il preteso valore ricognitivo del debito per cui è causa asseritamente insito in uno scritto, ma ha anche fondalo il proprio decisum sulla mancanza di prova dell’entità della pretesa attività svolta. Tale ultimo e pur rilevante profilo non è stato affatto (come doveva) oggetto di censura con il ricorso qui scrutinato.
La mancanza della prova della detta attività e, quindi, del quantum non può non comportare, in ogni caso, l’infondatezza della domanda fondata e, quindi, anche dei motivo in esame.
Ciò a maggior ragione i n dipendenza del fatto che anche il preteso riconoscimento risulta del tutto infondato in quanto la (datata) dichiarazione cui si fa cenno è, nella sostanza, quella (insufficiente ed irrilevante) del legale rappresentante legale della Cooperativa, con la quale -preso atto delle richieste di pagamento del professionista- si annunciava (meramente) la prossima comunicazione delle determinazioni adottate in proposito dell’assemblea della stessa cooperativa : poco, troppo
poco –evidentemente- rispetto al noto e qui ribadito ed applicabile principio, secondo il quale, “per ottenere la condanna al pagamento di una somma determinata, l’attore deve provare non solo l’esistenza ma anche l’ammontare del credito” ( Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 2:i maggio 1993, n. 5884). Il motivo, in quanto infondato, va -pertanto- respinto. 2.- Con il secondo e subordinato motivo del ricorso si deduce il vizio di carenza motivazionale e violazione dell’art. 2727 c.c. in relazione all’omessa considerazione di elementi indiziari “in tale senso”.
Il motivo tende ad una rivalutazione, in queste sede non più possibile, delle risultanze istruttorie, sostanziandosi in una istanza di rivalutazione dei fatti già correttamente esaminati nella
competente sede del Giudice del merito.
ll motivo è, quindi,. inammissibile.
3.- il ricorso va, quindi, ricettato.
4.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore della parte conto ricorrente delle spese del giudizio, determinate in E 5.200,00, di cui E 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge
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