Per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio

Consiglio di Stato, Sentenza|10 maggio 2021| n. 3684.

Per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio, è necessario che sia stato completato il pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri concessori, e che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell’amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell’oblazione da versare, con la conseguenza che l’assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo.

Sentenza|10 maggio 2021| n. 3684

Data udienza 23 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Condono – Formazione del silenzio-assenso – Presupposti legittimanti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5226 del 2013, proposto dal
signor Co. Fr., rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Pa., domiciliato presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Or., con domicilio eletto presso lo studio Li. S.r.l. in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sezione staccata di Lecce, sezione I n. 802/2013, resa tra le parti, concernente l’impugnativa della richiesta di pagamento di somme a titolo di conguaglio per oblazione ed oneri concessori in relazione alle istanze di condono edilizio presentate il 9 dicembre 2004.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, il Cons. Cecilia Altavista;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Al signor Co. Fr., proprietario di un fabbricato destinato a civile abitazione sito nel Comune di (omissis), alla Via (omissis), il 1 agosto 1990 era stata rilasciata una concessione edilizia (n. 2081/1990) per la ristrutturazione ed ampliamento del fabbricato; nel corso dei lavori aveva realizzato, al piano terra e al primo piano, opere edilizie in parziale difformità rispetto al progetto assentito, per le quali presentava il 9 Dicembre 2004 tre istanze di condono edilizio (n. 128/S, 129/S, e 130/S), ai sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. nella legge 24 novembre 2003 n. 326, in parte per lavori di ampliamento, in parte per opere non valutabili in termine di superficie e di volume.
Con note del 29 e 30 luglio 2010, notificate il 12 agosto 2010, il Responsabile del Settore tecnico del Comune di (omissis) richiedeva per tutte e tre le domande di condono la presentazione della seguente documentazione: sostituzione (anche sdoppiamento per la pratica 128/S relativa sia ad abitazione sia ad attività commerciale) degli elaborati grafici non conformi alle fotografie depositate e privi del calcolo della superficie complessiva, risultante dalla somma della superficie utile e dello 0,6 della superficie non residenziale e del calcolo grafo-analitico di tutti i parametri edilizi; nonché carichi penali pendenti, titolo di proprietà ; dichiarazione sostitutiva attestante la conformità all’originale esistente presso l’Agenzia del Territorio; apposizione della data sulla documentazione fotografica, relazione tecnico-descrittiva delle opere realizzate abusivamente; per la n. 129/S anche l’integrazione della documentazione fotografica con fotogrammi del retroprospetto, relazione tecnico-descrittiva delle opere realizzate abusivamente.
La documentazione richiesta è stata presentata il 7 ottobre 2010.
Successivamente, il Comune di (omissis), con note prot. n. 20610 del 23 Dicembre 2011, n. 551 del 12 Gennaio 2012 e n. 724 del 13 Gennaio 2012, rispettivamente per ognuna delle tre istanze di condono, ha richiesto il pagamento delle somme di Euro 4076,20 a titolo di conguaglio per l’oblazione, oltre a euro 407,62 per la maggiorazione, ai sensi della legge regionale 23 dicembre 2003, n. 28, e euro 2259,04 per contributo di costruzione, per la pratica 130/S; di euro 1041,50 per l’oblazione, oltre a euro 104,15 per la maggiorazione, ai sensi della legge regionale 23 dicembre 2003, n. 28, e euro 503,53, per contributo di costruzione, per la pratica 129/S; di euro 1441,20 per l’oblazione, oltre a euro 144,12 per la maggiorazione, ai sensi della legge regionale 23 dicembre 2003, n. 28, e euro 488,53 per contributo di costruzione per la 128/S; su tali somme veniva richiesto altresì il pagamento degli interessi legali dal 1 ottobre 2005.
Avverso tali atti il sig. Co. Fr. ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sezione staccata di Lecce, formulando le seguenti censure di violazione di legge per mancata applicazione degli artt. 3 e 7 Legge n. 241/1990, nonché dell’art. 14 D.P.R. n. 380/2001; difetto di motivazione, difetto di istruttoria, violazione dei doveri di buona e corretta amministrazione, violazione del giusto e corretto procedimento, erronea presupposizione di fatto e di diritto, falsa applicazione degli artt. 32 Legge n. 326/2003 e 32 D.P.R. n. 380/2001, nonché dell’art. 2 della Legge Regionale Puglia n. 26/1985; avvenuta prescrizione del diritto al conguaglio dell’oblazione, eccesso di potere per perplessità ed illogicità, con cui ha dedotto il difetto di motivazione e la mancata comunicazione di avvio del procedimento, ha eccepito la prescrizione del credito per le somme a titolo di oblazione nel termine triennale dalla presentazione delle istanze di condono, ha contestato la sussistenza di variazioni essenziali, ai fini della determinazione degli oneri concessori; ha contestato la decorrenza degli interessi legali dal 1 ottobre 2005, sostenendo che avrebbero dovuto decorrere solo dal completamento della pratica il 7 ottobre 2010, essendo solo a tale data determinabile la somma dovuta dalla parte.
Con i motivi aggiunti depositati il 7 giugno 2012 ha ulteriormente contestato la natura degli interventi realizzati per la domanda 130/S, considerati dal Comune quale ristrutturazione edilizia, ma invece costituenti piccole modifiche al progetto assentito, rientranti nella manutenzione ordinaria o straordinaria; deduceva inoltre l’avvenuta formazione del silenzio assenso sulle domande di condono, essendo pretestuosa la richiesta di integrazione documentale.
Con la sentenza n. 802 dell’8 aprile 2013, il giudice di primo grado ha respinto i motivi relativi al difetto di motivazione e alla mancata comunicazione di avvio del procedimento; ha escluso la avvenuta formazione del silenzio assenso; ha respinto l’eccezione di prescrizione, ritenendo che sia il termine triennale di prescrizione che il termine per la formazione del silenzio assenso potevano decorrere solo dal completamento della domanda avvenuto il 7 ottobre 2010; ha, infatti, escluso la pretestuosità della richiesta di integrazione documentale da parte del Comune con le note del 29 e 30 luglio 2010; ha accolto la censura relativa all’erroneo calcolo degli interessi, ritenendo che anch’essi dovessero decorrere solo dalla data di integrazione della documentazione.
Avverso tale pronuncia è stato proposto dal sig. Fr. il presente atto di appello, riproponendo le censure del primo grado relative al difetto di motivazione; alla mancata formazione del silenzio assenso sulle domande di condono, alla decorrenza della prescrizione triennale, sostenendo la pretestuosità della richiesta di integrazione documentale, essendo stata già presentata la documentazione richiesta dalla normativa sul condono; nonché riproponendo le contestazioni in ordine alla qualificazione degli abusi da parte del Comune, contestando che vi fossero aumenti di volume e/o modifiche di sagome e di prospetti.
E’ stato proposto appello incidentale dal Comune di (omissis) avverso il capo della sentenza, che ha accolto la censura relativa all’erroneo calcolo degli interessi legali, con cui il Comune sostiene che la decorrenza degli interessi dovrebbe essere fissata al momento della domanda, essendo a carico del richiedente l’eventuale errore nel calcolo della oblazione.
Con ordinanza cautelare n. 3009 del 31 luglio 2013 è stata respinta la domanda di sospensione della sentenza impugnata per mancanza di danno grave ed irreparabile.
Per l’udienza pubblica la difesa comunale ha presentato memoria e la difesa appellante ha presentato memoria di replica, insistendo ognuna nelle rispettive posizioni difensive.
All’udienza pubblica del 23 marzo 2021, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, l’appello è stato trattenuto in decisione

DIRITTO

Con l’appello principale sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado respinte con la sentenza.
I motivi di appello principale sono infondati e sul punto la sentenza non può che essere confermata.
Con riferimento al primo motivo di appello, con cui viene riproposta la censura di difetto di motivazione, deve essere richiamata la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, per cui negli atti di determinazione delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori non è configurabile il vizio di difetto di motivazione, trattandosi dell’applicazione, con una mera operazione materiale, di criteri di calcolo predeterminati, senza alcun margine di discrezionalità in capo all’Amministrazione (Cons. Stato Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2961, n. 2962).
Nel caso di specie, si deve considerare che la legge 24 novembre 2003, n. 326 conteneva in allegato le tabelle con la espressa indicazione delle somme per metro quadro richiesta a titolo di oblazione e di oneri concessori per ogni intervento edilizio.
Pertanto, le somme non potevano che essere determinate in base alla tabella allegata alla legge, con la esclusione del vizio di motivazione.
Con il secondo motivo di appello sono state contestate le argomentazioni del giudice di primo grado relativamente alla mancata formazione del silenzio assenso, sostenendo la pretestuosità delle richieste di integrazione documentale ricevute il 12 agosto 2010, in quanto la documentazione richiesta dalla normativa sul condono sarebbe stata già presentata; in particolare l’appellante indica l’avvenuta presentazione, al momento della domanda di condono e successivamente, delle ricevute dei versamenti dell’oblazione e del costo di costruzione, della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante l’epoca degli abusi e la conformità all’originale della documentazione prodotta in copia, della documentazione fotografica, degli elaborati grafici con calcolo planovolumetrico delle superfici e dei volumi, del rapporto di copertura e dei parametri urbanistici applicati, della planimetria catastale.
Anche tale motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 32 comma 35 della legge n. 326 del 2003, “la domanda di cui al comma 32 deve essere corredata dalla seguente documentazione:
a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell’articolo 47, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilitativo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo;
b) qualora l’opera abusiva supera i 450 metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione attestante l’idoneità statica delle opere eseguite;
c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale”.
La legge regionale 23 dicembre 2003, n. 28, “disposizioni regionali in attuazione del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269”, aveva previsto la presentazione della “dichiarazione di interesse alla sanatoria entro e non oltre il 31 gennaio 2004, con l’indicazione delle relative particelle catastali e ogni altro dato utile per evincere la localizzazione e l’estensione degli immobili da sanare, nonché l’analitica descrizione delle opere realizzate, con allegata idonea documentazione fotografica, asseverata da un tecnico iscritto in un Albo professionale, ai sensi dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15”.
In base al comma 37 dell’art 32 della legge 326 del 2003 “il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell’imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l’occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l’adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l’oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all’articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”.
Per la costante giurisprudenza, per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio, è necessario che sia stato completato il pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri concessori, e che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell’amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell’oblazione da versare, con la conseguenza che l’assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo (cfr., Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2018, n. 6899; id. Sez. IV, 11 ottobre 2017, n. 4703; Sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 187).
Nel caso di specie, il termine di 24 mesi per la formazione del silenzio assenso non poteva che decorrere dalla data in cui è stata integrata la domanda il 7 ottobre 2010.
Non si può, infatti, aderire alla tesi dell’appellante, per cui la domanda sarebbe stata già completa e la richiesta di integrazione documentale sarebbe stata “pretestuosa”.
Infatti, come risulta dalle note del Responsabile del Settore tecnico del Comune del 29 e 30 luglio, con cui è stata richiesta l’integrazione della documentazione, le domande erano ritenute dal Comune mancanti di alcuni elementi essenziali, non essendo gli elaborati grafici precedentemente presentati conformi alle fotografie depositate – anche prive di data- ed essendo carenti delle indicazioni relative alla superficie utile e non residenziale e degli altri parametri edilizi; mancava, inoltre, la relazione tecnico-descrittiva delle opere realizzate abusivamente, prevista sia dalla legge statale che dalla legge comunale; è stata, inoltre, richiesta dichiarazione sostitutiva attestante la conformità all’originale esistente presso l’Agenzia del Territorio, ai fini di verificare la iscrizione al catasto prevista dal comma 37 dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003.
Tale documentazione, oltre che espressamente richiesta dalla legge, era necessaria per determinare l’effettiva consistenza dell’abuso, anche al fine della verifica della correttezza dell’oblazione e degli oneri calcolati dal richiedente.
Inoltre, con riferimento alla data delle fotografie, tale mancanza era rilevante ai fini della effettiva realizzazione delle opere nel termine del 31 marzo 2003, previsto dalla legge n. 326 del 2003 per l’ammissibilità del condono.
La mancata formazione del silenzio assenso comporta anche l’infondatezza delle eccezione di prescrizione, respinta dal giudice di primo grado e riproposta in appello.
Ai sensi del comma 36 dell’art. 32, nel termine di trentasei mesi dalla presentazione nei termini della domanda di definizione dell’illecito edilizio e dalla completa corresponsione della oblazione interamente si prescrive il diritto al conguaglio o al rimborso spettante.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che anche il termine di prescrizione decorra soltanto in caso di completezza della domanda, potendo solo in tal caso essere correttamente determinate le somme da parte dell’Amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 26 aprile 2018, n. 2517; Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 339; Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2116; Sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1012; id. Sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1012).
Applicando tali consolidati principi al caso di specie, la prescrizione triennale per il conguaglio delle somme dovute a titolo di oblazione, non poteva iniziare a decorrere prima del completamento della domanda, avvenuto il 7 ottobre 2010, con la conseguente tempestività sotto tale profilo delle richieste di pagamento inviate dal Comune con le note prot. n. 20610 del 23 Dicembre 2011, prot n. 551 del 12 Gennaio 2012 e prot. n. 724 del 13 Gennaio 2012.
Con l’ulteriore motivo si lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado, sostanzialmente riproponendo le censure dei motivi aggiunti, con cui era stata contestata la quantificazione delle somme, deducendo che gli interventi oggetto della domanda 130/S non avrebbero potuto essere qualificati come ristrutturazione edilizia, trattandosi di modifiche interne e non comportanti aumenti di superficie e di volume.
Il giudice di primo grado ha considerato corretta la qualificazione dell’intervento abusivo come ristrutturazione edilizia, ai sensi degli artt. 3 primo comma lett. d) e 10 primo comma lett. c) del D.P.R. 6 Giugno 2001 n. 380, “essendo state eseguite modifiche interne e al prospetto che hanno portato ad un organismo edilizio in parte diverso dal precedente, con aumento della superficie utile ristrutturata pari a mq. 41,97”.
Sul punto la sentenza deve essere confermata.
Anche a prescindere dalla genericità delle argomentazioni critiche proposte nell’atto di appello avverso la qualificazione come ristrutturazione degli interventi edilizi da parte del Comune e del giudice di primo grado, si deve rilevare che lo stesso appellante ha indicato nell’atto di appello e nei motivi aggiunti in primo grado un aumento di superficie complessiva di ampliamento per le tre domande pari a 102,13 metri quadri (indicando 34,26 metri quadri per la domanda 128/S; 41,28 metri quadri per la domanda 129/S; 26,59 per la domanda 130/S), contestando la qualificazione della ristrutturazione per la domanda 130/S, in cui non vi sarebbero modifiche di volume di sagoma e prospetto.
Dalla documentazione agli atti del giudizio, anche in base agli elaborati allegati alla domanda di condono, risulta la modifica dei prospetti per la modifica delle aperture sul balcone per la domanda 130/S, per la quale la qualificazione delle opere come ristrutturazione è stata contestata dall’odierno appellante.
Ai sensi dell’art. 3 comma 1 lettera d) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel testo allora vigente, gli interventi di ristrutturazione edilizia erano definiti “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
In base all’art. 10 comma 1 lettera c) del D.P.R. 380 del 2001, nel testo allora vigente, erano soggetti a permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici”.
Ne deriva che, comunque, la modifica del prospetto realizzato per l’intervento oggetto della domanda di condono 130/S, non poteva che condurre alla qualificazione delle opere realizzate come ristrutturazione.
La parte appellante non ha contestato in punto di fatto tale modifica del prospetto, che è integrata, in base alla documentazione in atti, dalla modifica del parapetto e delle aperture sul balcone.
Infatti, la giurisprudenza ritiene rientranti nelle modifiche dei prospetti, riconducibili alla ristrutturazione edilizia, l’apertura di nuove finestre, la chiusura di quelle preesistenti o il loro spostamento, l’apertura di una nuova porta di ingresso sulla facciata dell’edificio o comunque su una parete esterna dello stesso, la trasformazione di vani finestra in altrettante porte-finestre (cfr. Cons. Stato Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3164).
Peraltro, è orientamento costante, quello per cui in presenza di una pluralità di opere, ne va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l’impatto effettivo complessivo; in caso di molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, quindi, in maniera frazionata (Consiglio di stato 3164 del 2020, citata), con la conseguenza che, nel caso di specie, gli interventi realizzati dovevano essere considerati congiuntamente come ristrutturazione.
Correttamente il Comune, dunque, ha proceduto alla qualificazione del complesso degli interventi oggetto della domanda 130/S come ristrutturazione edilizia.
L’appellante non ha poi contestato il calcolo delle superfici rideterminate dal Comune (ampliamento per 45,17 metri quadri per la 128/S; ampliamento per 37,68 metri quadri più 12,57 metri quadri di balcone per la 129/S; ampliamento per 36,76 metri quadri più 41,97 metri quadri di ristrutturazione per la 130/S indicati dal Comune), che, comunque, correttamente comprendono le superfici non residenziali non calcolate nel computo effettuato nelle domande di condono presentate dall’odierno appellante.
L’appello principale è dunque fondato e deve essere respinto con conferma della sentenza impugnata.
Si deve procedere ad esaminare l’appello incidentale del Comune.
Infatti, si tratta di un appello incidentale c.d. improprio ovvero rivolto contro un capo diverso da quello aggredito con l’appello principale; si configura, dunque, come un autonomo gravame la cui natura incidentale discende unicamente dall’essere stato proposto dopo un precedente appello principale; pertanto l’incidentalità è l’effetto del principio di concentrazione delle impugnazioni sancito dall’art. 333 c.p.c., secondo la logica del simultaneus processus (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 giugno 2013 n. 3252; Id., Sez. IV, 18 marzo 2013 n. 1574).
Sussiste quindi l’interesse all’esame dell’appello incidentale anche in caso di rigetto di quello principale. Inoltre, l’appello incidentale anche improprio deve ritenersi tempestivo se proposto nei sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale, come nel caso di specie, indipendentemente dalla verifica in ordine alla scadenza dell’originario termine per appellare (Consiglio di Stato, Sez. III, 2 agosto 2017, n. 3873; Sez. IV, 7 marzo 2018, n. 1474; Adunanza Plenaria 16 dicembre 2011, n. 24). L’unico limite della impugnazione incidentale impropria o autonoma tardiva è costituito, infatti, dall’essere condizionata all’esito della impugnazione principale, nel senso che perde ogni efficacia se quella principale è dichiarata inammissibile o improcedibile (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1298; Sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 6210; Cons. Stato Sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5343).
Con l’appello incidentale, il Comune formula un unico motivo con cui contesta, peraltro genericamente, il capo di sentenza che ha accolto il motivo di ricorso relativo all’erroneo calcolo degli interessi, sostenendo che gli interessi dovrebbero decorrere dalla data della presentazione della domanda, essendo a tale data sorto l’obbligo del completo pagamento dell’oblazione.
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 35 comma 15 della legge 18 febbraio 1985 n. 47, applicabile anche al procedimento di condono in esame, ai sensi dell’art. 32 comma 25 della legge n. 326 del 2003, “il sindaco, esaminata la domanda di concessione o di autorizzazione, previ i necessari accertamenti, invita, ove lo ritenga necessario, l’interessato a produrre l’ulteriore documentazione; quindi determina in via definitiva l’importo dell’oblazione e rilascia, salvo in ogni caso il disposto dell’art. 37”
Solo alla data di completamento della documentazione, può essere, dunque, determinata in via definitiva l’oblazione, con la conseguenza che solo da tale momento possono decorrere interessi.
Del resto ciò trova conferma in quanto sopra esposto con riferimento alla prescrizione, che ha iniziato a decorrere solo da quando il diritto (ovvero il credito per l’oblazione) poteva essere fatto concretamente, dalla integrazione della documentazione.
In tale momento, infatti, il credito poteva configurarsi come liquido ed esigibile (salva l’attività di calcolo dell’Amministrazione) e, quindi, produrre interessi legali.
L’appello incidentale deve essere, dunque, respinto con conferma della sentenza impugnata.
In conclusione l’appello principale e l’appello incidentale devono essere respinti con conferma della sentenza di primo grado.
In considerazione della soccombenza di entrambe le parti del giudizio le spese del presente grado possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando respinge sia l’appello principale che l’appello incidentale e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2021 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Presidente FF
Hadrian Simonetti – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Carla Ciuffetti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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