Per la formazione del silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 27 agosto 2020, n. 5247.

La massima estrapolata:

Per la formazione del silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio, è necessario che ricorrano i requisiti, sia dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, sia dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria.

Sentenza 27 agosto 2020, n. 5247

Data udienza 23 giugno 2020

Tag – parola chiave: Sanatoria edilizia – Domanda improcedibile – Per carenze documentali – Mancata integrazione – Non operatività silenzio assenso

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 41 del 2011, proposto dalla signora Co. Bo., rappresentata e difesa dall’avvocato Fe. La., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
il Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An.a, Fa. Ma. Fe., Gi. Pi., An. Pu. e Gi. Ta., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 16881/2010, resa tra le parti, concernente diniego di concessione in sanatoria per improcedibilità .
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie e le memorie di replica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2020, il Cons. Antonella Manzione e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, i difensori delle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al T.A.R. per la Campania la signora Co. Bo. ha impugnato il provvedimento dirigenziale n. 251 del 7 luglio 2000 con il quale il competente dirigente del Comune di Napoli ha respinto perché improcedibile per carenza di documentazione essenziale la domanda di condono dalla stessa presentata in data 1° marzo 1995 ex art. 39 della l. n. 724/1994, avente ad oggetto lavori in un appartamento ubicato all’ottavo piano di un palazzo ubicato alla via Vicinale Campanile, n. 115.
L’interessata lamentava la tardività della richiesta di integrazione documentale, notificata il 15 ottobre 1999, ad ormai avvenuta maturazione del silenzio-assenso previsto dalla normativa sul condono, essendo ampiamente decorsi i 24 mesi fissati allo scopo dal legislatore; lamentava altresì il difetto di istruttoria e di motivazione, per non essersi tenuto conto nel provvedimento avversato dell’avvenuta integrazione documentale del 22 marzo 2000, nonché la violazione delle leggi nn. 59/1997 e 241/1990, stante che la richiesta, in particolare con riferimento all’accatastamento, si palesava ultronea, avendo ad oggetto atti già in possesso dell’amministrazione procedente. Da ultimo, sollevava questione di legittimità costituzionale del richiamato art. 39, comma 4, della l. n. 724/1994, laddove interpretato nel senso della perentorietà dell’esiguo termine di tre mesi per l’integrazione documentale, pena l’improcedibilità della relativa domanda, peraltro attivabile sine die, con grave pregiudizio dell’affidamento della parte.
2. Il Tribunale adì to respingeva il ricorso, condannando l’interessata al pagamento delle spese del grado di giudizio, e dichiarava irrilevante, oltre che infondata, la prospettata questione di legittimità costituzionale. Nello specifico, la mancanza dei documenti essenziali, peraltro nominativamante previsti dalla norma, non consente la decorrenza del termine per la maturazione del silenzio-assenso, sicché non è ipotizzabile alcuna tardività nella avanzata richiesta di integrazione documentale; ciò renderebbe superflua qualunque motivazione aggiuntiva, tenuto altresì conto che l’asserita previa disponibilità delle informazioni necessarie da parte del Comune di Napoli non è stata in alcun modo provata dalla ricorrente, su cui gravava il relativo onere. Le produzioni del 22 marzo 2000 non ricomprendevano comunque gli atti richiesti, così da rendere irrilevante l’eccepita questione di legittimità costituzionale, essendo l’istanza rimasta pur sempre incompleta; rientra infine nella discrezionalità del legislatore fissare un termine al privato, non irragionevole o arbitrario, per fornire le indicazioni necessarie all’esercizio dei poteri valutativi della pubblica amministrazione.
3. Avverso la sentenza ha presentato appello la ricorrente in primo grado, sostanzialmente riproponendo in chiave critica gli originari motivi di doglianza.
In particolare nel caso di specie si sarebbe dovuto applicare il silenzio-assenso, essendo i 24 mesi previsti per la sua formazione ampiamente decorsi sia avuto riguardo alla data di presentazione della istanza (1° marzo 1995), sia, a tutto concedere, assumendo quale dies a quo quella di versamento del conguaglio dell’oblazione (27 febbraio 1996). La asserita incompletezza documentale sarebbe del tutto pretestuosa, avendo già il Comune di Napoli la piena disponibilità degli atti relativi all’accatastamento, forniti in precedenza dal dante causa della ricorrente che aveva presentato a sua volta un’istanza di condono per lo stesso immobile. D’altro canto, l’interessata avrebbe comunque ottemperato alla richiesta di integrazione in data 22 marzo 2000, senza che tuttavia il Comune ne abbia tenuto minimamente conto, essendosi limitato a motivare il diniego con un assertivo riferimento all’insistita lacuna. Tale approccio si porrebbe anche in contrasto con il dettato del d.l. n. 2/1988, che ha abrogato l’obbligo di allegazione della documentazione catastale, già contenuto nell’art. 35 della l. n. 47/1985, legittimando l’utilizzo di autocertificazioni. Infine, il Comune avrebbe fatto applicazione di una norma – l’art. 2, comma 38, della l. n. 662/1996, relativo alla improcedibilità quale conseguenza della mancata integrazione nei termini – inapplicabile al caso di specie, essendo entrata in vigore il 1° gennaio 1997, laddove l’istanza di condono è stata presentata il 1° marzo 1995. Ha infine riproposto la rigettata questione di legittimità costituzionale, in quanto rilevante e fondata alla luce della lettura datane dal Comune di Napoli.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, chiedendo la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata. Con memoria versata in atti in data 26 maggio 2020 ha ulteriormente chiarito la tipologia di documentazione carente (in particolare la descrizione delle opere, la prova dell’avvenuto accatastamento e la documentazione catastale sullo stato pregresso) e la sua permanente mancanza anche all’esito della richiesta integrativa n. 440 del 22 settembre 1999 (notificata il 15 ottobre 1999), stante che essa non figurerebbe neppure nella produzione del 22 marzo 2000 (come da indice foliario versato in atti al fascicolo di primo grado).
In vista dell’odierna udienza la ricorrente ha presentato memoria, insistendo in particolare sulla non necessità di produrre i dati catastali, giusta l’avvenuta abrogazione della relativa previsione, contenuta nell’art. 35, comma 3, lett. e), della l. n. 47/1985 ad opera del già richiamato d.l. n. 2/1988, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 68/1988.
Con successiva nota in data 11 giugno 2020, melius re perpensa, nell’eccepire il tardivo deposito da parte del Comune in data 26 maggio 2020, di corposa produzione documentale a corredo di apposita “nota di accompagnamento” prot. n. 364045 del 22 maggio 2020, ha avanzato istanza di rinvio per poterne approfondire la disamina.
All’udienza pubblica del 23 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione con le modalità di cui all’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, dando puntuale atto nel verbale della insussistenza delle invocate ragioni di rinvio.

DIRITTO

5. Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno chiarire meglio la ragione della reiezione dell’istanza di rinvio, di cui si è dato atto nel verbale di udienza. La tardività delle produzioni documentali, infatti, in quanto non rispettose del termine di cui all’art. 73 c.p.a., implica l’inutilizzabilità delle stesse, previo stralcio dal processo, con conseguente inutilità di un termine a difesa per approfondirne la portata, siccome richiesto dalla parte.
Il Comune di Napoli ha effettivamente versato in atti rispettivamente in data 18 maggio 2020, 22 maggio 2020 e 26 maggio 2020 copiosa documentazione, la maggior parte della quale peraltro già presente nel fascicolo di primo grado. In particolare quella del 26 maggio 2020 appare “indicizzata” in una relazione esplicativa del responsabile del servizio condono dello stesso, a sua volta tardiva.
Il Collegio ritiene di dovere disporre lo stralcio di tale documentazione, peraltro superflua laddove meramente reiterativa di quanto già agli atti del processo, cui potrà per contro farsi riferimento ai fini della decisione.
6. Nel merito, la Sezione ritiene l’appello infondato e come tale da respingere.
7. La sostanziale omogeneità dei quattro distinti motivi di appello (con l’ultimo dei quali è stata riproposta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 39 della l. n. 724/1994) ne consente uno scrutinio congiunto, stante che l’infondatezza dell’uno si riverbera su quella dell’altro, in tutte le sfaccettature prospettate dall’appellante.
Presupposto di fatto della tesi di parte è la contestata incompletezza documentale della domanda di condono del 1° marzo 1995, stante che le richieste catastali che ne costituivano la carenza più significativa, avrebbero potuto essere attinte dalla precedente domanda di sanatoria del proprio dante causa. La prima parte del procedimento, dunque, sarebbe affetta da tale vizio di fondo, erroneamente disconosciuto dal giudice di primo grado; la seconda, necessariamente conseguente (richiesta di integrazione a pena di improcedibilità dell’istanza), troverebbe fondamento in una normativa sopravvenuta, come tale estranea al caso di specie ratione temporis. Dal combinato disposto di entrambe le circostanze (mancata valutazione del silenzio-assenso e tardiva richiesta di integrazione documentale, nonché rigetto dell’istanza sulla base della stessa) discenderebbe anche il lamentato vizio di motivazione, non essendo sufficiente che il diniego trovasse riferimento nel semplice richiamo della concatenazione di eventi sopra descritta.
8. Rileva il Collegio come costituisca principio consolidato in giurisprudenza, dal quale non è motivo di decampare, quello in forza del quale per la formazione del silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio, è necessario che ricorrano i requisiti, sia dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, sia dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per la sanatoria (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 18 settembre 2018, n. 5455; sez. IV, 26 aprile 2018, n. 2517; id., 11 ottobre 2017, n. 4703). L’effetto sanante, in altre parole, non deriva immancabilmente dal decorso del termine previsto, ma è condizionato al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio, nonché, per quanto qui di interesse, alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento.
In particolare, l’art. 35, commi 1 e 3, della l. n. 47 del 1985 – nel disciplinare il “procedimento per la sanatoria” – prevede che alla domanda di concessione devono essere allegati una serie di documenti che vengono specificamente indicati. Su esso ha effettivamente inciso il d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla l. 13 marzo 1988, n. 68, che ha soppresso la lettera e) del comma 2. Il successivo comma 17, tuttavia, su cui non ha inciso la novella, stabilisce che “decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda”, quest’ultima “si intende accolta” ove l’interessato abbia provveduto “al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio”, nonché alla “presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento”. E’ chiaro pertanto che il silenzio-assenso si può formare soltanto in presenza di tutti i presupposti ivi indicati e, in particolare, in presenza di una documentazione completa degli elementi richiesti.
Di ciò è conferma anche all’art. 39, comma 4, della l. n. 724/1994, ove egualmente viene richiamata quale condizione pregiudiziale alla decorrenza del relativo (e diverso) termine per la formazione del silenzio-assenso, l’avvenuta denuncia al catasto.
9. Nel caso di specie, dunque, la ricorrente ha versato l’integrazione degli importi dovuti a titolo di oblazione in data 27 febbraio 1996, ma non ha mai prodotto la documentazione comprovante lo stato catastale pregresso e successivo all’istanza, neppure dopo che le è stato formalmente richiesto con la nota del 22 settembre 1999. Ciò ha impedito perfino l’avvio della decorrenza dell’invocato termine, che presuppone una completezza documentale “minima”, pena l’improcedibilità della relativa istanza, da considerare tamquam non esset.
Ma vi è di più : dalle annotazioni manoscritte apposte dall’ufficio sulla modulistica prestampata di richiesta di integrazione documentale emergono le innegabili difficoltà ricostruttive dello stato dei luoghi, giusta la lacunosità dell’istanza di parte, cui si richiede una descrizione chiara delle opere, anche con riferimento ai vani sul terrazzo, indicandola come “fondamentale”.
D’altro canto, l’autocertificazione a corredo dell’istanza di condono, che secondo l’appellante avrebbe dovuto far le veci di qualsivoglia allegato documentale, consta di poche righe con le quali si attesta l’ubicazione dell’abuso all’ottavo piano del palazzo di via Vicinale Campanile, l’anno di realizzazione dello stesso (1984), nonché quello di adibizione dell’immobile ad uso proprio (1990). Nessun richiamo alla richiesta di accatastamento presentata all’U.T.E. in data 5 luglio 1995, che pure avrebbe dovuto “eterointegrare” la pratica, né alla riferibilità della stessa alle medesime opere abusive, consentendo in qualche modo il preteso “aggancio”. A ben guardare, anzi, il modulo recante effettivamente il protocollo U.T.E. n. 12388 del 5 luglio 1995, al quadro “A” fa riferimento al piano nono dell’immobile, con ciò rendendo ancora meno chiara la situazione fattuale sottesa a ciascuna delle due richieste (l’esito della prima delle quali neppure risulta nell’ambito dell’odierna controversia).
A fronte, dunque, della obiettiva lacuna riscontrata, spettava alla ricorrente, quale richiedente la sanatoria, fornire i necessari chiarimenti, documentando la pretesa esaustività delle informazioni fornite con la semplice sovrapposizione degli stati di fatto sottesi alle singole richieste: cosa che la stessa non ha inteso fare né nell’ambito del procedimento amministrativo, né in quello dell’odierno contenzioso, nel quale ha continuato a trincerarsi dietro l’asserito mancato rispetto della regola formale, senza tuttavia provare sostanzialmente la fondatezza delle proprie ragioni, documentando la richiesta di accatastamento mancante, ovvero l’identità dei contenuti della stessa rispetto a quella versata in atti. A ben guardare, infine, l’integrazione documentale del 22 marzo 2000 contiene l’atto di compravendita dell’immobile ai rogiti del notaio De Iorio dell’11 settembre 1997, dal quale si evince che esso si sviluppa su due piani distinti, l’ottavo e il nono, per i lavori relativi al primo dei quali sarebbe stata presentata denuncia all’U.T.E. nel 1984, mentre per quelli riguardanti il nono, caratterizzato dalla presenza di un piccolo manufatto realizzato sopra la terrazza a copertura, ciò sarebbe effettivamente avvenuto il 5 luglio 1995.
10. Il Comune dunque, non senza avere reiteratamente tentato di compulsare formalmente la parte, ha inteso infine accordarle un’ultima chance, intimandole l’integrazione oggi contestata, pena la esplicitata declaratoria di improcedibilità della pratica e la conseguente reiezione della domanda. Ciò facendo espressa applicazione dell’art. 2, comma 37, lett. d), della l. 23 dicembre 1996, n. 662, che ha codificato ridetto meccanismo, novellando in tal senso il più volte richiamato art. 39, comma 4, della l. n. 724/1994.
Afferma l’appellante che nel caso di specie tale disposizione non avrebbe dovuto trovare applicazione, in quanto la normativa di riferimento è entrata in vigore solo il 1° gennaio 1997, dunque successivamente alla data di presentazione della propria istanza di condono.
Anche tale considerazione non è condivisibile.
La stratificazione delle disposizioni sulla procedura di condono, conseguita all’accumulo di pratiche inevase presso gli Enti territoriali e alla necessità, da un lato, di non far gravare sugli stessi i ritardi dell’amministrazione, dall’altro di imporre un’accelerazione in termini di certezza ai soli procedimenti caratterizzati da effettiva consistenza, evitando la strumentale presentazione di istanze sostanzialmente vuote contenutisticamente, non ne rende certo agevole la lettura. Va tuttavia ricordato come l’art. 49, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha espressamente previsto che “le disposizioni di cui al penultimo periodo del comma 4 dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dal decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, introdotte dall’articolo 2, comma 37, lettera d), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, relative alla mancata presentazione dei documenti, si applicano anche alle domande di condono edilizio presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per cui non sia maturato il silenzio assenso a causa di carenza di documentazione obbligatoria per legge” (per un’applicazione del principio in questione v. T.A.R. per la Campania, sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3638). Con ciò prendendo atto della possibile pendenza di procedimenti di rilascio, con riferimento ai quali si rendeva necessario mettere un punto fermo a salvaguardia della certezza delle situazioni giuridiche: il che sarebbe dovuto avvenire con una sorta di ultimatum all’integrazione, pena la reiezione della domanda per improcedibilità . E’ di tutta evidenza come ciò debba valere a fortiori per le domande presentate proprio in base alla l. n. 724/1994 ancora pendenti alla data di entrata in vigore di ridetta normativa.
11. Il carattere perentorio del termine assegnato per ottemperare alla richiesta d’integrazione documentale della pratica di condono è stato più volte affermato da questo Consiglio di Stato: “a fronte di una domanda di condono edilizio incompleta, ove l’Amministrazione richieda all’interessato l’integrazione di detta documentazione assegnandogli un termine per provvedere, quest’ultimo deve ritenersi tassativo (salvi i casi di impossibilità non imputabile), sicché l’inottemperanza a tale richiesta determina la legittima chiusura della pratica e costituisce legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria” (v. in tal senso, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2714; id., 23 luglio 2009, n. 4671).
La disposizione di cui alla l. n. 662/1996, peraltro, ha semplicemente procedimentalizzato, fissando un termine ragionevole per ottemperare, una previsione già contenuta in termini generali nella l. n. 47/1985 (art. 35, comma 7), in forza della quale il Sindaco, “ove lo ritenga necessario” una volta esaminata la domanda, “invita” l’interessato a produrre “l’ulteriore documentazione”.
12. L’appellante dunque lamenta la tardività della richiesta di integrazione, nonché ancor più radicalmente la sua necessità, potendo il Comune di Napoli attingere aliunde i dati richiesti: e tuttavia non ne ha contestato in alcun modo i contenuti, ottemperandovi, seppur a termine concesso ormai scaduto e in maniera ancora una volta lacunosa. Mediante una semplice comparazione tra l’indice dei documenti indicati nella richiesta del 22 settembre 1999 e quello delle produzioni di parte del 22 marzo 2000, appare evidente la mancanza dei documenti contrassegnati nella prima dai nn. 1, 14 e 15, ovvero, ancora, la descrizione delle opere, la prova dell’avvenuto accatastamento e la documentazione catastale sullo stato pregresso. Di ciò dà puntuale conto il responsabile del competente ufficio comunale con nota riepilogativa n. 69161 del 10 maggio 2010, depositata agli atti del giudizio innanzi al T.A.R. dalla difesa civica il 12 maggio 2010.
13. Il carattere vincolato del diniego a fronte della obiettiva incompletezza documentale dell’istanza di condono, non superata neppure con la (tardiva) integrazione sollecitata con la nota del 22 settembre 1999, rendono infondata anche la doglianza relativa all’asserito difetto di motivazione, già di per sé riveniente dai richiami normativi per come sopra chiariti.
14. Da tutto quanto sopra, consegue la correttezza della sentenza impugnata pure laddove ha ritenuto irrilevante, e comunque infondata, l’eccezione di legittimità costituzionale del meccanismo di cui all’art. 39 della l. n. 724/1994, per come novellato dalla l. n. 662/1996. In fatto, l’istanza non è mai stata integrata così come richiesto dal Comune di Napoli, per cui neppure si pone questione di eventuale tardività dell’adempimento rispetto al termine perentorio fissato di novanta giorni. In diritto, detto termine, per nulla irragionevole in astratto e, nel caso di specie, proprio avuto riguardo al tempo trascorso e alle precedenti interlocuzioni in merito, tende a rimediare ad un’inerzia imputabile alla parte stessa, i cui protratti effetti essa avrebbe potuto far cessare semplicemente attivandosi.
15. In conclusione, il Collegio ritiene l’appello infondato e come tale da respingere, con conseguente conferma della sentenza del T.A.R. per la Campania n. 1681/2001.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza n. 16881/2010 del T.A.R. per il Lazio.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Napoli, che liquida in complessivi euro 6.000,00 (seimila/00), oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2020, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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