Particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131-bis c.p.

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 20 febbraio 2019, n. 7815.

La massima estrapolata:

In tema di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131-bis c.p., quando la sentenza impugnata e’ anteriore alla entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di legittimita’ va ritenuta o esclusa senza rinvio del processo nella sede di merito e se la Corte di cassazione, sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione, riconosce la sussistenza della causa di non punibilita’, la dichiara d’ufficio, ex articolo 129 c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell’articolo 620 c.p.p., comma 1, lett l)”, avendo tale pronuncia, col correlato principio espresso, ad oggetto il diverso caso della sopravvenuta vigenza della legge introduttiva della causa di non punibilita’ rispetto alla pronuncia impugnata. Ed invero, per giungersi alla corretta conclusione, non si puo’ prescindere dalla riconosciuta natura atipica della menzionata “speciale causa di non punibilita’” come rubrica l’articolo 131 bis c.p..

La particolare tenuita’ del fatto costituisce una causa di non punibilita’ atipica per gli effetti negativi che produce per l’imputato (anzitutto la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi ed, ancora, l’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale) e la sua applicazione presuppone, tra l’altro, l’accertamento della responsabilita’ penale ossia l’accertamento dell’esistenza del reato e della sua attribuibilita’ all’imputato

Sentenza 20 febbraio 2019, n. 7815

Data udienza 17 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARLINI E. V. S. – Presidente

Dott. BELMONTE Maria T. – Consigliere

Dott. SESSA Rena – rel. Consigliere

Dott. MOROSINI E. Maria – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/06/2017 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. RENATA SESSA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dott. LORI PERLA.

RITENUTO IN FATTO

1. Il 15 giugno 2017, la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo nei confronti di (OMISSIS), condannata in primo grado per il reato di cui agli articoli 81 e 660 c.p. ai danni di diverse persone, come riqualificato rispetto all’originaria imputazione di delitto di cui all’articolo 612 bis c.p. (in relazione alla condotta di ripresa con telecamera, continuativa, delle sorelle dell’imputata), e per il reato di percosse di cui all’articolo 581 c.p. (“… perche’ spintonandola, graffiandola e mordendola, percuoteva (OMISSIS)”), commesso ai danni di (OMISSIS) in (OMISSIS), assolvendo l’imputata – e il marito, coimputato, concorrente -, dal reato di cui all’articolo 660 c.p. perche’ il fatto non sussiste (difettando tra l’altro l’elemento della commissione del fatto in luogo pubblico o aperto al pubblico), e, per l’effetto, ha rideterminato la pena in relazione al delitto di percosse in Euro 200 di multa, nonche’ ridotto la condanna al risarcimento del danno a carico della (OMISSIS) ad Euro 500, in favore della sola parte civile (OMISSIS), unica persona offesa del reato di percosse; ed altresi’ condannato l’imputata alla rifusione delle spese in favore della medesima parte civile, liquidate in Euro 900.
2. Contro l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, che ha formulato cinque motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo contempla il vizio di motivazione per contraddittorieta’ e manifesta illogicita’, e comunque violazione di legge in relazione all’articolo 581 c.p. in riferimento gli articoli 52 e 55 c.p.. Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa, o, quanto meno, in forma putativa o ancora, in via ulteriormente gradata, dell’ipotesi dell’eccesso colposo, e censura al riguardo la pronuncia anche in punto di motivazione, assumendo, in buona sostanza, che si sia dato maggior credito alla versione della persona offesa rispetto a quella dell’imputata, che ha riferito che la sorella le aveva messo le mani al collo e di avere quindi agito al solo fine di divincolarsi e liberarsi dalla presa, nonostante, peraltro, tale ricostruzione rinvenisse riscontri nelle dichiarazioni convergenti del figlio della stessa, oltre che nelle immagini del DVD acquisito agli atti, che ritraggono le parti civili in atteggiamenti particolarmente aggressivi nei confronti degli originari imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). Lamenta, in particolare, che il giudice ha ritenuto giustificata solo la reazione della parte civile (OMISSIS) in quanto provocata dal fastidio arrecato dai filmati posti in essere dal sig. (OMISSIS). Conclude che risulta invece palese che la condotta ascritta alla (OMISSIS) sia stata posta in essere in presenza della causa di giustificazione della legittima difesa ex articolo 52 c.p., sussistendo gli estremi del pericolo attuale di un’offesa ingiusta, che avrebbe indotto l’imputata a reagire per difendere la propria incolumita’.
2.2. Speculare censura viene mossa dal ricorrente sotto il profilo della mancata valutazione della memoria difensiva, regolarmente depositata, in cui si era invocata l’applicazione della causa di giustificazione della legittima difesa ovvero la ricorrenza dell’eccesso colposo, e, sul presupposto che essa sia stata ignorata dal giudice, si ritiene integrata la nullita’ di cui all’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera C), sotto il profilo della compromissione del diritto di difesa, leso per omessa valutazione del contenuto della memoria.
2.3. Il terzo motivo di ricorso verte sulla mancata pronuncia della non punibilita’ ai sensi del Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, ovvero di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto ex articolo 131 bis c.p., a seconda che si ritenga applicabile l’una o l’altra ipotesi, trattandosi di reato di competenza di giudice di pace, facendo leva sull’occasionalita’ ed il grado di colpevolezza ovvero sulle modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo.
2.4. Col quarto motivo s’invoca pronuncia di estinzione del reato a seguito di condotta riparatoria ex articolo 162 ter c.p.p., offrendosi un’interpretazione della norma che consente di giungersi a tale declaratoria anche nel procedimento in Cassazione, rispetto al quale sarebbe da ritenersi preclusa unicamente la sospensione del procedimento, atteso che l’indicazione relativa “ai processi in corso” avrebbe una portata di per se’ omnicomprensiva, non sussistendo alcun dato sistematico tale da escludere da tale locuzione il richiamo al giudizio di legittimita’. Pertanto, a fronte del controverso, o meglio tuttora assente, panorama giurisprudenziale in ordine alle modalita’ di formulazione di condotte riparatorie nel giudizio di legittimita’ (qualora le stesse fossero ritenute esperibili), si anticipa la volonta’, in estremo subordine, di formulare un’offerta reale ex articolo 162 ter c.p., con riserva di perfezionamento all’udienza fissata per la celebrazione del giudizio davanti la Corte, in attesa di conoscere le concrete modalita’ attuative che nelle more del giudizio si confida verranno espresse dalla giurisprudenza di legittimita’ (cosi’ testualmente in ricorso).
2.5 Il quinto motivo concerne vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta’ e illogicita’, in punto di statuizioni civili, ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 187 c.p., comma 2 o comunque inosservanza delle norme processuali in relazione all’articolo 541 c.p.p., comma 1, in ordine alla condanna dell’imputata in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile per il primo grado. Si lamenta che la Corte d’Appello, dopo avere assolto i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) dal capo l) dell’imputazione, rideterminando la pena per la (OMISSIS) nella misura di Euro 200,00 di multa, revocato tutte le statuizioni civili a carico del sig. (OMISSIS), ridotto la condanna al risarcimento dei danni a carico di (OMISSIS) ad Euro 500,00 in favore della sola parte civile (OMISSIS), l’aveva condannata alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza della sola parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 900,00, oltre accessori di legge, senza alcun altra specificazione. Si lamenta che quindi non si comprenderebbe se la liquidazione delle spese di difesa della parte civile, determinate in Euro 900,00, sia riferibile al solo secondo grado di giudizio ovvero comprenda anche il primo, tenuto anche conto che la Corte pronunciava conferma nel resto. Indi conclude che la locuzione potrebbe avere il significato per cui la rifusione delle spese di assistenza e di rappresentanza della parte civile in primo grado debba rimanere invariata, ma se cosi’ fosse, risulterebbe confermata (a questo punto per mero errore e/o dimenticanza) la condanna degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido fra loro, a complessivi Euro 6.000,00 e cio’ nonostante l’esclusione di qualsivoglia profilo di responsabilita’ ascrivibile al marito; e comunque la condanna della (OMISSIS), attualmente unica imputata del reato ex articolo 581 c.p., a Euro 6.000,00 a titolo di spese del difensore della parte civile per il primo grado sarebbe eccessiva (che’ evidentemente erano state determinate in tale ingente somma dal giudice di primo grado a fronte della verosimile corposa attivita’ svolta dal legale per seguire le diverse posizioni processuali in ordine ai fatti contestati al capo l), che contemplava diverse persone offese poi costituitesi parti civili e che risultano, pertanto, ora, del tutto sproporzionate ed ingiustificate se riferite al solo residuo capo 2). Conclude che tale “stortura” non puo’ che essere censurabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ in parte inammissibile ed in parte infondato per i motivi di seguito specificati.
1.1. Il primo motivo di ricorso, ovvero quello che avversa la sentenza, sia per contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, che per erronea applicazione della legge penale, sotto il profilo della violazione dell’articolo 581 c.p. in riferimento agli articoli 52 e 55 c.p.p.., e’ inammissibile perche’ versato in fatto e tendente a proporre una propria, alternativa ricostruzione delle risultanze istruttorie, nonche’ aspecifico. Nel solco della giurisprudenza delle Sezioni Unite (cfr. le motivazioni di Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe’, Rv. 249651) deve, infatti, osservarsi che il motivo che pretende di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito e’ inammissibile perche’ diretto ad ottenere dalla Corte di legittimita’ un giudizio di fatto che e’ estraneo ai suoi compiti. Le deduzioni articolate nel ricorso, non solo non rilevano alcuna necessaria “macroscopica evidenza”, sono, piuttosto, dirette a proporre una diversa interpretazione/valutazione/valorizzazione delle dichiarazioni rese dall’imputata e da suo figlio, senza offrire neppure un decisivo contributo chiarificatore, disarticolante rispetto alle conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito – i quali hanno ben evidenziato come la condotta nel complesso tenuta dall’imputata sia stata, in buona sostanza, caratterizzata da una marcata volonta’ di reagire rabbiosamente alle rimostranze della sorella -, di talche’, esse, non possono integrare la censura consentita ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e). La pronunzia della Corte distrettuale – integrata dalla motivazione della decisione di primo grado – presenta, invero, una motivazione esente da vizi logici e giuridici, laddove il Giudice di appello ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, enunciandole anche in riferimento ai motivi di appello articolati al riguardo della legittima difesa, sottolineando come le emergenze processuali avessero provato la condotta contestata all’imputata al capo 2, ed escluso la ricorrenza della legittima difesa, e di conseguenza, – deve ritenersi -, di ogni altra possibile ipotesi scriminante, quale la legittima difesa putativa e l’eccesso colposo; ed invero, in sede di legittimita’, non e’ censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Caniello ed altri, Rv. 256340; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005 – dep. 13/01/2006, Mirabilia, Rv. 233187); sicche’, alla stregua del criterio indicato, va riconosciuto che, attraverso una valutazione globale, e non parcellizzata come propone il ricorrente, delle risultanze istruttorie e delle deduzioni difensive, il giudice censurato ha spiegato, in modo logico e adeguato, rimandando indirettamente anche alla condivisa pronuncia di primo grado per la ricostruzione della vicenda sulla base delle contrapposte versioni dei protagonisti, le ragioni per le quali ha ritenuto che il morso inferto costituisse condotta integrante il reato – non scriminabile – di percosse.
Invero, in sentenza, si evidenzia, altresi’, che la deduzione difensiva, secondo cui l’imputata avrebbe reagito all’aggressione di (OMISSIS) e quindi agito in stato di legittima difesa, viene fondata sulle dichiarazioni rese dalla stessa signora (OMISSIS) e dal figlio, coimputato, (OMISSIS), e che essa non si confronta in alcun modo con la motivazione del Tribunale, che, invece, ha valorizzato le dichiarazioni della p.o. e della teste (OMISSIS). La Corte osserva che, pacificamente, l’imputata (OMISSIS) ha ferito con un morso il braccio di (OMISSIS), e, con motivazione che non manifesta in maniera evidente alcuna illogicita’, afferma che il dato rende inverosimile la versione dei fatti fornita da (OMISSIS) e dal figlio (OMISSIS): entrambi hanno sostenuto che l’imputata avrebbe reagito a fronte della iniziativa aggressiva di (OMISSIS) che aveva stretto con le mani il collo di (OMISSIS). Indi argomenta, che all’evidenza, la difesa, a fronte di una azione di stretta al collo, avrebbe dovuto al piu’ consistere nell’allontanamento delle mani dell’aggressore, dovendosi ritenere proprio impossibile difendersi da quel tipo di aggressione, dando un morso al braccio (dal momento che sono le mani ad essere libere in una siffatta circostanza). Va anche ricordato al riguardo che La Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile col senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento, con la conseguenza che la carenza o illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. Nel caso di specie la Corte distrettuale conclude che va dunque condiviso il giudizio del Tribunale che ha ritenuto che l’imputata (OMISSIS) avesse morsicato la sorella (OMISSIS) mentre questa protestava per le riprese con telecamera operate dal cognato, e dunque al di fuori di qualsiasi situazione di difesa. D’altronde, osserva questa Corte, lo stesso ricorrente adduce a riscontro della circostanza le riprese video, dalle quali, per sua stessa ammissione, emergerebbero pero’ solo atteggiamenti piuttosto aggressivi delle parti civili; comportamenti evidentemente qualificati come protesta dal tribunale, atteso il contesto in cui si inserivano, innescato dalla presenza di telecamere, riconducibili anche all’imputata.
Donde devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. E riguardo al caso di specie, premesso che, in ogni caso, l’ammettere o l’escludere l’esistenza della legittima difesa o dell’eccesso colposo costituisce un giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimita’, quando gli elementi di prova, accertati e valutati dal giudice di merito siano posti in esatta relazione con la norma di diritto (Sez. 5, n. 8583 del 10/04/1981 – dep. 06/10/1981, Luppino, Rv. 15034001), come nel caso di specie, di talche’ non sussiste neppure il vizio denunciato sotto il profilo della violazione di legge, va da se’ che, se non e’ giuridicamente prospettabile l’esimente della legittima difesa, non e’, concettualmente, ipotizzabile neppure l’eccesso colposo. Come e’ ovvio, l’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicche’, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione “ex ante”, e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’articolo 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005 – dep. 15/12/2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 23335201). Ed invero, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, poiche’ il presupposto su cui si fondano sia l’esimente della legittima difesa che l’eccesso colposo e’ costituito dall’esigenza di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, l’eccesso colposo si distingue per un’erronea valutazione del pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati: ne deriva che, una volta esclusa la scriminante per l’inesistenza di una offesa dalla quale difendersi, non v’e’ spazio per la configurazione di un eccesso colposo, sicche’ non vi e’ neppure obbligo per il giudice di una specifica motivazione sul punto, pur se l’eccesso colposo sia espressamente prospettato dalla parte interessata (Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008 – dep. 21/01/2009, Olari e altri, Rv. 24234; Sez. 1, n. 740 del 04/12/1997 – dep. 21/01/1998, Mendicino ed altro, Rv. 20945201).
1.2. Di qui l’inammissibilita’ anche del secondo motivo di ricorso – quello afferente la nullita’ per omessa valutazione delle deduzioni contenute nella memoria difensiva – non potendosi in alcun modo giungere ad affermare che non sia stata letta detta memoria, ne’ che non siano state in alcun modo considerate le ulteriori deduzioni afferenti l’invocata applicazione degli articoli 52 e 55 c.p., alla luce di tutto quanto sopra evidenziato.
1.3. Quanto alla invocata applicazione della causa di esclusione della punibilita’ ex articolo 131 bis c.p. occorre premettere che secondo l’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione, che questo collegio ritiene di condividere per i motivi su cui esso si fonda, tale causa non puo’ essere dedotta per la prima volta in cassazione, se tale disposizione – come nel caso di specie – era gia’ in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3, (cfr. per tutte, Sez. 3, Sentenza n. 23174 del 21/03/2018; Sez. 6, Sentenza n. 7606 del 16/12/2016 Ud. (dep. 17/02/2017); Sez. 5, Sentenza n. 57491 del 23/11/2017 Ud.). Ne’ potrebbe condurre a diversa conclusione quanto statuito dalla Sez. U, nella Sentenza n. 13681 del 25/02/2016 (cfr. altresi’ Sez. U., n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595; Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308), che ha affermato il seguente principio di diritto: ” In tema di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, di cui all’articolo 131-bis c.p., quando la sentenza impugnata e’ anteriore alla entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di legittimita’ va ritenuta o esclusa senza rinvio del processo nella sede di merito e se la Corte di cassazione, sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione, riconosce la sussistenza della causa di non punibilita’, la dichiara d’ufficio, ex articolo 129 c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell’articolo 620 c.p.p., comma 1, lett l)”, avendo tale pronuncia, col correlato principio espresso, ad oggetto il diverso caso della sopravvenuta vigenza della legge introduttiva della causa di non punibilita’ rispetto alla pronuncia impugnata. Ed invero, per giungersi alla corretta conclusione, non si puo’ prescindere dalla riconosciuta natura atipica della menzionata “speciale causa di non punibilita’” come rubrica l’articolo 131 bis c.p.. Questa corte di legittimita’ ha gia’ affermato che la particolare tenuita’ del fatto costituisce una causa di non punibilita’ atipica (Sez. 3, n. 21014 del 07/05/2015, Fregolent, non mass.) per gli effetti negativi che produce per l’imputato (anzitutto la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi ed, ancora, l’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale) e la sua applicazione presuppone, tra l’altro, l’accertamento della responsabilita’ penale ossia l’accertamento dell’esistenza del reato e della sua attribuibilita’ all’imputato. Cio’ posto, a ben vedere, l’indirizzo minoritario formatosi sulla scia di alcune pronunce e soprattutto dei dictat delle Sezioni Unite, secondo cui la causa di esclusione della punibilita’ puo’ essere, in ogni caso, rilevata anche d’ufficio nel giudizio di legittimita’, (Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016, Curia, Rv. 269164, Sez. 3, n. 6870 del 28/04/2016, Fontana, Rv. 269160), non e’ condivisibile poiche’ fondato su una parziale lettura di quanto affermato da S. U., n. 13681 del 25 febbraio 2016, Tushaj, e da S.U., n. 13682 del 25 febbraio 2016, Coccimiglio (che le sentenze richiamano a fondamento della decisione), dal momento che in motivazione, le menzionate decisioni assunte dalla Corte di cassazione, nella sua massima espressione, hanno espressamente ancorato la rilevabilita’ d’ufficio della causa di esclusione della punibilita’ nel giudizio di legittimita’ all’obbligo di applicazione della lex mitior sopravvenuta e, dunque, presuppongono che la sentenza impugnata sia anteriore alla entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28. Il principio in esse espresso e’ in diretta derivazione del principio dell’applicazione della legge piu’ favorevole, laddove nel caso in scrutinio, la sentenza impugnata e’ stata emessa in data 15.6.17 e, dunque, successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28. Ne discende che, non avendo il ricorrente chiesto l’applicazione di tale istituto nei motivi di appello e neppure sollecitato nulla al riguardo in sede di conclusioni del giudizio di secondo grado, pur avendo potuto avanzare legittima richiesta in tal senso, essendo la norma gia’ entrata in vigore, il ricorso sul punto non puo’ trovare accoglimento, ostandovi il disposto di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 3.
1.4. Il quarto motivo di ricorso trova adeguata risposta alla luce del dettato normativo e della giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che la richiesta di applicazione della causa di estinzione del reato per la riparazione del danno, prevista dall’articolo 162-ter c.p., introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, puo’ essere formulata anche nel giudizio di legittimita’, ferma l’esclusione, in tal caso, della possibilita’ di chiedere la fissazione di un termine per provvedere alla condotta riparatoria (sez. 5, Sentenza n. 8182 del 22/11/2017 Ud. (dep. 20/02/2018) Rv. 272433, in motivazione la Corte ha chiarito che, in sede di legittimita’, l’applicazione di detta causa estintiva puo’ essere richiesta sulla base di documentazione comprovante l’esistenza di condotte riparatorie gia’ perfezionatesi). Pur a volersi ritenere pacifico che la causa di estinzione invocata dal ricorrente possa trovare ingresso nel giudizio di legittimita’ – essendo stata in una decisione di questa Corte messa in discussione questa stessa evenienza, assumendosi che la disposizione di cui all’articolo 162-ter c.p., che “ricalcherebbe” quella di cui al Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 35, per i procedimenti davanti al giudice di pace, non e’ applicabile al giudizio di legittimita’, “dovendo la condotta riparatoria essere valutata dal giudice di merito, sentite le parti”, cosi’ Sez. 4, n. 18410 del 28/03/2018, Cobo, non mass.) -, occorre comunque che le condotte riparatorie siano state gia’ eseguite nel corso del giudizio di merito (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 26285 del 04/05/2018 Ud., secondo cui la causa di estinzione del reato di cui all’articolo 162-ter c.p. e’ applicabile anche ai processi pendenti in sede di legittimita’ al momento di entrata in vigore della relativa disciplina purche’ le condotte riparatorie siano state gia’ eseguite nel corso del giudizio di merito). Ed invero, la disposizione appena indicata, in sintesi, prevede che il giudice, “sentite le parti e la persona offesa”, dichiara estinto il reato per condotte riparatorie, sempre che si versi in ipotesi di procedibilita’ a querela soggetta a remissione, “quando l’imputato ha riparato interamente (…) il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato”. La medesima disposizione, inoltre, dispone che il risarcimento del danno puo’ essere riconosciuto anche se effettuato mediante offerta reale formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, se il giudice ritenga l’offerta congrua, e che, a determinate condizioni, il giudice puo’ fissare un termine per consentire all’imputato di provvedere al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento; fissazione del termine non compatibile col giudizio in Cassazione. Tale impostazione deriva dal tenore letterale e sistematico delle norme. Precisamente, la L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 2, entrata in vigore il 3.8.2017, stabilisce il seguente regime transitorio: “2. Le disposizioni dell’articolo 162-ter c.p., introdotto dal comma 1, si applicano anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e il giudice dichiara l’estinzione anche quando le condotte riparatorie siano state compiute oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.”. Il comma 3, primo periodo, poi, statuisce: “3. L’imputato, nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimita’, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, puo’ chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato, a norma dell’articolo 162-ter c.p., introdotto dal comma 1.”. Indi, deve convenirsi che a fronte del tenore di tali disposizioni ci si potrebbe al piu’ chiedere se per processo in corso alla data di entrata in vigore della presente legge deve intendersi anche il giudizio pendente davanti alla Corte di cassazione, ma non si puo’ in alcun modo dubitare che l’esclusione di cui al comma 3, primo periodo, che espressamente stabilisce che l’imputato puo’ chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato, a norma dell’articolo 162-ter, comma 1, nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimita’, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, non puo’ che avere il significato di rendere impraticabile in sede di legittimita’ la richiesta di detto termine.
Residua(va) pertanto al piu’ unicamente la possibilita’ di chiedere il riconoscimento della causa estintiva sul presupposto di produrre, all’udienza fissata davanti a questa Corte, la prova dell’offerta reale, costituente una delle modalita’ con cui puo’ intervenire la condotta riparatoria, circostanza comunque non intervenuta.
1.5. Quanto al quinto motivo, occorre premettere, al fine di giungersi al corretto inquadramento della decisione in punto di statuizioni civili (che merita senz’altro delle precisazioni), che il regime adottato dal codice di procedura penale in tema di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile costituita e’ fondato, attesa la pertinenza della statuizione in esame ad una domanda privatistica innestata nel giudizio penale, sul criterio di soccombenza, operando l’articolo 541 c.p.p., comma 1, in analogia con quanto disposto all’articolo 91 c.p.c.ed essendo ammessa, in analogia altresi’ all’articolo 92 c.p.c., comma 2, la possibilita’ di disporre la compensazione (parziale o totale) delle spese, quando ricorrano giusti motivi, prevista dall’ultima parte del citato articolo 541 c.p.p., comma 1. E’ con cio’ pienamente applicabile nella materia il principio espresso dalle Sezioni civili di questa Corte, secondo cui il giudice di appello nel caso di accoglimento anche parziale dell’impugnazione puo’ modificare la decisione di primo grado sulle spese giudiziali anche in difetto di specifico gravame, ma non e’ tenuto ad emanare tale pronuncia, e ben puo’ confermare la ripartizione delle spese compiuta dal primo giudice, purche’ conforme, in ogni caso, ai principi generali sulla soccombenza (tra molte: Sez. 1, Sentenza n. 4158 del 04/04/1992 Corrias c. Frau ed altri). Nel medesimo senso si sono peraltro espresse le Sezioni Unite penali (Sentenza n. 6402 del 30/04/1997 Dessimone) che, in situazione nella quale il ricorrente lamentava la condanna alla rifusione delle spese di parte civile, pur in presenza di una parziale riforma della sentenza, avevano infatti affermato che il motivo era “privo di fondamento”, giacche’ la sentenza impugnata aveva comunque fatto discendere dal permanere della condanna per uno dei reati contestati la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale della parte civile. E testualmente hanno affermato: “E’ ben vero che nella sostanza la posizione di quest’ultima risulta ridimensionata, rispetto alle statuizioni adottate in primo grado, tuttavia non sussiste la dedotta violazione dell’articolo 541 c.p.p., comma 1, posto che il parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato non elimina la condanna, sicche’ (pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese processuali) e’ consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile (cfr. Cass. 3, 20.11.1993, n. 10581), salvo che il giudice ritenga di disporre, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge non censurabile in sede di legittimita’ (cfr. Cass. 3, 31.8.1994 n. 9344), a meno che la decisione sia basata su ragioni palesemente illogiche (mentre nella specie il giudice di secondo grado ha implicitamente considerato prevalente la soccombenza dell’imputato, secondo il criterio gia’ richiamato)”. Cosi’ ancora, e’ stato affermato da questa Corte che la violazione del principio della soccombenza, in ordine al regolamento delle spese da parte del giudice di merito, deve ravvisarsi soltanto nella ipotesi in cui l’imputato sia totalmente vittorioso, nel senso che lo stesso sia stato assolto con formula preclusiva dell’azione civile, mentre e’ legittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese verso la parte civile quando la responsabilita’ sia confermata in appello ma la pena sia ridotta.
Sicche’ anche nel caso in esame puo’ dunque affermarsi che la Corte d’appello ha non illogicamente implicitamente considerato prevalente, sia per il primo che per il secondo grado la soccombenza dell’imputata nei confronti della (OMISSIS), l’unica parte civile vittoriosa anche in secondo grado (in cui – si rammenta – e’ intervenuta l’assoluzione della odierna ricorrente solo per il capo 1 ovvero dal reato di cui all’articolo 660 c.p. con conferma della condanna per il reato di percosse con conseguente rideterminazione della pena); di talche’ la corte correttamente ha condannato (OMISSIS) al pagamento delle spese di assistenza e rappresentanza della sola parte civile (OMISSIS), liquidandole – per l’inerente grado di giudizio di appello – in complessivi Euro 900 (laddove il risarcimento del danno veniva (ri)determinato in Euro 500); e ha confermato nel resto la pronuncia di primo grado, quindi, deve intendersi, anche con riferimento alla condanna alle spese della (OMISSIS) in favore della (OMISSIS), limitatamente – ovviamente – alla quota stabilita a suo carico e in favore della sola (OMISSIS) (Euro 1200). Quanto alle statuizioni civili di primo grado, la Corte, in conseguenza dell’assoluzione di (OMISSIS) e della (OMISSIS) dal reato di molestie, ha disposto la revoca di tutte le statuizioni civili a carico di (OMISSIS) (sia delle spese che del risarcimento del danno con conseguente venir meno della solidarieta’), ma deve intendersi ovviamente, implicitamente, revocata anche la condanna della (OMISSIS) al risarcimento del danno e alle spese in favore delle altre parti civili che a differenza della (OMISSIS) sono risultate totalmente soccombenti, ed in motivazione la Corte in realta’ lo ha precisato, avendo espressamente detto che l’imputata e’ tenuta alla rifusione delle spese sostenute dalla sola parte civile (OMISSIS) (alla quale evidentemente, quindi, spetta una liquidazione autonoma e non piu’ determinata in maniera cumulativa in considerazione delle altre posizioni); ed ha anche espressamente affermato che la liquidazione del danno dovesse essere rideterminata, considerato che si tratta di un unico fatto e in danno della sola parte civile (OMISSIS), ricorrendo a criteri equitativi, in Euro 500, al valore attuale: nonche’ statuito che “la sentenza impugnata va dunque parzialmente riformata nei termini indicati, con conferma nel resto”, ed infine che “L’imputata (OMISSIS) e’ tenuta alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza della sola parte civile (OMISSIS), liquidate come da dispositivo”.
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
3. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

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