Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 16 gennaio 2020, n. 1583
Massima estrapolata:
In tema di gestione dei rifiuti, ove i residui della produzione industriale siano ab origine classificati da chi li produce come rifiuti, gli stessi devono ritenersi sottratti alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti, in quanto la classificazione operata dal produttore esprime quella volontà di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come “rifiuti” in base all’art. 183, comma primo, lett. a) del D.L.vo n. 152/2006.
Sentenza 16 gennaio 2020, n. 1583
Data udienza 30 ottobre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/01/2019 del Tribunale di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Canevelli Paolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, avv. (OMISSIS) del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) del foro di Torino, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Torino condannava (OMISSIS) alla pena di 4.000 Euro di ammenda in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a) per aver effettuato il trasporto di rifiuti non pericolosi (costituiti da scarti plastici provenienti dalla (OMISSIS) srl) in assenza della prescritta autorizzazione.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, lettera a) e articolo 184-bis. Assume il ricorrente che la motivazione sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto che il materiale plastico di cui al capo imputazione sia da qualificarsi come “rifiuto” anziche’ come “sottoprodotto”. Nel riprendere, riportandole testualmente nel corpo del ricorso, le cadenze argomentative della sentenza di questa Corte, Sez. 3, n. 40109/2015 – che, si sostiene, affronterebbe un caso sovrapponibile a quello in esame – secondo il ricorrente l’imputato agiva all’interno di un sistema chiuso, partecipando alla gestione degli sfridi per come prodotti dalla (OMISSIS) srl, la quale, nell’ambito della propria normale pratica industriale, tritura tali sfridi e li reimmette nel ciclo produttivo per stampare paraurti per automobili; nondimeno, non potendo accatastare grandi volumi di sfridi presso i propri stabilimenti, la (OMISSIS) esternalizza le operazioni di riduzione di volume, triturazione e riduzione in granuli alla (OMISSIS) srl, la quale riconsegna gli sfridi, ridotti di volume, alla (OMISSIS), operazione a cui era preposto l’imputato, il quale, pertanto, trasportava materiale che sin dall’origine e’ da considerarsi “sottoprodotto” e, dunque, viaggia con documento di trasporto.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) in ordine alla definizione di rifiuto del materiale plastico in questione. Sostiene il ricorrente che la motivazione sarebbe contraddittoria e illogica nella parte in cui ha ritenuto che gli sfridi rappresentino uno scarto di produzione, e quindi un rifiuto, sebbene poi si sia affermato che gli sfridi, una volta ridotti in granuli da (OMISSIS), sono riconsegnati alla (OMISSIS), che nuovamente li utilizzava nella produzione. Il Tribunale, inoltre, ha omesso di considerare le risultanze desumibili dai documenti di trasporto, da cui emerge la natura e la tipologia della “plastica” prima e dopo il passaggio in (OMISSIS). La motivazione sarebbe percio’ illogica, laddove il Tribunale ha ravvisato il reato in esame, ritenendo non raggiunta la prova in ordine al riutilizzo integrale dei materiali provenienti da (OMISSIS), in quanto, in assenza di accertamenti sul materiale sequestrato e alla luce delle considerazioni svolte dal consulente di parte, l’imputato ha invece fornito la prova che egli trasportava il medesimo materiale che ritornava in (OMISSIS) sotto forma di granulo, come emerge dai documenti di trasporto, che, appunto, attestano la natura e la quantita’ del materiale trasportato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I due motivi di ricorso, strettamente connessi e quindi esaminabili congiuntamente, sono infondati.
2. Va premesso – dato non contestato – che il 10/02/2016 personale dell’Arpa, presso l’azienda (OMISSIS) srl, societa’ rappresentata dall’ (OMISSIS) e avente ad oggetto il trasporto per conto terzi di merci (ma non di rifiuti, ne’ tantomeno il loro trattamento), rinvenne una grande quantita’ di materiale dismesso di varia natura (scatole contenenti sfridi di plastica, materozze e parti di plastica per autovettura, sfridi di plastica gia’ macinati, legno e imballaggi, una carcassa di un’autovettura) privo di etichettatura e detenuto alla rinfusa nel piazzale e nel magazzino della ditta. Nell’immediatezza, l’ (OMISSIS) non fu in grado di offrire alcuna documentazione, salvo poi consegnare alcuni DDT, dai quali pero’ non si poteva individuare chiaramente non solo la natura, ma anche il riferimento al materiale detenuto, non corrispondendo le quantita’ indicate a quelle rivenute in loco, e la tracciabilita’ della provenienza, essendo detto materiale detenuto alla rinfusa e privo di etichettatura.
3. Orbene, la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui gli sfridi sarebbero da classificarsi come sottoprodotto, non si confronta con un dato dirimente, ossia che sono stati classificati come scarto di lavorazione, come affermato dagli operanti e dal consulente della difesa; da cio’ il Tribunale ha logicamente dedotto che gli sfridi non possono che reputarsi rifiuti, ovvero materiali non utili dei quali il produttore intende disfarsi.
Il Tribunale ha percio’ fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di gestione dei rifiuti, ove i residui della produzione industriale siano ab origine classificati da chi li produce come rifiuti, gli stessi devono ritenersi sottratti alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti, in quanto la classificazione operata dal produttore esprime quella volonta’ di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come “rifiuti” in base all’articolo 183, comma 1, lettera a), citato Decreto Legislativo (Sez. 3, n. 32207 del 11/07/2007 – dep. 07/08/2007, Mantini, Rv. 237136: fattispecie nella quale un produttore di vetro e prodotti vetrari aveva classificato residui della produzione costituiti da ritagli di PVB, oggetto di transazione commerciale, con il codice C.E.R. 20.01.39 identificativo dei “rifiuti in plastica”).
4. Va, in ogni caso, rammentato che il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 184-bis prevede cogenti condizioni, il cui concomitante rispetto sottrae una determinata sostanza o oggetto al regime dei rifiuti rendendo invece applicabile la disciplina prevista per i sottoprodotti; in particolare, occorre che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: “a) la sostanza o l’oggetto e’ originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e’ la produzione di tale sostanza od oggetto; b) e’ certo che la sostanza o l’oggetto sara’ utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto puo’ essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo e’ legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non portera’ a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.
5. Trattandosi di una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, essendo causa di esclusione di responsabilita’ penale, grava sull’imputato la prova circa la sussistenza delle condizioni appena indicate, che definiscono la categoria di sottoprodotto (cfr. Sez. 3, n. 56066 del 19/09/2017 – dep. 15/12/2017, Sacco e altro, Rv. 272428).
6. Nel caso in esame, il Tribunale ha comunque escluso la sussistenza delle condizioni richieste dal Decreto Legislativo n. 20, articolo 184-bis non essendo stata fornita la prova in ordine al riutilizzo integrale dei materiali provenienti di (OMISSIS) e conferiti, tramite l’imputato, alla (OMISSIS), ne’ l’esatto tipo di trattamento cui venivano sottoposti presso la (OMISSIS).
7. Peraltro, la natura di sottoprodotto sarebbe stata agevolmente documentata anche e sopratutto sotto il profilo prettamente tecnico, involgendo, come e’ noto, le caratteristiche del ciclo di produzione, il successivo reimpiego, eventuali successivi trattamenti, la presenza di caratteristiche atte a soddisfare, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e l’assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. Ma di tale documentazione non vi e’ traccia nel ricorso e, prima ancora, nei dati probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Ne’, ovviamente, cio’ e’ desumibile dai DMT, pure allegati al ricorso ma in maniera non ordinata, in quanto, non solo non e’ stata accertata la corrispondenza dei detti documenti al materiale rinvenuto presso l’azienda, ma, ovviamente, essi non danno conto dei requisiti ora indicati, richiesti per la qualificazione di una sostanza come sottoprodotto.
8. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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