Ostacolare gli incontri tra padre e figlio

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 29 maggio 2019, n. 23830.

La massima estrapolata:

Eludere un provvedimento del tribunale significa frustrare, rendere vane le legittime aspettative dell’altro genitore, anche mediante una mera omissione, e che il genitore affidatario è tenuto a favorire, a meno che non sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, gli incontri tra il figlio e l’altro genitore, essendo entrambe le figure centrali per la crescita del minore: ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del minore.

Sentenza 29 maggio 2019, n. 23830

Data udienza 14 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. CRISCUOLO Anna – rel. Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/09/2018 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Anna Criscuolo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 3 marzo 2017 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che aveva dichiarato l’imputata colpevole del reato di cui all’articolo 388 c.p. – per avere eluso il provvedimento del Tribunale di S.M.C.V. dell’11 gennaio 2012, che affidava la minore alla madre, consentendo al padre (OMISSIS) il diritto di visita in giorni stabiliti presso i servizi sociali del comune di (OMISSIS), omettendo di condurre la bambina agli incontri programmati -.
Ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi:
1.1 erronea applicazione dell’articolo 388 c.p., comma 2, per non avere i giudici correttamente esaminato il contenuto del provvedimento eluso, che non attribuiva affatto il diritto di visita bisettimanale al padre.
Segnala che il giudice della separazione, preso atto dell’elevata conflittualita’ tra i coniugi, aveva disposto che i servizi sociali avviassero un percorso di mediazione in vista dell’affido condiviso, incaricandoli di trasmettere una relazione definitiva entro il primo giugno 2012 e di individuare un percorso di ripresa dei rapporti tra la minore e il padre mediante due incontri settimanali, rinviando la decisione all’udienza del 21 giugno 2012, udienza in cui non fu adottato alcun provvedimento di affido. L’unico provvedimento di affido era quello adottato in via d’urgenza il 10 marzo 2009, che affidava temporaneamente la minore alla madre, disponendo che il padre potesse vederla in forma protetta presso i servizi sociali, a causa della condotta violenta dello stesso; la sentenza di separazione del 2014 affidava nuovamente la minore alla madre, statuendo il diritto di visita del padre con cadenza bisettimanale presso i servizi sociali: pertanto, l’ordinanza dell’11 gennaio 2012, indicata nell’imputazione, non regolava l’affidamento della minore, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito;
1.2 nullita’ della sentenza per inosservanza di norme processuali, in particolare degli articoli 516 e 518 c.p.p. e difetto di motivazione, in quanto la Corte di appello non ha risposto sullo specifico motivo di censura relativo all’efficacia temporale del provvedimento eluso, nella specie cessata con la sentenza di separazione, con la conseguenza che dal 2014 in poi la ricorrente avrebbe violato un provvedimento del tutto nuovo e diverso rispetto all’ordinanza provvisoria, cosicche’ la ritenuta permanenza della condotta sino alla sentenza di primo grado e’ al di fuori della contestazione e viola l’articolo 522 c.p.p..
Si deduce, inoltre, che i giudici hanno ignorato la relazione in atti, dalla quale risulta che il (OMISSIS) in data 27 gennaio 2016 aveva rinunciato al percorso di mediazione familiare e all’incontro con gli psicologi ed il giorno dopo, presso i servizi sociali, aveva firmato un documento nel quale rinunciava ad incontrare la figlia: si sostiene quindi, che la condotta doveva ritenersi cessata al 21 giugno 2012, indicata nell’ordinanza dell’11 gennaio 2012, o non oltre la sentenza di separazione del 2014 e comunque, non oltre il 2016;
1.3 inosservanza dell’articolo 388 c.p. per mancanza dell’elemento psicologico e difetto di motivazione sotto il profilo del travisamento della prova per mancato esame della sentenza di divorzio, acquisita in appello.
La Corte di appello ha fondato l’elusione sul comportamento ostruzionistico della ricorrente, ma ha trascurato gli elementi di segno contrario indicati dalla difesa, confermati dalle dichiarazioni delle assistenti sociali circa la disponibilita’ della ricorrente ad accompagnare la figlia presso i servizi sociali nel 2009, dai certificati medici prodotti per giustificare l’assenza della minore, dallo stato di malessere manifestato dalla minore in occasione degli incontri con il padre, dall’inadeguatezza degli uffici quale luogo degli incontri, secondo le stesse assistenti sociali.
Evidenzia che la ricorrente non ha riferito il falso a carico del coniuge, condannato per lesioni cagionatele durante la gravidanza e gravato da precedenti per reati commessi con violenza, ma ha agito nell’interesse della minore e non in modo subdolo, come ritenuto dai giudici di appello, che hanno ignorato la sentenza di divorzio, nella quale si da’ atto che il (OMISSIS) non si e’ sottoposto agli accertamenti peritali e si e’ autoescluso dalla vita della minore.
Ne’ hanno tenuto conto della relazione della d.ssa (OMISSIS), in cui si da’ atto del disagio e dell’irrigidimento della minore in occasione degli incontri con il padre, percepiti come destabilizzanti, che confermano l’istinto protettivo della madre;
1.4 difetto di motivazione in ordine al diniego dei doppi benefici richiesti in appello e concedibili da questa Corte secondo quanto stabilito di recente dalle Sezioni Unite, avuto riguardo all’incensuratezza, alla pena mite inflitta ed alla limitata protrazione della condotta dal (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
I motivi articolati, che formalmente deducono violazioni di legge e vizi di motivazione, si fondano su una lettura selettiva ed orientata del materiale probatorio e su un elemento sopravvenuto (sentenza di divorzio), ritenuto decisivo, ma estraneo al perimetro della contestazione, trascurando che a questa Corte non e’ consentita la rilettura degli atti, ma solo la verifica della congruenza e non manifesta illogicita’ del percorso giustificativo della decisione e, nella fattispecie, la sentenza impugnata non incorre nei vizi denunciati, risultando motivata in modo congruo e lineare e resiste ai rilievi difensivi.
2. Infondato e’ il primo motivo con il quale si contesta l’interpretazione dell’ordinanza indicata nell’imputazione, risultando indubbio che sin dalla fase iniziale del procedimento civile nel 2009, con provvedimento temporaneo ed urgente, la neonata era stata affidata alla madre con diritto del padre di vederla in presenza dei servizi sociali per due volte a settimana e che con l’ordinanza indicata nell’imputazione il giudice istruttore aveva incaricato i servizi sociali di avviare un percorso che favorisse la ripresa del rapporto con il padre mediante due incontri settimanali oltre ad un percorso di mediazione familiare con incontri tra i coniugi per attenuare l’elevata conflittualita’ esistente.
A differenza di quanto sostiene il ricorrente, cio’ che rileva ai fini della configurabilita’ del reato contestato e’ che il provvedimento indicato imponesse un obbligo di fare, necessitante della collaborazione della madre della minore al fine di non pregiudicare il diritto del genitore non affidatario, cosicche’ non ha alcun rilievo la circostanza che l’ordinanza non disponesse l’affido della minore, trattandosi di verificare l’ottemperanza alle disposizioni del giudice, esclusa dai giudici di merito per la condotta ostruzionistica della ricorrente.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che eludere significa frustrare, rendere vane le legittime aspettative dell’altro genitore, anche mediante una mera omissione, e che il genitore affidatario e’ tenuto a favorire, a meno che non sussistano contrarie indicazioni di particolare gravita’, gli incontri tra il figlio e l’altro genitore, essendo entrambe le figure centrali per la crescita del minore: ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, puo’ avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalita’ del minore (Sez. 6, n. 1748 del 14/09/2017, dep. 2018, Rv. 27215501).
3. Analogamente infondato, oltre che generico, e’ il motivo con il quale si contesta la permanenza della condotta sino alla sentenza di primo grado e la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
La tesi, fondata sull’efficacia provvisoria dell’ordinanza del 12 gennaio 2012, superata dalla sentenza di separazione del 29 maggio 2014 e dal provvedimento emesso nel 2015 dal Tribunale di Napoli Nord nell’ambito del procedimento di divorzio, che avviava un nuovo percorso di mediazione tra i coniugi, interrotto il 27 gennaio 2016 per volonta’ espressa del (OMISSIS) (v. atto di appello), oltre ad inserire tale elemento, acquisito nel diverso procedimento di divorzio, ancora in corso al momento di proposizione dell’appello per ammissione della stessa difesa appellante, ancora l’eccezione a dati formali e non sostanziali, trascurando che anche nel ricorso si ammette che la sentenza di separazione prevedeva il diritto di visita bisettimanale per il padre. Cosicche’ del tutto correttamente, a fronte del previsto l’obbligo della ricorrente di consentire incontri protetti con il genitore non affidatario, i giudici di merito hanno ritenuto perdurante la violazione dell’obbligo, riportando a tal fine passaggi della sentenza, emessa dalla Corte di appello nel giudizio di separazione, nei quali si rimarcava il perdurante comportamento ostruzionistico della madre della minore.
Risulta, pertanto, infondato il motivo e insussistente la dedotta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, che si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneita’ o di incompatibilita’ sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 Carelli, Rv. 248051-01; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015,dep. 2016, Addio e altri, Rv. 265946-01), il che nella fattispecie non e’, risultando l’accusa contestata in rapporto di perfetta compatibilita’ con il contenuto della sentenza.
4. Anche il terzo motivo, con il quale si deduce l’assenza di dolo ed il travisamento della prova per mancata valutazione della sentenza di divorzio, e’ infondato, in quanto contrappone alla valutazione conforme dei giudici di merito una lettura alternativa del materiale probatorio, supportata da elementi tratti dalla sentenza di divorzio, emessa il 21 marzo 2018, prodotta solo all’udienza di discussione in appello in sede di conclusioni, non oggetto di precedente valutazione in contraddittorio, cosicche’ e’ indeducibile il vizio di travisamento della prova.
La ricorrente e’ stata condannata nei due gradi di giudizio con motivazione conforme e cio’ delimita l’ambito di deducibilita’ del vizio dedotto, atteso che per costante orientamento giurisprudenziale il travisamento della prova in caso di doppia conforme affermazione di responsabilita’ puo’ essere dedotto sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L. e altro, Rv. 272018 – 01).
I giudici di merito hanno invece, concordemente fondato la valutazione sulla condotta della ricorrente, ritenuta elusiva dell’ordinanza del giudice della separazione in base alle dichiarazioni rese dalle assistenti sociali, precisando una circostanza, del tutto trascurata nel ricorso, ovvero che gia’ nel 2009 la ricorrente non era stata piu’ disponibile a favorire incontri tra la minore ed il padre, che non si era disinteressato della figlia, ma si era allontanato a causa di un incidente stradale, che ne aveva comportato il ricovero per oltre un anno e mezzo (v. pag. 6 sentenza di primo grado e di secondo grado).
Ne’ pare trascurabile che proprio il (OMISSIS) avesse chiesto al giudice civile di riprendere gli incontri con la minore, autorizzati mediante incontri bisettimanali presso gli assistenti sociali, e che i controlli tossicologici, disposti a carico dello stesso su richiesta della ricorrente, risultarono negativi: elemento anche questo trascurato nel ricorso, sebbene il giudice di primo grado avesse sul punto sottolineato il riscontro negativo degli esami effettuati nel 2009 durante il periodo di ricovero.
Trascurato nel ricorso e’ anche il rilievo attribuito in entrambe le sentenze alla circostanza che il primo incontro del 2 febbraio 2012 fu rinviato a causa dell’assenza della (OMISSIS), che aveva comunicato che non avrebbe portato la minore agli incontri se non dopo il versamento dell’assegno di mantenimento; che dopo due incontri ((OMISSIS)), nei quali si era instaurato un minimo rapporto tra il padre e la minore, non si erano svolti altri incontri o per indisponibilita’ della minore, giustificata da certificati medici, o per l’atteggiamento della bambina, che, accompagnata dagli zii, aveva rifiutato di scendere dall’autovettura, stringendosi a loro ed iniziando a piangere e in data (OMISSIS) la ricorrente aveva comunicato di non essere piu’ disposta a favorire gli incontri tra il padre e la minore perche’ notava irrequietezza nella bambina.
I giudici di merito hanno evidenziato che le assistenti sociali avevano confermato che la ricorrente non era disponibile a favorire gli incontri tra il padre e la minore ed aveva comunque, deciso di interromperli, pur essendole stato ricordato l’obbligo di ottemperare ad un ordine del giudice; che anche l’assistente sociale (OMISSIS), incaricata di effettuare la mediazione familiare, aveva sottolineato l’esasperata conflittualita’ tra i coniugi e “indisponibilita’ della ricorrente alla mediazione a fronte dell’atteggiamento positivo del padre, interessato alla ripresa per tale via, del rapporto con la figlia; hanno, inoltre, rimarcato che l’atteggiamento ostruzionistico e manipolativo della madre sulla figlia era stato sottolineato sia nella sentenza di separazione di primo grado che in quella di appello, censurando la pessima condotta della madre, che aveva ostacolato sistematicamente il lavoro dei servizi sociali, impedendo la ripresa costruttiva dei rapporti tra padre e figlia.
Se pur deve darsi atto alla difesa dell’impossibilita’ di considerare pretestuosi i mancati accompagnamenti della bambina agli incontri programmati perche’ giustificati da certificati medici, della cui genuinita’ neppure la sentenza dubita, va evidenziato che al fine di dimostrare l’infondatezza della prospettazione difensiva i giudici di appello hanno sottolineato sia l’utilizzo solo di stralci delle dichiarazioni delle assistenti sociali, sia l’irrilevanza del luogo deputato agli incontri, non essendo questo elemento in grado di incidere sulla condotta della madre e sull’obbligo di consentire gli incontri tra la bambina e il padre; hanno altresi’, rimarcato che le assistenti avevano escluso condotte violente del padre, cui potesse attribuirsi la chiusura della bambina, la cui reazione, espressa dal pianto e dalla volonta’ di non staccarsi dalla madre, era da ascrivere secondo la loro valutazione alla condotta manipolativa della ricorrente.
Ne deriva la linearita’ del ragionamento dei giudici di merito in assenza di elementi oggettivi, giustificativi dei timori della ricorrente e dell’istinto protettivo materno, avendo i giudici chiarito in base alle dichiarazioni delle assistenti sociali che era la ricorrente a trasmettere alla minore tensione, sfociata in pianto, interpretabile come avversione agli incontri con il padre.
Ne deriva l’insostenibilita’ della prospettata sussistenza della scriminante dello stato di necessita’ per preservare l’equilibrio psicologico della minore.
5. Infondato e’ anche l’ultimo motivo, atteso che nell’atto di appello la richiesta di concessione dei doppi benefici era del tutto generica e minimamente argomentata (la richiesta si esauriva nella dicitura “benefici di legge nella massima estensione”), il che giustifica l’omessa motivazione sul punto (Sez. 2, n. 15930 del 19/02/2016, Moundi, Rv.266563 nella quale si precisa in linea con l’orientamento prevalente che “perche’ sussista l’obbligo di motivazione e’ necessario che la richiesta non sia generica, ma in qualche modo giustificata con riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della richiesta”).
Peraltro, il giudizio negativo espresso sulla personalita’ dell’imputata e sulla pervicacia della condotta protrattasi nel tempo, contenuto in sentenza, preclude a questa Corte di riformare sul punto la sentenza impugnata.
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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