Onorari avvocati e difesa di più persone

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 giugno 2022| n. 19581.

Onorari avvocati e difesa di più persone

In tema di onorari di avvocato, ove in una causa l’avvocato assista e difenda più persone, aventi la stessa posizione processuale, l’onorario dovuto a quest’ultimo (salvi gli aumenti consentiti dalle norme tariffarie) è unico e che tale criterio deve presiedere anche alla liquidazione, a carico del soccombente, del compenso spettante al difensore di più parti vittoriose con identica situazione processuale, in base al principio generale secondo cui il soccombente non può essere tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa più di quanto questa debba a sua volta versare al suo difensore (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata avendo la corte d’appello condannato la società ricorrente al pagamento delle spese processuali del secondo grado in favore tanto di un soggetto, quanto di un altro, liquidandone l’ammontare nella somma di € 9.515,00, oltre accessori, per ciascuno di essi, senza, tuttavia, verificare, in fatto, se tali parti, assistite dallo stesso difensore, avessero o meno, pur a fronte della distinta costituzione in giudizio, la stessa situazione processuale). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile II, sentenza 12 agosto 2010, n. 18624).

Ordinanza|17 giugno 2022| n. 19581. Onorari avvocati e difesa di più persone

Data udienza 21 aprile 2022. Onorari avvocati e difesa di più persone

Integrale

Tag/parola chiave Onorari avvocati – Difesa di più persone – Onorario unico – Liquidazione a carico del soccombente – Principio generale secondo cui il soccombente non può essere tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa più di quanto questa debba a sua volta versare al suo difensore – Cass. 18624/2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 201702/2021 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e:
(OMISSIS), in persona dell’avv. (OMISSIS), suo amministratore di sostegno, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonche’
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
(OMISSIS) E (OMISSIS);
– intimati –
avverso la SENTENZA n. 3844/2021 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 25/5/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO nell’adunanza in Camera di consiglio del 21/4/2022.

FATTI DI CAUSA. Onorari avvocati e difesa di più persone

1.1. La (OMISSIS) s.r.l., con atto di citazione notificato il 30.31/10/2014, ha proposto appello nei confronti della sentenza con la quale il tribunale, a parziale accoglimento della domanda proposta dalla stessa in via monitoria, aveva condannato, in solido, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento, in suo favore, della minor somma, rispetto a quella originariamente ingiunta, di Euro 38.702,12.
1.2. La societa’ appellante, in sostanza, ha lamentato che il tribunale, aderendo acriticamente e superficialmente alle conclusioni esposte dal consulente tecnico d’ufficio, aveva erroneamente ignorato la pregnanza probatoria del documento denominato “stato finale dei lavori” e l’atteggiamento tenuto dai suoi contraddittori, che non avevano specificamente impugnato le sue asserzioni, ed aveva erroneamente ricostruito lo stato dei pagamenti eseguiti dal condominio committente, avendo il consulente conteggiato un versamento che riguardava un terzo.
1.3. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.
1.4. La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che il tribunale, condividendo le conclusioni cui era giunto il consulente tecnico d’ufficio, avesse correttamente affermato, con statuizione che non era stata oggetto di una specifica impugnazione da parte dell’appellante, che dai lavori per i quali l’ (OMISSIS) s.r.l. aveva diritto al compenso, dovevano essere escluse tutte le opere che la societa’ attrice non aveva provato di aver concretamente eseguito: non potendo in tal senso valere, ha aggiunto la corte, l’asserita mancanza di contestazione dell’esecuzione dei lavori in questione ad opera delle controparti posto che, al contrario, il (OMISSIS) e la (OMISSIS) gia’ nell’opporsi al decreto ingiuntivo avevano, tra l’altro, dedotto che lo stato finale dei lavori non poteva assurgere a prova idonea di quanto richiesto solo perche’ firmato dai committenti sicche’, ha concluso la corte, non puo’ esservi alcun dubbio che incombeva sull’appellante l’onere di dimostrare di aver concretamente eseguito le opere per le quali ha chiesto il pagamento del corrispettivo.

 

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1.5. La corte, poi, ha ritenuto l’infondatezza del motivo con il quale l’appellante, invocando una diversa ricostruzione dei pagamenti ricevuti (e, in particolare, di quello di Euro 24.209,84), aveva evidenziato che non si sarebbe trattato di una duplicazione ma solo di un errore nella annotazione della data di quietanza, senza, tuttavia, fornirne alcuna prova concreta, non risultando, quindi, scalfita in alcun modo la precisa ricostruzione operata sul punto dal primo giudice, che ha recepito quanto accertato sul punto dal consulente tecnico d’ufficio.
1.6. La corte, quindi, ha rigettato l’appello di (OMISSIS) s.r.l. ed ha condannato la societa’ appellante al pagamento delle spese processuali del secondo grado in favore, tra l’altro, tanto del (OMISSIS), quanto della (OMISSIS), liquidandone l’ammontare, per ciascuno di essi, nella somma di Euro. 9.515,00, oltre accessori, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, e dei criteri dallo stesso indicati.
1.7. La (OMISSIS) s.r.l., con ricorso notificato il 16/7/2021, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 27/5/2021.
1.8. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorsi.
1.9. (OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimasti intimati.
1.10. La societa’ ricorrente ha depositato memoria.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE. Onorari avvocati e difesa di più persone

2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando il
malgoverno delle regole probatorie e l’erronea ripartizione degli oneri probatori, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la decisione assunta dal tribunale senza, tuttavia, considerare che, come emerge dal motivo d’appello articolato al riguardo, l’esistenza delle opere per le quali e’ stato escluso il diritto al compenso non era stata contestata dalle controparti se non in sede di operazioni peritali e che la societa’ appellante non aveva, pertanto, alcun onere di fornire la prova della loro esecuzione, accertata dal consulente tecnico d’ufficio ed ammessa dagli opponenti, spettando piuttosto a questi ultimi la prova dei relativi fatti impeditivi, come l’avvenuto pagamento delle opere realizzate dall’appellante o l’esecuzione delle stesse da parte di terzi, che, invece, non e’ stata fornita.
2.2. Il motivo e’ infondato. La ricorrente, in effetti, pur lamentando la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, ha finito, in sostanza, per censurare la ricognizione asseritamente erronea dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, li’ dove, in particolare, questi, ad onta delle presunte emergenze delle stesse (ed, in particolare, della mancata contestazione tempestiva da parte dei convenuti), hanno ritenuto che la societa’ attrice non aveva fornito in giudizio la prova dell’esecuzione di alcune delle opere delle quali aveva chiesto il compenso. La valutazione delle prove raccolte, pero’, anche se si tratta di quella asseritamente conseguente alla mancata contestazione dei fatti ex adverso dedotti (Cass. SU n. 2951 del 2016: “il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice puo’ sempre rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto”, tanto piu’ che “se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento… a fortiori cio’ vale per la valutazione della mancata contestazione”; Cass. SU n. 11377 del 2015, per cui “il mero difetto di contestazione specifica, ove rilevante, non impone in ogni caso al giudice un vincolo assoluto (per cosi’ dire, di piena conformazione), obbligandolo a considerare definitivamente come provata (e quindi come positivamente accertata in giudizio)” la fattispecie non contestata “in quanto il giudice puo’ sempre rilevare l’inesistenza del fatto allegato da una parte anche se non contestato dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto”), costituisce un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio, nel caso in esame neppure invocato come tale, consistito, come stabilito dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o piu’ fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia. Rimane, peraltro, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si e’ formato, a norma dell’articolo 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilita’ delle fonti di prova acquisite in giudizio. Nel quadro del principio, espresso nell’articolo 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), infatti, il giudice civile ben puo’ apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e cosi’ escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti (Cass. n. 11176 del 2017). La valutazione delle risultanze delle prove, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011).

 

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2.3. Il compito di questa Corte, d’altra parte, non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual e’ reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, e’ accaduto nel caso in esame. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ha escluso, con motivazione tutt’altro che apparente, contraddittoria o perplessa, che la societa’ attrice avesse dimostrato in giudizio la concreta esecuzione di alcune delle opere delle quali aveva chiesto il compenso. Ed una volta escluso, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioe’, a norma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5), per omesso esame di una o piu’ circostanze sul punto decisive, che l’appaltatore che ha agito in giudizio per conseguire il compenso delle opere eseguite, abbia fornito la prova dell’esecuzione di alcune di esse, non si presta, evidentemente, a censure, tanto meno per violazione dell’articolo 2697 c.c., la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioe’ il rigetto, relativamente a queste ultime, della domanda di pagamento proposta. La violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c., del resto, si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando, come invece pretende la ricorrente, la censura abbia avuto ad oggetto la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, li’ dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che e’ sindacabile, in sede di legittimita’, entro i ristretti limiti previsti dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).

 

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2.4. D’altra parte, il principio di non contestazione, “… con conseguente relevatio dell’avversario dall’onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte e tenuta a prendere posizione” (Cass. n. 3023 del 2016); e cio’ in quanto “il sistema di preclusioni del processo civile… e di avanzamento nell’accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti suppone che la parte che ha l’onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato e analitico, cosi’ che l’altra parte abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle, ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse” (Cass. n. 21847 del 2014). Ribadito, pertanto, che l’onere di specifica contestazione ad opera della parte costituita presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto specifica ad opera della parte onerata della prova (Cass. n. 22055 del 2017), ritiene la Corte che il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione, non possa prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata (o, al contrario, come nel caso in esame, escluso la) non contestazione negata (o, al contrario, invocata) dal ricorrente, quanto meno nella misura necessaria a integrare la specificita’ al motivo ed a consentirne la valutazione senza necessita’ di procedere all’esame del fascicoli d’ufficio o di quelli di parte. La parte che in sede di ricorso per cassazione ne deduca la violazione, e’ tenuta, pertanto, ad indicare specificamente in quale atto processuale il fatto, che assume non essere stato contestato, sia stato a suo tempo esposto (Cass. n. 31619 del 2018). E non solo: il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dall’assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve anche indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericita’ o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (Cass. n. 12840 del 2017). Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare, come nella specie, l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve, in definitiva, riprodurre tanto il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, con la puntuale allegazione dei fatti di causa ivi esposta dall’attore (sostanziale), quanto il contenuto dell’atto contenente la risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, con la prospettata mancanza o genericita’ di contestazione in ordine agli stessi.

 

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2.5. Tali oneri non risultano, tuttavia, soddisfatti dall’odierno ricorso giacche’ le censure svolte dalla ricorrente, incentrate sul difetto di specifica contestazione di taluni fatti ad opera della controparte (vale a dire l’esecuzione di quelle opere che la corte d’appello ha ritenuto, invece, indimostrate), sono state svolte in difetto della preliminare trascrizione tanto dei passaggi dell’atto introduttivo a mezzo del quale la stessa, quale attrice in senso sostanziale, ne avrebbe compiuto la puntuale allegazione in giudizio, quanto dei passaggi degli atti difensivi nei quali gli opponenti al decreto ingiuntivo si sarebbero astenuti dalla loro specifica contestazione: tanto piu’ a fronte della statuizione della corte d’appello la quale, al contrario, interpretando l’atto d’opposizione proposto dagli stessi senza che alcuna censura sia stata svolta sul punto, ha ritenuto che i presunti debitori avevano, in realta’, contestato l’esecuzione dei lavori in questione.
2.6. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la
violazione dell’articolo 112 c.p.c., e la difformita’ tra il chiesto e il pronunciato, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, ha invocato la nullita’ della sentenza impugnata per avere la corte d’appello respinto il motivo d’appello con il quale la stessa aveva dedotto che il tribunale aveva conteggiato due volte la stessa voce, e cioe’ il pagamento della somma di Euro 24.209,84, sul rilievo che la societa’ appellante si era limitata a denunciare solo un errore nella annotazione della data di quietanza, cosi’ incorrendo, a fronte di una domanda espressamente volta alla riforma della sentenza appellata attraverso l’eliminazione della duplicazione del menzionato pagamento, in una palese difformita’ tra il chiesto e il pronunciato.
2.7. Il motivo e’ inammissibile. La societa’ ricorrente, in effetti, lamenta, a ben vedere, non tanto la mancata pronuncia da parte della corte d’appello sul motivo di censura in questione (che e’ stato, in effetti, rigettato) quanto l’interpretazione che la stessa ne ha dato (per poi pronunciarsi sulla sua fondatezza). Solo che, com’e’ noto, l’interpretazione di un atto processuale, qual e’ l’atto d’appello, costituisce un tipico accertamento in fatto, riservato come tale al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo per violazione delle norme che regolano l’ermeneutica contrattuale previsti dall’articolo 1362 c.c. e ss., la cui portata e’ generale, ovvero per omesso esame di un fatto a tal fine decisivo. Il ricorrente che intenda utilmente censurare in sede di legittimita’ il significato attribuito dal giudice di merito ad un atto processuale, ha, dunque, l’onere (rimasto, nel caso di specie, inadempiuto) d’invocare il vizio consistito o nell’omesso esame di fatti decisivi, indicandone la loro specifica risultanza dagli atti del giudizio, ovvero nella violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale previsti dall’articolo 1362 c.c. e ss., indicando altresi’, a pena d’inammissibilita’, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici (cfr. Cass. n. 16057 del 2016; Cass. n. 6226 del 2014; Cass. n. 11343 del 2003; piu’ di recente, Cass. n. 12574 del 2019).
2.8. Nel caso di specie, come detto, tale onere non e’ stato adempiuto. La ricorrente, infatti, pur dolendosi dell’interpretazione che la corte distrettuale ha fornito in parte qua dell’atto di citazione in appello, non ha indicato ne’ quali criteri ermeneutici sarebbero stati violati, nell’espletamento di tale accertamento, dalla corte territoriale (e in che modo la stessa se ne sarebbe discostata), ne’ i fatti sul punto decisivi che la stessa, nell’interpretare l’atto, avrebbe del tutto omesso di esaminare.
2.9. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in collegamento con il Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 4, comma 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha condannato la societa’ appellante al pagamento delle spese processuali del secondo grado in favore, tra l’altro, tanto del (OMISSIS), quanto della (OMISSIS), liquidandone l’ammontare nella somma di Euro 9.515,00, oltre accessori, per ciascuno di essi, senza, tuttavia, considerare che gli stessi avevano la stessa posizione processuale ed erano costituiti in giudizio separatamente ma con il medesimo difensore.
2.10. Il motivo e’ fondato. Questa Corte, in effetti, ha gia’ avuto di affermare che, in tema di onorari di avvocato, ove in una causa l’avvocato assista e difenda piu’ persone, aventi la stessa posizione processuale, l’onorario dovuto a quest’ultimo (salvi gli aumenti consentiti dalle norme tariffarie) e’ unico e che tale criterio deve presiedere anche alla liquidazione, a carico del soccombente, del compenso spettante al difensore di piu’ parti vittoriose con identica situazione processuale, in base al principio generale secondo cui il soccombente non puo’ essere tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa piu’ di quanto questa debba a sua volta versare al suo difensore (Cass. n. 18624 del 2010). La corte d’appello, pertanto, li’ dove ha condannato la societa’ appellante al pagamento delle spese processuali del secondo grado in favore tanto del (OMISSIS), quanto della (OMISSIS), non si e’ attenuta al principio espresso, avendone liquidato l’ammontare, per ciascuno di essi, nella somma di Euro 9.515,00, oltre accessori, senza verificare, in fatto, se tali parti, assistite dallo stesso difensore, avessero o meno, pur a fronte della distinta costituzione in giudizio, la stessa situazione processuale.
3. Il ricorso, quindi, nei limiti esposti, dev’essere accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.

 

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